Negli ultimi decenni all’interno della Real Casa di Borbone Due Sicilie è esplosa una querelle dinastica di cui negli ultimi giorni si fa un gran parlare. Questa eterna discussione ci induce ad una riflessione approfondita circa i rapporti dinastici e statuali tra la casa regnante Borbonica di Spagna e quella delle Due Sicilie. Ci sprona soprattutto, come sempre, alla ricerca storica e d’archivio al fine di essere quanto più precisi e realistici senza lasciarsi trascinare dai risentimenti e dalla partigianeria. Va posta una premessa: la contesa in corso riguarda due Principi di Casa Borbone, discendenti entrambi del Conte di Caserta (e dunque di tutta la lunga e nobile stirpe dei Borbone di Napoli e di Francia fino a Ugo Capeto e San Luigi IX), meritevoli entrambi di rispetto, cosa che non va mai dimenticata. Si tratta di Don Carlos Maria Infante di Spagna e di Carlo di Borbone duca di Castro. I due discendono, rispettivamente, da Carlo Tancredi e Ranieri (secondo e terzogenito di Alfonso, Conte di Caserta, per i legittimisti Napoletani Alfonso I delle Due Sicilie). I due reclamano non solo la titolarità del Gran Magistero degli Ordini Dinastici di Casa Borbone Due Sicilie, ma anche quella di Capo della Real Casa Napoletana. Dirimere la questione non è cosa semplice e non è certo la nostra ambizione. Addivenire ad una risoluzione giuridicamente fondata e canonicamente accettabile, è impresa spinosa al punto che la Santa Sede e lo stesso Pontefice Romano non si sono mai, dal 1960 ad oggi, espressi a favore dell’uno o dell’altro pretendente riconoscendo implicitamente entrambi i ruoli. Il nostro contributo vuole solo offrire nuovi spunti di riflessione a fronte di una questione interessante e ancora irrisolta. Il ragionamento deve partire da una questione metodologica: nel tentare di condurre a risoluzione la conflittualità sorta in Casa Borbone devono essere considerate esclusivamente le norme che disciplinano la successione a Capo della Casa Reale e, nominalmente, a capo di Stato del Regno delle Due Sicilie. Anche nelle altre Famiglie Reali decadute o spodestate (a causa di rivoluzioni, rivolgimenti bellici o scelte politiche democratiche o presunte tali) le norme che regolano la vita interna dei membri delle Stirpi Reali sono unicamente quelle vigevano al momento della decadenza o dichiarata debellatio. Ad esempio il Re Umberto II di Savoia, esiliato a Cascais in Portogallo a partire dal 1946, regolò la vita della sua Famiglia secondo le disposizioni vigenti nel Regno d’Italia nel 1946, nella fattispecie contenute nello Statuto Albertino. Stesso discorso vale per la Famiglia Reale Rumena, per quella Bulgara e per quella Imperiale Austro – Ungarica. Partendo da questo presupposto dobbiamo rintracciare le fonti primarie a cui riferirci in fatto di leggi successorie nel Regno delle Due Sicilie, considerate in vigore all’epoca della sottoscrizione del contestato Atto di Cannes (14 dicembre 1900). Con il documento passato alla storia con il nome di Atto di Cannes si intende la rinuncia al titolo di Capo della Real Casa Borbone Due Sicilie (comprensivo della rinuncia alle pretese al cessato trono e alla titolarità dei Gran Magisteri degli Ordini Cavallereschi di Casa Borbone) sottoscritto da S.A.R. il Principe Carlo Tancredi di Borbone, figlio del Conte di Caserta. Carlo Tancredi rinunciò ai suoi diritti perché avrebbe sposato di lì a poco, l’Infanta di Spagna Maria Mercedes (figlia del Re Alfonso XII) e, secondo le norme e le tradizioni giuridiche interne alla Casa Borbone Due Sicilie sarebbe, con quel matrimonio, entrato nella Famiglia Reale dei Borbone Spagna acquisendo il titolo di Infante (cosa che avvenne il 7 febbraio 1901). Tutti i membri di Casa Borbone Due Sicilie accettarono quanto stabilito nell’Atto di Cannes, sia il Conte di Caserta, sia S.M. la Regina Maria Sofia di Borbone, sia i Principi della Casa dal primogenito Ferdinando Pio al terzogenito Ranieri che si trovò ad essere il primo nella linea di successione (Ferdinando Pio aveva solo figlie femmine impossibilitate a recepire i titoli propri del Conte di Caserta). La discordia sorse alla morte di Ferdinando Pio che nel 1934 aveva ereditato dal padre il titolo di Capo della Casata. Nel 1960 (anno della sua scomparsa) divenne Capo della Real Casa di Borbone Due Sicilie e Gran Maestro degli Ordini Dinastici, il Principe Ranieri. Il figlio di Carlo Tancredi, Alfonso (padre di Don Carlos Maria) contestò la successione, sostenendo la nullità dell’Atto di Cannes e di quel patto successorio, autoproclamandosi Capo della Real Casa e avocando a sé il Gran Magistero degli Ordini. A questo punto c’è da chiedersi se sussistono i criteri di validità giuridica, sempre secondo le leggi interne a Casa Borbone Due Sicilie, dell’Atto di Cannes, pomo della discordia purtroppo attualmente in corso (Carlo duca di Castro è nipote di Ranieri e tramite il padre Ferdinando ha ereditato i titoli). Sarebbe auspicabile una risoluzione pacifica e giuridicamente fondata che ponesse fine a questa dolorosa vertenza. Per rintracciare i suddetti criteri testo fondamentale deve essere la Costituzione del Regno delle Due Sicilie rientrata in vigore con l’Atto Sovrano di Portici del 25 giugno 1860 di S.M. Francesco II ed emanata l’11 febbraio 1848 con Decreto Reale da S.M. Ferdinando II. Riportiamo integralmente l’articolo 70 (Capo IV – Del Re) che affronta la questione della successione all’allora, esistente, trono.
