domenica 15 aprile 2012

La controstoria di un'eroe risorgimentale


Tanto per mettere immediatamente le cose in chiaro, è opportuno che alla prossima occasione non vi lasciate scappare l’acquisto del libro “Garibaldi. L’avventuriero, il massone, l’opportunista” (Controcorrente, Napoli, 2011) ultimo testo dello storico Gustavo Rinaldi. Non esito a definire il libro un’opera definitiva su Garibaldi, l’eroe risorgimentale per antonomasia, un mito distrutto dalla minuziosa opera di ricerca svolta da Rinaldi. Un lavoro frutto della ricerca bibliografica (basata sui testi autografi di Garibaldi o degli uomini a lui vicino, e su quella degli storici contemporanei al Nizzardo e sugli studi più recenti, come quello valido di Pappalardo) e d’archivio. Ogni tesi anti – garibaldina è corredata da uno stuolo di documenti efficaci e di chiara comprensione. Siamo di fronte, a mio modesto avviso, ad un’opera definitiva perché la vita di Garibaldi viene messa nero su bianco e smitizzata per intero, a cominciare dalle poco edificanti esperienze in America Latina, dove si esprime l’animo piratesco del presunto eroe. Crimini e cattive compagnie ricostruite grazie alla lettura dei giornali dell’epoca che raccontano una verità occultata e poco conosciuta. Ad esempio “La Gaceta Mercantil, quotidiano argentino, così pubblicava il 3 ottobre 1842: Il pirata Garibaldi mandato nelle acque del Paranà dal selvaggio mulatto Rivera teneva prigionieri a bordo della corvetta Constitucion dieci uomini, che anelavano a fuggire dalle mani di quell’uomo maledetto. Queste infelici creature e tutti gli uomini feriti sul brigantino Pereyra, vennero lasciati a bordo quando le due navi furono incendiate dal nemico. In quel momento le urla di disperazione si poterono udire chiaramente e si videro quegli sventurati feriti cercare d’arrampicarsi sulla murata. Ma il loro martirio non durò a lungo; l’atrocità del pirata si compì […] le navi saltarono in aria e il Paranà offerse uno spettacolo raccapricciante”. E ancora, tanto per elogiare il Nizzardo: “Il 6 dicembre il Correo de Lima pubblicò un articolo intitolato Garibaldi l’assassino nel quale si dichiarava che, sebbene al suo arrivo il giornale l’avesse acclamato come un eroe, si rendeva ora conto che sarebbe stato più esatto chiamarlo assassino”.





Così come pure fa piacere riscoprire un vecchio articolo di Nazione Napoletana del 1999 che racconta del Garibaldi negriero. Troppe volte si parla del nizzardo come schiavista e professionista della tratta dei cinesi durante la sua esperienza marinara dal Perù alla Cina ma pochi hanno riportato una minuziosa descrizione del viaggio, le testimonianze e le circostanze che ci fanno dire che Garibaldi ha esercitato il mestiere del contrabbando degli uomini, in anni in cui la cosiddetta “tratta” era stata messa fuori legge da un trattato internazionale che ebbe tra i primi sottoscrittori, nientemeno che Ferdinando II di Borbone! Tesi, questa, che si basa su dati di fatto e testimonianze. Garibaldi era solito registrare sempre il carico che egli trasportava e difatti l’autore dell’articolo di Nazione Napoletana è in grado di ricostruire il viaggio del Nizzardo con le merci trasportate in ogni tratto di mare. Tutto il viaggio tranne il tratto da Canton a Lima dove i cinesi venivano sbarcati per andare a lavorare nelle miniere di guano, il cui proprietario don Pedro de Negri era anche l’armatore della nave di Garibaldi, la Carmen! Dopo quell'esperienza Garibaldi passò a New York e dalla città americana acquistò un possedimento nel suo regno di provenienza (quello di Sardegna). Acquistò mezza isola di Caprera. A questo punto si legge nel libro: “Donde gli vennero i soldi per l’acquisto di tale proprietà visto che a New York, a Staten Island, precedentemente al viaggio, per sopravvivere si era messo nella fabbrichetta del Meucci a produrre candele di sego che non rendevano un cent e che il comando di due navi poteva avergli fatto guadagnare al massimo cinquanta dollari, chiaramente insufficienti per l’acquisto del piccolo possesso?”. Già. Chissà! Altrettanto approfondite le frequentazioni massoniche dell’eroe dei Due Mondi e sulle compagnie di scorribande che dai fiumi sudamericani al Volturno lo hanno affiancato.






