sabato 21 settembre 2013

INANITA' DEGLI SFORZI CONTRO LA CATTEDRA DI PIETRO (Estratto dell'opera di mons. Delasuss "Il Probblema dell'ora presente", Tomo I°) .


Papa Gregorio XVI.
Quale fu la riuscita di questa infernale congiura? Due anni prima della morte di Gregorio XVI, il 2 novembre 1844, Beppo, pur gloriandosi dei successi che avea ottenuti fuori di Roma, faceva osservare a Nubius, che per fare il Papa desiderato, l'elemento principale sfuggiva loro come nel primo giorno. "Noi altri, corriamo al galoppo, ed ogni giorno arriviamo ad arrolare nella nostra cospirazione nuovi neofiti: Fervet opus. Ma il più difficile è ancor da fare o piuttosto da incominciare. Abbiamo fatto assai facilmente la conquista di certi religiosi di tutti gli Ordini, di sacerdoti di condizione e anche di certi Monsignori intriganti ed ambiziosi. Non è certo la parte migliore o più rispettabile; ma non importa. Pel fine desiderato, un Frate, agli occhi del popolo, è sempre un religioso, un prelato sarà sempre un prelato. Noi abbiamo fatto un fiasco completo coi Gesuiti. Dacchè noi cospiriamo, non ci fu possibile di porre la mano sopra un solo figlio d'Ignazio.
Non abbiamo Gesuiti con noi, ma possiamo sempre dire e far dire che ve ne sono, e ciò produrrà assolutamente il medesimo effetto. Avviene lo stesso dei cardinali. Essi sfuggono tutti alle nostre insidie. Le adulazioni meglio ordite non giovarono a nulla, in guisa che nell'ora presente, ci troviamo al punto che eravamo nel principio. Neppure un solo membro dei Sacro Collegio è caduto nelle nostre reti". E importava che ci fossero caduti, poiché spetta ad essi l'elezione del Papa, e, almeno adesso, lo prendono sempre nel loro collegio.
Infatti - dice Crétineau-Joly - in questo periodo di trenta anni in cui l'Alta Vendita agitò tanti nomi propri, assediò tante virtù, non le fu mai dato di poter dire, nemmeno allora che diresse le sue cospirazioni in segreto, di aver riposto una speranza qualunque sopra un membro dei Sacro Collegio. "La Rivoluzione pose il piede dappertutto, meno che in un conclave". La congiura, condotta con tanta astuzia, potè produrre la perversione di molti del clero, ma non potè nemmeno sfiorare la Sede Romana.

Beppo continua:

"Il papa Gregorio XVI sta per morire, e noi ci troviamo come nel 1823 alla morte di Pio VII. Che fare in questa contingenza? Rinunciare al nostro progetto non è più possibile. Continuare l'applicazione di un sistema senza speranza di una riuscita anche solo incerta, mi fa l'effetto di chi giuoca all'impossibile. Il Papa futuro, qualunque egli sia, non verrà mai a noi, possiamo noi andare a lui? Non sarà egli come i suoi predecessori ed i suoi successori, e non farà come han fatto essi? In tal caso, staremo noi sulla breccia e aspetteremo un miracolo? Non abbiamo più speranza che nell'impossibile. Morto Gregorio, le nostre speranze saranno aggiornate ad un tempo indeterminato".
Queste parole di scoraggiamento erano troppo giustificate da una parte dalla storia, e, dall'altra, dalle promesse che N. S. Gesù Cristo fece alla sua Chiesa. Ma gli uomini posseduti da una passione così satanica non potevano far attenzione alle lezioni della storia, meno ancora prestar orecchio alle parole del divin Salvatore.
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Papa Leone XII.

