Proponiamo la traduzione integrale in italiano della quarta parte del saggio Yankee Confederates: New England Secession Movements Prior to the War Between the States, da parte di Thomas J. DiLorenzo, tratto dal libro Secession, State and Liberty curato da David Gordon. Thomas J. DiLorenzo è professore di economia alla Loyola University-Maryland’s Sellinger School of Business and Management, senior fellow del Ludwig von Mises Institute e membro associato dell’Abbeville Institute. Saggista economico-politico e storico indipendente autore dei libri The Real Lincoln: A New Look at Abraham Lincoln, His Agenda, and an Unnecessary War e Lincoln Unmasked: What You’re Not Supposed To Know about Dishonest Abe. (Traduzione di Luca Fusari)
I primi Yankee e il loro atteggiamento verso la schiavitù
Nei primi anni del XIX° secolo, la Costituzione permise che cinque schiavi potessero essere conteggiati come tre bianchi per determinare la rappresentanza congressuale. Questa procedura prevista, secondo gli “Yankee Confederati”, fu l’ennesimo motivo razionale per avere la secessione: credevano che questa disposizione artificiale fosse elettoralmente contro di loro. Come Josiah Quincy ha sostenuto,
«la rappresentazione dello schiavo è la causa di tutte le difficoltà che abbiamo. (…) [A causa di questa disposizione,] gli Stati del Sud hanno una loro influenza nei nostri consigli nazionali del tutto sproporzionata alla loro ricchezza, alla loro forza e alle loro risorse».37
I Federalisti non avevano espresso obiezioni morali alla clausola dei tre quinti. In realtà, essi affermarono che i neri avrebbero dovuto essere contati come pari a zero, piuttosto che i tre quinti di un uomo bianco, ai fini della rappresentanza congressuale. Inoltre non mossero alcuna obiezione sulla schiavitù nel Sud affinché essa terminasse.
La loro insensibilità verso la schiavitù non dovrebbe sorprendere, considerando le credenze radicate nei Federalisti per quanto riguarda il primato dell’omogeneità etnica e la loro convinzione nella superiorità della discendenza inglese. Anche se la stessa schiavitù fu abolita nel Massachusetts negli anni ’80 del XVIII° secolo, le comunità del Massachusetts, dalla fine del secolo scorso, avevano «rafforzato le loro leggi per i poveri, allontanando i negri dai loro confini, e stabilito scuole e chiese segregate».38 I capi Federalisti tennero anche delle conferenze affinché i neri liberi non cercassero di salire duramente la scala economica e sociale, ma «fossero contenti nell’umile stazione in cui la Provvidenza vi ha posti», disse Jedidiah Morseun, un chierico Federalista in un discorso alla Negro Congregation of Boston’s African Meeting House del 1808.39
Se i Federalisti pensavano che la clausola dei tre quinti della Costituzione era opprimente, avrebbero considerato l’abolizione della schiavitù nel Sud e l’estensione del diritto di voto ai neri come un disastro assoluto. Come lo storico James Banner ha concluso: «un negro liberato, si presentava come una minaccia politica più di uno schiavo. Ciò che i Federalisti volevano ottenere nel loro attacco alla clausola dei tre quinti non era l’abolizione della schiavitù, ma l’abolizione della rappresentanza del negro».40 A causa della loro convinzione che il potere politico del Sud era perpetuo, i Federalisti non videro alcuna prospettiva per eliminare la clausola dei tre quinti, almeno non nella loro vita. La secessione era dunque l’unica opzione sensata.
La guerra del 1812
Lo statista John Randolph della Virginia era un sostenitore del governo limitato molto più coerente che il suo conterraneo Thomas Jefferson. Egli mise spesso alla gogna Jefferson su temi quali l’embargo, e alla fine divenne un caro amico e collaboratore politico Federalista di Josiah Quincy. Randolph collaborò con i Federalisti nell’opporsi all’interventismo jeffersoniano, tra cui la guerra del 1812.
