mercoledì 17 aprile 2013

LA CANDIDA COCCARDA DEI LEGITTIMISTI


 
A seguito dei moti massonico-rivoluzionari scoppiati in varie capitali europee agl’inizi del 1848 e concertati fra gli aderenti al partito settario; a seguito anche dell’ingenuo avvallo dato ai sovversivi agl’inizi del suo pontificato dal Papa Pio IX (che si riscatterà col proclama di Gaeta del 17 dicembre 1848, costretto all’esilio dalla canaglia sovversiva mazziniana impadronitasi di Roma) anche a Vienna, capitale imperiale, i ribelli avevano scatenato moti di piazza per strappare la concessione di una costituzione liberale (13 marzo 1848). Le notizie di Vienna si propalarono per tutto il Lombardo-Veneto, scaldando gli animi degli aderenti al partito rivoluzionario. Fra questi, a Verona, il Conte Pietro degli Emilei, indegno nipote di Francesco, Provveditore di Comun (Sindaco) della città al tempo delle gloriose Pasque Veronesi , fucilato dai rivoluzionari francesi di Bonaparte a Porta Nuova il 16 maggio 1797, che aveva pagato con la vita il suo legittimismo e la sua fedeltà al Governo di San Marco. Ecco come l’ultrarisorgimentale Gaetano Polver (1) descrive l’annuncio dato a Verona della costituzione liberale di Vienna, che lascia tuttavia ancora insoddisfatti gli estremisti mazziniani: 


Fra un silenzio generale, Il Conte degli Emily, a nome della Commissione, annunciò che la concessione d’un governo costituzionale era fatta a norma del proclama Imperiale.
L’Arciduca, dal canto suo accordava, continuò ad alta voce il d'Emily, /' armamento d'una guardia cittadina a difesa dell’ordine e delle ottenute libertà. Il Municipio invitava gli onesti e zelanti patriotti a recarsi alla residenza comunale, per aprire i ruoli della guardia cittadina e dava convegno poi nell'Anfiteatro alle ore 3 [del 20 marzo 1848] per la sua formazione, Aggiunse che le truppe verrebbero immediatamente, ritirate in caserma e, per conseguenza, la città veniva affidata alla lealtà e allo zelo dei soli cittadini. L'oratore affermò che la libertà di Verona sotto l'impero della nuova Costituzione era oramai assicurata, e non si doveva più esporre la città ad inutili conflitti e forse anche ad una inaspettata catastrofe. Concluse che gli Austriaci non dovevano più considerarsi quali oppressori e padroni, ma alleati ed uniti coi veronesi dai vincoli di una reciproca libertà. Invitava di cessare da una sterile agitazione, surrogando il tricolore con la bianca coccarda della tranquillità e della pace. […] La bandiera italiana venne tosto strappata dalla statua di Madonna Verona, sparirono dal petto dei cittadini le coccarde tricolori sostituite da un nastro bianco.
 
 
Che il bianco fosse l’emblema, sia dei moderati avversi al nazionalismo degli agitatori risorgimentali, sia dei controrivoluzionari, lo conferma un fatto occorso nel pomeriggio del 20 marzo 1848 e cioè che: 

Le pattuglie miste [costituite da soldati imperiali e Guardia Civica risorgimentale] vietavano la coccarda tricolore, volevano vedere la sciarpa bianca. A taluni vennero, a forza strappati e riappuntato al petto il segno di pace. Al Perini [Osvaldo Perini, che fu giornalista e nazionalista tra i più fanatici, con simpatie garibaldine] venne pure intimato di levar la coccarda che una giovinetta gli aveva posta di sua mano al cappello, il che avendo negato, vollero arrestarlo (2).