Non avendo potuto assicurarsi di alcuno degli elettori candidati, essi non disperarono di poter influire sullo spirito dell'eletto, o almeno di servirsi di lui. Già dopo la morte di Leone XII, nel conclave che elesse Pio VIII, Chateaubriand ambasciatore di Francia, avea espresso, a nome del suo governo, il desiderio di vedere la scelta dei cardinali cadere sopra un uomo che sapesse conciliare la politica pontificia con le idee nuove. Il cardinale Castiglione rispose: "Il conclave spera che Dio accorderà alla sua Chiesa un Pontefice santo ed illuminato, il quale regolerà la sua condotta secondo la politica del Vangelo che è la sola scuola di un buon governo". E fu eletto egli stesso. Certamente non vogliamo dire che Chateaubriand fosse emissario dell'Alta Vendita presso questo conclave; ma noi abbiamo qui una prova novella della misteriosa influenza che le società segrete esercitano sulle Potenze per farle concorrere più o meno direttamente alla esecuzione dei loro disegni.
Alla morte di Gregorio XVI, la rivoluzione non potè, meglio che per lo innanzi, insinuarsi nel conclave. Pio IX, il grande e santo pontefice Pio IX, fu eletto. Bisogna però dire che le società segrete aveano riposto nel cardinal Mastai certe vaghe speranze di conciliazione con "le idee nuove".
"Crétineau - dice l'abate Ménard - mi fece leggere il suo nome in più di un foglio della setta". Ella conosceva il suo gran cuore, sperava di sedurlo, dì trascinarlo coll'attrattiva d'idee in apparenza generose. Lo tentò e si ricordano le ovazioni singolari e inaudite onde essa avviluppò gli inizi del suo regno. L'ora della sua esaltazione al trono pontificio era critica. Tutti convenivano che il regime così fermo di Gregorio XVI non poteva continuarsi; anche i cardinali Lambruschini e Bernetti erano
d'avviso che bisognava fare qualche concessione. Pio IX entrò nella via che gli era additata, senza però ceder mai alcuno dei diritti essenziali della Chiesa. Si sa quello che ne avvenne, e si sa altresì come, istruito dalla propria esperienza e rischiarato dal lume divino, Pio IX ridusse in polvere il Liberalismo, cioè il Massonismo, col martello del Sillabo. (1)
Non convinta ancora della inutilità de' suoi conati, e della vanità delle sue speranze, la setta credette, alla morte di Pio IX, che la sua ora fosse alfine arrivata. Lo disse altamente per la penna di Gambetta.(2) La risposta fu questa che in quattro occasioni differenti, Leone XIII confermò il Sillabo di Pio IX, (3) e poté dire un giorno di se stesso con verità: Il nostro combattimento ha non solo per oggetto la difesa e la integrità della Religione, ma quella della stessa società civile, e la ristaurazione dei principii che sono il fondamento della pace e della prosperità.(4)
Papa Pio X
Papa Pio X.
Sembra che la setta non abbia disperato di vedere attuate le sue speranze nell'ultimo conclave. L'Acacia, nel suo numero di settembre 1903, pubblicò un articolo del F... Hiram, intitolato: "La morte di Leone XIII". Egli invocava un Papa che "sciogliesse i vincoli del dogmatismo tesi all'estremo, che non prestasse orecchio ai teologi fanatici e accusatori di eresie, che lasciasse lavorare a lor piacimento gli esegeti, che raccomandasse e praticasse la tolleranza rispetto alle altre religioni, che non rinnovasse la scomunica della framassoneria". Anche questa volta, la framassoneria ha dovuto disingannarsi. L'opera dello Spirito Santo non è mai comparsa più evidente che nell'elezione di Pio X. (5)
 
 







Note:

