lunedì 22 aprile 2013

Europa, tradizione e libertà. Francisco Elias De Tejada



Intervento su Francisco Elias De Tejada (1917-1978), Napoli, 24.11.2006
Fracisco Elías DE TEJADA, "Europa, tradizione, libertà. Saggi di filosofia della politica" (introduzione e cura di Giovanni Turco), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2005.


 Ciò che immediatamente colpisce, nello studioso di cui ci occupiamo, è l'organicità e l'unitarietà della sua personalità. Storico, filosofo e giurista, in una unità che è propria della formazione più squisitamente cattolica, tipica della "universitas" medioevale, o, meglio, della universitas dell'epoca cristiana. Formazione e cultura illuminate dalla fede, la quale consente, pur nel rispetto della distinzione degli ambiti, di giudicare secondo un criterio unitario (non ideologicamente unitaristico), che è quello dell'attenersi alla realtà.

TRADIZIONE

L'attenzione alla realtà è ciò che dirige, il nostro, alla osservazione, innanzitutto, della storia. La riflessione filosofica si alimenta della lezione della storia, e ne trae insegnamento; il punto di partenza, pertanto, è la realtà, la sua osservazione, e la considerazione della storia, soprattutto quando "la storia si fa tradizione".

Dall'osservazione della realtà, in prospettiva antropologica, nasce la considerazione dell'uomo non astrattamente concepito (genericamente come umanità), ma come ente concreto. Come tale, egli è superiore agli altri viventi, per essere composto sostanziale di anima e corpo, per la caratteristica di proiettare "un'anima nei suoi atti" e nel fatto di essere legato ad una tradizione storica. In de Tejada, la tradizione è intesa come "storia condensata in risultati culturali": "Ogni esistenza umana forgia un tesoro che può essere trasmesso agli uomini che verranno poi, essendo infatti la qualità di eredi del tesoro accumulato dalle generazioni anteriori ciò che distingue l'uomo dagli animali [...] esistiamo grazie a ciò che siamo stati; o, se si vuole, grazie a ciò che sono stati gli altri. [...] Da una simile capacità di trasmissione sociologica del sapere nasce il concetto di tradizione [...]"

La tradizione, così intesa, non è, quindi, qualcosa che riguarda il passato, ma, anzi, connota la vitalità di una comunità, a sua volta depositaria e custode di quanto ebbe forza vitale e validità tale da essere considerata tesoro da trasmettere. Essa è tanto più vitale quanto più consente ad ogni singolo uomo di raggiungere il fine suo proprio, che è fine di felicità; il criterio e principio specificatore per la personalità storica di un popolo, la sua vitalità, ciò che consente, ad ogni suo membro, di godere dell'appartenenza ad esso, è la tradizione, la memoria storica vitale.

Dalle considerazioni sulla tradizione e la sua efficacia, nasce il concetto di «ispanico», di «cristianità ispanica», come civiltà incarnata in popoli diversi. Non si tratta di concetti legati alla geografia, ma alla storia, quella cultura cristiana, che ha reso unite realtà diverse, non omologandole, ma rispettandone le peculiarità. Per questo, de Tejada parla al plurale, di "Spagne", per indicare una unità di compagine sopranazionale; l'universalità di una tradizione si rivela nelle sue concrete peculiarità, proprio perché rispettosa della realtà, non ideologicamente costruita.

EUROPA

Alla universalità e unitarietà della civiltà delle Spagne, si contrappone il concetto di Europa, categoria astrattamente costruita, nel momento in cui veniva meno la cristianità; si disconosceva la storia e la tradizione, quindi la vita reale, e si dava luogo al concetto di Europa. Per il nostro autore, la categoria di Europa è intesa come "modernità", col suo mito del mondo nuovo, che crea il distacco doloroso dalle radici concrete dell'uomo, dal suo retaggio costitutivo. Per de Tejada, se si vuole delucidare che cosa sia Europa, bisogna intendere "la separazione tra la geografia e la storia d'Europa", che affonda le sue radici nella frantumazione dell'unità politico-religiosa del medioevo, della civiltà cristiana. "La Cristianità muore perché nasca l'Europa, quando questo perfetto organismo si infrange dal 1517 al 1648 con cinque fratture successive [...] la frattura religiosa del protestantesimo luterano, la frattura etica con Machiavelli, la frattura politica per opera di Bodin, la frattura giuridica con Grozio e Hobbes, e la frattura definitiva del corpo mistico cristiano con i trattati di Westfalia. Dal 1517 al 1648 l'Europa nasce e cresce, e nella misura in cui nasce e cresce l'Europa, la Cristianità si indebolisce e muore".

