L’esilio di Pio IX a Gaeta (1848 – 1850)
“Maestà! Il Sommo Pontefice, il vicario di Gesù Cristo, il sovrano degli Stati della Chiesa fu costretto ad abbandonare la capitale de’ suoi dominii per non mettere a repentaglio la sua dignità e non aver l’apparenza di approvare col suo silenzio gl’indicibili eccessi che furono e sono tuttora commessi in Roma. Egli è a Gaeta, ma non vi dimorerà che per poco tempo, poiché non è sua intenzione di mettere in pericolo V.M. e la tranquillità de’suoi sudditi, quando la sua presenza potesse far correre alla medesima qualsiasi rischio.Il conte Spaur avrà l’onore di presentare a V.M. questo foglio. Egli le dirà il resto, che la brevità del tempo non permette di aggiungere intorno al luogo ave il Papa pensa di recarsi fra poco. Nella pace dell’animo, nella rassegnazione ai divini decreti, egli impartisce a V.M., alla sua reale sposa e famiglia la benedizione apostolica.
Mola di Gaeta, il 25 Novembre 1848 Pius P.P. Nonus”. Con questa breve missiva, Pio IX comunicò a Ferdinando II la sua fuga da Roma ed il riparo entro i confini delle Due Sicilie. Roma, in mano ai rivoluzionari, aveva già visto l’assassinio di Pellegrino Rossi e sua Santità aveva, così, deciso di lasciare la città e di raggiungere, nella notte del 24 Novembre, la vicina città di Gaeta per poi salpare verso le coste francesi.
La carrozza pontificia uscita dal Quirinale, si diresse al Colosseo; nei pressi della Chiesa dei Santi Pietro e Marcellino, della quale Pio IX era stato Cardinale protettore, il Santo Padre salì su quella del Conte Spaur e con questi imboccò la porta di San Giovanni in Laterano per raggiungere Albano dove ad attenderli v’era la contessa Teresa Spaur, con suo figlio minore Massimo, il suo precettore Padre Sebastiano Liebl ed un soldato. Un cambio di cavalli venne effettuato a Genzano e alle cinque e mezza del mattino i sei giunsero a Terracina; dopo poco, a Fondi, fu riparata una ruota disfatta e verso Mola di Gaeta ai viaggiatori si unirono anche l’ambasciatore spagnolo Gonzales d’Arnao ed il Cardinale Antonelli. La carrozza raggiunse alle dieci del mattino Mola di Gaeta dove, in incognito, il Papa alloggiò presso l’albergo Villa di Cicerone per poi trasferirsi dopo pranzo a Gaeta presso la locanda del Giardinetto.
L’accoglienza dei Borbone fu così amorevole che il Pontefice decise di restare nel Regno delle Due Sicilie e abbandonare l’idea di soggiornare in Francia. Ferdinando II aveva, infatti, accolto con grande letizia l’annunzio dell’arrivo del Papa e si era recato subito a Gaeta con tutta la famiglia reale dichiarando la sua totale disponibilità. L’accoglienza dei Borbone, in effetti, non poteva essere migliore, Pio IX venne alloggiato nel palazzo reale, il suo seguito adeguatamente sistemato nelle più ricche case gaetane e lo stesso Ferdinando II si trasferì in breve tempo a Gaeta con tutta la famiglia.
Pio IX, costretto ad abbandonare il proprio popolo, era arrivato nella città costiera travestito come un comune prelato e profondamente cambiato negli orientamenti politici perché tradito, dopo soli due anni di pontificato, da chi aveva usato le sue concessioni per fomentare la ribellione irrazionale ed anticlericale. A Gaeta Pio IX assunse una linea politica rigorosa, tesa a isolare la Repubblica. Rifiutò di ricevere le delegazioni del consiglio dei Deputati, dell’Alto Consiglio e del Municipio di Roma e strinse una fitta rete di relazioni diplomatiche per stroncare la rivoluzione. Ricordiamo al riguardo il Monitorio dell’1 Gennaio 1849 col quale il Papa condannò la Costituente romana come “atto di mascherato tradimento e di vera ribellione, meritevole dei castighi comminati dalle leggi e divine e umane” e fece divieto per cittadini di Roma di prendere parte nelle riunioni per le nomine degl’individui da inviarsi alla condannata Assemblea; ricordiamo inoltre la Nota del 18 Febbraio, firmata dal Cardinal Antonelli, con cui si invitavano i governi di Francia, Austria, Spagna e delle Due Sicilie ad “accorrere colle loro armi a ristabilire nei domini della Santa Sede l’ordine manomesso da un’orda di settarii”, ed ancora l’Allocuzione del 20 Aprile che rinnovava la condanna alla Repubblica Romana, gli appelli ai sovrani europei ed, infine, il Motu-proprio di Portici del 12 Settembre, col quale Pio IX concedeva un parte delle riforme previste dal Memorandum ai territori dello Stato romano restituiti al suo dominio da francesi ed austriaci.
