martedì 16 aprile 2013

Il feudalesimo in Sicilia nel periodo borbonico


Nel panorama politico siciliano, i Borbone furono gli unici ad impegnarsi realmente nel combattere i residui di feudalità che ancora funestavano il popolo. Lo strapotere di principi e baroni era tale però che il processo si svolse troppo lentamente, ma ciò bastò ai regnanti per essere malvisti e combattuti dalla casta baronale isolana.
Da Carlo di Borbone a Ferdinando IV, fu un susseguirsi di leggi atte a limitare il potere feudale e persino di togliere loro le terre, come la la Prammatica XXIV del 1792, ma sempre con scarsi risultati.
Tra i vari decreti contro la feudalità (la cui abolizione era stata confermata nel 1816, con la fondazione del Regno delle Due Sicilie) si ricordano, appunto, quelli del 11 dicembre 1816 e 19 dicembre 1838.
Ecco il decreto del 1838:

 
Decreto relativo al compimento dell'abolizione della feudalità, ed allo scioglimento de' dIritti promiscui in Sicilia.

 
Palermo, 19 Dicembre 1838.
FERDlNANDO II. Per Grazia Di Dio RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE, DI GERUSALEMME OC. DUCA DI PARMA, PIACENZA, CASTRO CC. CC. GRAN PRINCIPE EREDITARIO DI TOSCANA ECC. ECC. ECC.

 
Vedali i reclami che durante il nostro giro per le provincia della Sicilia ci sonò stati presentati dalle popolazioni, le quali hanno implorato la esecuzione delle leggi abolitive della feudalità , la pronta decisione delle annose cause pendenti fra' comuni e gli antichi loro feudatarii, lo scioglimento delle promiscuità , e la ripartizione delle terre per poterle chiudere e migliorare;

 
Considerando che l'agricoltura non può prosperare senza la proprietà assoluta di ogni fondo che dia il diritto di vietarne altrui l'ingresso.; che le terre non acquistino valore dove non esistano molti agiati coltivatori che l'amore della proprietà affezioni al suolo ; che le vaste contrade, nude, deserte, o mal coltivate che s'incontrano in Sicilia, nonostante la loro feracità naturale, ed il favore del clima , non potranno esser migliorale finché durerà la esistenza di più padroni sullo stesso fondo ;

 
Volendo accelerare la esecuzione delle leggi che da epoche remole hanno proscritta la indicata condizione delle proprietà, perniciosa egualmente alla pubblica prosperita , al ben essere delle popolazioni , ed agli stessi grandi proprietarii ;

 
Veduti i rapporti del nostro Luogotenente generale e degl'Intendenti, i voti de'Consigli provinciali, ed i pareri della Commissione nominata a quest' oggetto da Noi a' 17 del prossimo passato novembre, e riunita a Palermo;

 
Veduto l'articolo 9 della legge degli 11 di dicembre 1816, col quale fu conservata l' abolizione della feudalità in Sicilia, ugualmente che negli altri nostri domini continentali ;

 
Vedute le disposizioni della legge fondamentale dell'amministrazione civile del 12 dello stesso mese ed anno;

 
Abbiamo risoluto di decretare , e decretiamo quanto segue.

 
Art. 1. Gli Intendenti delle provincie della Sicilia verificheranno rigorosamenie , comune per comune , se vi esistano, e si esercitino ancora da qualsivoglia ex-feudatario, o corpo morale, o avente causa da essi , alcuno de' dritti feudali aboliti, e ne faranno distinto rapportò al nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni, il quale prenderà i nostri ordini proponendoci le misure da adottare.

 
2. Non credendo espediente che un tribunale di eccezione decida delle liti fra' comuni ed i loro antichi feudatarii, successori, o aventi causa, continueranno queste ad esser giudicate da' tribunali ordinarii ; ma i nostri procuratori generali e procuratori regii assumeranno da ora innanzi la difesa de' comuni , come parte principale, senza escludere però l'assistenza di qualunque interessato. Essi provocheranno quindi di uffìzio la spedizione de'giudizii; e per l'organo del nostro Ministro Segretario di Stato di grazia e giustizia informeranno il nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni, mese per mese, dello stato delle cause che difendono, del loro valore, e del successo.