“Art. 70 – L’atto solenne per l’ordine di successione alla corona dell’augusto Re Carlo III del 6 di ottobre 1759 confermato dall’augusto re Ferdinando I nell’articolo 5 della legge degli 8 di dicembre 1816, gli atti sovrani del 7 di aprile 1829, del 12 di marzo 1836, e tutti gli atti relativi alla real famiglia rimangono in pieno vigore”.
L’articolo considera pienamente valide le disposizioni emanate nel 1816, nel 1829 e nel 1836 da Ferdinando I, Francesco I e Ferdinando II. Nello specifico il Decreto Reale 12 marzo 1836 affronta la questione del Matrimonio dei Principi di Casa Borbone (sulla scia dell’affaire sentimentale e politico esploso attorno a Carlo, fratello di Ferdinando II). L’Atto Sovrano del 7 aprile 1829, a firma del Re Francesco I, regola anch’esso questioni matrimoniali, mentre l’articolo 5 della Legge 8 dicembre 1816, conferma tutto quanto disposto dalla Prammatica Sanzione del Re Carlo III del 6 ottobre 1759, salvo la nuova numerazione del Sovrano delle Due Sicilie (rispetto a quella di Napoli e Sicilia). Il tutto va ricondotto, dunque, alla Prammatica Sanzione del 1759. In quel documento il nuovo Re di Spagna Carlo III stabilì, nell’atto di lasciare Napoli:
“che l’ordine di Successione da me prescritto non mai possa portare l’unione della Monarchia di Spagna colla Sovranità e Domini Italiani, in guisa che o i Maschi o le Femmine di mia Discendenza di sopra chiamati, sieno ammessi alla Sovranità Italiana, sempre che non sieno Re di Spagna o Principi di Asturias dichiarati già o per dichiararsi”.
Chi contesta l’Atto di Cannes lo fa per due motivi. Il primo riguarda quello della giurisdizione. Si considera nullo l’Atto perché le leggi francesi e italiane nel 1900 escludevano questo tipo di patti successori. Il secondo riguarda la distinzione tra Capo della Real Casa e Gran Maestro del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, il più diffuso e famoso tra gli ordini di Casa Borbone nonché il più antico della cristianità. Circa la prima questione è stato già detto in apertura di questo articolo che per le norme successorie interne a Casa Borbone Due Sicilie si deve far riferimento alle norme interne e non a quelle della Repubblica Francese, dell’allora Regno d’Italia o al più attuale ordinamento giuridico del Regno di Spagna perché da queste distinta e la fattispecie stessa è ben distinta. Patti simili erano diffusi presso le altre Case Reali. Nel 1906 alla Principessa Vittoria Eugenia di Battenberg, nipote di Edoardo VII, prima di sposare il Re di Spagna Alfonso XIII, sottoscrisse per sé e per i suoi discendenti, un atto formale di rinuncia ai diritti alla Corona Britannica. Sarebbe assurdo pensare che oggi Juan Carlos I di Spagna avanzasse pretese sul trono di Elisabetta II, giudicando l’atto sottoscritto dalla nonna come non previsto dall’ordinamento spagnolo. Circa la seconda questione un parallelo storico ci viene in soccorso. Se Carlo III di Borbone, nuovo Re di Spagna avesse voluto rispettare fino in fondo il criterio della primogenitura farnesiana, disgiungendo la carica di Capo della Real Casa dalla titolarità del Gran Magistero del SMOC di San Giorgio, avrebbe trasmesso quest’ultima al suo secondo figlio maschio, Carlo Antonio, Principe delle Asturie ed erede al trono di Spagna (cui poi ascese come Carlo IV). Invece, Carlo III, lungimirante, onesto e coerente Sovrano fino all’ultimo, sancita la separazione del ramo cadetto Napoletano da quello Spagnolo attribuì al suo terzo figlio Ferdinando il trono di Napoli nella minore età già dal 1759 (sotto la tutela del consiglio di Reggenza) e, nel 1770, raggiunta la maggiore età trasmise a Ferdinando IV (e non al primogenito farnesiano Carlo), il Gran Magistero del SMOC di San Giorgio. Quanto approvato da Alfonso di Borbone Conte di Caserta circa l’Atto di Cannes si configurera conforme alle norme del Regno delle Due Sicilie e di Casa Borbone, e ha anche un illustre e similare precedente da cui prendere spunto. Tutti i cultori onesti di Storia Patria Napoletana dovrebbero tenerne debitamente conto.
