sabato 7 aprile 2012

Se Benedetto XVI rivaluta Pio IX

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La polemica laicista contro Pio IX è sempre viva e come sempre fondata su menzogne. Monsignor Gherardini fornisce in questo articolo una lucida denuncia del modo di fare disinformazione del quotidiano La Repubblica.
[Da «Radici Cristiane», n. 36, Luglio 2008]

Non leggo La Repubblica e se oggi prendo in esame un suo articolo è perché un amico – che ovviamente ringrazio – me l’ha trasmesso.
Il suo titolo è quello che, per continuar il discorso, ripropongo. La firma è di Marco Politi, essa pure a me ignota, proprio perché legata a un giornale di cui nemmeno un numero ho mai acquistato. L’articolo è del 17 febbraio 2008; non posso indicare la pagina, perché non figura sul ritaglio inviatomi.

La solita “Repubblica”…

Appena i miei occhi si posarono sul titolo, ebbi la reazione che si prova dinanzi a un falso. Quel titolo potrebbe godere di un senso plausibile solo se qualche Pontefice prima di Benedetto XVI avesse o sottovalutato, o devalorizzato, o invalidato, o condannato Pio IX. Non consta che ciò sia mai avvenuto.

Perfino gli oppositori riconobbero, del beato Pio IX, il nobile sentire, la retta intenzione, la virtù di gran lunga superiore. Tali qualità rifulgevano infatti nel suo magistero e nel suo governo.
E poiché fu e rimase sempre se stesso, neanche sfiorato dagli ammiccamenti e dai compromessi che talvolta inquinano i rapporti tra la sponda religiosa e quella civile (politica, filosofica, scientifica e liberale), passò per oppositore della scienza e del progresso.

Il Sig. Politi conferma: fu nemico dichiarato dell’Ottocento, della libertà di coscienza e di religione; pretese dal Vaticano I il dogma dell’infallibilità papale; umiliò chi non ne era convinto, fin a posare il piede sul collo di uno di loro; aborrì la democrazia; riaprì (?) il ghetto di Roma; fu insomma l’espressione della Chiesa trionfalistica, che la svolta del Vaticano II ed i “mea culpa” di Papa Wojtyła avrebbero nettamente superato e che Benedetto XVI, ahimè, va ripristinando.

È difficile rendersi conto se, in un quadro siffatto, ci sia più disinformazione che prevenzione; è facile, invece, capire perché esso sia stato delineato. Il perché figura anzi a chiare note: l’attacco a Pio IX ha di mira Benedetto XVI, il quale si sarebbe macchiato dell’inqualificabile colpa di presentarsi all’ultimo concistoro con la “mitria” (?) di Papa Mastai Ferretti, di riconoscere nel suo predecessore marchigiano un confessore della fede e un eroico baluardo contro la secolarizzazione, di contrapporre «il cattolicesimo dell’assolutismo papale» a «quello del popolo di Dio».

Riecheggiando il principio ermeneutico del Vaticano II, che Benedetto XVI, poco dopo la sua elezione, indicò nella continuità evolutiva della Tradizione e non in un voltafaccia, M. Politi gli rimprovera «la volontà di negare il carattere di svolta e, per certi aspetti, di rottura» dell’ultimo concilio.
E rileva l’impossibilità del «dialogo con il mondo contemporaneo» e di un «confronto fecondo con la ragione e la scienza moderna», se al mondo contemporaneo, alla ragione e alla scienza Benedetto XVI presenta non la Chiesa di Giovanni XXIII o di Giovanni Paolo II, ma quella di Pio IX.

Attacco a Papa Benedetto XVI del solito Politi

Non mancherebbero nemmeno al mio arco le frecce a difesa di Benedetto XVI. Per la conoscenza che ho della sua produzione teologica, dell’evolversi e precisarsi di essa, della cristallina trasparenza del suo magistero papale, che il sig. Politi incautamente assimila «ad un battito d’ala bloccato a metà (...) in uno spasmo di contraddizione», vorrei scoccarle proprio io, queste frecce, per difendere il Pontefice f.r.

