venerdì 27 settembre 2013

R. P. Raffaele Ballerini d.C.d.G.: Teocrazia del Cattolicismo.

 
 
 
La Civiltà Cattolica, serie XV, vol. II, (fasc. 1003, 21 marzo 1892) Roma 1892, pag. 5-16.

R. P. Raffaele Ballerini d.C.d.G.

TEOCRAZIA DEL CATTOLICISMO

I.

In un articolo precedente trattammo dell'Ateocrazia, che, sotto colore di libertà, l'odierno liberalismo tenta introdurre colle leggi nel mondo civile, per opposizione a quella che esso chiama Teocrazia del cattolicismo ed anela, se gli fosse possibile, ad annientare.
Mette ora conto che diciamo alcuna cosa di questa teocrazia; vocabolo del quale ivi indicammo già il significato proprio, il meno proprio e gl'improprii, che gli si sono dati e via via gli si vengono dando. In sostanza però quella che, con tale denominazione, il liberalismo esecra ed aborre, si riduce alla fede nel Dio che la Chiesa cattolica adora, all'organismo ed all'autorità in cui egli l'ha costituita, ed al salutare influsso che negli individui e nella società esercita. Ed il radicalismo francese, che professa i dommi più schietti della massoneria, bene lo ha chiarito, per bocca d'uno de' suoi capi, del Clémenceau, nella tornata parlamentare del 18 febbraio scorso, nella quale il Ministero presieduto dal Freycinet soccombette.
A proposito dello schema di legge contro le associazioni religiose, si passò a discutere della separazione della Chiesa dallo Stato, ed il Clémenceau così si espresse: «Il momento verrà in cui noi ci volteremo alla Chiesa, come nel 1791 si fece verso il Terzo Stato, ma per dirle all'inverso: — Che eravate voi? Tutto. Che sarete voi? Nulla. Vi sono le credenze religiose, sopra le quali non possiamo niente. Ma vi è la Chiesa cattolica, cioè l'edifizio più grandioso che siasi mai veduto. Essa ha regolato, plasmato, modellato il popolo per quattordici secoli. Contro questo Stato politico noi siamo in guerra. Come! Vogliamo noi dunque distruggere la Chiesa cattolica? In quanto è Stato dominatore, sì.» Soggiunto poi, che i partiti si potevano tutti soggiogare o guadagnare, seguitò dicendo: «Ma la Chiesa cattolica sta più alto, vede da più lontano, con una sola occhiata esplora tutto il campo di battaglia. Primieramente perchè, essendo una grande concezione morale, sovrasta gl'interessi umani; e inoltre, perchè rappresenta la teorica della teocrazia e, possedendo la verità di Dio, possiede a miglior titolo la verità dell'uomo. E voi, potere terrestre, sperate di sottomettere un potere, che tiene le bilance della giustizia in un altro mondo?» Donde la conclusione, che, non potendosi la Chiesa vincere dallo Stato, bisognava che lo Stato da sè la rigettasse.

II.

Adunque si guerreggia la Chiesa e si vuole bandita dallo Stato, perchè non rappresenta soltanto la teorica, ma il diritto ed il fatto della teocrazia, in quanto essa forma, in corpo organicamente sociale, il Regno di Cristo Dio fra gli uomini. Il che è un dire: — Noi discacciamo la Chiesa dallo Stato nostro, perchè non possiamo vincere ed assoggettare allo Stato nostro il Dio, predicato e servito dalla Chiesa. La teocrazia della Chiesa non è conciliabile colla nostra autocrazia: e per questo le facciamo guerra e le contrapponiamo la nostra ateocrazia. La Chiesa, col suo grido: Quis ut Deus? tende a far dominare Iddio sopra tutti e sopra tutto: noi, col nostro grido: Non est Deus, tendiamo a dominar tutti e tutto, nel nome nostro. La Chiesa si dà titolo di Regno di Dio, e noi c'intitoliamo Regno della libertà, Stato civile.
Sì, è verissimo. Se per teocrazia s'intende il predominio di Dio sopra tutti e sopra tutto, la Chiesa, non pure la insegna e la sostiene, ma con ogni potere suo si adopera ad attuarla; e non che occulti questo finale intento dell'operazione sua nel mondo, lo fa dimandare in pubblico da' suoi a Dio stesso, colla formola del «venga a noi il Regno tuo» e del «sia fatta la volontà tua, così in cielo come in terra»; adveniat Regnum tuum, fiat voluntas tua, sicut in caelo el in terra, imparato dalla bocca del suo stesso divino Fondatore. Essa, a somiglianza di lui, esiste ut testimonium perhibeat veritati, per rendere testimonianza perpetua della verità: la qual è, che Dio è il supremo Signore di ogni individuo e di ogni società, sia domestica, sia civile; che alla signoria sua nessuno e niente può sottrarsi; e quindi non è Stato, non è Regno e non è Impero che non sottostia al Regno di lui, che è Principe dei re della terra e Signore di tutti i signori; Princeps regum terrae, Dominus dominantium.

