venerdì 27 settembre 2013

Libertas Ecclesiae e stato islamico

croce e mezzaluna
 
 
Pur cercando di evitare toni di fallaciana memoria o discorsi dal sapore neoconservatore e perfettamente consapevole di trattare un’argomento iper-inflazionato al giorno d’oggi, in questo articolo ho deciso di trattare brevemente la gravosa questione della libertà dei cristiani nei paesi a maggioranza islamica, che professino essi l’Islam come religione di stato (come l’Arabia Saudita e l’Iran) o che siano, almeno teoricamente, laici (come la Siria e la Turchia).
Dato l’elevato numero di paesi che corrispondono a questa descrizione mi è impossibile considerarli tutti, ho intenzione quindi di limitarmi alla descrizione della situazione dei cristiani nei paesi islamici più noti.
 
L’Arabia Saudita è probabilmente a livello mondiale tra i primi paesi ad opprimere la libertà di culto dei cristiani essendo in essa l’Islam nella sua variante teologico-giuridica hanbalista – wahabita religione di stato: l’ingresso ai sacerdoti nel paese è proibito ed è vietata qualunque manifestazione pubblica di fede religiosa che non sia quella islamica. Pur non esistendo una restrizione per pratiche cristiane in privato, non è concessa la costruzione di luoghi di culto cattolici, la polizia religiosa del paese viene incaricata di impedire lo svolgimento delle celebrazioni cristiane e vige il divieto di esporre qualsiasi icona o immagine di Cristo. Per un musulmano residente in Arabia Saudita è prevista la pena di morte per l’apostasia, ed è impossibile ottenere la cittadinanza se non si professa la fede islamica (ciònonostante vi è la presenza di circa 1,4 milioni di lavoratori stranieri cattolici, prevalentemente indiani o filippini).
Negli Emirati Arabi Uniti pur essendo l’Islam la religione di stato raramente vi sono interferenze governative a danno dei cristiani e la loro presenza viene tollerata. La minoranza cattolica (100.000 fedeli su una popolazione di 4 milioni di abitanti) gestisce due scuole (la Santa Maria e la Al Rashid al Saleh) a Dubai e possiede 31 chiese (tra cui due nella capitale, la Santa Maria Assunta e la San Francesco d’Assisi) in tutto il paese. Il culto cattolico è però ammesso solo all’interno negli edifici adibiti ad esso, e il proselitismo verso i musulmani è vietato.
Nella piccola monarchia del Bahrein vi sono 250.000 cattolici (il 2% della popolazione) e hanno una limitata libertà di culto.
L’emirato del Qatar ha permesso solo nel 1999 la costruzione dell’unica chiesa del paese, che si trova tutt’ora nella capitale Doha. Precedentemente la pratica pubblica di una qualsiasi religione non-islamica era vietata.
L’Iran riconosce come religione ufficiale del paese l’Islam sciita duodecimano, ma la tolleranza verso le altre religioni (quella cristiana, ebraica e zoroastriana nella fattispecie) è garantita dalla costituzione, che riserva inoltre a ciascuno dei rappresentanti di queste un seggio nel parlamento iraniano. Nonostante ciò nel paese vige l’applicazione integrale della Sharia, è quindi conseguentemente vietata l’evangelizzazione e l’abbandono dell’Islam è sanzionato con la pena di morte (l’ultima esecuzione per apostasia risale al 1989, anno in cui venne impiccato il pastore protestante Hossein Soodmand per aver lasciato la fede musulmana in favore del protestantesimo). Stando inoltre a quanto affermato dall’Arcivescovo caldeo Ramzi Garmou dal 1979 (anno dell’avvento al potere dell’Ayatollah Khomeini) due terzi dei cristiani d’Iran, a causa delle restrizioni a cui erano sottoposti per la loro fede, sono immigrati all’estero.
In Giordania vi è un 3% di cristiani (250.000 fedeli, di cui 80.000 cattolici) che hanno i loro rappresentanti in parlamento ed è garantita loro la libertà di culto. Ad Amman, la capitale, esiste da 13 anni il centro Nostra Signora della Pace, che funge da casa di accoglienza per bambini disabili, e nel 2009 Re Abdallah II ha dato il permesso di costruire cinque nuove chiese. E’ stato proprio dalla Giordania che è partita l’iniziativa Una parola comune volta a distendere i rapporti tra cristiani e islamici in seguito alle tensioni scaturite dal fraintendimento di parte del discorso pronunciato dall’allora Pontefice regnante Benedetto XVI all’Università di Ratisbona del 12 settembre 2006. Rimane però il divieto per un musulmano di abbandonare l’Islam.
