di Antonio Polazzo
Una delle principali cause di divisione fra i cattolici che si oppongono alle novità dottrinali, liturgiche, giuridiche e disciplinari “introdotte” nella Chiesa a partire dal “concilio” detto Vaticano II trova origine nel significato attribuito alla verità dell’infallibilità della Chiesa e del Romano Pontefice.
In breve si può dire che da una parte si collocano coloro che, come padre Guérard Des Lauriers o.p. (1898 – 1988), credono che l’intera Chiesa docente (ossia il Papa assieme a tutti i Vescovi del mondo riuniti o dispersi) od anche il solo Romano Pontefice (nell’esercizio del suo Ministero di Maestro di tutti i cristiani) non può insegnare qualcosa di erroneo in materia di fede o di morale o connessa alla fede o alla morale; dall’altra parte si collocano coloro che, come Mons. Marcel Lefebvre (1905 – 1991), ammettono questa possibilità. Di conseguenza, per i primi, un eletto al Papato che insegni dottrine erronee non può essere un vero Papa, non può avere l’Autorità che Dio comunica all’eletto per effetto della sua reale accettazione del Papato ed i “Vescovi” che – in comunione con lui – insegnano i medesimi errori non hanno l’Autorità propria dei successori degli Apostoli; per i secondi, un eletto al Papato che insegni dottrine erronee è vero Papa, dotato dell’Autorità propria dei successori di Pietro ed i “Vescovi” che – in comunione con lui – insegnano i medesimi errori sono Vescovi dotati dell’Autorità propria dei successori degli Apostoli.
La maggior parte dei cattolici contrari alle predette “riforme” condivide la teologia tenuta da Mons. Lefebvre – già Arcivescovo di Dakar in Senegal e delegato apostolico per l’Africa ‘francese’, poi Vescovo di Tulle in Francia e Arcivescovo titolare di Sinnada in Frigia – che è senz’altro il più conosciuto uomo di Chiesa ad aver combattuto la buona battaglia contro la “gerarchia” ecclesiastica che approvò le false dottrine del Vaticano II. Provvisto di grande personalità e notevoli capacità organizzative, spinto da un sincero amore per la Chiesa, egli si oppose alle riforme dottrinali e liturgiche introdotte da Paolo VI e Giovanni Paolo II sino a meritare dal primo la pena della sospensione a divinis, nel 1976, e dal secondo quella della scomunica[1], nel 1988, per aver conferito l’ordinazione episcopale a quattro presbiteri senza mandato pontificio, atto che Giovanni Paolo II definì “scismatico”, oltre che “una disobbedienza al Romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l'unità della Chiesa”[2]. Raccolto attorno a sé un considerevole gruppo di sacerdoti e semplici fedeli, dette vita alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, congregazione religiosa che si impegnò – e tutt’ora si impegna – a dare continuazione alla resistenza intrapresa dall’Arcivescovo contro la “Roma modernista” anche dopo la sua morte.
Non è semplice trovare, tra gli scritti e i discorsi di Mons. Lefebvre, un luogo in cui il tema dell’infallibilità della Chiesa e del Romano Pontefice, considerato soprattutto in rapporto agli errori contenuti nei documenti magisteriali del Vaticano II, venga trattato in modo sufficientemente compiuto da consentire la comprensione dei termini esatti del suo pensiero teologico. Per contro, la prassi seguita dal Monsignore e dalla sua Fraternità manifesta, nitidamente ed inequivocabilmente, il senso che egli attribuisce all’infallibilità della Chiesa e del Papa.
Mons. Lefebvre, infatti, nel portare avanti la sua battaglia, ritenne lecito resistere a molteplici provvedimenti dottrinali, liturgici e disciplinari di coloro che egli stimava essere veri Papi, dissentire dagli insegnamenti erronei proposti da quello che per lui era espressione dell’autentico Magistero della Chiesa Cattolica, frutto di un vero, anche se anomalo, Concilio Ecumenico, opporsi al “nuovo corso” avviato da quelle che egli affermava essere le legittime Autorità della Chiesa di Cristo. Mise in atto con tutti i mezzi che ebbe a disposizione questa resistenza, questo dissenso e questa opposizione giustificando il suo agire con la volontà di mantenere integra la fede e di correggere il Papa affinché esercitasse il proprio Ministero in modo conforme a quello dei Papi che avevano regnato prima del Vaticano II.
Va da sé che la contestazione, da parte di un cattolico, degli insegnamenti e delle decisioni di chi egli stesso reputa essere il Vicario di Cristo suppone necessariamente una teologia che ammette la possibilità che il Romano Pontefice rechi pregiudizio alla Chiesa insegnando ai battezzati l’errore. Una teologia per cui, in generale, un Papa, nell’esercizio del suo Ufficio di Maestro di tutti i cristiani, può nuocere ai fedeli, alla Chiesa discente.