ANDREA CASIERE
ROBERTO DELLA ROCCA
DOCUMENTI
1) Genealogia Casa Borbone
2) Prammatica di Carlo III
3) Atto e giuramento con cui Carlo Tancredi diventa cittadino spagnolo
Dai due alberi genealogici è evidente come Carlo III trasmise il Gran Magistero del SMOC di San Giorgio a Ferdinando di Napoli saltando il "primogenito" Carlo (conseguenza del fatto che essendo separati i due Regni e le due famiglie il SMOC di San Giorgio dovesse essere prerogativa del Capo di Casa Borbone Due Sicilie. Stessa scelta, conforme alle leggi interne di Casa Borbone, farà nel 1900 Alfonso, conte di Caserta.
PRAMMATICA SANZIONE DI CARLO III
“Noi Carlo III. Per la grazia di Dio Re di Castiglia, Leone, Aragona, delle Due Sicilie, Gerusalemme, Navarra, Granata, Toledo, Valenza, Galizia, Majorca, Siviglia, Sardegna, Cordova, Corsica, Murcia, Jaen, Algarves, Algezira, Gibilterra, delle Isole Canarie, delle Indie Orientali ed Occidentali, delle Isole e Continente del Mare Oceano; Arciduca d’Austria; Duca di Borgogna, Brabante, Milano, Parma, Piacenza e Castro; Gran Principe Ereditario di Toscana; Conte di Abspurg, Fiandra, Tirolo e Barcellona; Signore di Biscaglia e Molina, ecc. ecc.
Fra le gravi cure, che la Monarchia delle Spagne, e delle Indie, dopo la morte dell’amatissimo mio Fratello il Re Cattolico Ferdinando VI. Mi ha recato, è stata quella, che è venuta dalla notoria imbecillità della mente del mio Real Primogenito. Lo spirito de’Trattati di questo Secolo mostra che si desideri dall’Europa, quando li possa eseguire senza opporli alla Giustizia, la divisione della Potenza Spagnuola dall’Italiana. Vedendomi perciò nella convenienza di provveder di legittimo Successore i miei Stati Italiani nell’atto di passare alla Spagna, e di sceglierlo tra i molti Figli che Dio mi ha dato, Mi trovo nella urgenza di decidere qual de’ miei Figli sia presentemente quel Secondogenito atto al governo de’Popoli, nel quale ricadano gli Stati Italiani senza l’unione delle Spagne, e delle Indie. Questa convenienza per la quiete d’Europa, che voglio avere, perché non sia chi si allarmi nel vedermi indeciso continuare nella mia Persona la Potenza Spagnuola, e Italiana, richiede che fin da ora Io prenda il mio partito rispetto all’Italia. Un Corpo considerabile composto da Me de’ miei Consiglieri di Stato, di un Camerista di Castiglia, che qui si trova, della Camera di S.C. del Luogotenente della Sommaria di Napoli, e di tutta la Giunta di Sicilia, assistito da sei Medici da Me deputati, Mi ha riferito, che per quanti esami, ed esperienze abbia fatto, non ha potuto trovare nell’infelice Principe uso della Ragione, né principio di discorso, o giudizio umano, e che tale essendo stato sin dall’infanzia, non solamente non è capace né di Religione, né di Raziocinio presentemente, ma neppur apparisce ombra di speranza per l’avvenire; conchiudendo questo Corpo il suo parere uniforme, che non si deve di Lui pensare, e disporre, come alla Natura, al Dovere, ed all’affetto Paterno si converrebbe. Vedendo lo dunque in questo momento fatale cadere per Divina volontà il Diritto, e la Capacità di Secondogenito nel mio Terzogenito per natura l’Infante D. Ferdinando, e insieme la di Lui età pupillare, a Lui, ed alla di Lui tutela, e la Cura del Figlio, che divenga Sovrano Italiano mentre Io lo sono di Spagna. Costituito dunque l’Infante D. Ferdinando mio Terzogenito per natura nello stato di ricever da Me la cessione degli Stati Italiani, passo in primo luogo, ancorchè forse senza necessità, ad emanciparlo con questo presente mio Atto, che Io voglio riputato il più solenne; e con tutto il vigore di Atto legittimo, anzi di Legge, e voglio che Ei sia sin da ora libero non solamente della