III.

Se non che il liberalismo falsa il concetto di questa teocrazia del cattolicismo, ascrivendo alla Chiesa, col nome di Stato politico, l'ambizione di usurpare essa ogni potere, e di reggere immediatamente da sè lo spirituale ed il temporale dei popoli e delle nazioni. Opportunamente il Papa Leone XIII ha sventato questa calunnia, nella sua recente Enciclica ai Vescovi, al clero ed ai cattolici di Francia [Enciclica Au milieu des sollicitudes, 16 febbraio 1892, N.d.R.], mostrando come nascesse contro il Redentore fino dal tempo suo, e non abbia a cessare se non col cessare del mondo.
Vi fu sì un'età, ed è quella in cui i popoli cristiani si ebbero da plasmare, come ha detto il Clémenceau, dalla Chiesa, in cui questa ebbe parte principalissima alla loro nazionale costituzione. Caduto in Occidente l'Impero romano, il potere civile cominciò a rifarsi ordinato nei celebri Concilii di Toledo, e più stabilmente si svolse col Regno di Pipino e di Carlomagno, e passò negli altri in cui si divise l'Europa. In quella età di mezzo, fra l'antica e la moderna, i dommi evangelici formarono la base e il fondo delle leggi civili, il corpo dei Vescovi primeggiava nelle assemblee nazionali, la professione della fede riputavasi condizione essenziale alla legittimità del potere, i principi, come suggello di loro investitura, richiedevano la consecrazione religiosa.
Ma questa ingerenza salutifera e tutrice della Chiesa nelle cose pubbliche degli Stati, ebbe fine cogli sconvolgimenti della così detta riforma, nel secolo decimosesto, e della così detta libertà nei successivi. Oggi sarebbe ridicolo il timore che la Chiesa e l'ordine sacerdotale vogliano o possano appropriarsi l'autorità politica de' Governi laicali, e reggere da sè i popoli, riscotendo le imposte, emanando leggi civili, guidando gli eserciti e compiendo da per tutto gli atti proprii della sovranità. Se gli Stati ciò temessero, imiterebbero la stoltizia di Erode, il quale cercò di spegnere Cristo, per sospetto che non avesse a rapirgli lo scettro. La Chiesa, banditrice e vindice della verità e della giustizia, non rapisce gli altrui diritti, ma li conferma e li assicura per ogni dove, comunicando loro un saldo, fondamento: e dispensiera com'è del Regno de' cieli, non invidia nè agogna gli altrui Imperi: non eripit mortalia, qui Regna dat caelestia.
«Io sorrido, scriveva testè l'illustre economista Alfredo Leroy-Beaulieu dell'Istituto di Francia, sorrido e sento compassione, quando veggo uomini, che si dicono saputi liberali, spaventarsi dell'intromissione della Chiesa nelle nostre libertà pubbliche e nell'ordine sociale. Mi sembra di udire ombre di morti d'un altro secolo. E in verità com'è possibile, che la nostra Francia attardata resti eternamente fissa nelle vecchie querele intorno alla dominazione della Chiesa? Coloro che ne fremono, per quanto si mantellino coi nomi di gente del progresso, di filosofi e di liberi pensatori, non sono altro che mummie ravvolte in viete formole. Son essi i veri retrogradi: l'anticlericale ed il mangiapreti sono rimasti indietro nel nostro tempo [1].»