Se non che, ciò facendo, andrei troppo per le lunghe; d’altra parte Benedetto XVI non ha affatto bisogno della mia difesa, per far capire al sig. Politi, oltre che «agli uomini e alle donne contemporanei (...) cattolici o diversamente credenti», ch’egli: a) obbedisce non a una “ideologia”, e men che meno a quella «d’un papa-re, modello Pio IX», perché lo stesso Pio IX ne fu assolutamente privo («la mia politica – diceva – è quella del Padre Nostro»); b) cerca sinceramente l’uomo d’oggi sul piano della ragione, di cui difende l’autonomia nel suo proprio ordine e di cui dimostra la compatibilità con la fede (si veda la lezione di Regensburg e quella mancata de “La Sapienza”); c) attrae le folle con la sua trasparente coerenza al proprio dovere di Papa, provando con la forza dei fatti quanto infondata sia, con buona pace del sig. Politi, l’accusa che egli «ispira soltanto distanza».
Desidero invece spendere una parola sul beato Pio IX, da M. Politi così maltrattato. Rilevo anzitutto, del Politi, la non brillante logica: e per chi s’appella ai lumi della ragione, la cosa è veramente grave.

Ho già messo in risalto l’incongruenza del titolo; eccone altre. Politi dichiara che Pio IX aveva in orrore la democrazia; poi gli rimprovera con Strossmayer – sì, Strossmayer Josip Juraj, e non Stossmeyer come scrive Politi, un croato, vescovo di Diakovar, contrario al dogma dell’infallibilità papale solo perché temeva ch’esso avrebbe reso ancor più difficile il ritorno all’obbedienza romana degli slavi separati e dissidenti – «che un dogma non s’impone a colpi di maggioranza».
Chiedo allora: che cos’è la democrazia, se non è più la dialettica della maggioranza e della minoranza? E se l’infallibilità passò perché sostenuta dalla maggioranza dei Padri conciliari, ciò fu un atto democratico o antidemocratico?

L’incredibile ignoranza di Politi

Un’altra colpa vien rinfacciata a Pio IX, la riapertura del ghetto. Il lettore prima si stropiccia gli occhi, nel dubbio che non abbia letto bene, poi conclude che solo la disinformazione e la prevenzione possono far apparire come demerito e colpa un’indubbia benemerenza.

Qui, evidentemente, l’incongruenza riguarda non più la sola logica, ma anche la storia. Alla sua elezione, Pio IX ebbe il plauso degli ebrei di Senigallia, che lo definirono “Stella e gaudio delle speranze dei popoli”.
A Roma, in quello stesso anno (1846) un’alluvione del Tevere compromise le già fatiscenti condizioni del ghetto; Pio IX intervenne per renderlo agibile e ne proibì le consuete chiusure notturne. Un anno dopo estese il provvedimento agli altri ghetti ed incluse poi nella lista dei suoi figli più poveri, da aiutare annualmente, anche i poveri della comunità ebraica romana.

Nemico del progresso? Chi l’afferma o non sa, o vuole che non si sappia come effettivamente stiano le cose. Appena asceso al soglio di Pietro, Pio IX istituì una commissione per studiare la possibilità d’un’amnistia e la promozione di “strade ferrate”. Già a Spoleto ne aveva avvertito l’esigenza.
Il 18 luglio era già pronto un progetto che, partendo dalla valle del Tevere, prevedeva l’attraversamento dell’Appennino; ed un ricco premio (1000 scudi) veniva promesso a chi indicasse come meglio superarne gli impervi contrafforti.

Anche se l’inaugurazione poté farsi solo nel 1856, nessuno può metter in forse che Pio IX fu il primo papa a portare la strada ferrata nello Stato Pontificio. E primeggiò pure nella promozione dell’arte e della scienza.
Amico e protettore d’Angelo Secchi, l’aiutò con liberalità illuminata a dotare Roma di modernissimi osservatori astronomici e a strutturare, con Lorenzo Respighi, la nuova scienza dell’astrofisica.
Con la collaborazione di Paolo Volpicelli, dotò di moderne attrezzature l’Istituto di Fisica de “La Sapienza”. Non ebbe esitazioni nell’introdurre l’illuminazione a gas, già in atto a Londra e a Milano, prima in Bologna e poi a Roma. Nel 1853 inaugurò le prime comunicazioni telefoniche tra Roma e Napoli al sud, tra Roma e Modena al nord. Mi fermo, perché maiora premunt.