Riferimenti ad un Papa nocivo per la Chiesa e ad un Magistero dannoso per le anime emergono da numerose dichiarazioni di Mons. Lefebvre. Qui sembra utile ricordare la seguente, del 1989, in cui il Vescovo afferma:
« Il cardinal Ratzinger è contro l’infallibilità, il papa è contro l’infallibilità per la sua formazione filosofica. Beninteso, non siamo contro il papa come rappresentante di tutti i valori della sede apostolica, che sono immutabili, della sede di Pietro, ma contro il papa che è un modernista che non crede nella sua infallibilità, che fa dell’ecumenismo. Evidentemente, siamo contro la Chiesa conciliare che è praticamente scismatica, anche se non lo accettano. Nella pratica, è una Chiesa virtualmente scomunicata, perché è una Chiesa modernista. Sono loro che ci scomunicano, quando noi vogliamo restare cattolici »[3].
In poche e semplici parole Mons. Lefebvre lascia chiaramente intendere che, in generale, un Papa, un vero Papa, può essere contro l’infallibilità, modernista e promotore di un falso ecumenismo (e, in particolare, che il Papa regnante nel momento in cui parlava lo fosse). E che, in generale, la Chiesa, la vera Chiesa docente, può essere praticamente scismatica, virtualmente scomunicata, modernista (e, in particolare, che la Chiesa degli anni in cui parlava lo fosse).
Queste affermazioni di Mons. Lefebvre contraddicono il Magistero della Chiesa. Nella Costituzione Pastor aeternus del Concilio Vaticano I, ad esempio, si legge che la dottrina apostolica dei “successori di Pietro” (quindi, di ogni Papa) è stata accolta da tutti i Padri e rispettata e seguita dai santi Dottori ortodossi, perché essi sapevano che, secondo la divina promessa del Signore, “questa Sede di Pietro rimane sempre immune da ogni errore”[4].
È importante notare, inoltre, che nel passo citato Mons. Lefebvre ricorre ad una pericolosa distinzione[5], affermando in sostanza che, anche se il Papa inganna i fedeli, il Papato rimane integro nella sua essenza. Egli, infatti, parla di un Papa che rappresenta gli immutabili valori della Sede Apostolica e che, al tempo stesso, si pone direttamente contro questi valori (« nous ne sommes pas contre le pape en tant qu'il représente toutes les valeurs du siège apostolique, qui sont immuables, du siège de Pierre, mais contre le pape qui est un moderniste qui ne croit pas à son infaillibilité, qui fait de l'œcuménisme »), come se nel sistema cattolico fosse possibile concepire un Papa che rappresenta la Fede e che al contempo opera per distrugge la Fede oppure fossero concepibili nella stessa persona un Papa astratto, rappresentante dei valori della Sede Apostolica, ed un Papa concreto, divulgatore di insegnamenti contrari a questi valori[6]. Si osservi che Mons. Lefebvre si riferisce al Papa nell’esercizio della sua funzione pubblica di Capo della Chiesa, e non al Papa come persona privata, non fosse altro perché la giusta accusa che egli muove a Giovanni Paolo II di “fare dell’ecumenismo” (“le pape qui … fait de l'œcuménisme”) è sicuramente riferita o riferibile all’attività pubblica di Giovanni Paolo II di insegnamento e pratica del falso ecumenismo di matrice anticattolica[7]. Del resto, non avrebbe senso dichiarare – nel modo in cui lo fa Mons. Lefebvre – di essere contro il Papa perché privatamente promuove l’ecumenismo, senza specificarlo.
Nella citazione sopra riportata, tuttavia, il Vescovo non fa alcun espresso riferimento alla questione dell’infallibilità magisteriale del Papa, come effetto dell’assistenza dello Spirito Santo, in rapporto agli errori insegnati a partire dal Vaticano II. Questione che, invece, è più apertamente affrontata nel corso dell’omelia pronunciata da Mons. Lefebvre a Ecône per le ordinazioni sacerdotali del 29 giugno 1982, nella quale Sua Eccellenza, dopo aver detto che “al di fuori dei casi in cui [il Papa] usa del suo carisma d’infallibilità, può errare, può peccare”[8], spiega:
“Ma noi, constatiamo i fatti, dobbiamo metterci di fronte a questi fatti e non abbandonare mai la Chiesa, la Chiesa cattolica e romana, non abbandonarla mai. Non abbandonare mai il successore di Pietro, perché è per mezzo di lui che siamo legati a Nostro Signore Gesù Cristo, per mezzo del Vescovo di Roma, successore di Pietro. Ma se per disgrazia, trascinato da non so quale spirito, quale formazione o quale pressione che subisca, per negligenza, ci lasciasse e ci conducesse per strade che ci fanno perdere la fede, ebbene, non dobbiamo seguirlo pur riconoscendo comunque che egli è Pietro e che se parla con il carisma dell’infallibilità, dobbiamo accettare [la sua parola], ma quando non parla con il carisma dell’infallibilità può ben sbagliarsi”[9].
