lunedì 23 settembre 2013

Stelle fisse in una notte oscura

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Oggi molti, anche tra coloro che conoscono poco o nulla delle vicende del “Concilio”, rimangono stupefatti e attoniti di fronte a gesti e situazioni che fino a qualche decennio fa si potevano considerare impensabili nella Chiesa Cattolica. Possiamo fare facili esempi: gli incontri ecumenici di Assisi del 1986, 2002 e 2011, le famose “visite” alla Sinagoga di Roma e di Colonia rispettivamente del 1986 e del 2005, il bacio di Giovanni Paolo II al Corano del 1999, i “meaculpa” per la storia della Chiesa del 2000, le visite ufficiali alle grandi moschee, ai templi luterani, alle chiese degli scismatici greci, la “revoca” delle scomuniche da parte di Paolo VI e del Patriarca “ortodosso” Atenagora, alcuni recenti gesti e motti di Francesco I. Tutti questi fatti colpiscono certamente la mente delle persone più attente alla prassi e alla teologia della Chiesa cattolica.
C’è chi plaude a questi cambiamenti, a queste “variazioni” (avrebbe detto Romano Amerio, eminente storico della crisi della Chiesa nel “Post-Concilio”), considerandole provvidenziali e frutto di una continuità mutevolezza della Chiesa cattolica stessa, e quasi invocandone sempre di nuove e di ulteriori.
C’è chi si ferma pensoso, condanna gli abusi maggiori, cerca di trovare scusanti o motivazioni per ciò che pare non avere senso, si affida a questo o quel gruppo, a singoli rappresentanti dell’Episcopato, per cercare di trovare un modus vivendi tra il cattolicesimo di sempre e le degenerazioni dell’oggi.
C’è chi disgustato e ferito da certe prese di posizione e da certi gesti, rifiuta in tronco la dottrina e funzione redentivi della Chiesa, ritenendo quasi questi ultimi decenni il disvelamento di una falsità congenita nell’istituzione stessa e (persino) nel figura del stessa del suo Divino Fondatore.
C’è chi invece (ed è anche il sommesso parere di alcuni, tra cui chi scrive) ritiene che quello avvenuto nel 1962-65 sia stato storicamente la Rivoluzione all’interno della Chiesa stessa, ossia un evento traumatico e violento che ha di fatto tentato (ad uno sguardo esteriore e mondano, riuscendoci ) di inserire all’interno del Magistero della Chiesa dottrine, ideologie, attitudini e comportamenti che non solo le sono sempre stati estranei ma che contraddicono ciò che nella Chiesa si è sempre creduto, tenuto, predicato e fatto.
Il “Concilio vaticano secondo” non ha quindi portato a termine un aggiornamento, adattando antiche formule ad una forma più attuale e interessante per l’uomo moderno ma ha, di fatto e di diritto, rivoluzionato e adulterato una corretta concezione della Chiesa in relazione a sé stessa, alla società in cui si trova ad operare, alle altre religioni (in special modo i sedicenti “grandi monoteismi”), alla propria liturgia, all’interpretazione dei testi sacri.
La Chiesa era sottoposta già da tempo, dalle prime grandi rivoluzioni del Settecento, ad una sorta di incessante assedio, con forti tentativi di indebolimento dall’interno e dall’esterno. Dopo la conquista di Roma da parte sabauda, perso il potere temporale che era naturale difesa del libero esercizio del Magistero Ecclesiastico, l’assalto dei poteri liberali e generalmente “progressisti” all’Istituzione ecclesiastica aumentò.
Proprio sul finire dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, questa tecnica di infiltraggio, ad opera dei “poteri forti “dell’epoca, dette i primi risultati.
Parecchi studiosi cattolici (specialmente sacerdoti e religiosi) si scoprirono “modernisti” cioè intendevano rinnovare, alla luce dei principi del relativismo religioso, dell’irrazionalismo, di uno spiritualismo spurio ed antigerarchico, la Chiesa cattolica.
Il tentativo molto forte ed ebbe anche alcuni appoggi all’interno dell’Episcopato (qui a Milano ricordiamo la figura certamente discussa del Cardinal Ferrari, ma si potrebbero citare anche i Vescovi Scalabrini e Bonomelli) ma il Papa di allora, San Pio X, con forti condanne dottrinali ed un’intensa attività di controllo sulle scuole cattoliche e sui seminari, riusciì ad arginare questi fenomeni ereticali.
Morto San Pio X, nel 1914, la lotta antimodernista diminuì di intensità e molti, pur convinti “rinnovatori” poterono tranquillamente riprendere la carriera ecclesiastica.
