lunedì 23 settembre 2013

Silvio Pellico : un poeta al servizio della setta.



Silvio Pellico.
Silvio Pellico nacque  il 24 giugno 1789 a Saluzzo, cittadina attualmente in provincia di Cuneo, dal piemontese Onorato Pellico e dalla savoiarda Margherita Tournier. Sia Silvio che i quattro fratelli ricevettero un'educazione cattolica che però in lui non attecchì particolarmente e andò svanendo nel tempo per via delle frequentazioni avute nell'arco della sua vita . Dopo gli studi a Pinerolo e a Torino, Silvio si recò nella Francia napoleonica , a Lione, per fare pratica nel settore commerciale con lo zio. Al rientro nella penisola, nel 1809, si stabilì con la famiglia nella  Milano del fittizio e bonapartista "Regno d'Italia": li  trovò lavoro come insegnante di francese presso il Collegio Militare e ebbe modo di aderire alla massoneria . Giovane amante della poesia neoclassica, frequentò Vincenzo Monti e Ugo Foscolo (entrambi massoni e sovversivi durante la Restaurazione). Cominciò allora a scrivere, specialmente per il teatro, tragedie in versi di impianto classico, come Laodamia (1813) ed Eufemio di Messina. Nello stesso periodo fu precettore del piccolo Odoardo Briche. Alla caduta del regime napoleonico (1814) perse di conseguenza la cattedra di francese.
Il 18 agosto 1815 a Milano viene rappresentata la sua tragedia Francesca da Rimini. La tragedia reinterpretava l'episodio dantesco alla luce delle influenze romantiche e risorgimental-settarie della cricca liberale. Dato che i compensi di casa Briche non bastavano per il sostentamento del giovane settario, Pellico cerca occupazione in un'altra famiglia nobile. Nel 1816 si trasferisce a Magenta, nella casa del conte Porro Lambertenghi, conosciuto infrancesato, dove assunse l'incarico di istitutore dei figli Domenico (Mimino) e Giulio Porro Lambertenghi. Stringe relazioni con personaggi della "cultura" liberal-settaria europea, come Madame de Stael e Friedrich von Schlegel, e "nostrana" , come Federico Confalonieri , Gian Domenico Romagnosi e Giovanni Berchet. In questi circoli venivano sviluppate idee tendenzialmente rivoluzionarie e risorgimentali, rivolte a quella favola deleteria  di "indipendenza nazionale": in questo clima, nel 1818 viene fondata la rivista fondamentalmente liberale  "Il Conciliatore", di cui Pellico era redattore e direttore.
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L'arresto dei settari Pellico e Maroncelli