Quest’omelia, pur non trattando l’argomento in modo approfondito, è di grande importanza, perché fornisce un notevole aiuto a chi intende capire il pensiero teologico di Mons. Lefebvre in punto di infallibilità pontificia. Secondo il predicatore il Papa può scegliere se utilizzare o meno, in occasione dei suoi insegnamenti in materia di fede o di morale, il carisma dell’infallibilità. Ciò significa che, per Mons. Lefebvre, il buon Dio non è necessariamente con il suo Vicario quando quest’ultimo insegna alla Chiesa in materia di fede o di morale, perché è lo stesso Vicario di Cristo a decidere se e quando ricorrere all’uso del carisma dell’infallibilità e, per conseguenza, all’assistenza di Dio. Ne deriva che se per pressioni esterne, negligenza, formazione personale o per qualunque altra ragione il Papa decidesse di non usare questo carisma “il peut se tromper”, egli può sbagliarsi nell’insegnare ai fedeli e condurli in tal modo lontano dalla fede cattolica.
È chiaro che se così fosse, se cioè fosse vera la raffigurazione del rapporto tra Romano Pontefice e infallibilità appena descritta, la trasmissione della dottrina apostolica della fede sarebbe compromessa. Per Mons. Lefebvre, un Papa – pur esercitando il suo Ministero di Maestro di tutti i cristiani nell’esporre verità di fede o di morale – può ingannare ed insegnare l’errore. Il che è incompatibile con il fatto che – come ricorda il Catechismo di San Pio X – lo Spirito di Verità assiste la Chiesa “perennemente”[10], e, come già visto, con quanto insegna il Magistero del Concilio Vaticano I (“questa Sede di Pietro rimane sempre immune da ogni errore”).
Dell’errore in cui involontariamente sembra essere caduto Mons. Lefebvre, parlò con precisione circa un secolo prima Mons. Gasser, membro della Commissione de fide al Concilio Vaticano I, quando nella sua Relatio dell’11 luglio 1870 disse:
“Il piissimo Nostro Signor Gesù Cristo volle, infatti, che il carisma di verità dipendesse non dalla coscienza del Pontefice, [coscienza] che è per ciascuno una questione privata se non privatissima, che solo Dio conosce, ma dal rapporto pubblico del Pontefice con la Chiesa universale; perché altrimenti questo dono dell’infallibilità non sarebbe un mezzo efficace per conservare e restaurare l’unità della Chiesa. Pertanto, non dobbiamo assolutamente temere che la Chiesa universale possa essere indotta in errore sulla fede per la malafede e la negligenza del Pontefice. La protezione di Cristo e l’assistenza divina promessa ai successori di Pietro, infatti, sono così potenti che se il sommo giudizio fosse erroneo e nocivo alla Chiesa, lo impedirebbero; o, se di fatto il Pontefice giungesse ad una definizione, essa sarebbe infallibilmente vera”[11].
È nell’esercizio dell’ufficio di Pastore universale che va individuato il rapporto pubblico del Papa con la Chiesa universale. Pertanto, quando il Papa parla nell’esercizio del suo ufficio di Maestro di tutti i cristiani è da escludere che possa ingannare i fedeli in materia di fede, per negligenza o per qualsiasi altra ragione. Se, invece, il dono dell’infallibilità dipendesse dalla coscienza del Papa (o comunque da un fatto privato come ad esempio lo scarso studio, la poca diligenza, l’imprudenza personale, ecc.), afferma Mons. Gasser, questo dono sarebbe privo di efficacia. Non sarebbe utile all’unità della Chiesa.
Una ulteriore dichiarazione di Mons. Lefebvre sulla quale giova riflettere ai fini della nostra breve indagine è contenuta nella celebre intervista rilasciata dal Vescovo a Ecône, il 2 agosto 1976, per Le Figaro:
“L’autorità delegata da Nostro Signore al papa, ai vescovi e al sacerdozio in generale è al servizio della fede nella sua divinità e della Sua propria vita divina. Tutte le istituzioni divine o ecclesiastiche sono destinate a questo fine. Tutti i diritti, tutte le leggi, non hanno altro scopo. Servirsi del diritto, delle istituzioni, dell’autorità per annientare la fede cattolica e non comunicare più la vita, è praticare l’aborto o la contraccezione spirituale. Chi oserà dire che un cattolico degno di questo nome può cooperare ad un crimine peggiore dell’aborto fisico? Per questo siamo sottomessi e disposti ad accettare tutto ciò che è conforme alla nostra fede cattolica così com’è stata insegnata per duemila anni, ma rifiutiamo tutto ciò che le è opposto”[12].