Sua Santità Pio IX, appena giunto a Gaeta, aveva contattato ogni trono europeo e da ogni dove aveva ricevuto risposte di attenta solidarietà[1]. Commossi erano i messaggi giunti dalla Francia[2], ma le belle parole delle lettere e delle ambasceria non furono seguite dai fatti, nessuna potenza europea rispose alla richiesta di decisi interventi contro i rivoluzionari, eccetto la Spagna che il 21 dicembre 1848 invitò i governi a fissare un luogo per un congresso internazionale con l’intendo di “fare ogni cosa a favore del Papa, la quale fosse creduta necessaria per ristabilire il capo visibile della Chiesa in quello stato di libertà, di indipendenza, di dignità ed autorità che esige imperiosamente l’esercizio delle sacre sue attribuzioni“.
Francesi e Austriaci avviarono, così, prudenti contatti, mentre i Portoghesi aderirono senza indugio come i Napoletani che provarono ad estendere l’invito ai rappresentanti di Russia, Prussia e Inghilterra. Ad opporsi erano i Piemontesi ed i Toscani. Fu, però, l’ambasciatore austriaco a Parigi il 31 dicembre del 1848 ad andare oltre lanciando l’idea di un intervento comune franco-austriaco su Roma. Si passò, allora, alla formulazione di un piano dettagliato d’intervento con uno sbarco a Civitavecchia assistito dall’esercito napoletano mentre Gioberti propose, invece, che Pio IX fosse riportato a Roma da un corpo di spedizione piemontese, progetto ovviamente respinto dai diplomatici degli Asburgo.
L’11 febbraio all’ambasciatore austriaco venne comunicata una richiesta ufficiale di aiuto militare estesa a Francia, Spagna e Regno delle Due Sicilie, ma l’invito di Pio IX non coinvolse i Piemontesi che continuavano ad agire in antitesi alla corte pontificia[3]. Il 19 febbraio venne pubblicata la nota diplomatica relativa alle decisioni prese nel concistoro del 7 e il giorno dopo Gioberti lasciò il ministero[4]. Il 30 marzo 1849, il giorno dopo l’insediamento del Triumvirato a Roma, si aprì la prima seduta della Conferenza di Gaeta e si riunirono, su invito del Cardinale Antonelli, neo pro segretario di Stato di Pio IX, i plenipotenziari d’Austria, di Spagna, di Francia e del Regno delle Due Sicilie. Seguirono altre tredici, tutte svolte a Gaeta, tranne l’ultima, quella del 22 Settembre del 1849, che si tenne a Portici.
Nel trambusto generale un lieto evento segnava la vita di casa Borbone.
Ferdinando II aveva ben chiaro che gli interessi dello stato pontificio collimavano con quelli borbonici, la difesa della Chiesa era la difesa della sua politica, il consolidamento del Regno scosso dalla sedizione interna esplosa il 12 gennaio in Sicilia ed il 18 maggio a Napoli e chiaramente animata dai protagonisti della politica internazionale. Contribuì poi senza dubbio alcuno a rafforzare i legami amichevoli tra il Re e il Pontefice, la nascita della principessina Maria delle Grazie Pio di Borbone, proprio da Pio IX battezzata[5], ed ancora più importante fu l’incontro del con gli Alcantarini del Santuario della Montagna Spaccata da cui scaturì l’enciclica Ubi Primum, nella quale il Pontefice chiese all’episcopato di fargli conoscere il suo pensiero e quello dei fedeli riguardo all'Immacolata Concezione[6].