Tra questi spiccava il futuro Giovanni XXIII, che fece una brillante carriera diplomatica fino a diventare Patriarca di Venezia negli anni Cinquanta.
Pio XII Pacelli, l’Ultimo Papa prima del “Concilio”, sentiva fortemente l’indebolimento della dottrina cattolica “tradizionale” anche all’interno della Chiesa, proprio in un momento in cui la società indebolita e straziata da due conflitti mondiali, avrebbe sentito maggiormente il bisogno di un insegnamento chiaro, preciso, profondo della Dottrina cattolica, anche di fronte al pericolo del comunismo e della secolarizzazione liberale. Nel 1950 con l’Humani Generis (il Sillabo del Novecento) Papa Pacelli emetteva le ultime grandi condanne della Chiesa nei confronti degli errori moderni. Qualche anno dopo, nel 1958, l’elezione di Giovanni XXIII, legato ai poteri forti, avrebbe portato all’indizione del “Concilio”, concluso poi da Paolo VI (anch’egli appartenente alla corrente neomodernista e liberale) nel 1965.
Parecchi storici hanno rilevato come durante“il concilio” una minoranza di vescovi progressisti, sostenuti da Giovanni XXIII prima e da Paolo Vi sia riusciti a mettere in scacco una forte maggioranza di vescovi legati alla Teologia Cattolica e non alle concezioni rivoluzionarie dei teologi novatori (i padri Congar, Rahner, Chenu e altri ancora).
Tant’è che non a torto si parla di una condotta apertamente golpistica tenuta dagli episcopati progressisti all’interno del concilio.
Molti hanno analizzato i grandi errori dogmatici del “Vaticano II” (tra cui spicca certamente l’eresia della “libertà religiosa”, già condannata da Gregorio XVi e Pio IX, e presente invece in “Dignitatis Humanae”, l’eliminazione del deicidio in “Nostra Aetate”, la radicale mutazione della concezione della Chiesa e del Primato pontificio in “Lumen Gentium”, lo scardinamento della posizione della Chiesa nella società in “Gaudium et spes”, l’abuso del ruolo del laicato in “Apostolicam actuositatem”)
In ultimo al Concilio è seguita (e come in ogni rivoluzione le conseguenze travolgono anche le più miti premesse) una radicale riforma della Santa Messa, tale da mutarne radicalmente struttura, natura e finalità. (trasformando il severo Sacrificio della Messa in latino in un ritrovo conviviale in lingua quotidiana, spesso di dubbio gusto e con notevole predisposizione all’invenzione liturgica).
Per tacere della riforma dei rituali del 1970 e del nuovo “codice di diritto canonico”del 1983 (anch’esso figlio del “Concilio”).
È evidente che l’obbedienza al magistero della Chiesa per un cattolico è essenziale ma quando risulta evidente alla ragione, al cuore, e soprattutto al sensus Fidei, un generale processo autodemolitivo della Chiesa (fatte salve le meritorie eccezioni), la palese trasformazione della Chiesa, società perfetta, autonoma e sovrana, finalizzata alla Redenzione degli uomini, in un mero ente filantropico, debole e spesso prono nei confronti di certi poteri e di certe idee, il cattolico ha il dovere di essere pienamente ed integralmente cattolico, allontanandosi dall’errore e da chi lo insegna.
Tra gli ecclesiastici più noti che hanno affrontato il delicato problema delle autorità che hanno favorito, approvato e divulgato questo snaturamento del cattolicesimo contemporaneo, possiamo segnalare Monsignor Marcel Lefebvre, vescovo missionario francese, Padre Saenz y Arriaga, Padre Noel Barbara e Monsignor Guerard Des Lauriers O.P., docente di Mariologia all’Università Lateranense di Roma. Le loro soluzioni a questo problema furono certamente diverse (e in parte confliggenti tra loro) ma hanno creato fiorenti realtà cattoliche vive che lavorano ancora oggi, pur in modi diversi, per un ristabilimento pieno della dottrina cattolica nella Chiesa, prima condizione per la realizzazione della Regalità sociale di Cristo sulle nazioni.
Come sulla barca di Pietro, Nostro Signore Gesù Cristo dorme e lascia scatenare i flutti per vagliare la nostra Fede, per vagliare le società e i popoli, gli uomini semplici e i dotti, le plebi e i governanti. È una prova dolorosa, ma forse necessaria, per un’epoca piena di difetti deplorevoli come la nostra. Ma alla fine non prevarranno, non praevalebunt.
 
Piergiorgio Seveso (2005, 2013)