Secondo Mons. Lefebvre, dunque, un Papa può servirsi della propria Autorità di Sommo Pontefice per annientare la Fede. Questa idea contraddice il senso stesso del Papato e dell’Autorità del Romano Pontefice. Se un Papa, non già come persona privata, ma come Papa potesse insegnare qualcosa di dannoso per la Fede cattolica allora il Papato non avrebbe più senso. Dio, edificando la Chiesa, non avrebbe edificato una cosa Santa, un’arca di salvezza, ma una cosa pericolosa e mostruosa, un’imbarcazione il cui Timoniere visibile potrebbe in qualunque momento portare le anime che vi si trovano a bordo nelle acque oscure dell’errore e della depravazione. Questa idea è manifestamente opposta alla natura del Papato e della Chiesa docente, che sono esclusivamente strumenti di salvezza. Il buon Dio ha donato ai battezzati (ed anche ai non battezzati, evidentemente) il Papato, i singoli Papi, per la salvezza delle loro anime, non perché per mezzo di questi si perdessero.
Il senso cattolico del dogma dell’infallibilità pontificia, pertanto, non può prescindere dalla considerazione della natura e del fine del Papato e della Chiesa docente. Alla luce della loro natura e del loro fine non si fatica a comprendere che le ‘condizioni’ per l’esercizio dell’infallibilità magisteriale, da parte del Romano Pontefice, altro non sono, in realtà, che le ovvie circostanze al di fuori delle quali sarebbe irragionevole pensare all’infallibilità. Così è del tutto naturale che il Romano Pontefice goda dell’infallibilità “solo” quando (1) come Maestro di tutti i cristiani[13] (2) attesta che una determinata dottrina riguardante la fede o la morale è vera o è falsa.
È curioso notare che, durante la suddetta intervista a Le Figaro, Mons. Lefebvre porse ai cattolici di tutto il mondo questa terribile domanda: “Perché, infine, un problema grave si è posto alla coscienza e alla fede di tutti i cattolici durante il pontificato di Paolo VI. Come un papa, vero successore di Pietro, garantito dall’assistenza dello Spirito Santo, può presiedere alla distruzione della Chiesa, la più profonda e la più estesa della sua storia nello spazio di così poco tempo, ciò che nessun eresiarca non è mai riuscito a fare? A questa domanda bisognerà rispondere un giorno”[14]. Sua Eccellenza, trascinato a forza dalla Verità, uscì per un momento dalla sua stessa logica (forse senza accorgersene), per tornare a constatare – seppur in forma interrogativa – la realtà delle cose. È ben chiaro, infatti, come questa domanda abbia tutto il sapore di una domanda retorica, una domanda che manifesta implicitamente a chi l’ascolta la risposta di chi la porge. E la risposta di Mons. Lefebvre, come quella di ciascun cattolico, non può che essere questa: è impossibile che un Papa, un vero successore di Pietro, assistito dallo Spirito Santo, presieda alla distruzione della Chiesa. Una tale evenienza sarebbe inspiegabile.
In conclusione, il principale errore del pensiero “lefebvriano” sull’infallibilità pontificia – che è quello di concepire in modo eccessivamente riduttivo il potere infallibile del Romano Pontefice – sembra riconducibile ad una non sufficiente considerazione della funzione del Papato seguita da un’interpretazione troppo restrittiva della formula dogmatica dell’infallibilità pontificia utilizzata dal Concilio Vaticano I, interpretazione non conforme, pertanto, al senso cattolico di quel dogma. Talvolta mi chiedo se Mons. Lefebvre sarebbe stato un partigiano di questo pensiero ‘minimalista’ in punto di infallibilità anche qualora il Vaticano II non fosse stato. Tendo a pensare di no. Propendo a credere che egli abbia attribuito valore alle teorie minimaliste proprio in conseguenza della situazione venuta a crearsi nella Chiesa con la promulgazione del conciliabolo conclusosi nel 1965. Le ragioni possono essere le più diverse. Forse Sua Eccellenza non si sentiva umanamente pronto a prender pubblicamente atto della vacanza della Sede Apostolica o forse la sua mentalità era incline ad affrontare le gravi difficoltà poste dalla crisi della Chiesa con approccio più pratico che metafisico e teologico. Davvero non saprei dire. In ogni caso, tutto questo riguarda un tema affatto diverso rispetto a quello appena trattato.
Postilla dell'autore
Tengo molto a precisare che il presente scritto nulla vuole (né può) togliere alla grande figura di Mons. Marcel Lefebvre, verso la quale nutro un’ammirazione profonda e sincera. Scopo dell’indagine è quello di aiutare i fedeli convinti che un Romano Pontefice, o l’intera Chiesa docente, possano essere fonte di veleno per le anime ad abbandonare questa convinzione.