martedì 1 ottobre 2013

REAZIONE E BRIGANTAGGIO NEL VESUVIANO



Mentre il Cerullo organizzava la sua banda a Marano, un altro soldato sbandato dell’esercito di Francesco II, il ventiduenne Vincenzo Barone da S. Anastasia, finanziato inizialmente dai vari comitati ...borbonici, raccoglieva uomini sul Monte Somma. La banda Barone, che contava più di un centinaio di elementi, cominciò la sua attività requisendo armi ai contadini di S. Anastasia, Pollena e Trocchia. Ben presto, però, finiti i finanziamenti dei sostenitori, cominciò a taglieggiare le persone benestanti dei dintorni. Barone, che si dichiarava «comandante delle forze regie», nello spedire le lettere con le richieste di danaro, prometteva sempre che, dopo la restaurazione del regno borbonico, le somme sarebbero state debitamente restituite. Tra i primi ad essere presi di mira (20 giugno 1861) furono due nobili: la marchesa Cappelli che abitava nella sua villa di Pollena ed il duca di Marigliano che si trovava nel suo casino di S. Anastasia. Lo stesso giorno la banda, al grido di «Viva Francesco II», si scontrò con la guardia nazionale di Somma e con un drappello di carabinieri. E una settimana dopo aggredì la forza pubblica che stava traducendo nelle prigioni di Napoli due dei suoi uomini (Antonio Merone e Vincenzo Terracciano), arrestati durante quello scontro. Le richieste di danaro continuarono sino alla fine di agosto. Visto, però, che per questa via si riusciva a raccogliere poco o niente, decise di ricorrere alle maniere forti. Fu così che la sera del 15 agosto, nel rione Madonna dell’Arco di S. Anastasia, una quarantina di uomini della sua banda assalì la casa di Maria Notaro, moglie di Salvatore Russo, e, dopo aver ucciso con una fucilata il genero Salvatore de Simone che stava sulla porta, mise tutto a soqquadro portando via oggetti d’oro, telerie ed altro per un valore complessivo di 400 ducati. Cinque giorni dopo toccò essere ucciso a Felice Miceli nella cui casa si pensava fossero nascosti ben 30.000 ducati. Questo episodio fu l’inizio della fine. Il 23 agosto, infatti, a Colle S. Alfonso, la banda venne sbaragliata dalla forza pubblica. Il Barone, che, insieme a Gennaro Maione, era riuscito miracolosamente a sopravvivere, però, venne scoperto ed ucciso il 28 dello stesso mese in un casino di Trocchia, dove la sua amante, Luisa Mollo, che per tutto quel tempo era stata al suo fianco, lo aveva fatto nascondere.
Nello stesso periodo si annidò sulle montagne tra Castellammare ed Amalfi la banda di Ferdinando Varone da Lettere «aspettando il ritorno di Francesco II per il cui interesse si somministrò ai suoi uomini per qualche tempo una diaria». Oltre ad aver commesso una serie di requisizioni, di estorsioni e di sequestri, si scontrò con la guardia nazionale di Gragnano il 23 luglio del 1861, con quella di Angri il 5 di agosto e con quella di Lettere il 13 agosto e il 19 dicembre.
La sua azione più importante, però, fu senza dubbio l’invasione del comune di Agerola avvenuta il 7 di agosto. Quel giorno il Varone ed i suoi uomini percorsero le vie del paese al grido di «Viva Francesco II» tumultuando ed eccitando gli abitanti alla ribellione. Poi, dopo aver abbattuto la porta del carcere e liberato i sei detenuti che c’erano dentro ed aver requisito undici fucili della guardia nazionale, prima di andar via saccheggiarono le case di Giuliano Acampora, Pasquale Florio, Angelo Fusco, Giuseppe Fusco, Maria Felicia Fusco, Domenico Iovino e Gaetano Pisacane.
Ma la più famosa banda filoborbonica del Napoletano fu senza dubbio quella capitanata da Antonio Cozzolino alias Pilone da Boscotrecase, ex soldato del disciolto esercito di Francesco II. Questa, formatasi tra l’aprile ed il maggio del 1861 «allo scopo di distruggere la forma di governo», compì la sua prima azione degna di nota solo il successivo 9 luglio. Quel giorno, infatti, invase il comune di Boscotrecase attaccando la guardia nazionale, impossessandosi di molti dei suoi fucili e liberando i detenuti del carcere.
Durante lo scontro rimasero gravemente feriti i militi Antonio Marano, Carmine Sorrentino, Girolamo Marano e Ferdinando Rendina. I primi due, a causa delle ferite riportate, morirono alcuni giorni dopo. Due altri episodi del genere si verificarono l’anno successivo. Il primo di essi avvenne la sera del 25 marzo a Terzigno. Qui la banda Pilone aggredì il posto della guardia nazionale ferendo gli ufficiali Antonio Bifulco e Giuseppe Boccia ed il milite Gaetano Manzo. Poi, dopo essersi impadronita di sette daghe, dieci fucili ed una tromba militare, distrusse a fucilate i ritratti di Vittorio Emanuele e di Garibaldi. Molto più spettacolare fu l’invasione di Pimonte avvenuta il successivo 18 aprile per opera delle bande riunite di Antonio Cozzolino e di Ferdinando Varone. Queste, infatti, sfilando per il paese con bandiera bianca e ritratto dell’ex re al grido di «Viva Francesco II, viva Pio IX» per istigare il popolo alla rivolta, per prima cosa si diressero alla casa del capitano della guardia nazionale, Vincenzo Limuro, saccheggiandola e lasciandola in preda alle fiamme. Poi, dopo avere incendiato l’archivio comunale, misero a soqquadro il posto della guardia nazionale infrangendo lo stemma reale, lacerando la bandiera tricolore e distruggendo a fucilate le uniformi dei militi. Fatto questo, prima di lasciare il paese, assalirono la casa di don Raffaele Mascolo portando via la cassa comunale con 800 ducati e saccheggiarono le case di Marianna Apuzzo e di altre persone. La banda Pilone, che per i suoi bisogni quotidiani si avvaleva dell’opera di diversi manutengoli, per sopravvivere, come del resto tutte le altre, fu costretta a ricorrere ai sequestri di persona ed all’uso del pugno di ferro contro i suoi delatori. Esemplari in tal senso sono il rapimento di Luca Fusco avvenuto il 6 aprile del 1862 (richiesta di 60 ducati di riscatto), il taglio dell’orecchio di Domenico Sorrentino ed il rapimento di sua figlia Felicia (30 marzo dello stesso anno).
Tra i colpi più memorabili messi a segno dalla banda ci fu il sequestro del marchese Michele Avitabile, presidente del Banco di Napoli, avvenuto il 30 gennaio del 1863 a Torre del Greco mentre questi, uscito dal suo casino di località Pagliarella, si era portato verso la ferrovia per andare a caccia di lepri. Il riscatto pagato fu notevole per quei tempi (40.000 lire) anche se molto distante dalla cifra inizialmente richiesta ( ben 85.000). Dopo questa clamorosa estorsione la banda fu incalzata sempre più da vicino dalla forza pubblica. E, la sera del 28 febbraio, fu sorpresa in una casa di Boscotrecase da un drappello di carabinieri. Durante il conflitto a fuoco che seguì, mentre il Pilone con parte della banda riusciva a fuggire, molti dei suoi uomini furono uccisi o fatti prigionieri. Così parecchi dei suoi uomini, si convinsero che ormai i Borbone non sarebbero mai più tornati sul trono, e cominciarono a costituirsi alle autorità o a prendere la via delle Americhe per evitare il carcere, lui ed alcuni fedelissimi (Giovanni Pagano, Biagio, Giuseppe e Luigi Panariello, Ludovico Perugino ed Angelantonio Russo) cercarono di rifugiarsi a Roma per mettersi sotto l’alta protezione di Francesco II. Il loro disegno, però, non andò a buon fine perché, il 28 agosto del 1864, prima che potessero entrare in città, furono arrestati ed imprigionati dai soldati francesi. Solo il 6 marzo del 1869 il Cozzolino, insieme ad un altro famoso capobanda (Bernardino Viola), riuscì ad evadere dal carcere pontificio. La sua libertà, comunque, durò poco più di un anno e mezzo. Lasciata Roma nel febbraio del 1870, infatti, fu intercettato ed ammazzato dalla polizia il 14 ottobre a Napoli mentre stava camminando in via Foria.


 di Mario D’Agostino