mia Potestà Paterna, ma ancora della somma, e Sovrana. In secondo luogo stabilisco, e ordino il Consiglio di Reggenza per la pupillare, e minore Età d’esso mio Terzogenito, che deve essere Sovrano de’miei Stati, e padrone de’ miei Beni Italiani, acciò amministri la Sovranità, e il Dominio durante l’Età pupillare, e minore col Metodo da Me prescritto in una Ordinazione di questo stesso giorno firmata di mia mano, sigillata col mio Sigillo, e referendata dal mio Consigliero, e Segretario di Stato del Ripartimento di Stato e della Casa Reale; quale Ordinazione voglio che sia, e s’intenda parte integrale di questa, e si riputi in tutto, e per tutto qui ripetuta, acciò abbia la stessa forza di Legge. In terzo luogo decido, e costituisco per Legge stabile, e perpetua de’miei Stati, e Beni Italiani, che l’Età maggiore di quelli, che dovranno come Sovrani e Padroni averne la libera amministrazione, sia il Decimosesto anno compito. In quarto luogo voglio egualmente per Legge costante, e perpetua della Successione dell’Infante D. Ferdinando, anche a maggiore spiegazione delle Ordinazioni anteriori, che la successione sia regolata a forma di Primogenitura col diritto di Rappresentazione nella Discendenza Mascolina di Maschio di Maschio. A quello della linea retta, che manchi senza Figli Maschi, dovrà succedere il Primogenito Maschio di Maschio della Linea prossima all’ultimo Regnante di cui sia Zio paterno, o Fratello, o in maggior distanza, purché sia Primogenito nella sua Linea nella forma già detta, e sia nel Ramo, che prossimamente si distacca, o si è distaccato dalla Linea retta Primogeniale dell’Infante D. Ferdinando, o da quella dell’ultimo Regnante. Lo stesso ordeno nel caso di mancare tutti i Maschi di Maschio della discendenza dell’istesso Infante D. Ferdinando Mascolina e di Maschio di Maschio, rispetto all’Infante D. Gabriele mio Figlio, al quale dovrà allora passare la successione e né di Lui Discendenti Maschi di Maschio, come sopra. In mancanza di esso Infante D. Gabriele, e de’ di Lui Discendenti Machi di Maschio, collo stesso ordine passerà la successione nell’Infante D. Antonio, e suoi discendenti Maschi di Maschio, come sopra. E in mancanza di questo, e della di Lui Discendenza Mascolina di Maschi di Maschio, la successione collo stesso ordine passerà all’Infante D. Saverio; e dopo Esso, e di Lui Discendenza tale mascolina, come sopra, agli altri Infanti Figli che Dio mi desse, secondo l’ordine della natura, e Loro Discendenza tali Mascoline. Estinti tutti i Maschi di Maschio nella mia Discendenza, dovrà succedere quella Femmina del Sangue, e dell’Agnazione, che al tempo della mancanza sia vivente, o sia questa mia Figlia, o sia d’altro Principe Maschio di Maschio della mia Discendenza, la quale sia la più prossima all’ultimo Re, e all’ultimo Maschio dell’Agnazione, che manchi, o di altro Principe, che sia prima mancato. Sempre ripetuto, che nella Linea retta sia osservato il diritto di Rappresentazione col quale la prossimità, e la qualità di Primogenita si misuri, e sia essa dell’Agnazione. Rispetto a quella, e a’ Discendenti Maschi di Maschio di Essa, che dovranno succedere, si osservi l’ordine stabilito. Anche questa mancando, vada la successione al mio Fratello Infante D. Filippo, e suoi Discendenti Maschi di Maschio in infinito. E questi ancora mancando, all’altro mio Fratello Infante D. Luigi, e suoi Discendenti Maschi di Maschio; e dopo mancati questi alla Femmina dell’Agnazione coll’ordine prescritto di sopra. Ben inteso, che l’ordine di Successione da Me prescritto non mai possa portare l’unione della Monarchia di Spagna colla Sovranità, e Dominj Italiani, in guisa che o i Maschi, o le Femmine di mia Discendenza