Pellico e gran parte degli amici sovversivi facevano parte della setta segreta dei cosiddetti "Federati". Scoperti dalla polizia Imperial-Regia del Regno Lombardo-Veneto , il 13 ottobre 1820, Pellico, Piero Maroncelli, Melchiorre Gioia e altri vennero arrestati. Da Milano furono condotti alla prigione dei Piombi di Venezia, dove rimasero dal 20 febbraio 1821. Qui, il 21 febbraio 1822 venne letta la sentenza del celebre , e tanto mistificato, "Processo Maroncelli-Pellico". Gli imputati furono condannati alla pena di morte. Per entrambi, però, la pena fu commutata dall'Imperatore Francesco I : venti anni di carcere duro per Maroncelli, il maggior responsabile dei piani sovversivi, quindici per Pellico. A fine marzo i condannati vennero condotti nella fortezza dello Spielberg. Partiti la notte fra il 25 ed il 26 marzo, attraverso Udine e Lubiana giunsero alla prigione, situata a Brno in Moravia.
Pellico, a causa della sua condotta sovversiva,  visse in carcere per dieci anni. Visse una dura e meritata esperienza carceraria che esasperò , recitando la parte della povera vittima accusata ingiustamente , costituì il soggetto del pietoso e retorico libro di memorie "Le mie prigioni", che ebbe grande popolarità tra la borghesia liberale ed esercitò notevole influenza sul movimento risorgimentale in specie nel fornire a quest'ultimo un ottima propaganda denigratoria contro l'Impero d'Austria. Metternich ammise che il libro danneggiò l'Impero d'Austria più di una battaglia perduta. Il Pellico scrisse anche le Memorie dopo la scarcerazione, testo che non interesso a nessuno degli amici di loggia e per questo  andò perduto.
Durante la detenzione nel carcere dello Spielberg (1820-1830) iniziò per Silvio Pellico un particolare  periodo di profonda riflessione personale che lo portò a riabbracciare a suo modo la fede cristiana che aveva abbandonato durante la giovinezza.
Un compagno di prigionia, il conte Antonio Fortunato Oroboni lo avvicinò nella fede religiosa in senso protestante. Nella famosa e lamentosa opera si legge:
« "E se, per accidente poco sperabile, ritornassimo nella società” diceva Oroboni “saremmo noi così pusillanimi da non confessare il Vangelo? da prenderci soggezione, se alcuno immaginerà che la prigione abbia indebolito i nostri animi, e che per imbecillità siamo divenuti più fermi nella credenza?" "Oroboni mio” gli dissi “la tua dimanda mi svela la tua risposta, e questa è anche la mia. La somma delle viltà è d’esser schiavo de’ giudizi altrui, quando hassi la persuasione che sono falsi. Non credo che tal viltà né tu né io l’avremmo mai. »
(Silvio Pellico, Le mie prigioni, cap. LXX.)
Durante i dieci anni di prigionia, il Pellico partecipò regolarmente alla messa domenicale. Dal carcere scrisse , sempre nel suo classico vittimismo, al padre nel 1822: Tutti i mali mi sono diventati leggeri dacché ho acquistato qui il massimo dei beni, la religione, che il turbine del mondo m'aveva quasi rapito.
Particolare è che il Pellico ringraziò la Provvidenza dedicandole le ultime righe de Le mie prigioni, non tanto per il suo stile vittimistico:
« "Ah! delle mie passate sciagure e della contentezza presente, come di tutto il bene e il male che mi sarà ancora serbato, sia benedetta la Provvidenza, della quale gli uomini e le cose, si voglia o non si voglia, sono mirabili stromenti [sic] ch'ella sa adoprare a fini degni di sé. »
(Silvio Pellico, Le mie prigioni, cap. IC.)




Palazzo barolo, 13.JPG
Palazzo Barolo.
Dopo la scarcerazione (1830) Silvio Pellico pubblicò altre tragedie: Gismonda da Mendrisio, Leoniero, Erodiade, Tommaso Moro e Corradino. Pubblicò anche il libro morale I doveri degli uomini (1834) e Poesie di genere romantico nelle quali propagandava le dottrine liberal-settarie .
In procinto di emigrare per timore di tornare in carcere vista la sua vicinanza alla carboneria , fu presentato ai liberali marchesi di Barolo da Cesare Balbo. Venne assunto come segretario e bibliotecario di Giulia Colbert Faletti e rimase a Palazzo Barolo fino alla morte. Travagliato da problemi familiari e fisici, negli ultimi anni della sua vita interruppe la produzione letteraria.
Silvio Pellico morì il 31 gennaio 1854. Venne sepolto nel Cimitero monumentale di Torino (Campo primitivo Ovest, edicola n. 266).