I veri scopi della polemica

A Pio IX non si perdona il Sillabo, ossia l’elenco degli errori moderni che, già iniziato dal card. L. Bilio, Pio IX completò e promulgò nel 1864, a tutela della genuina fede cristiana. In mia presenza, durante un convegno di studio, uno storico lo definì “pestifero”, solo perché avrebbe soffocato la libertà di coscienza e con essa lo stesso spirito moderno.

Anche costui, evidentemente, apparteneva al gruppo di quanti, esaltando la propria indipendenza dall’Assoluto, assolutizzano il relativo. E fanno della modernità il loro dio supremo, tutto sacrificandogli.

Anche l’Evangelo, relativizzato ed annullato dallo spirito moderno, che, ironia del caso, va ora diluendosi nella postmodernità. Difendendo la trascendenza dell’Evangelo dalla caducità del moderno, Pio IX fece solo il suo dovere di primo e supremo responsabile d’una fede inconciliabile, per la sua stessa natura, con il panteismo, il razionalismo, l’indifferentismo, il gallicanesimo, la concezione etica dello Stato e le idee liberali che svincolano la coscienza dalla legge eterna.

E nient’altro che il suo dovere fa Benedetto XVI difendendo la vita, richiamando alla coscienza dei cattolici il primato dello spirito e confermando l’incidenza dei doveri morali sulla loro vita privata sociale politica.

Nel suo empito polemico e – questo sì – intransigente, M. Politi porta una stoccata anche contro l’antiecumenismo di Pio IX, ignorandone i tentativi d’incontro fra Oriente ed Occidente, l’approvazione nel 1872 d’un organismo in funzione del loro riavvicinamento, la successiva approvazione della preghiera per i dissidenti inglesi.

Insomma, qui tutto è all’insegna dell’equivoco. Uno scherzo come quello del piede sulla fronte di un “avversario”, in piena linea con l’indole bonariamente scherzosa di Pio IX, diventa l’emblema della sua insopportabile tracotanza.

La difesa della dottrina cattolica, pure. La dichiarazione d’un dogma già presente nella storia e nella coscienza cattolica di sempre, altrettanto. C’è da chiedersi quando un Papa sarà ben visto dai vari, forse troppi Politi. Evidentemente quando abdicherà alle sue inalienabili prerogative e, per dialogare, batterà le mani all’errore, accetterà il divorzio e l’aborto, sottoporrà la Chiesa allo Stato, sosterrà l’indifferenza religiosa ed il relativismo ideologico, dirà bianco il nero e nero il bianco.

Una cosa, però, è certa: non incontrerà mai, “per la contraddizion che nol consente”, un Papa così. Non son così neanche quei pochi Papi ch’egli sembra apprezzare, solo perché dissero le stesse cose in modo diverso.

Il Sig. Politi mi fa l’onore, che peraltro non m’esalta, d’una citazione: riporta alcune mie parole sui rischi che Pio IX avrebbe voluto risparmiarci e costituiscono invece una triste eredità. Non quella di Pio IX, ma di un Pio IX non ascoltato.

Mi si fa dir esattamente il contrario, secondo un costume largamente in voga, talvolta senza nemmeno sapere di che cosa si parli. Come quando di laico si violenta l’etimo e la genesi storica che, nel 96 d.C., ne fece un “cristianismo indiretto” e lo caricò di senso teologico; o quando si confonde la libertà di coscienza con la libertà religiosa; o quando si condanna la Chiesa reazionaria ed intransigente per la sua fedeltà alla divina rivelazione.
Ai seguaci di questo costume ripeto il famoso detto di Plinio (Hist. Nat. IV,18) «Sutor, ne ultra crepidam» e la non meno famosa terzina dantesca che lo interpreta così:
Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna per giudicar di lungi mille miglia con la veduta corta d’una spanna? (Par. XIX,79)

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