(1) Leggiamo nella Vita dell'Ab. Bernard del Marchese di Ségur, che nel mese di marzo 1849, Pio IX trovandosi in esiglio a Gaeta, ricevette in udienza il cardinal Giraud. Il Santo Padre era profondamente addolorato di tutto ciò che avveniva in Roma, e col cuore traboccante di tristezza, disse all'Arcivescovo: "Ho fatto delle concessioni! Non si cessa di abusarne per sconvolger tutto. Io che le ho fatte, non posso ritirarle. Ma il mio successore lo potrebbe e lo farebbe. Io penso a deporre la tiara: il mio partito è preso". Mons. Giraud si sforzò a distoglierlo da questa risoluzione. Pio IX fece meglio, noi lo vediamo, a non metterla in esecuzione.
(2) Leone XIII fu eletto il 20 febbraio 1878. All'indomani, Gambetta scrisse ad uno dei suoi amici: "Parigi, 21 febbraio 1878. "Questo sarà un gran giorno. La pace venuta da Berlino e forse la conciliazione fatta col Vaticano. È stato eletto il nuovo Papa. È quell'elegante e raffinato cardinal Pecci, vescovo di Perugia, a cui Pio IX avea cercato di togliere la tiara nominandolo camerlengo. Questo italiano, più diplomatico che sacerdote, è passato attraverso tutti gl'intrighi dei Gesuiti e dei chierici stranieri. Egli è Papa, ed il nome che ha preso di Leone XIII mi sembra del miglior augurio. "Io saluto questo avvenimento pieno di promesse. Egli non la romperà apertamente con le tradizioni e le dichiarazioni del suo predecessore, ma la sua condotta, i suoi atti, le sue relazioni varranno meglio che i discorsi, e se non muore troppo presto possiamo sperare un connubio conveniente con la Chiesa. "LEONE GAMBETTA". Nell'indomani scrisse un'altra lettera: "Parigi, 22 febbraio 1878. "Io sono infinitamente grato a questo nuovo Papa del nome che osò prendere; è un opportunista sacro. Potremo noi trattare? Chi lo sa? Come dicono gl'Italiani. "LEONE GAMBETTA". Queste lettere furono immediatamente messe in pubblico. Il Figaro le ristampó nel suo numero del 23 agosto 1891, affermando che ne avea visto il testo originale.
Nel gennaio 1897, commentando il discorso che Waldeck-Rousseau avea pronunciato nel suo pellegrinaggio alle Jardies, il medesimo giornale le ricordò ancora. Infine, alla morte di Leone XIII, esse furono poste di nuovo sotto gli occhi del pubblico da un gran numero di giornali di Parigi e della provincia, anche da pubblicazioni cattoliche come la Chronique de la Bonne Presse, annessa alla Croix. Leone XIII "non morì troppo presto". Dio gli concesse venticinque anni di regno, e la setta aspetta ancora il connubio conveniente con la Chiesa.
(3) In una lettera indirizzata, il 28 agosto 1879, ai traduttori delle Opere di S. Alfonso, loda il santo Dottore d'aver confutato anticipatamente la maggiore parte delle proposizioni, che doveano essere condannate nel Sillabo. In una lettera al vescovo di Périgueux in data 27 giugno 1884, egli disse che il Sillabo è la regola dove i fedeli devono togliere i principii direttivi dei loro pensieri e delle loro opere nelle difficoltà presenti. Nell'enciclica Immortale Dei, disse che Pio IX, fra le opinioni false che cominciavano ad essere in voga, ne notò molte e le riunì sotto un medesimo titolo, affinchè, nella grande confusione degli errori odierni, i cattolici avessero una guidi sicura. Indica in particolare le Proposizioni XIX, XXXIX, LV, e LXXIX. Nell'Enciclica Inscrutabili, confermò e rinnovò tutte le condanne dei suoi predecessori e in particolare quelle date da Pio IX. Del resto, è bene conoscere il fatto rilevato dall'ab. Hourrat nel suo studio sul Sillabo. L'idea prima di pubblicare un documento simile andrebbe allo stesso Leone XIII, allorchè era arcivescovo di Perugia. Nel 1849, il concilio provinciale di Spoleto avea messo nel suo ordine del giorno la ricerca dei mezzi più opportuni per combattere gli errori sorti dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo Il cardinal Pecci propose al concilio la deliberazione seguente: "Dimandiamo al Nostro Santo Padre il Papa di darci una costituzione la quale, enumerando gli errori concernenti questo triplice soggetto (il Concilio si era occupato particolarmente degli errori che riguardano la Chiesa, l'autorità e la proprietà) ciascuno sotto il suo nome proprio e sotto una tal forma che si possano, per cosÌ dire, abbracciare con un sol colpo d'occhio, applichi loro la censura teologica voluta e li condanni nella forma ordinaria. Infatti sebbene questi stessi errori moderni sieno stati già separatamente condannati dalla Chiesa, il santo Concilio è nondimeno persuaso che sarebbe di gran profitto per la salute dei fedeli se si presentassero così uniti in un quadro e sotto le forme ch'essi hanno preso ai nostri giorni, infliggendo loro la nota specifica". Il testo intero delle deliberazioni del Conc. di Spoleto è riprodotto nelle Opere pastorali di S. Em. il Card. G. Pecci, arcivescovo di Perugia, oggi Leone XIII gloriosamente regnante, di Lury, t. II, p. 146 e seguenti. (Société St-Augustin, Lille-Bruges). Questa proposta del card. Pecci è del 1849. La questione fu posta allo studio, e nel 1852 una prima commissione fu incaricata di raccogliere e di notare "gli errori più generalmente diffusi per rapporto al dogma e a' suoi punti di contatto colle scienze morali, politiche e sociali". Al tempo della pubblicazione dell'Enciclica Humanum genus, noi confrontammo, nella Semaine religieuse della diocesi di Cambrai, gli errori segnalati in questa enciclica di Leone XIII, colle proposizioni condannate dal Sillabo di Pio IX (anno 1884 p. 481). Il Temps fece la stessa osservazione: "Questo scritto - egli disse - rende testimonianza dell'opposizione in cui persiste il Papato rispetto a tutti i principii fondamentali del nostro diritto moderno, quale lo ha creato la Rivoluzione dell'89. Come il suo predecessore Pio IX, Leone XIII non ammette l'eguaglianza dei diritti politici: egli condanna il principio della sovranitá del popolo; afferma la necessità di una religione di Stato: egli si leva contro questa formula: "La legge è atea"; egli non riconosce il matrimonio civile e protesta energicamente contro la neutralità religiosa della scuola. Sono codeste, sotto una forma più mite, le dottrine stesse del Sillabo".
(4) Allocuzione ai cardinali, 27 giugno 1878.
(5) Fu detto che senza l'intervento del cardinal Pusyna, che parlò a nome dell'imperatore d'Austria, sarebbe stato eletto il cardinal Rampolla. La verità si è che questa dichiarazione ebbe per effetto di aumentare di una unità i voti dati all'ex-segretario di Stato. Al mattino del 2 agosto egli avea avuto 29 voti, e alla sera del 2 stesso 30. Fatta questa protesta, i voti dei cardinali si raccolsero sul cardinal Sarto, che non avea avuto che 5 voti nel primo scrutinio, che ne avea avuti 21, con suo gran dispiacere, il 2 agosto al mattino, e che n'ebbe 50 il 4 agosto.