Dei 53 Vicerè che si avvicendarono nei due
secoli e più di sudditanza diretta di Napoli alla Spagna, la figura preminente,
per vari aspetti, è certo quella del Toledo.
Le grandi fortificazioni portuali, restaurate e
ampliate con l’uso del tufo cavato dal Monte Echia; la realizzazione dei
Quartieri per l’alloggiamento delle guarnigioni spagnole; la ricostruzione di
Pozzuoli dopo il cataclisma determinato dall’eruzione del Monte Nuovo; il
trasferimento della sede Principesca dal Castello di Capuana alla Nuova Reggia e
l’insediamento dei Tribunali alla Vicaria; la costruzione del Castello di Baia e
di varie Torri costiere; la costruzione della Chiesa di S. Giacomo; quella
dell’Ospedale degli Spagnoli prospiciente l’odierna Via S. Giacomo; il restauro
delle Carceri e del Monastero della Consolazione sull’odierna Via Imbriani,
tutti corpi di fabbrica dell’attuale complesso edilizio Banco di Napoli - S.
Giacomo; il potenziamento delle fortificazioni costiere, da Sorrento a Gaeta, da
Salerno a Sapri, a difesa del territorio contro le periodiche scorribande dei
corsari. Si tratta di opere imponenti, e per entità e per complessità, pensate,
progettate e realizzate in soli venti anni (dal 1532 al 1553), tale fu il tempo
che durò il Viceregno del Toledo.
Per la realizzazione di tali opere che, ancor
oggi, con il mezzi moderni, sarebbe difficile portare a termine in tempi brevi,
specie in un territorio complesso come quello meridionale, ci voleva
un’inflessibile e determinata personalità che, superate le mollezze di Corte
della atmosfera “aragonese”, appena trascorsa e non ancora dimenticata,
riportasse, con pugno di ferro, il potere nelle mani dei rappresentanti del Re
di Spagna. E questo accadde, con la repressione delle autonomie baronali, ove
fioccarono condanne esemplari, anche capitali, per fatti di insubordinazione o
di malgoverno periferico. Ma altrettanto ferrea fu l’azione di lotta contro la
delinquenza ordinaria e contro i gruppi sediziosi, con l’irrogazione di pene
severe e con numerosissime condanne alla decapitazione per delitti comuni.
L’atmosfera di “sospetto” che gravava intorno alla Corte e nell’intero
territorio del Viceregno; la somministrazione di tasse, spesso sproporzionate, -
anche per far fronte all’enorme spesa edilizia innanzi indicata, - non resero
“popolare” la figura del Toledo che, a quanto risulta, i contemporanei dei vari
ceti sociali, non amarono affatto. Ed è presumibile che la sua forte
personalità, alla fine, dovesse “fare ombra” anche al Re di Spagna al quale
erano giunte le lamentele di tanti nobili mortificati, i Principi Sanseverino in
testa.
Don Pedro di Toledo come cavaliere dell'ordine di Santiago. Dipinto di Tiziano. |
A settanta anni, con un fisico provato ed
un inverno gelido, l’incarico di comando delle milizie spagnole, schierate fuori
Siena, fu fatale ed a nulla valsero le cure premurose che la figlia del Toledo,
moglie di Cosimo il Vecchio, approntò nelle stanze del Palazzo Medici a Firenze.
Don Pedro de Toledo morì il 22 febbraio del 1553 e fu sepolto nel Duomo di
Firenze dove tuttora riposa. Il monumentale sacello predisposto, su richiesta
dello stesso Vicerè, nella Chiesa di S. Giacomo restò vuoto.
Sospese le spoglie mortali tra Napoli e
Firenze, tra una sepoltura ed un cenotafio, altrettanto sospeso il giudizio
politico e storico sulla figura e l’opera dell’uomo che, non amato dai
contemporanei ha, tuttavia, realizzato opere ed azioni di governo che si sono
riverberate, non certo “in danno”, sulle generazioni successive. Le opere
monumentali e di difesa sono rimaste in essere ed, a tutt’oggi, molte di esse
risultano pienamente efficienti. L’azione di difesa dei Vassalli dagli abusi dei
Baroni; l’azione amministrativa destinata al riordino dei diritti demaniali ed
al consolidamento del potere della corona di Spagna, vanno considerate come
aspetti di “governo” che hanno influito positivamente nel tempo,
nell’avvicendamento al potere dei Vicerè che seguirono il Toledo e che, per
conto della Corona di Spagna, amministrarono fino al 1707 e cioè per altri 144
anni, senza significative scosse – tranne che per l’episodio di Masaniello - un
vasto Territorio di per sé turbolento e difficile da gestire.
Tutto questo forse non interessa a chi
passeggiando per “Toledo”, assaporando una sfogliatella di Pintauro innanzi a
vetrine luccicanti, ritiene che “la Storia è perdita di tempo” e che l’era delle
Comunicazioni non ha bisogno della “riflessione sul passato”.
Ma se pensiamo a quelle opere di difesa che,
appena scalfite, consentono anche all’occhio meno esercitato, di percepire la
imponenza delle strutture e la capacità di sfidare il tempo, allora ci sembra,
davvero, di sentirci eredi di tante figure, grandi e piccole, che hanno
testimoniato, con il loro impegno, una tradizione di laboriosità e di ingegno
che, a buon diritto, può trarre origine da uno starter d’eccezione quale fu il
Toledo.
Gherardo
Mengoni