Lo sforzo della framassoneria per rovesciare la civiltà cristiana diviene più manifesto nell'opera della Rivoluzione.
Luigi Blanc ben riconosceva essere codesto lo scopo preso di mira: "Nel grado di cavaliere del sole, allorché aveva luogo una iniziazione, il Venerabilissimo cominciava col domandare al primo sorvegliante: 'Che ora è?'. E questi doveva rispondere: L'ora dell'oscurità tra gli uomini. Interrogato a sua volta dei motivi che lo conducevano, il candidato rispondeva: 'Io vengo a cercare la luce,
poiché i miei compagni ed io ci siamo smarriti nelle tenebre che coprono il mondo. Delle nubi oscurano Hesperus, la stella dell'Europa; esse sono formate dall'incenso che la superstizione offre ai despoti'". Non si può dire più chiaramente che la civiltà cattolica ha immersa l'Europa nelle tenebre, che il genere umano ha perduto di vista il fine naturale dell'uomo, e che la framassoneria s'è tolta la missione di aprirgli gli occhi. Da gran tempo gli storici hanno esclusa deliberatamente la framassoneria dalla storia; e perciò hanno presentato la Rivoluzione sotto una luce falsa ed ingannevole. Il sig. Wallon, presentando i processi verbali che furono stesi all'istante, ci ha infine esposto i fatti tali e quali si sono prodotti; ma non risale alle cause e ai primi agenti che produssero questo cataclisma, alle idee la cui propaganda lo rese possibile. Tocqueville e Taine, che hanno fatto uso nello studio della Rivoluzione d'una critica si illuminata, non hanno portato le loro investigazioni sul dominio delle società segrete.
Louis Blanc
I maneggi della framassoneria in questi ultimi tempi ci hanno fatto aprire gli occhi. La si vede preparare nuovi sconvolgimenti e nuove rovine. Ognuno si domanda se le sventure e i delitti che hanno segnato la fine del XVIII secolo non siano ad essa imputabili. Maurizio Talmeyer tenne recentemente una conferenza che poscia pubblicò in opuscoletto sotto questo titolo: La Framassoneria e la Rivoluzione francese. Copin-Abancelli, Prache ed altri si applicarono, in differenti pubblicazioni, a far uscire dalle tenebre diligentemente conservate, la parte presa dalle società segrete nella Rivoluzione. Per dimostrarlo, essi poterono attingere nell'opera pubblicata trent'anni fa, da N. Deschamps, sotto questo titolo: Les sociétés secrètes et la société, completata nel 1880 da Claudio Jannet. E questi avevano largamente usufruito di un'opera anteriore, pubblicata in piena Rivoluzione, nel 1798, da Barruel: Mémoíres pour servir à l'histoire du Jacobinisme.
Augustin Barruel
Queste Memorie non offrono, come potrebbe far credere il titolo, documenti da usare per comporre la storia dei delitti commessi dai Giacobini; Barruel, nei suoi cinque volumi, si applicò a fornire ai futuri storici del Terrore, le informazioni o gl'indizi che loro permettessero di stabilire il punto di partenza, i primi agenti e le cause segrete della Rivoluzione. "Nella Rivoluzione francese - egli dice - tutto, persino i suoi misfatti più spaventevoli, tutto era stato preveduto, meditato, combinato, risoluto, stabilito; tutto fu l'effetto della più profonda scelleratezza, poiché tutto è stato condotto da uomini che soli tenevano il filo delle cospirazioni ordite nelle società segrete, e che hanno saputo scegliere e studiare il momento propizio alle congiure".