IV.

Questa società, così fortemente compaginata e feconda, che a tutti sempre parla nel nome di Dio, ed a tutti comanda la soggezione a Dio, che non solo nessuna appartenenza della vita umana, dalla minima alla massima, separa da Dio, ma tutte invece a lui congiunge col vincolo di una totale dipendenza; ed in ogni luogo si presenta come investita da Dio stesso di una sovranaturale autorità, fa ombra e sgomento al liberalismo. Il quale perciò, quando possa, si sforza di separarla dallo Stato, e, quando non possa ancor tanto, l'abbassa, e in mille modi ne incatena la libertà.
Il sentirsi intonare di continuo, che ogni potere viene da Dio: non est potestas nisi a Deo; che chi lo tiene sui popoli, non è altro che ministro di Dio in bene di essi: minister Dei tibi in bonum; che quindi, non da essi, ma da Dio lo ha ricevuto; che questo suo potere è definito dalla volontà di Dio, del quale è mandatario, e dipendente da Dio di cui esercita il ministero; mette i brividi ed accende di sdegno chi in sè personifica lo Stato liberale e pretende di essere Dio a sè stesso, che è il concetto prevalente dello Stato moderno.
Peggio poi è, quando si sente dire, che esser non deve se non istrumento ed applicatore della volontà divina al pacifico ed onesto consorzio tra gli uomini; e conformarsi a questa, come a motore interno, a forza governatrice, a principio regolatore del suo politico movimento; e che la volontà di Dio si manifesta per virtù della sua legge, interpretata dalla Chiesa. Questa è pel liberalismo una bestemmia da far rizzare i capelli persino a un calvo.
Ah sì? le risponde lo Stato liberale; voi dalla vostra altezza vi arrogate di comparire come intermediaria tra Dio e me, e di comunicarmi una regola infallibile, per mantenere la pace e la giustizia nei popoli? Ebbene, io, non potendo altro, vi colmerò di vituperii, vi additerò allo scherno di questi popoli, vi chiuderò la bocca, vi legherò le mani, sottoporrò il vostro magistero alla censura ed alla direzione della mia polizia, vi spoglierò dei beni, vi assoggetterò in tutto il vostro pubblico ministero all'autorità mia. Se non ancora in tutto vi discaccio da me, lo fo unicamente per valermi contro voi delle armi, giacenti negli arsenali dell'antica legislazione regia e cesarea. Potrò dare a credere che io vagheggio la chimera della libera Chiesa in libero Stato. Ma da me non isperate mai libertà. Mai non patirò che al mio fianco si erga libero un potere, che vuole impormi legge da parte di Dio. Resterete Chiesa, poichè non siete spiritualmente distruttibile, ma Chiesa schiava in uno Stato libero ed in tutto e per tutto assolutamente padrone di sè. Sarete una teocrazia tenuta in ceppi dalla mia autocrazia.

V.

Ma qual è la conseguenza di questo empio incatenamento della Chiesa, e di questa deificazione dello Stato? L'assurdo di una tirannide la più esosa, col corollario ultimo dell'anarchia.
Ogni potere assoluto quaggiù ripugna. Neppur la Chiesa lo possiede, avendo nel Vangelo e nella tradizione un codice immutabile, nel suo organismo una costituzione, da cui non può discostarsi, nell'assistenza divina una guida che la rassicura. Possiamo per la verità; ma nulla possiamo contro di essa; ha scritto S. Paolo: Non possumus aliquid adversus veritatem, sed pro veritate. Quanto più dovrà dirsi il medesimo di autorità inferiori e terrene? Solo Iddio, Signore supremo delle sue creature, non ha limiti di nessuna sorta, perchè in niuna guisa ne abbisogna, siccome quegli che per essenza è retto e sapiente: ond'egli solo è regola a sè stesso.
Anche Tullio, avvegnachè pagano, conobbe tal verità: e però asseriva uno solo essere il principe ed il legislatore di tutti, e questi essere Dio: unus est omnium princeps atque imperator, Deus. Ogni altro potere non può essere che ministeriale, e quindi circoscritto da limiti e bisognoso di direzione.
Lo Stato adunque, che, nell'esercizio del suo potere, si considera assoluto come Dio e libero ed indipendente da Dio, non è più una forma di Governo umano, ma una mostruosità che si pena a definire.
Il Papa Leone XIII, nella sua Enciclica soprallegata, con mano maestra tocca questo punto, laddove, ragionando della separazione dello Stato dalla Chiesa, che equivale alla separazione della legislazione umana dalla cristiana e divina, così discorre: «Non vogliamo fermarci a dimostrare quanto questa separazione ha di assurdo: ognuno può comprenderlo da sè. Posto che lo Stato ricusi di dare a Dio quel che è di Dio, ricusa, per necessaria illazione, di dare ai cittadini quello a cui, come uomini, hanno diritto; giacchè, si voglia o no, i veri diritti dell'uomo nascono per l'appunto da' suoi doveri verso Dio. D'onde segue che lo Stato, per questo rispetto, mancando al fine principale della istituzione sua, viene di fatto a rinnegare sè stesso, ed a smentire ciò che è ragione della sua propria esistenza.»