Insomma (con la parziale eccezione degli Stati della Chiesa e del Ducato di Modena, dove i fautori della Casa d’Austria d’Este si appuntavano al petto la coccarda bianco-azzurra (3)) e come accadeva a Napoli (4) e a Parigi (5) per i realisti borbonici, anche in queste nostre terre la coccarda candida o, quanto meno il bianco della sciarpa, era il segno distintivo dei legittimisti e dei sostenitori dell’Imperatore d’Austria. Cui i nazionalisti tricoloruti contrapponevano il rosso- bianco-verde. Esattamente come la coccarda con i colori di Venezia e di Verona (azzurro e oro) era l’emblema della Tradizione e dell’appartenenza cattolica e serenissima al tempo delle Pasque Veronesi e del dominio veneziano, in contrapposizione alla coccarda tricoloruta francese o dei giacobini loro alleati, col verde in luogo del blu. Nel Reame di Napoli la coccarda bianca borbonica era portata anche dai sanfedisti del cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria, al tempo della vittoriosa riconquista del Regno nel 1799 contro le armate rivoluzionarie francesi (6). Negli Stati della Chiesa i papalini e le truppe pontificie si fregiavano invece, a partire del 1808, dopo la seconda invasione francese del generale Miollis, della coccarda bianca e gialla (7), che in precedenza aveva i colori giallo-rosso del Senato e del Popolo romano. 
Nel Granducato di Toscana, nel 1847, Leopoldo II introdusse la coccarda bianca e rossa (i colori toscani) per soldati e personale di Corte (8). Che quello del Granduca sia stato un cedimento rispetto alla tradizionale coccarda nera austriaca, lo dimostra il fatto che nella rivoluzione del ‘48, ai primi di settembre “ il comando militare sostituì alla coccarda nera la coccarda nazionale toscana [bianco-rossa]; dalle nappe del cappello militare si tolse la cifra F. I.”, ossia il nome dell’Imperatore allora regnante Ferdinando I (9).
Prima ancora, alla caduta di Bonaparte (1815), il popolo abbatte le insegne dell’autoproclamato Imperatore e, al grido di Vive le Roi, i francesi si mostrano con la coccarda bianca dei Borbone al petto (10) .
Parimenti la popolazione francese che si oppone al golpe liberale parigino del luglio 1830, che avrebbe scalzato dal trono il legittimo Sovrano Carlo X, si fregiava della coccarda bianca, quale simbolo di fedeltà alla Monarchia e alla Tradizione (11) . Anche i fautori dello Zar portavano la coccarda bianca, mentre i nazionalisti polacchi, al tempo della rivoluzione del 1830, si appuntavano quella bianco-rossa (12) .
Tornando in Italia e a Verona in particolare, tralasciamo di descrivere il feroce odio anticattolico dimostrato fin da subito dai fautori della rivoluzione liberal-massonica del ‘48, particolarmente contro gli Ordini religiosi, come i Gesuiti o i Redentoristi, più fedeli al Papato e a una concezione tradizionale della politica e della religione. Così Polver parla apertamente di “ lebbra gesuitica ”(13) . Non può tacere tuttavia la circostanza che il convento gesuitico di San Sebastiano (divenuto, dopo l’esproprio imposto dalle leggi eversive, l’odierna Biblioteca Civica di Verona) fu evacuato dai religiosi e divenne caserma e bivacco della neo-costituita Guardia Civica, la milizia dei risorgimentali in Verona (14) . Naturalmente non mancavano già allora gli antesignani del clero traditore vaticanosecondista, se è vero, com’è vero, che i comandi imperiali vietarono prudentemente ai soldati di confessarsi da preti italiani, che potessero abusare sacrilegamente e in modo infame del delicatissimo Sacramento della Penitenza per sabotare il legittimo governo imperiale, inducendoli o alla diserzione o a tradire il giuramento prestato o a una sorta di pacifismo ante litteram , ripugnante con l’autentica dottrina cattolica (15) . Polver pubblica il lungimirante ordine segreto diramato da Radetzsky ai comandi, (16)ordine che, a più forte ragione, varrebbe in questi nostri tristi tempi di crisi nella Chiesa, per tener lontani i fedeli dal sedicente clero progressista: 