Il convincimento di questa premeditazione e di queste congiure risulta dalla lettura dei cinque volumi. Sul frontespizio del quarto, nel "Discorso preliminare", egli domanda: "In qual modo gli adepti segreti del moderno Spartaco (Weishaupt) hanno presieduto a tutti i misfatti, a tutti i disastri di questo flagello di brigantaggio e di ferocia chiamato la 'Rivoluzione'? Come presiedono ancora a tutti quelli che la setta medita per compiere la dissoluzione delle società umane? (Ciò ch'essa meditava di riprendere all'indomani della Rivoluzione, lo eseguisce al giorno d'oggi sotto i nostri occhi. E sono ancora i framassoni che stanno alla testa di tutto ciò che noi vediamo). Consacrando questi ultimi volumi a rischiarare tali questioni, io non mi lusingo di risolverle con tutta la precisione e con tutti i particolari di uomini che avessero avuto la facoltà di seguire la setta 'Illuminata' nei suoi sotterranei, senza perdere un istante di vista i capi o gli adepti ... Raccogliendo i tratti che mai sono svelati, ne avrò abbastanza per segnalare la setta dovunque i misfatti additano la sua fatale influenza".
Si comprende il grande ed urgente interesse che presenta la lettura di quest'opera nell'ora presente. Quello che accade, quello di cui siamo spettatori, è il secondo atto del dramma cominciato un secolo fa; è la stessa Rivoluzione, ravvivata nel suo focolare, coll'intenzione che Barruel aveva già potuto constatare, di estenderne l'incendio nel mondo intero. Egli ce ne mostra il proposito, la volontà espressa fin dal principio del XVII secolo. I congiurati potranno essi raggiungere i loro fini di annientare la società cristiana? E' il segreto di Dio, ma è altresì il nostro. Poiché l'esito della
Rivoluzione dipende dall'uso che noi vogliamo fare della nostra libertà, come dai decreti eterni dì Dio.
Gli è per sostenere, per incoraggiare le buone volontà, che Barruel scrisse le sue Mémoires: "E' per trionfare finalmente della Rivoluzione e ad ogni costo, e non per disperare che fa d'uopo studiare i fasti della setta. Siate tanto zelanti pel bene, quanto essa lo è pel male. Abbiate la buona volontà di salvare i popoli; i popoli stessi abbiano la volontà di salvare la loro religione, le loro leggi, la loro fortuna, com'essa ha la volontà di distruggerle, e i mezzi di salute non mancheranno". E questa è altresì la volontà e la speranza che noi vorremmo vedere spuntare dalla lettura dei Problema dell'ora presente.
Prima di far qui un brevissimo compendio dell'opera del Barruel, è opportuno che i nostri lettori facciano conoscenza coll'autore, onde sappiano qual credito gli debbano accordare.
Agostino Barruel nacque il 2 ottobre 1741.Suo padre era luogotenente del podestà di Vivarais. Egli fece i suoi studi ed entrò nella Compagnia di Gesù. Quando essa fu minacciata, si recò in Austria dove pronunciò i suoi primi voti. Soggiornò alcuni anni in Boemia, poi in Moravia e fu professore a Vienna, nel collegio Teresiano. Più tardi fu mandato in Italia ed a Roma. Egli ritornò in Francia dopo la soppressione del suo Ordine. Il suo stato rendendolo indipendente, si consacrò intieramente ai lavori filosofici e storici, e pubblicò fin d'allora delle opere le quali, sebbene di più volumi, raggiunsero la quinta edizione.
Dal 1788 al 1792 egli diresse quasi solo il Journal ecelésiastique, pubblicazione settimanale delle più preziose per la storia letteraria ed ecclesiastica della seconda metà del XVIII secolo. Nel prenderne la direzione, Barruel disse a' suoi lettori: "Noi sentiamo tutto il peso e tutta l'estensione dei doveri che c'imponiamo. Noi prevediamo con spavento tutta la assiduità che esigono e ci interdiciamo, d'ora innanzi, ogni occupazione che potesse distrarcene. Ma consacrati per vocazione al culto del vero Dio, alla difesa delle nostre sante verità, oh! come questi medesimi doveri ci diventano cari! Si, questo aspetto sotto il quale ci piace considerare le nostre funzioni di giornalista cattolico, ce le rende preziose". Egli manifestò in tutte le sue opere questo spirito di fede.