La prima frattura è quella apportata da Lutero, con il suo esasperante soggettivismo religioso, che spezza l'unità della fede e lascia l'uomo, pessimisticamente e definitivamente macchiato dal peccato originale, solo.
La frattura introdotta dal pensiero di Machiavelli separa l'etica dal suo fondamento, il valore astratto dalla vita, separando l'etica dalla base cristiana. La virtù, pertanto, viene ridotta a capacità tutta mondana di dominare la "fortuna" e la volontà, non più guidata dalla retta ragione, si tramuta in abilità della forza umana di fronte alla forza degli avvenimenti.

L'influenza di Bodin nella visione politica, si percepisce nella separazione dell'esercizio dell'autorità politica dal suo fondamento trascendente; il potere politico viene concepito come autoreferenziale, autofondato, e, come tale, capace di esigere una obbedienza senza limiti. Ne deriva l'assolutismo, che spezza l'armonica varietà del corpo sociale cristiano, e riduce la vita sociale ad una serie di relazioni rette da un equilibrio di forze meccaniche.

La filosofia giuridica di Grozio e Hobbes teorizza il concetto di diritto naturale inteso come autofondato, un insieme di principi per consentire l'equilibrio tra forze meccanicisticamente contrastanti.

La politica intesa, quindi, come campo di rapporti meccanici tra forze concorrenti, sviluppa la teoria della divisione dei poteri, come attuazione di un equilibrio meccanicamente determinato tra i diversi poteri, attraverso un sistema di pesi e contrappesi, senza alcun riferimento o criterio fondante, e senza alcun ricordo dell'armonia sociale e politica tipica della civiltà cristiana. Insomma, per l'autore dei saggi, i "Padri" dell'Europa sono Lutero, Machiavelli, Bodin, Grozio e Hobbes; tutti costoro hanno contribuito alla nascita e alla crescita dell'Europa intesa come "Rivoluzione", come disconoscimento dell'unità dell'uomo e della sua concretezza. Con essa, la ragion di Stato assurge a criterio ultimo dei rapporti tra gli Stati e il potere legislativo esclude ogni fondamento nella realtà concreta.

L'europeizzazione si sviluppa secondo diverse tappe, segnate dall'assolutismo, dal liberalismo e dal totalitarismo; si tratta dell'attuazione dello "spirito europeo": vi è una profonda differenza tra le monarchie tradizionali, oggettivamente limitate e temperate da istanze religiose, morali, giuridiche, sociali e rappresentative, nel quadro di una società organica, e la monarchia assolutistica, con un poter regio libero da ogni limitazione e controllo.

Le diverse tappe nelle quali si dipana l'attuarsi dello spirito europeo trovano il loro punto di snodo nel razionalismo illuministico, dal quale derivano tanto il liberalismo quanto il socialismo, le teorie di Montesquieu e quelle di Rousseau, l'affermazione della libertà astratta e quella della astratta uguaglianza, in una dialettica che sfocia nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, contenente principi che si rifanno tanto al liberalismo quanto al democratismo.

Dal razionalismo illuministico al totalitarismo, il passo è segnato dalla teoria della "volontà generale" di Rousseau, che giunge alla identificazione totalizzante della volontà del popolo con la volontà incarnata nella minoranza al potere. Di fronte alla volontà generale, nessuna libertà e nessun diritto hanno una propria legittimità, la volontà del singolo si fonde in quella generale, fino a scomparire del tutto, l'uomo si annulla.