Fu dunque a Gaeta che Pio IX decise di iniziare l’iter che lo avrebbe portato a proclamare nel 1854 il dogma dell'Immacolata Concezione, proprio a Gaeta dove il pontefice amava pregare davanti all'immagine dell'Immacolata di Scipione Pulzone conservata nella splendida Cappella d'Oro del complesso dell'Annunziata. Dinanzi al mare agitato il Pontefice meditò sulle parole del cardinale Luigi Lambruschini: “Beatissimo Padre, Voi non potrete guarire il mondo che col proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione. Solo questa definizione dogmatica potrà ristabilire il senso delle verità cristiane e ritrarre le intelligenze dalle vie del naturalismo in cui si smarriscono”. Quattro anni dopo apparirà la Vergine Santissima, presso la grotta di Massabielle-Lourdes, affermando: “Io sono l’Immacolata Concezione”[7].
Torniamo invece sul versante politico militare dove ognuna delle quattro potenze giocò la sua partita con estrema arguzia per espandere il proprio peso sullo scacchiere europeo. Il 20 aprile il generale francese Oudinot, ricevuto il mandato di raggiungere Roma, si apprestò a partire[8].
Lo sbarco francese fu salutato dal Papa con parole di encomio per le quattro potenze cui aveva rivolto la sua richiesta di aiuto[9]. Il primo vascello francese giunse nella rada di Gaeta il 23 Aprile: “Martedì 24. – il Signor Capitano Duquesne, Comandante del Jena, si è questa mane recato con tutti gli Ufficiali componenti lo Stato Maggiore del Vascello, presso del S. Padre per tributargli i dovuti omaggi, e baciare il Sacro piede; ed è stato benignamente accolto dalla S.S. Indi ei è recato con gli stessi suoi Uffiziali a fare gli omaggi medesimi al Re (S.N.) che lo accolse con la bontà e gentilezza propria del suo animo grande e dignitoso”.
Le speranze di Pio IX erano tutte riposte in Oudinot: “Siamo persuasi che questa armata sarà l’istrumento col quale verrà quanto prima ripristinato l’ordine pubblico nello Stato della Chiesa, aprendo così per sua parte la strada al sovrano di poter confermare l’opera sua al bene dei sudditi e molto più al Pontefice il libero e indipendente esercizio del suo mandato”.
Sin dalla quarta sessione della Conferenza, però, i Francesi avevano chiesto a Pio IX un proclama che annunciasse le sue intenzioni liberali, lo fecero con maggiore intensità all’indomani della sconfitta.
Il 28 aprile, nella quinta sessione della Conferenza di Gaeta, si diede il via libera all’esercito di Ferdinando II che, forte di seimila uomini, prese Terracina, Velletri e Frosinone. Eppure, nonostante tale enorme dispiegamento di forze, il 30 aprile l’esercito di Oudinot, bombardato dalle artiglierie e dalle fucilerie sistemate sulle fortificazioni di Porta Angelica, fu costretto a ripiegare su Castel di Guido. Intanto, il 29 aprile, l’esercito napoletano, affiancato dagli Spagnoli, aveva passato il confine per Portella e puntava su Terracina penetrando fino a Palestrina, da dove però il 9 Maggio fu costretto a ripiegare. Gli Austriaci, invece, passato il confine, avevano occupano Ferrara, Bologna e Ancona.
Il 20 maggio si aprì la sesta sessione della Conferenza di Gaeta, la più lunga, i Napoletani, fiancheggiati dagli Austriaci, accusano i francesi di contrasti nelle operazioni militari, li criticarono perché impediscono di alzare la bandiera dello stato pontificio nei territori conquistati. I Francesi risposero che la bandiera da alzarsi è quella di Francia perché le popolazioni romane non volevano l’antico vessillo e perché Parigi voleva “l’indipendenza del Papa come la libertà del popolo romano”. Di fronte all’ostracismo francese e alla sconfitta di Velletri del 19 Maggio, il Ministro degli Esteri Napoletano Targioni consigliò al plenipotenziario napoletano, il Conte Ludolf, di ritirarsi dalla Conferenza, ma Ferdinando II vi si oppone.
Il primo giugno Oudinot riprense la guerra, nello stesso mese gli Spagnoli raggiunsero Priverno, gli Austriaci occuparono Ascoli, i Napoletani Ferentino. Così a fine mese, perse pure le porte San Pancrazio, Portese, San Paolo, Cavalleggeri e del Popolo, l’Assemblea repubblicana adottò la seguente decisione: “In nome di Dio e del popolo, l’assemblea costituente cessa una difesa divenuta impossibile e sta al suo posto”.
Il giorno dopo i Francesi entrarono in Roma[10].
Il 15 Luglio furono rialzate le bandiere pontificie sulla torre del Campidoglio e su Castel Sant’Angelo e di li a poco nelle strade dell’Urbe fu affisso un proclama di Pio IX: “PIUS P.P. IX a Suoi fedelissimi sudditi, Iddio ha levato in alto il suo braccio ed ha comandato al mare tempestoso dell’anarchia e dell’empietà di arrestarsi. Egli ha guidato le armi cattoliche per sostenere i diritti dell’umanità conculcata, della fede combattuta, e quelli della Santa Sede e della nostra sovranità. Sia lode eterna a Lui, che anche in mezzo alle ire, non dimentica la misericordia.
Amatissimi sudditi, se nel vortice delle spaventose vicende il nostro cuore si è saziato di affanni sul riflesso di tanti mali patiti dalla Chiesa, dalla religione e da voi, non ha però scemato l’affetto col quale vi amò sempre e vi ama. Noi affrettiamo coi nostri voti il giorno che ci conduca di nuovo fra voi, e, allorquando sia giunto, noi torneremo col vivo desiderio di apportarvi conforto, e con la volontà di occuparci con tutte le nostre forze del vostro vero bene, applicando i difficili rimedi ai mali gravissimi, e consolidando i buoni sudditi, i quali, mentre aspettano quelle istituzioni che appaghino i loro bisogni, vogliano, come noi lo vogliamo, vedere guarentite la libertà e l’indipendenza del Sommo Pontificato, così necessarie alla tranquillità del mondo cattolico.
Intanto pel riordinamento della cosa pubblica andiamo a nominare una Commissione che, munita di pieni poteri e coadiuvata da un ministro, regoli il governo dello Stato. Quella benedizione del Signore che vi abbiamo sempre implorata anche da voi lontani, oggi con maggior fervore la imploriamo, affinché penda copiosa verso di voi; ed è grande conforto all’animo nostro lo sperare che tutti quelli che vollero rendersi incapaci di goderne il frutto pei loro traviamenti possano esserne fatti meritevoli mercé di un sincero e costante ravvedimento”.
Angelo D'Ambra
Bibligrafia
R. Moscati, Ferdinando II nei documenti diplomatici austriaci, Napoli 1947;
L.C. Farini, Lo Stato romano dal 1815 al 1850, Torino 1853;
Giacomo Margotti, Le vittorie della Chiesa nel primo decennio del pontificato di Pio IX, Milano 1857;
G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974;
A. Mencucci e M. Brunetti (a cura di), Atti senigallesi nel Bicentenario della nascita di Pio IX, Senigallia 1992;
G. Andrisani, Pio IX a Gaeta, Gaeta 1974;
A. D’Ambra, La Controrivoluzione in Terra di Lavoro e la Riconquista di Roma (1848-1849) in Vicum rivista di studi storici, mar.-giu. 2012;
[1] Scrive Farini: “L’esultante Pontefice frattanto, fissata la sua dimora in Gaeta, aveva resi consapevoli i Governi dell’Europa delle ragioni per cui esulava ed aveva chiesto in generale aiuto a tutti i principi e a tutte le nazioni. E tutte le nazioni si commovevano alla voce di lui. Il generale Cavaignac il 28 novembre 1848 significava all’Assemblea nazionale di Francia che, ricevuta notizia dei casi di Roma, aveva, per via telegrafica, comandato che s’imbarcassero 35000 uomini sopra tre fregate a vapore e veleggiassero a Civitavecchia per assicurare la persona e la libertà del Pontefice; né da questo pietoso suo proposito potevano rimuoverlo le dichiarazioni e le proteste che faceva contro di lui il Governo romano in data 8 dicembre 1848.