Quanto più i giorni si facevano tristi, tanto più l'ab. Barruel raddoppiava lo zelo e la vigilanza. Egli cangiava di frequente domicilio per sfuggire al mandato d'arresto. Dopo il 10 d'agosto dovette sospendere la pubblicazione del suo giornale e passare in Normandia. Di là, si rifugiò in Inghilterra.
Pubblicò a Londra, nel 1794, una Storia del Clero di Francia durante la Rivoluzione. Là ancora concepì il piano della sua grande opera: Mémoires pour servir à l'histoire du jacobinisme. Lavorò quattro anni a raccogliere e ordinare i materiali delle prime parti. I volumi I e II comparvero a Londra nel 1796.
Nel 1798, furono ristampati ad Amburgo, accompagnati da un terzo, intorno alla setta degli Illuminati. I due ultimi comparirono parimenti ad Amburgo nel 1803. Barruel ne pubblicò una seconda edizione "riveduta e corretta dall'autore", nel 1818, due anni prima della sua morte, a Lione, presso Tèodoro Pitrat.
Bisogna leggerla tutta quanta quest'opera se si vuol conoscere a fondo la Rivoluzione. Per scriverla, l'ab. Barruel ebbe le rivelazioni dirette di molti dei principali personaggi dell'epoca, e trovò in Germania una serie di documenti di prim'ordine. "E io devo rendere al pubblico - dice nelle Observations préliminaires del terzo volume, quello che tratta degli Illuminati - un conto speciale delle opere da cui tolgo le mie prove". Egli presenta una lista delle principali, fino a dieci, con un cenno su ciascuna di esse, che permette di giudicare della loro autenticità. La lista delle opere si
completa con quella di molti altri documenti meno importanti. Ed aggiunge: "Ciò è tanto quanto basta per vedere che io non scrivo intorno agli Illuminati senza cognizione di causa. Io vorrei in segno di riconoscenza poter nominare coloro la cui corrispondenza mi ha fornito nuovi aiuti, lettere, memorie che non potrò apprezzare mai troppo; ma questa riconoscenza diverrebbe per loro fatale". E più lungi: "Quello che io cito, l'ho davanti agli occhi e lo traduco; e quando traduco, il che avviene spesso, cose che fanno stupire, cose che appena si crederebbero possibili, io cito il testo medesimo, invitando ognuno a spiegarlo, ovvero a farselo spiegare ed a verificarlo. Io raffronto anche le diverse testimonianze, sempre col libro in mano. Io non fo menzione d'una sola legge nel codice dell'Ordine, senza le prove della legge o della sua pratica".
Ritornato in Francia, fu consultato sull'argomento della promessa di fedeltà alla Costituzione, sostituita, con decreto 18 dicembre 1799, a tutti i giuramenti anteriori. Egli pubblicò il dì 8 luglio 1800, un avviso favorevole. Le sue ragioni, assai chiare e precise, aggiunte alle spiegazioni del Moniteur, dichiarato giornale ufficiale, decisero Emery e il consiglio arcivescovile di Parigi a pronunciarsi in favore della legittimità della promessa. Alcuni, in quest'occasione, accusarono Barruel di adulare il Bonaparte per guadagnarsi i suoi favori. Ben lungi dall'adulare, l'ab. Barruel ha dimostrato un'audacia inaudita: parlando dei primo Console, lo chiama "il flagello di Dio". Nel 1800 egli aggiunge: "Se tutti i principi d'Europa riconoscessero la Repubblica, io non voglio per questo che Luigi XVIII sia meno il vero crede di Luigi XVI. Io sono francese. Il consenso degli altri sovrani su questo oggetto è per me tanto nullo quanto quello dei Giacobini; esso può bensì diminuire la mia speranza, togliere i mezzi, ma non distrugge per nulla il diritto" (L'Evangile et le clergé francaise. Sur la soumissioti des pasteurs dans les révolutions des empires, p. 75. Londres).