VI.

Data la legge, promanante da un legislatore che non riconosce altro Dio fuori di sè, nè altro interprete della giustizia che il suo senno ed arbitrio, quale virtù potrà ella mai avere, per obbligare i sudditi ad osservarla? Non la cristiana, perocchè lo Stato dalla Chiesa vuol essere indipendente, e ne rifiuta il soccorso: non la naturale, perocchè questa suppone una legge anteriore e superiore a qualsiasi senno od arbitrio umano, della quale tutte le umane leggi debbon essere un'applicazione. Qui ancora il romano filosofo, col mero lume dell'intelletto, fa da maestro: «Questa, dic'egli, io veggo essere stata la sentenza d'uomini sapientissimi, la legge non essere un pensamento degli umani ingegni, nè uno statuto di popoli, ma una cosa eterna, che regola l'universo mondo colla sapienza della proibizione e del comando. Nè essa è altro in ultimo, se non la mente stessa di Dio, che, secondo ragione comanda e divieta. Ita principem legem illam et ultimam mentem esse dicebant omnia ratione, aut cogentis, aut vetantis Dei
Come sperare rispetto alle leggi ed obbedienza, tolto il rispetto e la soggezione a questa legge suprema e fondamentale? Ma lo Stato che divinizza sè stesso non può rispettarla nè assoggettarvisi, stante che ne disconosce l'origine, che è la ragione di Dio, e la nega.
Perciò i popoli ricorrono contro lo Stato al sillogismo di Caligola, per inferirne il contrario di quello che egli ne deduceva. Caio Caligola, per provare ch'egli era Dio, argomentava in questo modo: Solo Dio può imperare sugli uomini; ma io impero sugli uomini; dunque sono Dio. I popoli, per provare che essi non sono tenuti a sottomettersi allo Stato, dicono: Solo Dio può imperare sugli uomini; ma lo Stato non è Dio; dunque esso non può imperare su di noi.
La Chiesa, insegnatrice di verità, corregge l'errore di ambedue, riformando il principio e raddrizzando il distorto loro ragionamento. Essa dice: Solo Dio può imperare assolutamente sugli uomini e, dipendentemente da lui soltanto, coloro che ne sono ministri: ma i poteri pubblici e gli Stati, sebbene non sieno Dio, sono tuttavia ministri visibili di Dio: dunque essi possono imperare sugli uomini, dipendentemente da Dio.
Sappiamo che lo Stato ateo alla moderna, quando ha forma democratica, s'ingegna di sciogliere la difficoltà, adducendo la sovranità del popolo, di cui si gloria delegato. Ma il popolo non è Dio; quindi non può conferire al delegato suo quello che non ha. Oltre ciò, ammesso che l'obbligazione morale della legge venga dal popolo, chi obbliga sè stesso può disobbligarsi, se pure sia possibile che uno abbia potere di obbligare sè verso sè stesso, e sia al tempo medesimo suddito e superiore di sè medesimo.
Ed ecco come la sostituzione dello Stato a Dio, in onta alla teocrazia della Chiesa, conduce i popoli allo spregio dell'autorità e delle leggi civili, e sottrae ogni vitale nutrimento, ogni umor salutare a questa pianta dell'umana società, la quale uopo è che finalmente inaridisca ed avvizzi.