Due documenti autografi di Garibaldi che, nel 1843, riferito ai suoi amici sudamericani li apostrofò: “Quasi tutti disertori da bastimenti da guerra. E questi devo confessarlo erano i meno discoli. Circa agli americani, tutti quanti, quasi, erano stati cacciati dall’esercito di terra per misfatti e massime per omicidio”. Non dissimile l’opinione del generale sui suoi Mille: “Tutti generalmente di origine pessima e per di più ladra. E, tranne poche eccezioni, con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto”. E’ vero che la guerra si fa con gli uomini che si hanno a disposizione ma è anche vero che una brava persona non si circonda di criminali e assassini a meno che non è accumulabile, anch'egli, alla categoria.






Omettendo la parte più nota della vita di Garibaldi, quella relativa alla occupazione delle Due Sicilie (dove Rinaldi fa emergere chiaramente la realtà dei fatti aggiungendo ai già noti fatti di Bronte tutta una serie di testimonianze e di espisodi che dimostrano la natura predatoria e aggressiva, nonché criminale dell’impresa garibaldina in Sicilia), mi preme sottolineare che il tentativo dell’autore non è quello di distruggere la figura di Garibaldi perché “odiato” ma semplicemente è quello di raccontare la verità. Non a caso, Gustavo Rinaldi si definisce un amico della verità storica (questa sì un’amica da frequentare, non come i succitati amici di Garibaldi). Per questo motivo è opportuno riportare, a conclusione di questo breve resoconto, le parole dell’autore: “Garibaldi e la sua impresa vengono contestati un po’ ovunque: al Sud come al Nord. E’ tutto il Risorgimento che viene messo in discussione. Perché non fu una unificazione, né una libera unione ma si trattò di invasione e conquista del Sud. Non fu nemmeno una rivoluzione popolare perché le condizioni sociali peggiorarono immediatamente a favore dei rapaci possidenti (tutti galantuomini e liberali) e poi perché le rivoluzioni, la libertà, la democrazia, la giustizia sociale non si esportano ma nascono in seno al popolo. Celebrare ancora oggi, a distanza di 150 anni, la maggiore impresa di Garibaldi, quella dei mille, da lui stesso rinnegata, non può fare onore né a lui né al popolo italiano, né all’Italia quale Nazione e Stato. Che si abbia il coraggio, la volontà, la determinazione di ricercare altrove il collante che ha portato all’unità degli antichi Stati d’Italia se tale collante c’è mai stato, ma, quantomeno, che il personaggio Garibaldi non venga ancora definito eroe, eroe dei due mondi (quali due mondi?), certamente non quello duo siciliano”.



Buona lettura.



Roberto Della Rocca



Nota biografica dell'autore tratta dal sito http://www.controcorrentedizioni.it/ :




GUSTAVO RINALDI è nato a Napoli nel 1946. Ha frequentato l’Accademia Militare di Modena; nell’Esercito italiano ha raggiunto il grado di colonnello. Meridionalista, si defi-nisce amico della verità storica. Ha scritto 1799 la Repubblica dei traditori e, per i tipi di Controcorrente, Il Regno delle Due Sicilie. Tutta la verità, giunto alla seconda edizione. Con quest’ultima opera ha ricevuto i seguenti riconoscimenti: Premio Giornalistico Inter-nazionale “Inarsciociaria” (Frosinone, 2002); Primo Premio per la saggistica edita al Premio Letterario “Giuseppe Federici” (Rimini, 2002); Premio speciale al Premio Interna-zionale di Poesia e Letteratura “Nuove Lettere” (Napoli, 2003); Primo Premio per la saggistica edita al Premio Letterario Internazionale “Emily Dickinson” (Napoli, 2005).