La Siria ha una costituzione che il suo presidente debba professare la religione islamica, ma la stessa prevede la libertà di culto per i cristiani. Nel paese risiede un 2% di cattolici (circa 360.000), e il partito Baath ha sempre garantito loro una vita tranquilla e la libertà di professare la propria fede. Vi è purtroppo da chiedersi cosa potrà accadere a questa piccola comunità nel caso in cui Bashar al-Assad venga sconfitto nella guerra civile che è tutt’ora in corso. Di certo la presenza di miliziani salafiti tra le fila dei ribelli non è per nulla incoraggiante, specialmente in seguito alle violenze subite (comprendenti anche l’omicidio) dalla popolazione di Ma’lula, paese storicamente cristiano (in esso si parla ancora l’aramaico, la lingua di Cristo) per un breve periodo caduto nelle loro mani.
Nel martoriato Iraq si è assistito, durante e dopo la Seconda Guerra del Golfo (2003 – 2011), ad un preoccupante esodo della comunità cristiana lì presente (nel 1987 essa contava 1.250.000 fedeli, oggi invece ne conta solo 400.000) causato dall’insicurezza in cui vivono e dalle violenze che subiscono. I dati dell’agenzia Fides riguardanti gli ultimi 7 anni parlano di oltre 2000 cristiani uccisi e 600.000 profughi, mentre l’Arcieparca di Kirkuk Louis Sako nel 2009 ha affermato che sono stati assassinati 710 cristiani da quando il fondamentalismo islamico ha iniziato a diffondersi in Iraq. I miliziani islamisti hanno inoltre imposto la tassa prevista dal Corano che i non-islamici devono pagare. Va detto però che l’attuale costituzione irakena preveda la libertà religiosa, ma allo stesso tempo essa afferma che non possono venire promulgate leggi contrarie all’Islam e nel 2011 Open Doors classificò l’Iraq come ottavo paese nella lista delle nazioni più violente nei confronti dei cristiani.
Il Libano risulta essere il paese del Vicino Oriente con la più alta percentuale di cristiani, circa il 40% dei libanesi infatti appartiene ad una confessione cristiana (maronita, romano-cattolica, greco-cattolica, armeno-cattolica, ortodossa, protestante), anche se tale percentuale risulta decisamente inferiore rispetto alla prima metà del ‘900, periodo nel quale i libanesi cristiani rappresentavano il gruppo religioso più numeroso del paese (il 52% nel 1932). Una pacifica convivenza tra cristiani e musulmani venne sancita nel 1943, anno in cui fu creata una democrazia basata sulle comunità confessionali, andando a creare un modello di felice convivenza che purtroppo crollò come un castello di carte di fronte alla guerra civile che insanguinò il Libano dal 1975 al 1990: Beirut ovest venne progressivamente abbandonata dai cristiani e gran parte delle chiese vennero distrutte. Una volta dichiarato il cessate il fuoco, i cristiani libanesi furono ridotti ad una minoranza, situazione aggravata dal fatto che i musulmani tentarono di apportare una revisione sugli accordi del ’43, col rischio di far passare la comunità cristiana da avente pieni diritti nella vita politica e civile del paese allo status di una minoranza. Nonostante questi tentativi e le numerose tensioni nel Libano vige una situazione di sostanziale libertà per le comunità cristiane, e il presidente libanese Michel Suleiman è di religione maronita.
La Cosituzione della Turchia è laica, non vi è infatti una religione di stato e sono teoricamente garantite la libertà di coscienza e di religione. Di fatto però, nonostante non sia sanzionata l’abbandono dell’Islam, un’eventuale conversione al Cristianesimo può comportare delle ritorsioni sia da parte della società che da parte delle istituzioni. Il fatto che poi l’appartenenza religiosa venga indicata nella carta d’identità turca aumenta di fatto la possibilità che i cittadini cristiani vengano considerati dei cittadini di seconda classe. Nel 2012 di Mons. Ruggero Franceschini (presidente della Conferenza Episcopale Turca) dichiarò che “Essere minoranza al confronto con una moltitudine musulmana si traduce spesso in limitazioni alla libertà di espressione e nell’impossibilità di manifestare la nostra fede se non all’interno delle chiese”, che ancora ai giorni nostri i cristiani spesso vengono apostrofati come “infedeli” (javur) e considerati degli “stranieri che introducono costumi occidentali, nocivi all’integrità dell’Islam, e che fanno proseliti soprattutto tra i giovani”. La Chiesa Cattolica turca non è inoltre riconosciuta giuridicamente dallo stato, il che le impedisce quindi di possedere beni immobiliari che devono invece essere intestati a nome di privati cittadini. Vi è però da chiedersi se tale politica sia svolta, più che per interessi puramente religiosi, nell’ottica in cui l’Islam venga utilizzato come instrumentum regni dallo stato turco come collante per l’unità nazionale.