VII.

E che avviene per ciò? Che lo Stato ricorre alla forza; e non a qualunque forza, ma alla forza spogliata del principio morale, che è il più tirannico dei dispotismi. E questo fa, per ritardare lo scioglimento della società, che è l'anarchia. Perocchè all'uno di tali due estremi mette necessariamente capo l'autocrazia ateistica dello Stato. Perduta la moralità, le forze individuali si spiegano con divergenza a capriccio, senza uno scopo fisso e comune, che predomini l'interesse dei singoli. La società allora cade in una convulsione, che ne pone a repentaglio la vita. Quindi o procede nel disordinato contrasto delle passioni e si dissolve: o cerca di sopravvivere, e si abbandona alla mano ferrea di un potere, che, comunque voglia, la salvi dalla ruina.
Or tal è il bivio, nel quale al presente si cominciano a trovare le nazioni, rette da Stati ribelli a Dio ed alla sua Chiesa, ed alla Chiesa gridano col Clémenceau: — Tu quinci innanzi non sarai più nulla, perchè insegni la teocrazia e possiedi la verità di Dio. Vanne lungi da noi; niente vogliamo avere da spartire con te! — E bene sta: non si appoggiano più alla forza morale della Chiesa: ma invece si sostengono colla forza delle baionette e dei cannoni, perchè, senza questa, ed essi e l'intera nazione andrebbero a soqquadro, fra gl'incendii, le stragi e gli scompigli del socialismo. Alla aperta ribellione loro contro Dio, risponde la minacciosa ribellione d'una grande massa del popolo contro loro. Gl'investiti del potere sorgon di mezzo ad una moltitudine di corrotti, respirano l'aria di un'atmosfera ammorbata, non si possono servire se non d'istrumenti perversi; il lor proprio volere fa legge, e la forza delle armi la ravvalora. Tuttavia, dilatandosi la corruzione, si deve pur arrivare al giorno, nel quale le armi saranno impugnate da gente pervertita, la quale le volgerà contro chi gliele ha messe nelle mani. Gli Stati che follemente han preteso di governare col motto: — Non più Dio! cadranno sotto i colpi dei governati, che fanno echeggiare l'altro motto: — Non più re, non più padroni!
E questo sarà il frutto ultimo dell'autocrazia dello Stato, in guerra colla teocrazia del cattolicismo.

VIII.

Il Leroy-Beaulieu, gittato uno sguardo melanconico sopra le condizioni della Francia, sua patria, e considerando che, col furore di allontanarvi la Chiesa dallo Stato, Dio dalle leggi, la religione dalla civiltà, il prete dai laici, si è venuto al punto di surrogare per confidente del popolo il bettoliere al parroco, non può tenersi dall'uscire in questa conclusione, che, sotto la penna sua, vale un Perù:
«Non impunemente una società si priva del morale aiuto che la tradizione religiosa le apporta; dacchè la religione è un serbatoio di forze sociali, donde i popoli attingono pazienza, amore e coraggio. Gli uomini per lungo tempo hanno voluto credere che esistesse una fontana di Giovenzo, nella quale i vecchi e le vecchie, immergendosi, ricuperavano forza e bellezza. Pur troppo questa fontana è una favola dei poeti, e coloro che nella credulità dei popoli sono succeduti ai poeti, i dotti, per quanto abbiano esplorato il campo della scienza, non l'hanno potuta scoprire. Ma noi, non da noi lontana, abbiamo una fonte più meravigliosa, le cui acque sorgive ci versano un bene più prezioso che la giovinezza, la forza o la beltà giovanile. Questa mirabile fontana, non occorre dirlo, è la religione, il cristianesimo, che in verità può da noi denominarsi fons vitae, fons amoris. Giovani o vecchi, ricchi o poveri, quali che sieno quelli che vi appressano le labbra, vi bevono l'amore dell'umanità e del prossimo; e chi ami bagnarvi le membra, vi assorbe lo spirito di carità e di sacrifizio. Si penserebbe che le autorità preposte al benessere delle nazioni procurassero di rendere a tutti agevole l'accesso a questa miracolosa fontana. Eppure no, in casa nostra almeno: si affaticano per contrario di rimuoverne il popolo, e di renderla inaccessibile alle turbe. Non potendola diseccare, nè intorbidare, si provano di farne dimenticare la via [2].»
E questo è appunto il gran danno che gli Stati anticristiani recano, non solamente a sè stessi, ma all'intero corpo dei popoli a cui presiedono. Affinchè non servano al Dio predicato dalla Chiesa, li aggiogano al gravoso carro delle loro autocrazie; e sognano di averli tanto più soggetti, quanto meno saranno credenti in questo Dio. Li sopraccaricano di pesi e levan loro la consolazione di portarli col merito di una pazienza, che non deriva se non dalla sua fede. Si direbbe che si propongono di farli infelici nella vita di qua e nella vita di là, togliendo loro, col pane dalla bocca, la pace dall'animo e Dio dal cuore.