di sopra chiamati sieno ammessi alla Sovranità Italiana, sempre che non sieno Re di Spagna, o Principi di Asturias dichiarati già, o per dichiararli, quando ha altro Maschio che possa succedere in vigor di questa Ordinazione negli Stati e Beni Italiani. Non essendovi, dovrà il Re di Spagna, sempre che Dio lo provveda di un altro Maschio Figlio, o Nipote, o Pronipote, a quello trasferir gli Stati, e Beni Italiani. Stabilita così la Successione della mia Discendenza negli Stati e Beni Itlaiani, raccomando umilmente a Dio l’Infante D. Ferdinando, e dandogli la mia Paterna Benedizione, e incaricandogli la Religione di Santa Cristiana Cattolica, la Giustizia, la Mansuetudine, la Vigilanza, l’Amor de’Popoli, i quali sono, per avermi Fedelmente Servito e obbedito, benemeriti della mia Casa Reale, cedo, trasferisco, e dono all’istesso Infante D. Ferdinando mio figlio Terzogenito per natura, i Regni delle Sicilie, e gli altri miei Stati e Beni, e Ragioni, e Diritti, e Titoli, e Azioni Italiane, e ne fo allo stesso in questo punto la piena tradizione, sicché in Me non rimanga alcuna parte di essi. Egli però fin dal momento, nel quale Io partirò da questa Capitale, potrà col Consiglio di Stato, e di Reggenza amministrare tutto quel che sarà da Me a Lui trasferito, ceduto e donato. Spero, che questa mia Legge di Emancipazione, di Costituzione, di Età maggiore, di Destinazione di Tutela, e di Cura del Re pupillo, e minore; di Successione nelli detti Stati e Beni Italiani; di Cessione, e Donazione, ridonderà in bene dé Popoli, in tranquillità della mia Famiglia Reale, finalmente contribuirà al riposo di tutta anche l’Europa. Sarà la presente Ordinazione sottoscritta da Me, e dal mio Figlio Infante D. Ferdinando, munita del mio Sigillo, e referendata dagli infrascritti Consiglieri, e Segretario di Stato, anche nella qualità di Reggenti, e Tutori dello stesso Infante D. Ferdinando.
Napoli. Sei ottobre Mille Settecento cinquantanove.
CARLO. FERDINANDO.
DOMENICO CATTANEO. MICHELE REGGIO. GIUSEPPE PAPPACODA. PIETRO BOLOGNA. FRANCESCO DI SANGRO. BERNARDO TANUCCI.”
ATTO CIVILE DELL'UFFICIO ANAGRAFE DI PALAZZO REALE - MADRID - CON CUI CARLO TANCREDI RINUNCIA ALLA SUA CITTADINANZA E DIVENTA CITTADINO SPAGNOLO
Atto e giuramento con cui S.A.R. Carlo Tancredi di Borbone Due Sicilie rinuncia alla propria nazionalità. Il proprio cognome diviene Borbon y Borbon (il padre e la madre Conti di Caserta erano cugini ed entrambi Borbone Due Sicilie) e in virtù del Matrimonio con l’Infanta Mercedes e della sua nomina ad Infante viene meno l’appellativo Borbon Dos Sicilias, che indicava la famiglia Reale delle Due Sicilie. Di conseguenza tutti i figli di Carlo Tancredi, compreso Alfonso che nel 1960 ha contestato allo zio Ranieri in titolo di Capo della Real Casa Borbone Due Sicilie, sono da considerarsi a tutti gli effetti Borbone di Spagna. Ogni cambiamento successivo di cognome (atto parecchio arbitrario e discutibile), per quanto possa essere consentito dalla legge spagnola non rappresenta alcuna modifica delle norme successorie interne a Casa Borbone così come fissate nelle leggi del Regno (in primis l’art. 70 della Costituzione del Regno) che a loro volta confermano la validità della Prammatica Sanzione di Carlo III di Spagna. Nel testo si legge espressamente il giuramento fatto dal Principe Carlo Tancradi di Borbone, degno di essere citato per il suo alto valore simbolico e giuridico: “Juro por Dios y por los Santos Evangelios ser fiel a S.M. el Rey Don Alfonso XIII y guardar la Constituciòn de la Monarquia y las demàs leyes del Reino. Auì Dios me ayude y sea an mi defensa y si no mo lo demande”.
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