Siccome il clero italiano, pochi eccettuati, appartiene ai nostri più aperti e pericolosi nemici, così incarico il presidio dell'eccelso comando militare di vegliare per mezzo di ordini secreti a tutti i comandanti del reggimento affinché le truppe facciano la confessione pasquale presso nessun altro sacerdote che non sia il cappellano militare, onde sottrarsi al pericolo d'essere dai confessori sedotti. La vigilanza medesima dovrà portarsi in occasione delle così dette prediche quaresimali. É meglio che il soldato s'astenga dall’andar a predica, che ascoltarne una che l’abbia a rendere fellone. 
                                                                                              RADETZSKY
 
 
 
 
Note:
 
 
1 Polver Gaetano, Radetzky a Verona nel 1848 . Cronistoria documentata ed illustrata con poesie inedite di Cesare Betteloni . Edizioni Remigio Cabianca. Verona 1913, p. 91.
 
 
2 Ibi , p. 101.
 
3 Documenti risguardanti il governo degli Austro-Estensi in Modena dal 1814 al 1859 raccolti da Commissione apposita istituita con decreto 21 luglio 1859 e pubblicati per ordine del dittatore delle province modenesi. Modena 1860. Presso Nicola Zanichelli ecc. libraj ed editori. Tomo I, p. 63.
 
 
4 Dumas Alexandre. I Borboni di Napoli . Napoli 1862, vol. I, p. 61. Dumas, che fu una sorta d’inviato al seguito della criminale aggressione garibaldina al Reame di Napoli e di Sicilia, ne curò gli aspetti propagandistici. Non ha torto tuttavia, quando scrive: “ Quest’odio, da un parte, per la coccarda tricolore, dall’altro per la coccarda bianca o nera, si capisce senza difficoltà: la coccarda è un principio ” (ivi). Quella bianca è “ simbolo di fedeltà all’antico regime ”, quella nera distintivo di lutto contro la rivoluzione o di fedeltà alla dinastia d’Austria e aggiunge: “ La coccarda nera, non si dimentichi, è la coccarda austriaca ” (p. 53). Tanto da essere stata usata dalla Regina di Francia, Maria Antonietta, che un’Asburgo era. Dumas riferisce inoltre dell’uso polemico, a Napoli, della coccarda nera da parte dei realisti contro chi voleva dipingere i Borboni di nero, quasi fossero una dinastia straniera.
5 Così i controrivoluzionari nella Francia lacerata da quell’autentica esplosione satanica che fu la rivoluzione: “La fazione aristocratica e sacerdotale crebbe di numero, e già una gran folla portava coccarda bianca e andava gridando per le strade: Al diavolo la nazione , viva il Re, viva la Croce [con] villanie scambievoli fra i portatori di coccarda bianca e quei di coccarda tricolore attaccossi una baruffa molto aspra”. Papi Lazzaro, Comentarii della rivoluzione francese dalla congregazione degli Stati Generali fino alla morte di Napoleone Bonaparte . Milano 1840. Editrice Borroni Scotti. Vol. I , p. 137.
6 Perrone Clodomiro, Storia della Repubblica Partenopea del 1799 . Senza edizione. Napoli 1860, p. 397.

7 Essendo stati inquadrati i soldati pontifici nei reparti francesi, dopo l’occupazione di Roma, ad evitare ogni confusione, “Pio VII il 18 marzo [1808] ordinò alla sua Guardia Nobile e ai pochi rimastigli fedeli di differenziarsi con una coccarda bianca e gialla, i colori poi adottati nella bandiera vaticana e che alludevano alle chiavi d’oro e d’argento figuranti nello stemma della Santa Sede ” in I Fatebenefratelli nella rete sanitaria romana durante gli anni dell’occupazione napoleonica. 1° febbraio 2008, pagina web: http://adessoadesso.splinder.com/archive/2008-02 Cfr. pure De Boni Filippo, Così la penso. Cronaca , n. 8 e 9. Aprile e Maggio. S. Bonamici e compagni tipografi editori. Losanna 1847, p. 219.
 