IX.

Ma non per ciò il Regno di Cristo Dio in terra, che è la vera teocrazia del cattolicismo, cessa di esistere, di allargarsi, di trionfare. È scritto che quanti, o persone o Stati, si separano da lui periranno: Qui elongant se a te, peribunt; e questa parola non falla mai, in quella guisa che non falla mai l'altra, colla quale Cristo si è promulgato perpetuo vincitore, prima ancora che le battaglie di diciannove secoli, contro di lui, fossero date: Ego vici mundum.
Già il Clémenceau, il quale vuole ridotto al niente questo Regno, ha dovuto confessare pur egli non esser potenza al mondo, che valga a conquiderlo e sterminarlo. Tutto si vince e si doma, fuorchè la Chiesa. La teocrazia del cattolicismo non si vince, appunto perchè, come diss'egli, possiede la verità di Dio: e la verità di Dio è che egli, quale Creatore dell'uomo ed Autore della società, ne è il Sovrano, l'assolutissimo, l'incomparabile Signore; ed al suo Figliuolo umanato, Redentore dell'uman genere, ha dato ogni potere nei cieli e nella terra.
Stante questa verità di Dio, vano è opporre ateocrazie ed autocrazie, regie o popolari, alla somma ed insuperabile teocrazia di Cristo: tutte periranno e si dissolveranno in polvere, come perì e andò in polvere l'Impero dei Cesari di Roma, che, nell'oppugnare il Regno di Gesù Cristo, per ferocia di arti e diuturnità di tempo, non ha avuto l'uguale.
Intanto però che le ateocrazie giudaiche e liberalesche dei nostri giorni folleggiano e cozzano contro il granito di questa verità di Dio, noi vediamo crescere la persuasione, che da essa unicamente potrà la perturbata società moderna aver quiete. La teocrazia del cattolicismo comincia ad apparire un sole benefico, al cui raggio ogni cosa caduta può ristorarsi.
Dio, al culto ed alla suggezione e servitù del quale la Chiesa incessantemente invita gl'individui e le nazioni, è insieme il Re dei re, ed il Dio pieno di benignità per l'uomo, col quale si è degnato affratellarsi nella natura. È il Dio di tutti, e di tutti il padre, il fratello; ma più parziale in certo modo dei poveri che dei ricchi, dei piccoli che dei grandi, dei miseri che dei fortunati. Egli è tutto in ogni cosa, omnia in omnibus. L'impero suo è di carità, di giustizia e di pace. Egli non toglie, ma dà; e se toglie, lo fa per dare più largamente; giacchè alla fine dei conti non dà solo il suo, ma dà sè stesso all'uomo; come sè stesso ha posto nell'uomo.
Chi, con un briciolo di fede nell'anima, studia un poco la bella e sublime teocrazia del cattolicismo, ne viene a dedurre, che è il sistema più felice e felicitante che si potesse immaginare; poichè, quanto a sè, mira a tutti tenere nell'ordine, la cui tranquillità forma la pace pubblica e privata.

NOTE:

[1] Revue des deux Mondes, N. del 1° marzo 1892, pag. 123.
[2] L. cit. pag. 129.