mercoledì 18 settembre 2013

Papa Bergoglio e il primato della coscienza


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Lascia un poco sconcertati la risposta di  papa Bergoglio alla lettera aperta del noto laicista Eugenio Scalfari.
«Innanzi tutto», ha scritto Bergoglio rivolgendosi a Scalfari, «mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che – ed è la cosa fondamentale – la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire a essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire».
Da questa risposta, pare evidente che il papa consideri la coscienza individuale e la “percezione” del  bene e del male che vi si trova, il criterio centrale dell’etica, anche di quella cristiana. Sembra proprio che per Bergoglio  compiere qualcosa secondo coscienza non porti mai al peccato. Si tratta, quindi, del primato della coscienza individuale. A questo riguardo, qualcuno ha parlato di posizione kantiana. Devo  dissentire. Senz’altro il soggetto kantiano è un individuo-atomo, de-socializzato e de-storicizzato, che considera l’auctoritas (anche quella della Chiesa) come “eteronomia”, insieme alle tradizioni, ai costumi, all’educazione ricevuta, e che esalta la propria ’“autonomia” quale “liberazione” da ogni fonte esterna di condizionamento. Kant esalta l’emancipazione illuminista del soggetto individuale, che vuole essere libero dall’autorità che lo trascende e dalla comunità che lo precede. La morale kantiana è un esempio di individualismo morale e di primato della coscienza soggettiva. Eppure Kant sostiene anche che l’autonomia del soggetto debba fare riferimento ad una legge morale universale e razionale, che è unica e sempre la stessa. L’autonomia  che rifiuta l’auctoritas, vista come “eteronomia”, è in Kant ancora  unita all’universalità e indiscutibilità di un’unica legge morale razionale. Per il pensatore di Konisberg, l’individuo, pur autonomo, resta subordinato alla legge morale.
L’affermazione del pontefice sembra invece ricordare quel “politeismo dei valori” che Max Weber rivelò come cifra e conseguenza della modernità capitalista. Infatti, dal testo del papa  pare  emergere l’importanza della  sola buonafede, a prescindere dai contenuti che si trovano nella coscienza. La coscienza è esaltata a prescindere dai suoi contenuti. E’ forse un’accettazione positiva,quella del papa, del “politeismo dei valori”?
Riprendendo le tesi del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa, Giovanni Paolo II  aveva già sostenuto, implicitamente, che la libertà di coscienza in materia di fede precedesse la Verità della fede (come illustrato recentemente anche da Enrico Maria Radaelli). Ma ora con Francesco I siamo all’esplicita affermazione di ciò che dal Concilio vaticano II rimaneva implicito, cioè il primato della coscienza individuale sulla Verità. Dette da un papa, certe parole segnano un punto di non ritorno.
 L’esaltazione della coscienza individuale, a prescindere dai contenuti che  vi stanno dentro, coincide con il soggettivismo e  l’individualismo, e conduce velocemente al relativismo, all’accettazione quindi del weberiano “politeismo dei valori”. A parte la chiara sottovalutazione dell’aspetto comunitario dell’etica, qui naturalmente emerge un’obiezione: non basta avere buone intenzioni, bisogna conoscere il Bene. Se non conosco il Bene, se non conosco o rifiuto i dieci comandamenti, se non conosco o rifiuto anche  la legge naturale razionale che nasce dalla riflessione sui fini naturali dell’uomo (Aristotele) – che può essere conosciuta razionalmente anche dai non cristiani – la mia coscienza può essere piena di pregiudizi, oppure, molto peggio, di falsi valori che  possono condurmi al male. La modernità ci ha dato con i totalitarismi, e non solo coi totalitarismi, ampi esempi di falsificazione del bene. E ora l’aborto, il matrimonio omosessuale, l’eutanasia non vengono forse propagandati con motivazioni libertarie e umanitarie? Crediamo davvero che tutti coloro che sostengono queste infrazioni della legge naturale siano in malafede? Io non lo credo. Se la coscienza individuale non è sottoposta alla Verità, o perlomeno se non è alla ricerca della Verità, le nostre buone intenzioni non possono bastare. Anzi, qualcuno dice che l’inferno sia lastricato di buone intenzioni. In buona fede si può commettere il male. Ma è forse proprio l’incurabile ottimismo pelagiano che impedisce a papa Francesco di fare i conti col Male.
 
Martino Mora
 
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