Negli ultimi momenti di dibattito congressuale prima che la guerra fosse dichiarata, Randolph assieme a Calhoun si batté contro l’entrata in guerra fino a quando non fu dichiarata dal presidente della Camera e fautore della guerra Henry Clay. Calhoun preparò in seguito un disegno di legge che dichiarò guerra alla Gran Bretagna il quale venne approvato 79 a 49 voti, con New York, il New Jersey, il Delaware, e tutto il New England che votò per la pace.41
Per il leader Federalista, la guerra fu l’ultima goccia. «Siamo tassati oltre i nostri mezzi, e sottoposti alla coscrizione militare», scrisse allarmato George Morris, governatore di New York, a Timothy Pickering.42 «Non possiamo esistere, in condizioni di povertà e di disprezzo, senza commercio estero», scrisse Pickering, e «con una guerra o qualsiasi sua prosecuzione con la Gran Bretagna, il commercio sarà annientato».43
La legislatura del Massachusetts dichiarò la guerra «inutile ed insensata» e la denunciò come «un sacrificio immotivato degli interessi del New England».44 Dozzine di incontri cittadini furono organizzati nel New England per denunciare la guerra. La legislatura del Massachusetts incaricò i suoi cittadini di non fare i volontari: «non ci siano volontari ad eccezione che per una guerra difensiva».45 Quando il governo federale venne nel New England per arruolare reclute, quelli che furono arruolati furono perlopiù dei criminali detenuti o persone accusate fittiziamente di non aver pagato i loro debiti. I tribunali Federalisti stabilirono che, in quanto debitori, questi uomini erano di “proprietà” dei creditori e quindi non potevano lasciare lo Stato.
Le Corti supreme del Massachusetts e del Connecticut stabilirono inoltre che gli Stati avessero il diritto di decidere se esistevano esigenze che giustificassero il richiamo della milizia dello Stato, nullificando la dichiarazione di guerra da parte del governo nazionale. Rifiutando di combattere una guerra che non riguardava direttamente il proprio suolo, il New England efficacemente si separò.
Il presidente Madison rispose a questa secessione de facto sconfessando la politica di opposizione ad un esercito permanente del suo vecchio amico Jefferson, «che ci schiacciasse con oneri pubblici sottostando a loro»46, annunciando che avrebbe istituito «questo grande e permanente esercito che è proibito dai principi del libero governo», convalidando così i timori degli oppositori alla guerra come John Randolph.47
Il Tesoro degli Stati Uniti presto andò in bancarotta a causa della guerra, e il governo raddoppiò tutti i dazi alle importazioni, danneggiando ulteriormente l’economia statunitense. Poche entrate furono raccolte, poiché il commercio internazionale era praticamente a un punto morto. Questa politica di protezionismo estremo artificialmente stimolò alcune industrie nazionali che sorsero per compensare la perdita dei beni precedentemente forniti in modo più efficiente attraverso il commercio internazionale.
Protetti dalla concorrenza internazionale, rapidamente si organizzarono politicamente per assicurare la continuazione di tale protezione anche dopo la guerra. E la ottennero perché, secondo l’economista Frank Taussig, «gli uomini che li avevano portato alla guerra (… ) si sentivano in misura responsabili per i suoi risultati».48
Così la guerra del 1812 creò decine di industrie protette, in particolare nel Nord più industrializzato, che costituirono il nucleo del sostegno politico per le politiche commerciali protezionistiche nei decenni a venire. Questi interessi protezionistici contribuirono a far precipitare la crisi della nullificazione del 1832 e, alla fine portarono alla guerra tra gli Stati.
Non va dimenticato che Fort Sumter era, dopo tutto, una casa doganale in cui le autorità federali raccoglievano le tariffe e le tasse che interferivano con il commercio del Sud. Il fatto che la maggior parte dei ricavi raccolti in questo modo fossero spesi nel Nord fece infuriare i secessionisti sudisti.
Continua…
Note
37 Banner, To the Hartford Convention, p. 102.
38 Mary Stoughton Locke, Anti-Slavery in America From the Introduction of African Slaves to the Prohibition of the Slave Trade, 1619-1808 (Boston: n.p., 1901).
39 Banner, To the Hartford Convention, p. 106.
40 Ibid., p. 107.
41 Bartlett, John C. Calhoun, p. 75.
42 Lettera di George Morris a Timothy Pickering, 1 Novembre 1814, in Adams, Documents Relating to New-England Federalism, p. 390.
43 Lettera di Pickering a Edward Pennington, 12 Luglio 1812, in Adams, Documents Relating to New-England Federalism, p. 390.
44 Powell, Nullification and Secession in the United States, p. 208.
45 Ibid.
46 Ibid., p. 121.
47 Ibid., p. 212.
48 Frank Taussig, Tariff History of the United States (New York: Putnam’s Sons, 1931), p. 18.