LIBERTA' ASTRATTA E LIBERTA' CONCRETE

Ancora una volta, è il disconoscimento della realtà, della concretezza dell'uomo e della sua natura, a determinare la sua devastazione, con la repressione di ogni sua libertà; ad ogni diversa concezione dell'uomo e del suo rapporto con Dio, corrisponde una diversa concezione della libertà. De Tejada distingue i concetti di libertà concreta e libertà astratta, cui corrisponde l'alternativa tra uomo concreto e uomo astratto, tra storia e utopia. Secondo la filosofia illuminista, l'uomo deriva i suoi diritti inalienabili direttamente da sé, dalla sua condizione di uomo, avendo, di fatto, disconosciuto ogni rapporto della creatura col suo creatore (il disconoscimento della storia, d'altra parte, non è altro che questo, perché la storia parla dell'intervento divino) e, con ciò, disconosce anche ogni rapporto con la realtà concreta. Il giusnaturalismo protestante si fonda sulla concezione dell'uomo astratto; la teoria del "buon selvaggio" per cui, nello stato di natura, l'uomo è perfetto e tale dovrebbe essere lasciato, contribuì alla leggenda nera sui soprusi spagnoli tra gli indios, considerati puri, onesti e giusti per antonomasia, contrapposti agli europei, agli occidentali, corrotti e pervertiti dalle società "civilizzate". L'uomo astorico, buono per natura, è posto al di sopra del civilizzato; la trasposizione giuridica di questa concezione, sarà l'uguaglianza, l'equiparazione di tutti gi uomini di fronte alla natura, in contrapposizione alla società civilizzata, figlia della storia, che invece stima gli uomini secondo i meriti. La democrazia elaborata da Rousseau non è altro che l'eliminazione della storia dalla politica e l'esaltazione dell'uomo astratto dello stato di natura sull'uomo concreto figlio della storia, l'esaltazione della libertà astratta del selvaggio, col disprezzo delle libertà concrete nelle quali si estrinsecano le molteplici attività umane. L'ottimismo antropologico portato fino alle estreme conseguenze, sostituisce il concreto con l'astratto, il reale con il nulla; la logica dell'ottimismo porta, ovviamente, al tradimento proprio di ciò che proclama, come è verificato nella storia, innanzitutto, nella storia della rivoluzione giacobina.

Lo stesso Rousseau, dovette fare i conti con la situazione concreta della Francia reale, e trovare una formula politica: il contratto sociale, che permetterà di conservare la perfezione dello stato ideale della natura, nell'ambito delle strutture istituzionali francesi del XVIII secolo. Nella democrazia rousseauiana i membri della società continuano a godere della loro innata bontà, rinunciando alla libertà di cui godono come individui isolati, ma, come elettori, essi contribuiscono alla volontà generale, decidendo della vita collettiva. La volontà generale incarna la sovranità inalienabile, al di sopra della quale nulla ha potere e diritti, e pertanto è l'unica deputata ad essere di fronte agli individui. Nessuna associazione intermedia deve esistere tra Stato e individuo e questo spiega l'accanimento dei giacobini nei confronti de cosiddetti "corpi intermedi", che avrebbero impedito il nudo dialogo dell'uomo, naturalmente isolato e buono, con lo stato che incorpora la volontà generale di ciascuno di essi. D'altra parte, i corpi intermedi costituivano una eredità della storia, non della natura, quindi, intrinsecamente cattivi. Con la legislazione rivoluzionaria si distrugge il passato, trionfa l'idea dell'uomo astratto, si concepisce solo la libertà con la L maiuscola, nel "vuoto solenne e magniloquente di una libertà garantita dalla natura dell'uomo buono propria dell'ottimismo antropologico".