8 Zobi Antonio, Memorie economico-politiche o sia de’ danni arrecati dall’Austria alla Toscana dal 1737 al 1859 dimostrati con documenti officiali. Presso Grazzini, Giannini & c. Firenze 1860. Vol. I, p. 237.

9 Giustinian Augusto, La prima epoca della rivoluzione veneziana. Reminiscenze. Cugini Pomba e comp. Editori. Torino 1850, p. 41.
10 Pacca Card. Bartolomeo, Memorie storiche del ministero de' due viaggi in Francia e della prigionia nel forte di San Carlo in Fenestrelle del Cardinale Bartolomeo Pacca, scritte da lui medesimo e divise in tre parti. Roma 1830, p. 412. Scrive un memorialista del tempo: Il 12 Marzo [1814], che dopo ventun'anno rammentava l'epoca del primo movimento de' Vandeisti, fu il giorno dell'ingresso trionfale del Duca d'Angouleme [il delfino di Francia Luigi Antonio di Borbone, 1775-1824] a Bordeaux. Il fedele e franco signor Lynch gridò il primo: Viva il Re, e pose la coccarda bianca. Nel medesimo punto sventolava sul campanile di San Michele la bandiera bianca, e in mezzo alle acclamazioni del popolo entrò il Duca d'Angouleme, e per così dire fu portato dalla folla alla Cattedrale, ove attendevalo un generoso difensore dell'augusta dinastia de' Borboni il venerabile Arcivescovo Daviau degno certamente d'accogliere egli il primo l'erede del trono, d'intuonare al suo cospetto l'inno della riconoscenza, e di insegnare all'eco antico del tempio a ripetere il voto di tutti i cuori francesi: Signore salvate il Re. Memorie di religione, di morale e di letteratura. Modena 1827. Per gli eredi Soliani tipografi reali. Tomo XII, p. 351.
 
11 Parigi 25 agosto [1830]. Sono scoppiati nella città di Nimes gravissimi tumulti, che posero in gran repentaglio la pubblica sicurezza. Il giorno 15 del corrente, nel quale fu proclamato il nuovo Re [Luigi Filippo d’Orleans, Re costituzionale e liberale] in quella città, essendo stata inalberata per ordine del nuovo prefetto la bandiera tricolore e fatta deporre la coccarda bianca ai soldati della guarnigione, le guardie del fuoco si rifiutarono d'intervenire alla solennità colla coccarda tricolore; il loro rifiuto pare sia stato il primo segnale dello scoppio de' malcontenti: il popolo prese verso sera a tumultuare, ed attruppandosi sulla piazza del teatro furono assalite furiosamente le persone che comparivano coi segni tricolorati, e non pochi furono gravemente feriti; l’agitazione che alla sera pareva sedata, si manifestò più minacciosa alla domane; un nuovo assembramento popolare ingrossò intorno alle caserme mandando il grido I Borboni, o la morte , mentre un altro assembramento di parte contraria muoveva loro addosso. Lo scoppio fu violento, e vi ebbero alcuni morti, altri feriti. Gazzetta Piemontese, martedì 31 agosto 1830, n. 104, p. 599.
 
12 Soltyk Roman, La Polonia e sua rivoluzione nel 1830 . Milano 1868. Corona e Caimi editori, p. 217. 
 
13 Ibi , 97 14 Ibidem .

15 Nel giorno medesimo in cui scoppiarono i primi moti, era stato letto nelle caserme di Verona un ordine del giorno col quale, in occasione delle prossime feste di Pasqua, si vietava ai soldati di confessarsi ai preti italiani, affinché questi non li avessero a rendere felloni. Polver Gaetano cit. p. 269.
 
16 Ibi , p. 269.
 
 
Fonte: