Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.
L'annunzio dello sbarco di Garibaldi produsse una grande commozione in Reggio. I rivoluzionari speravano un prossimo trionfo: e sebbene erano certi della fellonia de' duci, temeano de' soldati e degli uffiziali sapendoli fedeli al Re. I Borbonici prevedevano sciagure e fellonie atteso tutto quello che era succeduto in Sicilia. Quindi ognuno facea di tutto per mettersi in salvo, ed occultare quanto avea di più prezioso; dapoichè si era sparsa ad arte la voce, che vincendo i soldati avrebbero costoro saccheggiata la città.
Intanto, i settari si davano da fare per preparare la facile entrata de' garibaldini in Reggio: preparavano armi, spargevano false notizie, sorvegliavano le mosse della truppa, e ne informavano Garibaldi.
L'Intendente Bolani, dopo di aver preparato tutto al facile trionfo de' settari, accompagnato da tre cittadini di Reggio, si recò da Salazar, e lo pregò che rispettasse la città in caso di un conflitto. Costui rispose: Non temete, noi non siamo croati.
O Salazar! la dicesti troppo grossa: volesti usare una frase allora di moda per mostrarti all'altezza dei tempi, e dicesti un grande sproposito. E quando mai i poveri Croati sono stati marinai bombardatori?
Avresti dovuto nominare qualche altra nazione non lontana, la cui flotta avea bombardato pochi anni prima una nobile città italiana perché si era ribellata per riprendere quello che le aveano ingiustamente tolto, e che possedea da secoli. Avresti potuto dire: Noi non siamo Briganti accovacciato in qualche castello regio che bombarda senza scopo militare, ma per infamare se stesso e la causa che finge difendere.
Il generale Gallotti, appena intese che Garibaldi si avvicinava a Reggio, diede una
cordiale stretta di mano a' componenti il comitato rivoluzionario e si chiuse nel castello, lasciando quasi in ostaggio la sua famiglia a quel comitato.
Il generale Melendez avea già riferito al ministero della guerra la condotta sleale di Gallotti, e lo pregava che lo togliesse via da quel posto tanto importante. Pianelli, al solito, facea il sordo; fu per Melendez una fortuna il non essere chiamato a Napoli, e trattato peggio del leale ed accorto general Marra.
Era in Reggio il marchese di Beaullieux Colonnello Antonio Dusmet Comandante del 14° di linea, che facea parte della brigata del generale Briganti. Quel Colonnello ebbe offerti ducati trentamila da un vecchio settario in toletta da signore, mandato da Garibaldi. Dusmet, tipo di gentiluomo e di vero militare, disse a quel vecchio settario: «non ti rispondo con la punta de' miei stivali, perché voglio rispettare la tua canizie, vecchio imbecille!»
Bisogna riflettere che Garibaldi offriva trentamila ducati ad un semplice Capo di Reggimento; figuratevi che altre somme pagò a superiori che lo secondarono!...
Era proprio una manna celeste per tutti coloro che non aveano né onore né coscienza. Ma era il popolo ingannato che pagava tutto!
Briganti, convinto che Dusmet era uomo d'onore, e che volea battersi davvero, ordinò che le 4 compagnie scelte del 14° Reggimento raggiungessero la sua brigata in S. Giovanni: al Dusmet rimasero otto compagnie di soldati. Purnondimeno questa forza sotto gli ordini di un prode ed onesto militare fu giudicata anco pericolosa per la rivoluzione; quindi il generale Gallotti comandante della Piazza di Reggio, ordinò che altre quattro compagnie del 14° di linea entrassero nel Castello per rinforzare quella guarnigione. Del Reggimento dunque che il Dusmet comandava, rimasero 4 compagnie con le quali dovea prestare il servizio di Piazza, e la guardia alle carceri.
Il 20 agosto, per ordine di Gallotti, quel Colonnello, con circa 300 soldati del 14° Reggimento, un pelottone di Lancieri, e quattro obici, uscì da Reggio in cerca del nemico. Ma Gallotti lo mandò ove sapea ben certo che non trovasse garibaldini. Dusmet si fermò sul ponte del torrente Colapinace, mandò pochi soldati per eseguire una perlustrazione, e costoro si avanzarono sino al torrente di S. Agata.
L'Intendente Bolani, temendo lo zelo di Dusmet, cioè che si avanzasse troppo, spediva alcuni villici suoi cagnotti, i quali fingevano che venissero da Melito, e passando in mezzo a' soldati, assicuravano tutti che Garibaldi si fosse internato nelle montagne dalla parte opposta di Reggio.
Il Gallotti, per due giorni intieri avea fatigato que' poveri soldati con marce e contromarce: la sera del 20 li fece rientrare in città, ed ordinò che bivaccassero nella piazza del Duomo. Il Dusmet gli fece osservare che quel luogo era male indicato per la sicurezza di pochi soldati stanchi di tante fatighe, e proponeva che la sua gente bivaccasse sulla spianata del Castello per essere sicuro alle spalle, e correre con facilità ove il bisogno lo richiedesse. Il Gallotti si negò, e facendo uso di quel malaugurato potere che avea, obbligò il Dusmet a bivaccare nella Piazza del Duomo. E fece di più: per meglio ingannarlo gli assicurò che avea notizie sicurissime che Garibaldi
non si era ancor mosso dal luogo dello sbarco, quindi che potea star tranquillo, e che il generale Briganti sarebbe giunto tra non guari in Reggio alla testa della sua brigata. Dusmet fu pure assicurato dalla guardia nazionale, che Garibaldi era ben lungi, e che avea presa la via opposta de' monti. Vedete quante infamie si perpetravano da un generale traditore, per assassinare un prode ed onesto subalterno, perché costui volea difendere la propria bandiera.
Ad onta di tutte le assicurazioni, il Dusmet, da militare accorto, giudicando sempre pericoloso il luogo ove bivaccava, dispose gli avamposti, e con particolarità sulla strada di S. Filippo ch'è ben lunga, e mena alla campagna. Dispose inoltre una pattuglia di lancieri, acciò percorressero quella strada, e le diede l'ordine di avvertirlo di tutte le notizie necessarie alla sicurezza del bivacco.
Dopo che il Dusmet tutto dispose per la sicurezza de' suoi soldati, verso mezzanotte si adagiò sopra una sedia sotto il portone del Palazzo Ramirez e si trovavano con lui altri uffiziali, ed il suo giovanetto figlio Francesco, già 2° sergente del 14° di linea.
A notte avanzata furono spenti i fanali, e tutto fu involto nel buio. Dusmet fatigatissimo dormicchiava assieme agli altri uffiziali che lo circondavano.
S'intese un chi va là
dalla parte della strada di S. Filippo, ed immediatamente un colpo di fucile. Il Dusmet balza in piedi, e supponendo che qualche sentinella per un malinteso zelo avesse voluto tirare quella fucilata senza necessità, si affrettò a verificare personalmente la causa di quella novità. Si diresse allo sbocco della strada S. Filippo, ove vide una pattuglia di Guardia nazionale che si avanzava verso la piazza del Duomo. Allora disse a' suoi subalterni che stessero tranquilli a' loro posti, dappoichè non erano quelli nemici, ma Guardie nazionali. E per meglio assicurare i suoi dipendenti si spinse verso la pattuglia; ma dietro di questa erano un buon numero di garibaldini, ed altri se ne trovavano lì vicino comandati da Bixio, introdotti nella città dalle stesse Guardie nazionali con l'intesa dell'Intendente e del Generale Gallotti.
Dusmet fu circondato da garibaldini, i quali gl'intimarono di arrendersi: ma costui rispose con fierezza militare, quindi ne nacque una lotta tra il colonnello ed i suoi assalitori. In quella giunge il giovanetto Dusmet con l'arma in pugno per difendere suo padre: ma pria che avesse dato addosso a' nemici stramazza semivivo colpito da una palla di fucile! Corsero allora alcuni soldati per guarentire il proprio Colonnello il quale si difendeva energicamente, per non restar prigioniero, e per vendicare il diletto suo figlio moribondo. I garibaldini vedendo la risoluta resistenza di quel prode, gli tirarono una fucilata a bruciapelo che gli perforò il fianco destro e lo fecero cadere anche semivivo accanto al figlio..!
Oh! l'idea di questi due martiri del proprio dovere mi lacera il cuore, ma il mio spirito si rinfranca, perché in tanta corruzione e tanti tradimenti trova almeno ove riposarsi, su due uomini di valore antico e di meritata lode, qual fiore esotico nel deserto..! apparent rari nantes in gurgite vasto.
Gloria a' prodi ed onorati figli di questa bella Napoli!
La distinta famiglia Dusmet acquistò quest'altro titolo verso i suoi concittadini, quello cioè di poter vantare due martiri immolati pel migliore e più cavalleresco de' sovrani, Francesco 2°.
Questa famiglia illustre è originaria dal Belgio, e seguì la sorte di Filippo V: e per dimostrare che i Dusmet sono stati sempre tipi di gentiluomini e fedeli alla propria bandiera, ci piace qui tradurre dal francese un brano dell'Opuscolo in 8° col titolo Quattro Reggimenti Valloni
al servizio del Re delle due Sicilie, notizie del Generale Guillaume. Bruxelles 1869 M. Kayer.
Tipografo dell'Accademia Reale del Belgio. Pagine 20 e nota S. Pagine 41.
«... Così disparvero gli ultimi avanzi di Quattro Reggimenti Valloni, Borgogna,
Namur, Hainaut e Anversa; che s'illustrarono in un gran numero di battaglie avendo portato con onore il nome Belga fino all'estremità dell'Europa. Il loro attaccamento Monarchico, lor fece dividere la sorte di Filippo V, e le vicende della politica l'inviarono a morire al servizio di un paese, ove nulla poteva ricordar loro la patria assente.
Ma almeno costoro lasciavano nel Regno di Napoli, i migliori ricordi, ed i loro discendenti che tutt'ora esistono sono sempre superbi della buona reputazione dei loro padri, e nelle occasioni la seppero giustificare.
Allorchè gli avvenimenti, che contribuirono qualch'anno addietro alla caduta della Monarchia di Napoli, vi erano ancora de' Belgi nell'armata di questo paese; e più di uno occupava delle posizioni elevate nello Stato militare del Re Francesco II, e fra gli altri si distinse nel 1860 Antonio de Smet (ovvero Dusmet) Colonnello del 14° Reggimento di Linea, che nel medesimo anno morì gloriosamente nel combattimento di Reggio. Egli era un discendente dell'antico Colonnello del Reggimento d'Anversa Marchese Giuseppe de Smet Signore de Beaulieux, Originario di Alost, ove esistono ancora più membri di questa famiglia che dava alla Spagna, ed al Regno di Napoli, un gran numero di valorosi Officiali.»
L'assassinio del Colonnello Dusmet fu raccontato con circostanze diverse, anche dal sig. Morisani abitante di Reggio, ed accuratissimo storico de' fatti guerreschi di Calabria del 1860. Ma io ho apprese le circostanze di quell'assassinio da uno stretto parente dello stesso Colonnello Dusmet, il quale assistette costui ed il figlio pria che morissero; quegli cessò di vivere il 31 Agosto, e questi l'8 Settembre. I due moribondi raccontarono essi stessi il fatto come io già l'ho narrato.
Dopo che i garibaldini si sbarazzarono dei due Dusmet, si avventarono contro i soldati che dormivano nella Piazza del Duomo. Costoro svegliati dal rumore delle fucilate, corsero in confusione a prendere le armi col solito grido di Viva il Re,
e si atteggiarono disperata difesa. Le Guardie nazionale appena subodorarono il pericolo fuggirono, ma la lotta era sempre disuguale. Que' pochi soldati presi alla sprovvista erano fulminati da tutti i punti; nondimeno si difendevano col coraggio della disperazione. In quel disordinato conflitto fu ferito il Maggiore Aletta mentre riordinava i soldati per opporli al nemico. Il distinto Capitano Ahinlè supplisce Aletta ferito, riordinando i soldati li spinge contro il nemico al grido di Viva il Re.
Il vecchio e venerando Tenente colonnello Zattera salva la bandiera uccidendo colui che se l'avea presa. Si combatte sempre in disordine, ed i soldati sopraffatti dal numero sempre crescente de' nemici, i quali faceano fuoco da tutti i punti, si ritirarono alla volta del castello conducendo seco i quattro obici. Gallotti non volle aprire le porte del castello, e lasciò i suoi dipendenti esposti al fuoco del nemico.
I garibaldini, dopo la ritirata dei soldati, si lanciarono nella città ed alzarono barricate. Nel castello erano circa mille soldati freschi i quali fremevano di battersi. Il generale Gallotti pregato dagli uffiziali e da' soldati, perché si risolvesse ad uscire dal Castello e dare addosso a' nemici in disordine, si negò assolutamente. I garibaldini rassicurati che Gallotti non li molestasse, presero l'offensiva contro il castello.
Gallotti non dava alcun ordine, stava nella camera del custode sdraiato sopra un materasso, e si fingeva addolorato per la sorte della sua famiglia, che avea lasciata in Reggio in mano al Comitato rivoluzionario, come pegno della sua fellonia. Il Maggiore Iannuzzi, comandante del Castello, uomo intelligente ma timido, ligio alle formalità, non dava alcun ordine perché dipendeva dal generale Gallotti. Gli uffiziali di artiglieria Masone Colonnello, Barca Capitano, invece di animare e dirigere i soldati, se ne stavano nel magazzino de' viveri, assieme al Commissario di guerra Bozza, e al maggiore del Genio Renner.
Il generalissimo Vial, da Monteleone avea dato ordine al generale Briganti di correre con la sua brigata sopra Reggio, e a Melendez di soccorrere costui in caso di bisogno; Briganti che dovea condursi subito a Reggio rimase a Villa S. Giovanni: spinto però dagli ordini pressanti di Vial, e dagli Uffici di Melendez, radunò la sua brigata e partì. Non volle condurre con sè quattro obici che avea, dicendo che erano solamente buoni per la parata di Piedigrotta. Il capitano di artiglieria Vincenzo Reggio perché gli rispose, che quegli obici erano stati buoni in Catania, ne ebbe rimproveri ed insulti. La brigata Briganti partì da S. Giovanni il 20 agosto, mentre dovea partire il 19, marciò lentamente, ad ogni momento faceva alto; giunse a Reggio la mattina del 21, quando già i garibaldini si erano impossessati della Città, ed aveano munita questa di barricate. Villa S. Giovanni dista poche miglia da Reggio, e Briganti impiegò un giorno ed una notte per percorrere quella via: costui tutto avea ben calcolato per favorire il nemico!
Giunta la brigata sul ponte dell'Annunziata, il Briganti non dava alcun ordine di attacco, ma due compagnie del 14° di linea, condotte dal capitano Gagliani per impazienza ed impeto attaccarono la Città. Briganti fece di tutto per farle ritornare indietro, però quelle si avanzarono, presero barricate e scompigliarono il nemico.
Quel tristo generale, degno del nome che portava, in luogo di sorreggere quelle due compagnie lanciandosi con tutta la brigata sopra i nemici, volle imitare il Landi di Calatafimi. Ordinò la ritirata di tutta la colonna, lasciando quelle due compagnie alle prese con circa tremila garibaldini, le quali dopo di aver combattuto ed arrecato non poco danno al nemico, vedendosi abbandonate, traversarono Reggio sempre combattendo, e ripararono nel Castello, ch'è alla parte opposta.
Il Briganti, come se avesse fatta una passeggiata militare, rifece la via, e riposò tra Gallico e Catona, lasciando la brigata senza avamposti come se fosse in tempo di pace.
Allora si videro de' garibaldini scorrazzare per quelle campagne, ed a' soldati era proibito dar loro addosso. Si videro pure de' messi di Garibaldi in camicia rossa andare e venire da Reggio a Catona, e confabulare in grande intimità col Briganti.
Mentre si combattea in Reggio, la squadra napoletana forte di quel giorno di sette legni, comparve minacciosa di fronte alla Città: prima stette inoperosa. Alla vista però di una bandiera rossa issata nel castello dal Capitano Ahinlè, il quale suppliva la inerzia di Gallotti, il duce Salazar, volendola fare da Croato,
lanciò alcuni proiettili innocui ai garibaldini, e che solamente devastarono l'alveo del torrente Colapinace. Eseguita quest'opera degna di soldati guastatori, il Salazar come se avesse avuto altri ordini da eseguire, lasciò il lido reggino e si diresse con tutta la squadra verso il Faro di Messina, e più non comparve.
Si erano combattute diverse scaramucce dai soldati del Castello: era già tempo che il Gallotti desse compimento a quella tragicommedia. Questo Generale in cambio di uscire dal Castello con i suoi mille uomini, e mettere in due fuochi il nemico, mentre le due compagnie del 14° combatteano i garibaldini dentro Reggio, appena vide la ritirata di Briganti, alzò bandiera bianca
e trattò la resa del Castello con una persona sconosciuta, la quale era andata più volte a visitarlo misteriosamente. Il Castello avea viveri per un mese, di ciò Gallotti non tenne conto, come non tenne conto di tutte le ordinanze di piazza. Nel cedere quel Castello era stato convenuto tra Gallotti e Garibaldi, che i soldati dovessero lasciare le armi. Però i soldati stavano in sul ribellarsi all'udire una tale vergognosa condizione, e già voleano lanciarsi sulla Città per attaccare i garibaldini. Fu allora che Garibaldi pel suo meglio, si contentò della cessione del Castello, ed elesse di lasciare le armi ed il bagaglio a' soldati. I regi in tutti que' fatti d'armi perdettero circa 50 uomini tra morti e feriti, i garibaldini ne perdettero 147.
I soldati feriti restarono senza soccorso nelle strade della città. Il colonnello Dusmet fu lasciato nel palazzo arcivescovile ove fu trasportato sulle braccia de' suoi soldati; indi in casa della sorella assieme al figlio moribondo.
Il popolaccio reggino, invase e saccheggiò il Castello: i primi arrivati voleano vendere il bottino, ma i sopravvenuti, non tennero conto del dritto del primo occupante. Saccheggiarono il collegio de' Gesuiti, e l'ospedale militare destinato a' feriti.
Padre Gavazzi, in camicia rossa, fece erigere una tribuna nel largo del Duomo ed arringò il popolo. Spifferò le solite cicalate di Roma, Venezia, di libertà e redenzione dei popoli, cose tutte che oggi mostrano l'inganno e la caricatura. Però, criticò il bando garibaldesco che esiliava tanti cittadini come retaggio e fomite di vendette, e disse essere indegno di un popolo civile. Si mostrò sorpreso del numero de' proscritti, e soggiunse che in tutta Toscana due soli individui erano stati espulsi. Conchiuse con dare un buon consiglio al popolo, cioè di distruggere immediatamente il Castello. Ma ciò non piacque né a Garibaldi, né a liberali caporioni: questi signori
chiamano le fortezze nidi di tirannide finchè sono queste in potere de' re legittimi; quando poi le conquistano essi, in qualunque modo, dicono che sono buone per la difesa del Popolo.
Al consiglio di Gavazzi, il popolo accorse al Castello; il comandante garibaldino, già istruito di tutto, promise la sua cooperazione per distruggere quel Castello, ma disse, che prima fosse necessario togliere la polvere ivi depositata: e così il popolo appena salito sul trono, fu ingiustamente e grossolanamente corbellato da' suoi redentori. Il Castello di Reggio è ancor lì, pronto a dare a' Reggini una lezione all'occorrenza, simile a quella che diede la flotta Sarda, e i liberati castelli della città di Genova a questa stessa città nel 1849.
I Reggini fecero i soliti baccanali, conseguenza necessaria del trionfo della rivoluzione debaccante, o come li chiamerebbe Garibaldi: sfogo di popolo.
Tutti erano fidenti nelle promesse strombazzate da' settari, che sarebbero aboliti i dazii, la leva, e che sarebbero oramai tutti ricchi. Si vedeano garibaldini vestiti in mille fogge, abbracciarsi coi popolani, soldati, e sott'uffiziali disertori fatti già uffiziali. Ed in mezzo a quel baccano, si vedeano pure generose,
preti e frati dimentichi della loro dignità con coccarde tricolori, con pistole e crocefissi; e tutti gridavano: siamo fratelli, viva la libertà, viva Garibaldi!
Tutti coloro che si erano occultati nell'ora del pericolo, uscirono burbanzosi ed armati, col vestito in affettato disordine, raccontando le loro prodezze ed episodii immaginarii, che aveano inventati quando stavano occultati nel fieno sotto le catapecchie.
Garibaldi prese stanza nel palazzo d'Intendenza, e formò un governo provvisorio. Fece governatore della Provincia Antonio Plutino, uno de' mille, coadiuvato dal fratello Agostino. Il Bolani che avea tradito il suo giuramento, e che tanto si era cooperato con la sua fellonia pel trionfo di Garibaldi, restò a denti asciutti, e se ne lagnò poi amaramente in una sua lettera diretta al sig. Salazaro, scritta il 22 luglio 1862.
I primi decreti del governatore Plutino, furono che tutte le casse pubbliche stessero a sua disposizione; ciò è troppo naturale: perché dunque si fa la rivoluzione? Indi destituì in massa tutti gl'impiegati, e fece occupare i posto vacanti da' suoi parenti ed amici.
In ultimo atteggiandosi a Silla o a Mario, pubblicò le liste di proscrizione contro distinti cittadini per nascita, per lucroso patrimonio, o perché aveano occupato alte cariche. E così questo novello tiranno in caricatura, si svelenì del sofferto e meritato esilio di 12 anni, e delle sue penurie.
Il 23 agosto i soldati s'imbarcarono per Napoli, ma Garibaldi non volle consegna re i fucili a' soldati infermi giusta la capitolazione.
Il Generale Comandante la piazza di Reggio, Carlo Gallotti si condusse pure a Napoli, ove stette nascosto finchè il Re non lasciò la capitale. Giunto Garibaldi uscì dal suo nascondiglio e si presentò a costui. Il Dittatore lo presentò a D. Liborio factotum,
e gli disse: Vi raccomando costui è uno dei miei migliori amici.
Fu nominato ispettore delle guardie doganali con un soprassoldo mensile.
All'entrata de' Piemontesi in Napoli fu collocato al riposo, e fu ricevuto con mal garbo e maltrattato dal ministro della guerra, perché senza essere stato riconosciuto avesse indossato la divisa di Generale piemontese.
O presto o tardi, è questa la meritata sorte di tutti i traditori.
Nella provincia reggina furono consumate molte vendette private, e cominciarono sin dal 21 agosto di quell'anno, appena Garibaldi entrò in Reggio. I fratelli Morgante assassinarono per vendette private, e con modi atroci quattro individui della famiglia Imerti ed un Calzolaio. Il vecchio Prete D. Francesco Imerti ed un nipote Carlo, si salvarono miracolosamente da que' cannibali riparando in mezzo la Brigata Melendez.
Nel 1864, s'istituì un regolare processo contro i fratelli Morgante, la sezione di accusa di Catanzaro ritenne che tal reato era assolto da un decreto di Garibaldi, e tal sentenza fu convalidata dalla Cassazione di Napoli!
(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).