Corriere della Sera - Sette - Dicembre 2000
Un inno nazionale dedicato a Ferdinando II. Un caloroso saluto al «re della patria». Così risulta da un inedito del compositore di Busseto che farebbe di lui un fan della corte napoletana. Ma che per il momento divide e fa arrabbiare (molto) gli storici
di Mirella Armiero
Un inedito di Giuseppe Verdi fa notizia, specie alla visiiia dell'anno celebrativo. Ma fa addirittura rumore se si tratta di un «Inno nazionale» dedicato a Ferdinando II di Borbone e ora ritrovato negli archivi del Conservatorio napoletano San Pietro a Majella. Autore del testo è Michele Cucciniello, lo spartito è stato stampato dall'editore Girarci nel 184S a Napoli. Il ritrovamento a opera del maestro Roberto De Simone è stato annunciato dal quotidiano il Mattino che con grande rilievo ha riprodotto il frontespizio dello spartito definito «inedito». E la scoperta non ha mancato di suscitare reazioni. Verdi non è stato forse il simbolo dellltaìia mazziniana e unita sotto i Savoia?
Eppure, nell'Inno, il Borbone è salutato come «re della patria». Per questo e altri motivi, non tutti concordano con l'attribuzione dell'Inno (che ha la stessa musica dell'Emani, precisamente del motivo «Si ridesti il Leon di Castiglia») al compositore di Busseto.
C'è chi si dichiara possibilista: è il caso dello storico Giuseppe Galasso, per il quale la firma di Verdi sotto l'inno borbonico è «plausibile» perché il clima dell'epoca era tale da far sì che i liberali guardassero con speranza ora all'uno ora all'altro dei sovrani italiani.
Del resto Ferdinando II, proprio in quel 1848, fu il primo re della penisola a concedere la Costituzione sotto la spinta dei moti siciliani. Ma tu una breve meteora, e l'esperienza si chiuse ancora una volta con l'uso della forza.
Sulla stessa linea, anche se da tutt'altra prospettiva, è Roberto Selvaggi, anima della manifestazione del «Viaggio nella memoria» alla riscoperta dei Borbone. «L'inno di Verdi? Lo conoscevo già», dice, «ne avevo sentito parlare in Puglia. Ed è un'altra prova che i Borbone non erano così cattivi come li si dipinge. Forse Verdi avrà lavorato su committenza per Ferdinando II, un monarca che concesse la Costituzione con convinzione. Poi è successo quel che sappiamo, ma non fu colpa sua».
Ma qual è l'opinione degli storici della musica? E perché parlare di un «inedito» quando si tratta di uno spartito canto e piano stampato? Opere contemporaneamente «stampate» e «inedite» sarebbero una novità assoluta nella storia dell'editoria: lo puntualizza con ironia Orazio Mula, docente al Conservatorio di Cuneo e autore del volume su «Giuseppe Verdi», edito dal Mulino lo scorso anno, uno dei saggi più completi e aggiornati dedicati al compositore di Busseto.
«L’Ernani», ha dichiarato lo studioso al Corriere del Mezzogiorno all'indomani della scoperta di De Simone, «è nota come opera delle contraffazioni, che sorgevano spontaneamente. Che Verdi sia direttamente responsabile dell'inno borbonico mi sento di escluderlo».
Insomma, era consolidata la prassi piratesca dì pubblicare melodie di successo in un'epoca nella quale il melodramma costituiva la musica di consumo popolare. Chiunque poteva senza conseguenze parodiare l'opera musicale altrui sostituendovi un testo diverso (tesi sostenuta anche dal settimanale Diario che al tema ha dedicato un'ampia inchiesta).
Con motivazioni analoghe a quelle di Mula, è sceso in campo anche l'Istituto nazionale di studi verdiani di Parma. Sulla presunta scoperta di Roberto De Simone, il prestigioso ente è categorico: si tratta di un plagio avvenuto all'insaputa dell'autore. Il motivo di un giudizio così netto?
La mancanza di comunicazione, in quel periodo, tra Regno delle Due Sicilie e resto d'Italia. A questo punto nella querelle interviene nuovamente Roberto De Simone: per prima cosa precisa di non aver parlato di inedito: «È un brano stampato nel 1848, che all'epoca evidentemente tutti conoscevano, ma oggi è dimenticato. Nel 1973, però, ci fu una segnalazione da parte della bibliotecaria Anna Mondolfi che ne parlò al filologo Cecd Hopkinson e lui pubblicò la notizia, a New York, in un suo lavoro bibliografico su Verdi. Poi non se n'è più parlato. Ma a Napoli, nell'epoca in cui fu scritto, di sicuro lo conoscevano tutti. Probabilmente veniva eseguito nei salotti buoni della città, tra patrioti e liberali».
Verdi, dunque, sapeva che la sua musica era utilizzata per rendere omaggio a Ferdinando II?
«Non ho prove, però mi sembra probabile che il Maestro abbia conosciuto l'inno, per i suoi frequenti contatti con la città di Napoli e con il San Carlo». Ma secondo l'Istituto verdiano non c'era comunicazione tra Nord e Sud d'Italia...
«Si sbagliano di grosso. In particolare, Verdi aveva stretto amicizia con Francesco Fiorano, che era il bibliotecario di San Pietro a Majella. Se l'inno fosse stato un apocrifo, Verdi lo avrebbe disconosciuto nella sua fitta corrispondenza con Florimo. Invece lo spartito non fu mai oggetto di una lettera di contestazione da parte di Verdi.
Il Maestro era un patriota e avrà anche lui guardato con speranza al regno meridionale che era molto più europeo di quello dei Savoia. Il Sud, lo sappiamo, è stato vittima dell'Unità, non doveva diventare, come poi è stato, la coda d'Italia e finire in accattonaggio».
Forse, ipotizza ancora De Simone, a qualcuno oggi dispiace pensare che Verdi abbia potuto salutare un napoletano come futuro re d'Italia. Una questione politica?
Mula non è d'accordo. Alla replica di De Simone, lo studioso di origine meridionale controribatte: «Non c'era bisogno di scomodare Verdi per operare queste falsificazioni che avvenivano in tutta Italia: circolavano anche le versioni del Leon di Caprera e del Leon di San Marco su quella stessa musica. Quando fu deputato, Verdi si batte in Parlamento per il diritto d'autore: fu il suo modo di combattere i plagi che lo avevano colpito durante tutta la sua vita».
Nota di Redazione A.L.T.A.
VIVA IL RE! (BORBONICO)
Ecco un brano tratto da La Patria, già pubblicato dall'A.L.T.A. in precedenza, l'inno nazionale per Ferdinando II scritto da Michele Cuccimelo su musica di Giuseppe Verdi.
Bella Patria del sangue versato
se fumanti rosseggian le impronte
non più spine ti strazian la fronte
il martirio la palma fruttò
Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re!
L'inno ritrovato. Roberto De Simone è il maestro che ha ritrovato lo spartito stampato a Napoli dall'editore Girard nel 1848, dedicato al Re Borbone e che fu composto dal traditore del Ducato di Parma Giuseppe Verdi. |