venerdì 13 aprile 2012

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due Sicilie(1860-1861):(Parte 29°): Il Generale Ritucci indugia fallito attacco garibaldino a Capua


Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.

Gli scrittori garibaldini divulgarono che gli assalti di Grandillo, Triflisco, e Roccaromana, furono da essi dati a solo scopo di distrarre l'attenzione de' regi da Capua, ov'era stato il vero attacco, per invadere quella fortezza. Ciò sarà vero: ma è triviale e stomachevole la calunnia spacciata per l'onta e la rabbia di essere stati battuti dovunque, l'avere strombazzato che i regi furono disumani contro i prigionieri, che saccheggiarono le pacifiche popolazioni, e che uccisero molti cittadini, donne, e fanciulli innocenti. È questo il solito modo di vendicarsi delle sconfitte, calunniando sempre tutte le volte che a nulla valeano le loro seduzioni co' regï duci, e che erano ben picchiati dalla truppa napoletana, spacciavano che questa avesse perpetrate azioni da selvaggi, da cannibali e peggio.
A sbugiardare simili ed altre calunnie spacciate da' rivoluzionari, basterebbe il solo ordine del giorno del 24 Settembre, scritto e pubblicato dal Generale in Capo, Ritucci per ordine del Re. In quell'ordine del giorno, o manifesto, si faceano elogi alla truppa perché erasi mostrata generosa co' vinti in tutti i fatti d'armi che avea sostenuti fino allora nella Campagna Militare del Volturno. Un caporale del 6° Cacciatori, Agostino Gianfrancesco, meritò gli elogi del Re e da Costui fu fatto sergente, perché fu il primo a dar l'esempio di soccorrere i garibaldini feriti. Anche il sottuffiziale d'Angelo Salvatore del 14° Cacciatori, si distinse tra i primi con atti di bravura, e con soccorrere i garibaldini feriti. Da ciò si potrebbe argomentare come fossero trattate le popolazioni da' soldati.
Lo stesso giorno 19 Settembre i garibaldini ebbero una consolazione, cioè riportarono una vittoria, non già con le armi, ma con i soliti mezzi morali: s'impossessarono della piccola Città di Caiazzo! I giornali garibaldini descrissero le solite pugne omeriche, strombazzando alla Dumas che nella presa di quella Città furono uccisi migliaia di borbonici a colpi di baionetta, ed altri tanti affogati nel fiume; tutto questo era poi lecito a' soli garibaldini perché redentori? Ecco quello che vi è di vero nella presa di Caiazzo.
Il Tenente Colonnello La Rosa, come già ho detto trovavasi in Caiazzo col 6° Cacciatori, e non avea nessuna voglia di rimanervi ad onta che il Generale in Capo ito colà, e veduta l'importanza di quella posizione gli avea inculcato di sostenerla a qualunque costo. Ho detto pure che il bolognese Cattabene con pochi garibaldini si era incamminato nel distretto di Piedimonte, che avea passato il Volturno a Limatola vicino Caiazzo, e che era stato respinto da' soldati comandati dal Tenente colonnello La Rosa.
Il 29Settembre il Cattabene passò di nuovo il fiume e si diresse a Caiazzo. La Rosa senza un perché, in luogo di respingerlo, radunò la sua gente, abbandonò quella Città e scese verso Gradillo.
Trovavasi in Caiazzo il fiorentino Manetta agente di Casa Corsi, era stato favorito dal passato Governo, e per disobbligarsi si fece secreto fautore de' garibaldini. Egli introdusse Cattabene e gli altri garibaldini in Città per un suo giardino: e così Caiazzo fu occupata da Cattabene senza che fosse stata arsa una cartuccia: intanto avete inteso quante menzogne si spacciarono circa l'occupazione di quella Città.
Appena i garibaldini furono dentro Caiazzo abusarono di tutto, vollero i migliori alloggi, vettovaglie, danaro, tutto quello che a loro facea comodo. Il Cattabene vedendo la poca benevola accoglienza fattagli da quella Città, mandò in fretta a Maddaloni per avere rinforzi. Ebbe il 3° battaglione della brigata Medici comandato da un certo Maggiore Vacchieri.