 
3. Gli Intendenti delle stesse provincie procederanno allo scioglimento delle promiscuità ed alla divisione de' demanii comunali colle facoltà accordate loro nell'articolo 177 della legge del 12 di dicembre 1816, ed a norma del real decreto del primo di settembre 1819. Ne'casi di dubbio gl'Intendenti chiederanno l'avviso del nostro procurator generale presso la gran Corte de' conti di Palermo , il quale è incaricato di dar loro tutte le occorrenti dilucidazioni , e di corrispondere per questo ramo di affari col nostro Ministro Segretario di Stalo degli affari interni, cui sarà tenuto dar conto di ogni dubbio proposto e risoluto.

 
4. Lo stesso procurator generale sulle basi delle istruzioni approvate col decreto de' 10 di marzo 1810 formerà il progetto di quelle che dovranno servir di norma agli Intendenti per lo scioglimento delle promiscuità, per la divisione delle terre demaniali appartenenti ad ex-feudatarii, o a corpi morali di qualsivoglia titolo o denominazione, sulle quali i cittadini hanno esercitato gli usi civici, e per la suddivisione in quote fra i più poveri della parte che in compenso di tali usi ne sarà spettata a' comuni. Il progetto del procurator generale sarà proposto dal Ministro Segretario di Stato degli affari interni alla nostra sovrana approvazione fra il termine improrogabile di mesi due, inteso il Luogotenente generale.

 
5. Tutte le promiscuità non ancora sciolte, è quelle il di cui scioglimento non si trovi definitivamente approvato, lo saranno colle norme indicate ne' due articoli precedenti nel più breve tempo possibile, sotto la immediata responsabilità degl'Intendenti, i quali nella fine di ogni mese daranno conto al nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni del progresso e de' risultamenti di tutte le indicate operazioni.

 
Quanto alle promiscuità, il di cui scioglimento trovasi già pronunziato ed approvalo, e per le quali sia stato accordato a' comuni un canone annuale in vece di terreni, vogliamo che ogn' Intendente esamini in Consiglio d'Intendenza colla massima diligenza e posatezza se sieno stati lesi i dritti imprescrittibili delle popolazioni che erano in possesso dell'esercizio degli usi per lo sostegno e pe' comodi della vita, se sia stato tradito lo spirito della legge che avea in mira di formar nuovi proprietarii, di favorire l'agricoltura, e dare un effettivo compenso degli usi civici in una quota delle stesse terre da distribuirsi a' più poveri. Del risultamento di ogni esame sarà diretto al nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni ed al nostro Luogotenente generale un pieno e distinto rapporto, che ci sarà da essi rassegnato per le opportune risoluzioni. Questi rapporti verranno sottoscritti dall' Intendente e da tutti i consiglieri d'Intendenza.

 
6. Tutte le disposizioni contrarie a quelle del presente decreto sono abrogate.

 
7. I nostri Ministri Segretarii di Stato di grazia e giustizia e degli affari interni, ed il nostro Luogotetenente generale in Sicilia sono incaricati della esecuzione del presente decreto, ciascuno per la parte che lo riguarda.

 
Firmato, FERDINANDO.
Consigliere Ministro di Stato
Presidente interino del Cons. de' Ministri
Firmato, Marchese Ruffo.

 

 
Nella Legge Costituzionale del 1812 emanata dal Parlamento Siciliano fu scritto esplicitamente che la feudalità era abolita, ma leggendo bene gli articoli, si capisce che i feudi erano stati in realtà semplicemente trasformati in proprietà private, a disposizione dei baroni. Ecco un estratto:

 
"XI. Che non vi saranno più feudi, e tutte le terre si possederanno in Sicilia come in allodii(1), conservando però nelle rispettive famiglie l’ordine di successione, che attualmente si gode. Cesseranno ancora le giurisdizioni baronali; e quindi i baroni saranno esenti da tutti i pesi, a cui finora sono stati soggetti per tali diritti feudali. Si aboliranno le investiture, relevi, devoluzioni al fisco, ed ogni altro peso inerente ai feudi, conservando però ogni famiglia i titoli e le onorificenze.

 
6 Cessando la natura e forma de’ feudi, tutte le proprietà, diritti e pertinenze per lo innanzi feudali, rimaner debbono, giusta le rispettive concessioni, in proprietà allodiale presso ciascun possessore. Placet."

 
Infatti, a differenza di Murat che nel 1806 aveva abolito la feudalità motu proprio, in Sicilia la legge abolitiva fu emanata dal parlamento Siciliano e dunque dai baroni.
I danni creati da una legge scritta da "controllori che erano gli stessi controllati" non tardarono ad evidenziarsi: i contadini che fino ad allora avevano usufruito degli usi civici delle terre feudali adesso non potevano più farlo, mentre i baroni forti di tale acquisizione si sentivano sempre più potenti.
Quella Costituzione che fu fatta passare per "opera di modernizzazione", altro non era che un furto alle popolazioni contadine, che in quegli anni raggiunsero il livello più basso e vergognoso della povertà.
Ecco infatti cosa si scrisse a proposito della legge del 1812:

 
"coloro che l'avevano sancita furono i primi a frustrarne l'applicazione" ed ancora...."Nulla di strano che dalle ulteriori dicharazioni del Parlamento spuntassero fuori restrizioni, che attenuavano i danni che la predetta abolizione avrebbe portato agli ex baroni" (Società siciliana di storia patria, 1933)

 
Ma d'altronde, cosa dovevano ammodernizzare questi baroni visto che "per due secoli neanche un singolo ponte fu costruito o riparato in questo paese di monti, valli e correnti torrentizi, e il denaro raccolto svaniva in conti incomprensibili o addirittura inesistenti" (Storia della Sicilia medievale e moderna, 1983) tant'è che "nel 1820 non esisteva ancora una strada che collegasse Trapani con Palermo" (Comunicazioni e trasmissioni: la lunga storia della comunicazione umana , 2002).
Tra i compiti della Deputazione del Regno di Sicilia vi era infatti la gestione e l’amministrazione delle strade, dei ponti, e del sistema delle Torri costiere della Sicilia.
Come potè compiere Re Ferdinando, il grave errore di firmare quella legge, ben sapendo che avrebbe provocato quei danni?Probabilmente la convinzione di aver perso per sempre la parte continentale del Regno, a vantaggio dei francesi, lo stato di subalternità nei confronti dei principi siciliani e delle truppe inglesi, che ben presto trasformarono la sua permenenza a Palermo in una prigione dorata.
A perorare questa tesi fu l'affronto dell'esiliazione, voluta dagli inglesi, della regina Maria Carolina.
(Spesso si legge che i Borbone istituendo il Regno delle Due Sicilie con una fusione di quello Napolitano e quello Siciliano, avevano tradito i Siciliani e dunque che il loro trono fosse decaduto, ma alla luce di questi fatti e della Costituzione del Regno delle Due Sicilie nel 1816 - avvenuta peraltro con un accordo ufficiale tra le Potenze al Congresso di Vienna, che lo riconobbero - si capisce come mai il Parlamento Siciliano fu abolito ed abrogata la Legge Costituzionale del 1812).
La vicenda della "feudalità" tuttavia non si concluse mai, dopo il 1838 seguirono nuovi decreti e decreti interpretativi, perchè il potere delle baronìe era troppo forte ma tanto bastò a portare in Sicilia i moti del '48 (con l'appoggio di Francia ed Inghilterra) e creare un regno indipendente svincolato dai Borbone.
Stesso registro del 1860, ma con attori diversi vedi Garibaldi ed i Savoja.
Ma l'annosa questione del baronaggio ha radici lontane, essa infatti ha inizio quando Federico III d'Aragona, concesse alle baronie siciliane diritti su diritti per convincerle a sostenere la sua guerra contro gli Angioini, per la riconquista di Napoli.
Nelle Leggi costituzionali Fredericiane "Si Aliquem et Volontes", fu istituita per i baroni la "commerciabilità dei feudi"(2) che consentiva loro di venderli, acquistarli o cederli, insomma una forma di proto-privatizzazione: "Questa disposizione, a causa anche della cattiva interpretazione che ne venne data, creò una vera e propria anarchia baronale favorendo l'illegalità" (Terre, casali e feudi nel comprensorio barcellonese, 2009) .
Infatti il vero fine delle ricche concessioni elargite era l'ottenimento dell'appoggio militare ed economico dei baroni per l'aggressiva politica estera di Federico, il quale era ansioso di recuperare il maltolto (Napoli) in mano agli Angiò, forte delle rivolte anti-angioine che si erano verificate nelle province del Sud continentale come Reggio Calabria ed in Puglia e che portarono, in una determinata fase, le armate Aragonesi a prendersi la Calabria, la Basilicata e a dare persino battaglia agli angioini nelle acque del golfo di Napoli.

Davide Cristaldi

Fonte:
http://historiaregni.blogspot.it/