Nel Pakistan, nonostante sia previsto a norma di legge che una quota di seggi del parlamento venga riservato alle minoranze religiose e sia presente un partito a rappresentare i cristiani (il Pakistan Christian Congress), la legislazione sul cosìdetto reato di blasfemia (entrato in vigore nel 1986), volto a punire “quanti, con parole o scritti, gesti o rappresentazioni visibili, con insinuazioni dirette o indirette, insultano il sacro nome del Profeta” (tratto dall’articolo 295 del codice penale pakistano) con pene che partendo dal carcere duro e passando per l’ergastolo arrivano fino alla condanna a morte, viene utilizzata spesso e volentieri per opprimere la minoranza cristiana del paese (che è composta da circa 4 milioni di persone, ossia il 2,4% della popolazione totale). Va ricordato inoltre il divieto di scrivere via sms il nome “Gesù Cristo” imposto nel 2011.
Una celebre vittima (purtroppo non l’unica) delle di fatto legalizzate persecuzioni anticristiane in Pakistan fu il cattolico Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze religiose dal 2008 assassinato il 2 maggio 2011 da un gruppo di uomini armati a causa della sua battaglia in favore di Asia Bibi, donna pakistana condannata a morte per “blasfemia”. Morte analoga fu quella che fece il governatore (di fede islamica) del Punjab Saalman Taseer, ucciso da una sua guardia del corpo il 4 gennaio 2011 per aver difeso anch’egli Asia Bibi e per il suo impegno nell’abrogazione del reato di blasfemia.
Nella lontana Indonesia (islamica per l’86% e con 8 milioni di cattolici) è dal 1990 che la tolleranza religiosa ha iniziato a diminuire. Nel conflitto tra cristiani e musulmani nella zona dell’arcipelago delle Molucche (1999) si sono registrati casi di conversione forzata all’Islam, decapitazioni, evirazioni, sventramenti, infibulazioni, stupri, circoncisioni fatte col rasoio senza anestesia, oltre alla distruzione di chiese, centri medici, ospedali, lebbrosari e scuole.
In Egitto i cristiani sono 7 milioni su un totale di 80 milioni di egiziani, il cui ruolo nella politica e nella società è risibile: meno dell’1% dei seggi parlamentari (3 su 454) sono occupati da essi e di fatto questa minoranza (circa il 10% della popolazione) viene fortemente limitata nella sua libertà di culto data la difficoltà di costruire chiese e le continue violenze subite da parte dei fondamentalisti islamici. L’intolleranza religiosa contro i cristiani è d’altronde cosa notoria nel paese, che nell’art.2 della sua costituzione definisce la sharia il fondamento della legislazione e l’Islam come religione di stato. Come ho già accennato prima, la costruzione di chiese è molto limitata da pratiche discriminatorie e restrittive delle istituzioni pubbliche. Pur non esistendo una legge sull’apostasia, il governo egiziano non riconosce ufficialmente le conversioni dall’Islam al Cristianesimo e permette l’accesso di missionari solo laddove si limitino ad iniziative di tipo caritativo astenendosi da ogni tentativo di proselitismo. Stando ai dati dell’ “Iniziativa egiziana per i diritti della persona” tra il 2008 e il 2010 sono avvenuti almeno due incidenti al mese a danno di cristiani.
In Algeria vi sono circa 5000 cattolici (meno dell’1% degli algerini) in un paese a stragrande maggioranza musulmana nel quale sono tutt’ora vigenti leggi molto restrittive per chi professa la fede cristiana: è prevista la prigione da uno a cinque anni e multe fino all’equivalente di 10.000 euro per chi tentasse di convertire un islamico al cristianesimo, il senato algerino nel 2006 ha approvato una legge che vieta il proselitismo, imponendo alle comunità cristiane di pregare solo nei luoghi di culto assegnatigli e vi è inoltre l’art. 11, il quale punirebbe chi “fabbrica o distribuisce documenti stampati che tendano a confondere la fede di un musulmano”, nella cui categoria rientra anche la Bibbia. Le persecuzioni anticristiane hanno avuto il loro culmine in due episodi, il sequestro e assassinio (effettuato tramite la decapitazione) del 23 maggio 1996 di sette monaci trappisti risiedenti nel monastero di Tibhirine e nell’omicidio di Mons. Pierre Claverie, Vescovo di Orano, dell’1 agosto 1996.
Nel Regno del Marocco il re è considerato la guida religiosa islamica, oltre che politica, del paese. Lo stato ha però un’ordinamento, rispetto ad altri stati a maggioranza musulmana, decisamente più laico che teoricamente difende la libertà di culto delle minoranze (i cattolici marocchini sono 23.510) e la Chiesa Cattolica gode di uno status speciale dal 1983 (anno in cui tale status le venne concesso da re Hassan II), ma nonostante questo nel marzo del 2010 sono stati espulsi un francescano di nazionalità egiziana e decine di cristiani con l’accusa di proselitismo. Va ricordato inoltre che è un reato per la legge marocchina tentare di convertire un islamico.
In Sudan la sharia è in vigore dal 1983, e sebbene sia stato affermato che la legge islamica non debba essere vincolante per i cristiani sudanesi vi sono stati diversi casi di cristiani puniti per non aver osservato precetti dell’Islam quali il Ramadan. Nel 1991 l’Arcivescovo di Khartoum, la capitale del paese, ha dichiarato che ai cristiani è stato fatto divieto di riunirsi per pregare unitamente alla chiusura di diversi centri religiosi. Già nel 1964 il governo espulse i missionari stranieri e nel 1965 tentò di imporre ai cattolici la creazione di una “chiesa patriottica” affine a quella cinese, di fronte al rifiuto di tale imposizione partì una persecuzione che ebbe tra gli episodi degni di memoria l’incendio del seminario di Tore, la dispersione di molte comunità cristiane e la distruzione di diversi luoghi di culto.
Nonostante sia una repubblica islamica, la Mauritania mantiene pacifici rapporti con la minuscola comunità cattolica (lo 0,2%, 4500 persone) al suo interno, essa infatti non ha limitazioni nell’apertura di strutture sanitarie e nella gestione di asili, centri culturali e biblioteche. Nonostante questo la legge vieta il proselitismo, la diffusione di materiale religioso e per i musulmani è illegale la conversione al Cattolicesimo.
Il Mali, paese composto da un 80% di islamici, un 18% di animisti e da un 1% di cristiani, non ha alcuna limitazione nei confronti della libertà della minoranza cristiana e secondo l’associazione Aiuto alla Chiesa che soffre nel paese “non vi sono ostacoli giuridici alla conversione da una religione a un´altra e i missionari sono liberi di operare; la maggioranza musulmana è tollerante verso le altre confessioni”.
Il confinante Senegal presenta caratteristiche simili: costituzione laica che concede piena libertà alle minoranze cristiane (che ammontano al 6%).
In Niger la coabitazione tra maggioranza musulmana (93%) e la minoranza cristiana sembra essere pacifica.
La Somalia rappresenta uno degli stati con maggior omogeneità religiosa al mondo: il 99% dei somali è islamico e i cattolici sono solo un centinaio. Nel paese la persecuzione contro i cristiani è iniziata nel 1991 con la caduta di Siad Barre e la diffusione di gruppi armati integralisti (tra i quali vanno ricordati Al – Shaabab e Sunna Waljameca), venendo assassinati ad oggi, oltre che ad una trentina di cristiani somali, anche due italiane: Suor Leonella Sgorbati nel 2006 e la missionaria Annalena Tonelli nel 2003. Su sette luoghi di culto cristiani esistenti in Somalia sei sono stati distrutti dai fondamentalisti, compresa la Cattedrale di Mogadiscio, saccheggiata nel ’91 e distrutta nel 2008. Stando ad un rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre emerge che le conversioni al Cattolicesimo sono scoraggiate da forme di emarginazione sociale e di ostracismo, e che le attività di culto dei cristiani devono svolgersi in case di privati, senza essere visibili dall’esterno.
 
A analisi finita, si può tranquillamente affermare che su ventuno paesi a maggioranza islamica esaminati solo il Libano, la Siria di Assad, il Mali, il Senegal e il Niger garantiscano una completa libertà ai cristiani lì residenti, libertà comprendente anche la possibilità di evangelizzare (che ricorderei essere per un cattolico un dovere, sta scritto infatti “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.” Mt 16, 15-17.