La Rosa dopo l'abbandono di Caiazzo si era ritratto a Gradillo col 6° Cacciatori, uno squadrone del 3° dragoni, e quattro obici a schiena. Avendo inteso che Cattabene avea avuto de' rinforzi da Maddaloni, scrisse subito al Generale Colonna che gli mandasse altri battaglioni, non per assalire Caiazzo ma per assicurarsi la ritirata.
Si trovavano in Capua i giovanetti fratelli del Re, il Conte di Trani e il Conte di Caserta, i quali avendo inteso i fatti di Caiazzo, si unirono al Ritucci per riconquistare quella città. Costui che deplorato avea lo abbandono di quel punto strategico, spedì ordini severi e pressanti per farlo rioccupare.
Fu mandato a rinforzare La Rosa, il Tenente colonnello della Rocca col 4° cacciatori, con la missione di cacciare i garibaldini dai posti avanzati, e spingersi dentro Caiazzo. Mentre questa truppa si avanzava, duecento garibaldini passarono il fiume ed andarono a rinforzare la gente di Cattabene.
Caiazzo è una città vescovile, con 5000 abitanti, edificata sopra un monte alto sul mare 700 palmi. Dalla parte di mezzodì passa il Volturno che la separa dal Mote Tifata, all'ovest ha vicini i paesetti della Piana e di Gradillo; più giù Pontelatona indi Capua.
La Rosa attaccò i garibaldini fuori Caiazzo, e già si spingeva ad entrare in città con la brigata da lui comandata. Già era giunto a piè della collina, ove trovò resistenza vivissima, e la lotta divenne sanguinosa: La Rosa cadde ferito mortalmente, e gli succedette nel comando della Rocca. Giungevano in quell'istante il Generale in Capo Ritucci ed i Principi Reali, accompagnati dai fratelli d'Agostino, distinti uffiziali, alla loro immediazione, incontrarono alcuni soldati che portavano La Rosa moribondo. Costui pagò con la vita l'errore che avea fatto di abbandonare Caiazzo. Lo storico de Sivo dice, che non si sà se cadde ferito di palla nemica, o scagliata da qualcheduno de' suoi soldati per vendicarsi dell'abbandono di Caiazzo, essendo stato egli la causa del sangue che si versò in quella giornata. Però, il Ritucci che parlò con La Rosa prima che costui spirasse, assicura ne' suoi comenti che fu ferito di palla nemica.
Il generale in capo ordinò che si assaltasse Caiazzo, ed aggiunse altri battaglioni. Diede ordine al Maggiore delli Franci, sottocapo del suo Stato Maggiore di spingersi contro la città alla testa di quattro compagnie dell'8° cacciatori, che la brigata estera si avvicinasse a Caiazzo, ed il 9° cacciatori, ove io apparteneva, fosse rimasto di riserva a piè della montagna.
Cattabene e Vacchieri aveano barricate le strade di Caiazzo, aveano fortificate la case, e principalmente la porta della Città che guarda il nordovest, d'onde si aspettavano di essere investiti da' regï. In Caiazzo erano mille e duecento garibaldini, e sarebbero stati sufficienti a difendere quella città, forte per la sua naturale posizione.
Dopo che fu ferito La Rosa, si fece un poco di tregua, ma delli Franci, e della Rocca fecero di nuovo tuonare il cannone. era mezzodì del 21 settembre, presente i Principi Reali, si diede principio all'investimento di Caiazzo, e fu assalito da tre punti, cioè dalla collina di destra, da quella di sinistra, e dalla via consolare. I garibaldini avrebbero potuto contrastare con vantaggio l'assalto de' regï fuori la città, ove non si fossero ristretti a difendersi entro a quella, com'è il loro costume di guerra. La lotta fu terribile nell'assalto che si diede alla porta di Caiazzo. Le milizie napoletane corsero come leoni sopra le barricate e sormontandole le disfecero. In questa lizza sanguinosa gli assalitori opponevano il solo petto alle armi nemiche, e grande era ilvalore di chi resisteva, e, fra gli uni e gli altri, le artiglierie napoletane si cacciarono innanzi, scagliando palle e mitraglia contro i garibaldini. La cavalleria regia ed i fanti più volte retrocessero, ma incorati dalla presenza, e dall'esempio del Generale in Capo e de' Principi reali, che stavano intrepidi come sempre al fuoco nemico, si slanciarono avanti e tutto vinsero col solito grido di viva il Re, aggiungendo l'altro pure di Viva i Principi reali! Presa la porta ed entrati in città, si dovettero conquistare ad una ad una le strade principali e le case fortificate. I garibaldini tiravano fucilate senza lasciarsi vedere, ed avrebbero recato grandi danni a' regï se non fosse stato pe' villani di quella città, i quali si armarono, e diedero addosso a rivoluzionari. Costoro se cadeano in mano de' soldati, erano prigioni, ma se invece lo erano de' villani, senza misericordia venivano uccisi. Cattabene ferito si era rifugiato con altri 18 Caporioni nell'istessa casa del Vescovo, il quale miracolosamente salvato, fu pure scudo ai garibaldini che caddero prigionieri del Capitano Giovanni Afan de Rivera, accompagnato, dal Capitano Luigi Dusmet dello Stato Maggiore, e dal Capitano Raffaele d'Agostino, che tutti e tre in quella giornata furono d'esempio ai soldati, e fecero mostra di valore militare e di accorgimento.
Vacchieri e 500 de' suoi fuggirono da Caiazzo, ma inseguiti da' fanti e da poca cavalleria, quali furono uccisi, quali furon fatti prigionieri, e quali si affogarono nel fiume volendolo ripassare nelle vicinanze di Limatola. Vacchieri però assieme ad altri ebbero la fortuna di salvarsi.
Quel glorioso fatto d'armi pe' Napoletani durò tre ore. Caiazzo era stata saccheggiata da' garibaldini, e sofferse di nuovo il saccheggio allo entrare de' regï, segnatamente da' soldati de' battaglioni esteri mandati ivi dopo il combattimento.
Molte case furono bruciate, perché vi si erano fortificati i garibaldini. Io che entrai in quella Città la stessa sera del 21 Settembre, ne provai maraviglia e ribrezzo. Nonpertanto, gongolai di gioia nell'osservare la buona disposizione di que' cittadini, i quali, poco curando il danno sofferto, si consolavano al pensiero di essersi sbarazzati dei garibaldini. Caiazzo era una Città devotissima a' Borboni, eccettuate pochissime famiglie. E qui è da notare, che, allorquando i liberali ripresero Caiazzo saccheggiarono altre case, uccisero molto che designavansi borbonici; ed il nuovo Governo fece poi gran processo contro di que' cittadini che sfuggiti erano al furore atroce de' garibaldini.
Nel fatto d'armi di Caiazzo, i garibaldini perdettero armi, munizioni, arnesi di guerra, e due bandiere, una delle quali fu toltagli dal 1° sergente Antonio Santacroce del 6° Cacciatori. Ebbero 300 morti, tra' cui cinque uffiziali e due chirurgi, e 232 prigionieri che furono mandati a Gaeta.
De' regï morirono 51 soldati, il Tenente Colonnello La Rosa, ed il Tenente Massarelli del 4° Cacciatori.
Ebbero inoltre 100 feriti, tra' quali i Capitani Ludovico Laus del 6° Cacciatori, e Carlo Antonini dell'8°, nonchè il 1° Tenente Pasquale Perino del 4° della stessa arma.
Quando si combattea in Caiazzo io mi trovavo col 9° Cacciatori, ch'era di riserva, e tanto vicino a quella città, che potei osservare tutti i particolari di quel fatto d'armi. Dopo che i garibaldini fuggirono, dalla prossima parte del fiume s'intesero delle grida strazianti. Tutto ad un tratto vediamo circa dieci garibaldini trascinati dalla corrente, alcuni sembravano morti, altri si dibattevano disperatamente nell'acqua, gridando aiuto! La compagnia comandata dal mio carissimo amico Capitano Giacomo Carrubba, si trovava vicinissima a que' naufraghi, io e il Capitano invitammo i soldati a salvare quegli infelici, tutti esitarono a buttarsi nel fiume, ed intanto il pericolo de' naufraghi richiedeva un pronto soccorso; stando sulla sponda destra nessuno osava dare l'esempio di gettarsi nell'acqua. Il Capitano Carrubba, uomo prode e pio, non sapendo nuotare, se ne doleva sinceramente con un suo ufficiale che neppure sapea di nuoto; allora compresi che toccava a me dare il primo esempio e mi slanciai nel fiume: un grido di applauso echeggiò in quella valle, e non meno di 40 soldati mi fecero seguito. Cominciammo a salvare i garibaldini, afferrandoli o per i piedi o per i capelli, e strascinandoli alla sponda del fiume, ove altri soldati se li prendevano, e li mettevano in sicurtà. Salvare un naufrago è un affare un poco difficile per colui che non è buon nuotatore, e specialmente nel fiume; conciosiachè il naufrago non sente ragione, e predominato dallo istinto grancisce qualunque corpo che gli si para davanti; se arriva ad afferrarvi un dito solo, non vi è caso che più vi lasci; vi si avviticchia in modo per salvarsi, che dovrete affogarvi entrambi. Di que' soldati che si gettarono nel fiume per salvare i garibaldini, circa la metà furono spinti a quell'atto irreflessivo dall'umanità e dall'entusiasmo, e siccome qualcuno non sapesse di nuoto, convenne mettere anche costoro in salvo. Quella lotta durò una buona mezz'ora; la corrente ci avea trascinati per un chilometro:
ma salvammo tutti, garibaldini e regi. Molti, a principio, non davano segno di vita; però, mercè l'aiuto, e le cure de' chirurgi de' corpi accorsi subito sul luogo, e dell'Ospedale di Capua, ove poi i naufraghi furono condotti, nessuno ne morì, tutti tornando al primitivo benessere.
Uscito dal fiume non avevo altri panni per cambiarmi, il freddo faceami battere i denti, e sarebbe stato per me meno angoscioso restarmi nell'acqua, anzi che tenermi esposto all'aere con que' panni addosso. I soldati mi condussero in un pagliaio, ove potei spogliarmi, e restare avvolto in un cappotto di truppa. Carrubba, ed altri soldati accesero un gran fuoco, e tutti si affrettarono ad asciugare i miei e gli altri panni per rifocillarci. Io mi sentiva sì male che mi credetti spacciato da polmonite o malattia simile; ma grazie a Dio, non soffrìi neppure un dolor di capo, ad onta che la mia salute allora non era perfetta. Il Capitano Carrubba facea dello spirito per tenerci allegri, e tra le altre cose, supponea il caso che ci avessero assaltati i nemici, mentre io e gli altri soldati ci trovavamo abbigliati in quella semiadamitica toletta - In vero la sarebbe stata curiosissima farsa, far rivivere i combattimenti dei Parti! Già eravamo tutti vestiti de' nostri panni bene asciutti; quando giunse un soldato, e mi disse che tra' prigionieri eravi un Cappellano garibaldino preso con le armi alle mani, il quale si era battuto come un valoroso soldato. Io corsi subito sulla vicina strada consolare, ed in effetti trovai un distaccamento del primo Reggimento della guardia che scortava gran numero di captivi garibaldini. Pregai l'uffiziale di consegnarmi il prete prigioniero, obbligandomi anche in iscritto di condurlo io stesso a Capua: l'uffiziale dopo qualche difficoltà aderì alle mie preghiere, ed alle mie assicurazioni, facendogli pure notare, che non sarebbe stato conveniente condurre quell'ecclesiastico qualunque si fosse, assieme a tanti altri prigionieri, che sebben ben trattati, purtuttavia non pochi aveano il vestito e l'aspetto poco rassicuranti.
Il reverendo prigioniero era un mascherato in tutta l'estensione della parola. Uomo sui 40 anni, lungo e secco, come una pertica, senza segno di barba, con naso lungo ed aguzzo; avea occhi grandi e sporgenti; era calvo, calzava coturni che sovrastavano a' calzoni di panno bigio: la storica camicia rossa era lunga, e non messa sotto la cinta de' calzoni, ma pendevagli sin sotto i ginocchi. Indossava un soprabito da Prete, e suppongo che non fosse stato fatto per lui, perché troppo largo: fazzoletto a diversi colori annodato alla garibaldina, collare di prete; ed a questa toletta era corona un kepì colle insegne di Capitano!
I soldati al vedere quella maschera, che chiamavano il D. Nicola, ridevano come pazzi. Non era mio costume rimproverare alcun prigioniero; nondimeno, senza volerlo, dissi a quel prete garibaldino; «anche voi, padre mio, alla vostra età?! «Mi rispose: La riverenza alle sacre chiavi -, non toglie un voto all'Italia unita. Ho capito, io dissi tra me: ho da fare con una testa bislacca...!
I soldati che avevano preso gusto a vedere e sentire parlare quel prete, piacevolmente lo circondarono, e gli fecero tali e tante domande; che D. Fulgenzio - così chiamavasi il prete - rispondeva per lo più declamando versi di classici italiani e latini, e spesso bene a proposito. D. Fulgenzio era prete lombardo, ed era stato anche
Parroco di un villaggio. Avea memoria ferrea, ed era mediocremente istruito: però il deffinii mezzo matto. I soldati gli domandarono se dicesse la Messa, ed egli rispose che l'ultima l'avea detta a Maddaloni: e ci raccontò, che il chierico gli somministrò del vino cattivissimo; ed egli stava per darli il calice in testa; pure, a non dare quello scandalo, si contentò di schiaffeggiarlo sopra l'altare stesso...! I soldati ridevano, a crepa pelle, ed io tra me compiangea quel povero matto! Gli domandarono se avesse moglie, rispose declamando alcuni versi lubrici di Ovidio e propriamente de' tre libri Amorum. Io lo lasciava declamare, sicurissimo che nessuno capiva que' versi: ed intanto i soldati, non escluso il religiosissimo Capitano Carrubba, seguitarono a ridere a causa degli atteggiamenti grotteschi del declamatore. In ultimo lo pregarono a far loro una predica, e D. Fulgenzio vi condiscese subito: si atteggiò bizzarramente, si soffiò il naso con un lembo della sua camicia rossa, tossì, indi cominciò: Fiat unum ovile et unus Pastor. Non appena io intesi il testo della predica, indovinai quello che volea trattare, e come avrebbe potuto applicare quelle parole di Gesù Cristo; quindi mi affrettai ad impedire la predica con gran dispiacere de' soldati e dello stesso D. Fulgenzio. Però io era sicurissimo, che se costui avesse fatta quella predica la scena comica si sarebbe cangiata in una tragica.
D. Fulgenzio si trovava da circa un'ora tra noi, quando da Pontelatona giunse l'ordine che egli seguisse gli altri garibaldini prigionieri, da essere condotti immediatamente a Gaeta. Egli all'udire quell'ordine, ci domandò se in Gaeta vi fosse buon vino, ed i soldati gli risposero che ve ne era poco e cattivissimo. Allora fece quattro smorfie, ed a modo teatrale ci voltò le spalle per seguire la sua scorta, declamando i versi di Dante: Per me si va nella città dolente ecc.Peccato! il povero D. Fulgenzio avea sbagliato la vocazione; se si fosse fatto istrione avrebbe fatta forse la sua fortuna: non avrebbe scandalizzato con la sua condotta, avrebbe fatto ridere, anzi che piangere pel suo traviamento.
In quel tempo, il 18 settembre, avvenne la battaglia di Castelfidardo, ove valorosamente pugnarono due mila zuavi pontifici contro cinque divisioni di soldati piemontesi comandati da' generali Fanti e Cialdini. Non è mio compito raccontare i fatti dell'invasione sarda negli stati della Chiesa, ma l'accenno come preludio all'invasione del Regno delle Due Sicilie: dirò solamente, che molti soldati, e varii uffiziali papalini, dopo quella battaglia, vennero ad incorporarsi in quella parte di esercito napoletano che combattea al Volturno. Tutti coloro riuscirono ottimi soldati. L'esercito papalino, tanto calunniato dai rivoluzionarii, proclamato mercenario, saccheggiatore, e peggio, era composto nella maggior parte di giovani dalla più distinta aristocrazia francese e belga. Il generale Fanti quando lesse la nota de' prigionieri papalini di Castelfidardo esclamò: Sembra una nota d'invito di Luigi XIV a qualche festa di corte..!



(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).