Nella concezione cattolica e, più propriamente, della filosofia scolastica, invece, si concepisce la libertà concreta dell'uomo concreto, anzi «le» libertà; ancora una volta, il punto di partenza è la realtà, la sua osservazione, e, in particolare, l'osservazione dell'uomo, che trova la sua perfezione nell'essere se stesso, nella realizzazione piena della sua essenza. La realtà dell'intero universo è possibile secondo la diversità delle varie realtà che esistono, e che trovano la loro manifestazione nell'operare. Posto che la natura specifica dell'uomo implica la sua naturale socievolezza, è parte della sua natura la costruzione della società nel tempo, o edificazione della storia; l'uomo si caratterizza per la sua capacità di ricevere e trasmettere la storia, l'esperienza, la tradizione. Risultato della storia, e della tradizione, sono le libertà concrete e politiche, che si distinguono dalla libertà astratta in diversi punti: 1) esse procedono dalla storia perché l'uomo è un essere concreto, non l'utopistico buon selvaggio; 2) si incarnano nei corpi intermedi, baluardi per difenderle nella concretezza della vita sociale; 3) non sono costruzioni sterili e vuote, incapaci di plasmare istituzioni convenienti, ma consistono in dati precisi, reali e vissuti; 4) sono al plurale, perché la storia è iscritta in fatti certi, come sono certe le attività umane. Si tratta, in sintesi, di quelle concretizzazioni dei diritti, che l'uomo può esercitare nelle diverse circostanze della vita, e che vanno dal suo concepimento come essere vivente concreto, alla sua famiglia, all'istruzione, all'esercizio dell'attività lavorativa, ai rapporti sociali e religiosi.

I FUEROS

Su tali fondamenti fu edificata la serie di libertà concrete che chiamiamo «fueros», proiezioni delle istituzioni politiche della visione dell'uomo concreto, figlia del giusnaturalismo cattolico, di cui la figura più grande fu San Tommaso d'Aquino. Il sistema dei «fueros» resistette in Spagna per molto tempo, nonostante l'imperversare degli assolutismi nelle varie Spagne; e dove resisteva, i popoli comprendevano la differenza tra la libertè propugnata dai giacobini e le libertà concrete cattolicamente intese, difendendole con il sangue.

Si trattava di leggi di origine consuetudinaria, tali da consentire una effettiva autonomia delle diverse comunità storiche, una sorta di garanzia di libertà nei confronti dello stato, come le associazioni intermedie nelle quali si erano andati formando, e che costituivano l'alveo nel quale l'uomo trovava la sua libertà e la tutelava. La parola castigliana «fuero» deriva da quella latina «forum» luogo dove si amministrava la giustizia, passando poi a designare le sentenze e, più tardi, le leggi speciali, particolari, di determinate città o di un ramo del corpo legislativo. Sono concretissime norme, che suppongono la visione dell'uomo concreto, con le sue libertà concretissime, che si esplicano nelle sue specifiche attività. I «fueros» sono la garanzia di libertà, cioè della sfera di azione dei diritti di ciascun uomo secondo le proprie circostanze, e si inquadrano in ogni popolo nell'ambito delle sue tradizioni. Questo sistema, che si fonda sulla concreta realtà degli uomini, tiene presente, appunto, non l'uomo astratto della concezione liberale e della concezione totalitaria. La prima vede l'uomo come individuo isolato dotato di una libertà astratta, che non trova difesa concreta perché nega la necessità di un alveo protettivo; l'uomo del liberale gode, comunque, dell'uguaglianza con gli altri uomini, perché sono dotati del valore di essere elettori, hanno valore in quanto votano, ma sono soli di fronte al potere. La seconda vede l'uomo astratto, uguale a tutti gli altri nella sua astrattezza naturale, dotato di una volontà che, per essere valorizzata, deve integrarsi nella volontà generale, esserne assorbita, e scomparire, come la sua libertà.

Ad una visione dell'uomo ancorata alla realtà, corrisponde una politica che garantisce, effettivamente, l'esercizio delle libertà, perché non pretende di essere la salvezza per l'uomo, non pretende di definire e regolarizzare tutti gli ambiti della vita umana, ma si limita a consentire, con le sue istituzioni, che ognuno eserciti le sue libertà.


Rosa CASTELLANO

Fonte:

http://www.storialibera.it/