Fonte:

  • Eufemio di Messina tragedia di Silvio Pellico, Milano, Tip. di Vincenzo Ferrario, 1820.
  • Opere di Silvio Pellico da Saluzzo, Bologna, Tipografia delle Muse nel Mercato di Mezzo, 1821.
  • Opere di Silvio Pellico, Parigi, dai torchi di Amedeo Gratiot, presso Thiériot libraio, 1841.
  • Cantiche, Bologna, Presso il Nobili e Comp., 1831.
  • Le mie prigioni: memorie di Silvio Pellico da Saluzzo, Torino, Giuseppe Bocca, 1832.
    • Traduzioni francesi: Mes prisons: memoires de Silvio Pellico de Saluces, traduits de l'italien et precedes d'une introduction biographique par A. De Latour, ed. ornee du portrait de l'auteur et augmentee de notes historiques par P. Maroncelli, Paris, H. Fournier jeune, 1833. - Mes prisons: memoires de Silvio Pellico, traduction nouvelle, Bruxelles, Societé dis Beauxaris, 1839.
    • Traduzioni inglesi: My prisons: memoirs of Silvio Pellico, Cambridge, Folsom, 1836. - My imprisonment: memoirs of Silvio Pellico da Saluzzo, translated from the italian by Thomas Roscoe, Paris, Thieriot, 1837.
    • Traduzione spagnola: Mis prisiones: memorias de Silvio Pellico natural de Saluzo, traducidas del italiano por D. A. Rotondo, precedidas de una introduccion biografica y aumentadas con notas de d. P. Maroncelli, 2ª ed., Madrid, Libreria extrangera de Denne y C., 1838.
  • Alle mie prigioni di Silvio Pellico addizioni di Piero Maroncelli, Parigi, Baudry Libreria Europea, 1833.
  • Tommaso Moro: tragedia di Silvio Pellico da Saluzzo, Torino, Giuseppe Bocca, 1833.
  • Dei doveri degli uomini: discorso ad un giovane di Silvio Pellico da Saluzzo, Torino, Giuseppe Bocca - A spese dell'Autore, 1834.
  • Eugilde della Roccia, Torino, Stamperia Reale, 1834.
  • Il voto a Maria, Torino: Tipografia eredi Botta, 1836.
  • Il Sacro monte di Varallo: carme, Varallo, coi tipi di Teresa Rachetti ved. Caligaris, 1836.
  • Poesie inedite di Silvio Pellico da Saluzzo, Parigi, Presso Baudry Libreria Europea (dalla stamperia di Crapelet), 1837.
  • Per l'opera della propagazione della fede. Inni di Silvio Pellico, [Torino], Dalla stamperia Racca ed Enrici, 1841
  • Ai reali sposi: omaggio della città di Torino, Torino: Tipografia eredi Botta, 1842 (i reali sposi sono Vittorio Emanuele II e la prima moglie).
  • Canto funebre in morte dell'arciduchessa Maria Carolina sorella della duchessa di Savoia Maria Adelaide, commento in una lezione di eloquenza da Guglielmo Audisio, Torino: Stamperia sociale degli artisti tipografi, 1844
  • Poesia inedita, Sulla p. [ 7 ] fac-simile del carattere della poesia 'Augurio' il cui autografo si conserva in Roma presso Giovanni Torlonia, Roma, [s.n.], 1845.
  • Morale e letteratura. Scritti di Silvio Pellico e di Giuseppe Baretti, Padova, A. Sicca e figlio, 1848.
  • Opere complete di Silvio Pellico da Saluzzo, nuova ed. diligentemente corretta, Firenze, Le Monnier, 1852.
  • Notizie intorno alla beata Panasia pastorella valsesiana nativa di Quarona raccolte e scritte da Silvio Pellico, Torino, P. De Agostini, 1854 ("Collezione di buoni libri a favore della cattolica religione").
  • Epistolario di Silvio Pellico, raccolto e pubblicato per cura di Guglielmo Stefani, Firenze, Le Monnier, 1856.
    • Traduzione francese Lettres de Silvio Pellico, recueillies et mises en ordre par m. Guillaume Stefani, traduites et precedées d'une introduction par m. Antoine de Latour, 2ª ed., Paris, E. Dentu, 1857.


  • Scritto da:

    Redazione A.L.T.A.