Luigi XVIII
Barruel non rientrò in Francia che nel 1802. Vi prese a difendere il Concordato e pubblicò su questo argomento il suo trattato Du Pape et de ses droits regaux à l'occasion du Concordat (Paris, 1803, 2 vol. in VIII). Durante l'Impero, Barruel si tenne in disparte, non ricevette alcun posto né assegno. Intraprese la confutazione della filosofia di Kant. Nell'affare del cardinale Maury, Napoleone ebbe sospetto che egli avesse propagato il Breve di Pio VII e lo fece mettere in prigione nell'età di settanta anni. La polizia lo perseguitò pure nei Cento Giorni. Terminò la sua vita nella casa dei suoi padri, a Villanova de Bery, nell'età di ottanta anni, il 5 ottobre 1820.
Immanuel Kant
Era necessario entrare in questi dettagli per mostrare quanto questo autore si meriti la nostra confidenza. Ecco chi finirà di conciliargliela.
Nei cinque e sette anni che trascorsero fra la pubblicazione dei tre primi volumi e dei due ultimi, la sua opera fu letta e suscitò delle osservazioni da parte dei framassoni. "Secondo alcuni di questi FF - dice Barruel - io ne ho detto troppo; secondo altri, fu inevitabile che io dicessi tutto. Si sa che i primi sono del numero di quelli che io compresi nell'eccezione dei FF. troppo onesti per essere ammessi dentro gli ultimi misteri; e gli altri, del numero di quelli, i quali, dopo aver visto tutto nelle retro-loggie, si sono finalmente vergognati e si pentirono d'aver meritato gli onori massonici. Io sono debitore agli uni ed agli altri dei miei ringraziamenti, ma sono pure debitore d'una risposta". Questa risposta egli la dà, dimostrando che ha detto tutto ciò che doveva dire, e niente altro che ciò che doveva dire.
Altri massoni si adirarono per vedersi così scoperti ed accusarono Barruel di mala fede. Fu soprattutto l'opera d'un inglese, Griffith, redattore delle Monthly Review. Questo scrittore trova passabili, soddisfacenti anche, le prove che Barruel dà della cospirazione contro l'altare; ma dice che quelle della cospirazione contro i troni non sono perfettamente dimostrate. Specialmente l'abolizione della dignità reale in Francia è dovuta, dic'egli, a circostanze locali, più che ai voti e alle trame dei cospiratori della Rivoluzione. Dicendo ciò, egli non fa alcun cenno delle prove recate da Barruel a favore della sua tesi.
Per rispondere all'accusa di mala fede, Barruel fa osservare ch'egli ha dato e dà di nuovo i testi nel loro idioma originale a fianco della traduzione che ne fece. E per ciò che spetta ai documenti più importanti a cui si riferisce, egli dice che non solo è lodevole che ognuno consulti i volumi stampati, ma che confronti questi volumi coi manoscritti che si trovano negli archivi reali di Monaco. Barruel fa di più: egli offre al suo accusatore un convegno a Monaco per mostrargli negli scritti originali le prove evidenti della sua calunnia. Griffith non solo non vi si recò, ma rifiutossi di pubblicare nella sua Revue la risposta di Barruel.
Weishaupt, il fondatore dell'Illuminismo, venne a dar mano forte a Griffith, che era senza dubbio uno de' suoi adepti. Barruel diede pure a Weishaupt convegno a Monaco, ove avrebbe potuto rivedere gli originali delle sue proprie lettere di cui contestava l'esistenza, o il testo. "Ma - aggiungeva Barruel - siccome egli non poteva farvisi vedere senza esporsi ad essere impiccato per cagione de' suoi misfatti contro i costumi, egli potrà nominare un procuratore". Egli non vi andò né in persona, né per procura.
Johann Adam Weishaupt