Il re di Sardegna mandava oratori a Gaeta il marchese di Montezemolo e monsignor Riccardi, vescovo di Savona; i quali ricevuti dal cardinale Antonelli e presentati al Pontefice, mostravano lettere del piissimo loro sovrano Carlo Alberto, che offriva al Santo Padre asilo degno nella città di Nizza o in qualunque altra del regno gli fosse piaciuta, e armi altresì per ristorare gli ordini costituzionali dello Stato romano…
Prussia e Russia, l’una protestante, l’altra scismatica, offrivano il loro soccorso all’esule Pontefice, e l’imperatore delle Russie protestava solennemente ‘che il Santo Padre avrebbe trovato in lui un leale aiuto per farlo ristabilire nel suo potere spirituale e temporale”
[2] Riporta Margotti: “In Francia, appena si seppe la partenza di Pio IX da Roma, fu una gara in tutte le città per possederlo. Ed essendo corsa voce che la Santità Sua si recherebbe in Parigi, tosto il signor Chapot, rappresentante del popolo pel Gard, insieme con 84 deputati dell’Assemblea, presentavano un progetto di decreto, in virtù del quale una deputazione di rappresentanti si dovesse recare presso il Sovrano Pontefice, affine di portargli l’omaggio dell’Assemblea nazionale e del popolo francese. Il Consiglio generale di Vaucluse, rappresentante il bel paese che altre volte formava il contado di Avignone, l’1 dicembre 1848 ‘ deponeva ai piedi dell’esule Pontefice l’espressione di un rispettoso dolore e lo supplicava a fissare la sua residenza nell’antica metropoli de’ suoi successori’.
Il Consiglio municipale della città di Avignone il 2 dicembre 1848 pregava il Papa ‘a ricordarsi, in mezzo alle misteriose tribolazioni accumulate sul suo capo da Colui che dispone degli imperi, che egli aveva in Aivgnone dei figli, il cui amore non gli poteva essere tolto giammai. Che se la Francia tutta sospirava il favore di possederlo sulla terra sua ospitale, Avignone lo sospirava più specialmente in memoria dei vincoli che l’avevano unita coi Sovrani Pontefici, memoria di cui la Santità Sua avrebbe trovato tracce in tutti i cuori’.
Marsiglia desiderava di avere il Santo Padre nel suo seno. E ‘la terra di Francia, gli scriveva quel vescovo il 5 dicembre 1848, giubilerebbe santamente e i suoi abitanti la crederebbero benedetta da Dio come voi toccaste le nostre sponde’; e il principe di Chinay diceva a Pio IX il 5 dicembre 1848: ‘Io so che la nobil terra di Francia sarà lieta di potervi offrire il palazzo medesimo degli antichi suoi re, ma se gli avvenimenti consigliassero a Vostra Santità di preferire la calma e l’isolamento di un soggiorno particolare, io vi supplico di disporre, come di cosa vostra, del castello di Menars’”
[3] In data 15 Febbraio Gioberti scriveva: “Il Parlamento piemontese non permetterà mai che l’Austria intervenga negli affari di Roma. Noi abbiamo centomila uomini, che potranno combattere contro il tedesco nello Stato romano così bene come sulle rive del Mincio e dell’Adige. La Corte di Gaeta pensi bene ai suoi interessi. Il Piemonte potrà protestare, potrà impedire che l’Austria intervenga nel cuore dell’Italia, e disonori con le sue armi la causa santa del pontefice”.
[4] Il Regno sabaudo di li a poco romperà l’armistizio di Salasco e, battuto dagli austriaci, capirà quali siano le sue reali capacità militari.
[5] “A 2 Agosto 1849 ad ore 11 ¾ della sera è partorita nella città di Gaeta Sua Maestà la Regina Maria Teresa d’Austria Augusta Consorte di Sua Maestà il nostro Re Ferdinando 2° (D.G.) ed ha data alla luce una Reale Principessina. Il S. Battesimo li è stato conferito il giorno 3 Agosto 1849, nella Basilica Arcivescovile della Città, dal Regnante Sommo Pontefice Pio Pp. IX assistito dagli Eminentissimi Cardinali Riario Camerlengo di S.R.C., ed Antonelli Pro-Segretario di Stato. I nomi imposti alla R. Neonata sono Maria delle Grazie, Pio, Vincenzo Ferreri, Michele Arcangelo, Ferdinando, Francesco d’Assisi, Luigi Re, Alfonso, Gaetano, Giuseppe, Pietro Paolo, Gennaro, Luigi Gonzaga, Gaspare, Melchiorre, Baldassarre, Alberto, Giorgio, Vincenzo, Sebastiano, Rocco, Andrea Avellino, Francesco di Paolo, Felice, Emmanuele, Anna, Filomena Sebazia, Lucia, Apollonia, Luitgarda. Era tenuta nelle braccia della prima Dama d’onore di S.M. la Regina , D. Mariantonia Serra de’ Duchi di Cassano Principessa di Bisignano. Stavano presenti in Chiesa S.M. il Re N.S. colla R. Famiglia, moltissimi Cardinali, il Ministero Napolitano, i Grandi della R. Corte, il Cerimoniere Maggiore (della M.S.) Sig. D. Alfonso D’Avalos Marchese di Pescara e Vasto. Presenziavano ancora tutti i Ministri, ed Ambasciatori Esteri presso la S. Sede , che avevano seguito in Gaeta il Pontefice. Tutte le Autorità Civili, e militari di Gaeta, e le Ufficialità de’ diversi Corpi Militari, quivi stanziati: i Comandanti ed Uffiziali della Corvetta Cristina, e Vapori Napolitani; infine il Reetro-Ammiraglio della Squadra Spagnuola con tutti gli Uffiziali de’ Leni, e Vapori al suo comando, ed i Comandanti con Uffiziali de’ Vapori Francesi, tutti ancorati nel Golfo di Gaeta”
[6] Secondo alcuni studiosi invece Ferdinando II avrebbe chiesto al Pontefice come contraccambio per l’ospitalità la definizione dogmatica dell'Immacolata, patrona delle Due Sicilie.
[7] Il dogma concepito a Gaeta fu introdotto da Pio IX nel 1854 con la bolla Ineffabilis Deus che affermerà non soltanto che Maria è l’unica creatura ad essere nata priva del peccato originale, ma aggiunge altresì che la Madre di Dio per speciale privilegio non ha commesso nessun peccato, né mortale né veniale, in tutta la sua vita: “Nel primo istante della sua concezione Maria è stata preservata intatta da ogni macchia di peccato originale, per singolare grazia e privilegio di Dio, in considerazione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore”.
[8] Oudinot lanciò il seguente proclama: “SOLDATI! Il presidente della repubblica mi ha affidato il comando in capo del corpo di spedizione del Mediterraneo. Quest’onore impone grandi doveri, che il vostro patriottismo mi aiuterà a compiere. Il governo, risoluto di mantenere dovunque la nostra antica e legittima influenza, non ha voluto che i destini del popolo italiano possano restare in balìa di una potenza straniera, o di un partito in minoranza. Ci affida la bandiera della Francia per inalberarla sul territorio romano quale luminoso attestato delle nostre simpatie.
Soldati di terra e di mare, figli della stessa famiglia, ponete in comune la vostra devozione ed i vostri sforzi, questa con fratellanza vi farà sopportare con gioia i pericoli, le privazioni e le fatiche.
Sul suolo ove vi disponete a discendere incontrerete ad ogni passo monumenti e memorie, che potentemente stimoleranno i vostri istinti di gloria. L’onore militare vuole ed esige disciplina e prodezza, non l’obliate mai. I vostri padri ebbero il raro privilegio di far prediligere il nome francese dovunque combatterono. Come essi, rispetterete le proprietà ed i costumi delle amiche popolazioni; nella sua premura per le quali il governo ha prescritto che tutte le spese dell’esercizio fossero loro immediatamente pagate in danaro; in ogni occasione prenderete per regola di condotta questo principio di alta moralità.
Colle vostre armi, coi vostri esempi farete rispettare la dignità dei popoli, che tollera meno la licenza che il dispotismo.
L’Italia ne andrà così debitrice di ciò che la Francia seppe conquistare per se stessa, l’ordine nella libertà”.
[9] “Dopo aver invocato l’aiuto di tutti i principi, chiedemmo tanto più volentieri soccorso all’Austria confinante a settentrione col nostro Stato, quanto ch’essa non solo prestò sempre l’egregia sua opera in difesa del temporale dominio della Sede apostolica, ma dà ora certo a sperare che, giusta gli ardentissimi nostri desiderii e giustissime domande, vengano eliminate da quell’impero alcune massime riprovate sempre dalla Sede apostolica, e perciò a bene e vantaggio di quei fedeli ricuperi ivi la Chiesa la sua libertà. Il che, mentre con sommo piacere vi annunziamo, siamo certi che arrecherà voi non piccola consolazione.
Simile aiuto domandammo alla Francia, alla quale portiamo singolare affetto e benevolenza, mentre il clero e i fedeli di quella nazione posero ogni studio nel attempare e sollevare le nostre amarezze ed angustie con dimostrazioni amplissime di filiale devozione ed ossequio.
Chiedemmo ancora soccorso alla Spagna, che, grandemente premurosa e sollecita delle nostre afflizioni, eccitò per la prima le altre nazioni cattoliche a stringere tra loro una filiale alleanza per procurare di ricondurre alla sua sede il padre comune dei fedeli, il supremo pastore della Chiesa.
Finalmente siffatto aiuto chiedemmo al regno delle Due Sicilie, in cui siamo ospiti presso il suo re, che, occupandosi a tutt’uomo nel promuovere la vera e solida felicità de’ suoi popoli, cotanto rifulge e pietà da servire d’esempio a’ suoi stessi popoli. Sebbene poi non possiamo abbastanza esprimere a parole con quanta premura e sollecitudine quel principe stesso ambisce con ogni maniera di officiosità e con chiari argomenti di attestarci e continuarci continuamente l’esimia sua figliale devozione che ci pota, pur tuttavia gl’illustri suoi meriti verso di noi non andranno giammai in oblio. Né possiamo altresì in alcun modo passare sotto silenzio i contrassegni di pietà, di amore e di ossequio che il clero e il popolo dello stesso regno, fin da quando vi entrammo, non cessò mai di porgerci”.
[10] Il proclama francese recita: “Abitanti di Roma! L’esercito comandato dalla repubblica francese sul vostro territorio ha per fine di restituire l’ordine desiderato dalle popolazioni. Pochi faziosi e traviati ci hanno costretto a dare l’assalto alle vostre mura. Ci siamo impadroniti della città, adempiremo al debito nostro.
Fra le testimonianze di simpatia che ci hanno accolto dove erano incontestabili i sensi del vero popolo romano, sonosi levati alcuni rumori ostili che ci hanno condotti in necessità di reprimerli immediatamente.
Ripiglino animo le genti dabbene ed i veri amici della libertà, i nemici dell’ordine e della società sappiano che, se mai si rinnovassero dimostrazioni oppressive provocate da una fazione straniera, sarebbero severamente punite. Per garantire efficacemente la pubblica sicurezza, io faccio le provvisioni seguenti:
Ogni podestà è temporaneamente concentrata in mano della autorità militare, la quale immediatamente invocherà il concorso dell’autorità municipale. L’Assemblea ed il governo, dei quali il regno violento e oppressivo incominciò dall’ingratitudine e finì con un’empia guerra contro una nazione amica delle popolazioni romane, hanno cessato di esistere. I circoli e le società politiche sono chiusi, sono proibite temporaneamente ogni pubblicazione per le stampe, ogni affissione non permessa dall’autorità militare. I delitti contro le persone e le proprietà saranno conosciuti e puniti dai tribunali militari. Il generale di divisione Rostolan è nominato governatore di Roma; il generale di brigata Sauvan, comandante; il colonnello Sol, maggiore di piazza”.
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