mercoledì 24 aprile 2013

La battaglia di Sarno



Nei “Notamenti inediti di Lodovico Raymo Seniore” leggiamo: “1460. Die 20. Junii, Dux Joannes de Angioja venit ante Civitatem Neap. Cum Galeis XX, & una Galeotta, & steterunt per dua horas prope Madalenam, & postea recesserunt versus Satbiam, seu Castrum maris de stabia, & habuit majorem partem Regni, exceptis Civitatib. Neap Aversae, Capuae, Serniae, Manfredoniae, Baroli, Trani, & Venusii, & expulsus fuit tandem per Regem Ferdinandum Primum”. Quella sopra riepilogata in una magra sintesi è la vicenda dell’invasione del Regno di Napoli guidata da Giovanni d’Angiò, figlio di Renato e duca di Calabria. Sebbene Raymo taccia notizie direttamente inerenti il nostro oggetto di studio, la Cronaca ha il pregio di ricordare al lettore le capacità militari che ancora il partito angioino serbava nella Napoli aragonese nell’anno 1460. Nei mesi che precedettero l’arrivo del primogenito di Renato, numerosi feudatari si erano ribellati agli aragonesi, e molte città avevano issato nuovamente i vessilli angioini. Giovanni d’Angiò, dichiaratosi legittimo successore al trono napoletano come effetto della adozione fatta da Giovanna II, poteva contare sul supporto esterno della Corona di Francia e su quello interno dei baroni raccolti attorno alla figura del Principe di Taranto, Giovanni Antonio Orsini Del Balzo. Carlo VII, sovrano francese e zio del pretendente angioino al trono di Napoli, investì accorate risorse e nel campo diplomatico e in quello finanziario per supportare l’impresa del nipote. Egual cosa fece il principe Del Balzo che, alla morte di Alfonso il Magnanimo, assurse a guida dei baroni rivoltosi[1]. Sbarcato alla foce del Volturno, Giovanni aveva radunato tutte le sue forze militari e le aveva condotte a sorprendenti vittorie. Infine, acquartieratosi presso il Castello di Sarno attendeva il momento adatto per scagliarsi nell’attacco finale alle poche roccaforti aragonesi. Il 7 luglio del 1460 i due contendenti alla Corona napoletana si fronteggiarono in uno scontro aggressivo: Ferrante d’Aragona forzò i tempi e mosse da Montefusco verso Sarno nel tentativo di cogliere impreparate le truppe del principe francese. Lo scontro doveva porre fine all’invasione angioina che era iniziata nel 1458 e che aveva reso all’invasore il controllo di buona parte di quella che i posteri avrebbero chiamato Campania. “La battaglia finalmente de’ 7 luglio 1460 presso il fiume Sarno, ridusse Ferrante a non vedersi sovrano che della sola capitale e di pochi altri luoghi”[2], scrivono le cronache. Preso pieno possesso di una collina, la fanteria aragonese prima colse di sorpresa il nemico con un attacco repentino, poi abbandonò ogni disciplina e si diede al saccheggio, consentendo all’esercito angioino di riorganizzare la controffensiva. Quest’ultimo, accampatosi entro le mura cittadine e su parte delle circostanti montagne solcate dal fiume, dapprima non si avvide del esercito comandato da re Ferrante che si nascondeva nella “silva, cui Longulae nomen est”, la selva detta della Longola[3], poi fu abile nell’approfittare della indisciplina dell’avversario per riguadagnare fiato e terreno sino alla vittoria. Nelle settimane successive l’aragonese fu costretto a reclutare un nuovo esercito per ridare battaglia e solo una netta ed inaspettata inversione di sorte poté giovargli. Sopraggiunsero il sostegno del pontefice Pio II[4] e del nobiluomo Roberto Sanseverino, il soccorso di Giorgio Scanderberg, sovrano del principato albanese di Croia, e più tardi la morte del Principe di Taranto. Per Giovanni d’Angiò, già sconfitto il 18 agosto del 1462 a Troia e riparato ad Ischia, era il tempo di perdere ogni speranza.


Angelo D'Ambra

[1] E. Nunziante, I primi anni di Ferdinando d’Aragona e l’invasione di Giovanni d’Angiò, in Archivio Storico per le Province Napoletane, XVII, e seguenti.  La rivolta fu domata nel 1462, dopo la vittoria di Troia del 18 agosto, sebbene ebbe notevoli strascichi che riemersero nella battaglia del 1465 nel mare di Ischia.
[2] V. Buonsanto, Introduzione alla storia antica e moderna del regno di Napoli, p. 159
[3] E’ lo spicchio di terra oggi disboscata compresa tra Poggiomarino, San Marzano sul Sarno, Striano, San Valentino Torio
[4] In G. C. Chino e B. Chioccarelli, Archivio della Regia giurisdizione etc., Venezia, MDCCVVL, p. 9. Oltre alle armi, il Papa emanò una Bolla nella quale assolse dal giuramento coloro i quali, affiliati alla società dei Crescenti, avevano giurato “alcune cose in pregiudicio del Re Ferdinando, e della Investitura del Regno concessagli dalla Sede Apostolica”.
 
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