martedì 15 aprile 2014
Grosseto e il matrimonio che... s'ha da fare?
Due distinti signori, entrambi di sesso maschile, hanno contratto quello che in uno Stato degli USA si chiama matrimonio; hanno chiesto che la condizione di coniugi venisse loro riconosciuta dal Comune di Grosseto, il quale ha ovviamente risposto di no.
Un giudice ha ordinato invece di considerarli sposini freschi. La Conferenza Episcopale Italiana ha elevato una protesta.
Ebbene, se la detta CEI non vuole contentarsi delle parole, (“cum parole non si mantengono li Stati”, e nemmeno le Chiese), dovrebbe, a mio modesto avviso, procedere a quanto segue: dare incarico a robusti avvocati di impugnare il provvedimento in tutte le sedi, fino alla Corte Costituzionale. Se ciò non avviene, infatti, la sentenza del giudice toscano passa in giudicato e fa giurisprudenza, costituendo un precedente per ogni altra similare fantasia giuridica.
Il principio che un qualsiasi provvedimento di Stato estero possa avere efficacia in Italia è privo di ogni fondamento giuridico e logico. La legge italiana, infatti, è soggetta alla Costituzione vigente, la quale con tutta evidenza definisce il matrimonio secondo le più ovvie e indiscusse norme del diritto romano: matrimonium da mater. Altre forme di umana solidarietà per definizione non sono matrimonio.
Lo stesso per una qualsiasi legge indonesiana, uruguaiana, tunisina eccetera. Qui funziona il diritto territoriale, non quello etnico; e chi è in Italia deve obbedire alle leggi italiane e non a quelle norvegesi o etiopiche o cipriote.
I due signori, se hanno voglia di vivere assieme e condividere i fatti loro, vadano da un notaio e stabiliscano reciproci patti di assistenza eccetera: senza scomodare il matrimonio.
Ma se nessuno fa opposizione, questi due gentili signori passeranno per sposati davvero, e, dopo di loro, ci sarà la fila; e, detto di sì a quei due, bisognerà fare lo stesso con tutti gli altri.
Coraggio, vescovi italiani: trovate un buon avvocato.
Ulderico Nisticò - http://radiospada.org/