Giova ricordare ai lettori come nacque questa tenera amicizia e, per riuscire meglio nell'intento, citerò “l'Unità” del 17 marzo 2013, articolo intitolato: «La nostra grande amicizia è la prova del suo rispetto per le altre religioni» intervista a Abraham Skorka a cura di Diego Rosemberg e Leonardo Sacchetti: «Lo stretto rapporto tra l'attuale Papa e il rabbino è nato il 25 maggio 1998, quando l'allora Arcivescovo della capitale impartì una messa nella Cattedrale per celebrare con il Te Deum l'anniversario della Rivoluzione del 1810. Alla fine della messa, Bergoglio si avvicinò a salutare i rappresentanti degli altri credi, soffermandosi a stringere la mano di Skorka. “Quest'anno ci beviamo una minestrina di gallina”, scherzò Bergoglio in riferimento al pessimo campionato del River Plate, la squadra di calcio i cui tifosi, tra cui il rabbino, sono soprannominati “le galline”. E io gli risposi: “questo è seminare zizzania”. Un nunzio mi disse che non potevo parlare così in quel luogo e Bergoglio, tifoso del San Lorenzo, lo fermò immediatamente e gli disse che stavamo parlando di calcio. Tutto finì con una bella risata.
Sono momenti come questi che rendono al meglio la sua immagine non costruita, fuori dal protocollo e che sta sempre dalla parte della gente». «Dopo quel fatto... abbiamo iniziato a vederci una volta alla settimana. Facevamo colazione una volta nel mio ufficio e l'altra nel suo. Lui mi faceva trovare sempre biscotti fatti in casa e io altri dolcetti». Prosegue l'intervista al rabbino e gli viene chiesto il significato che attribuisce alla laurea Honoris Causas dell'Università Cattolica Argentina che Bergoglio gli ha consegnato l'ottobre scorso... Questa è la risposta: «Prendendo la pergamena, tenni un discorso in cui criticai alcuni settori della Chiesa. Dissi che il nazismo non avrebbe potuto svilupparsi senza i secoli di antisemitismo cristiano. Alla fine, Bergoglio venne ad abbracciarmi e mi sussurrò questa frase: “non sai da quanto aspettavo questo momento”. Io gli risposi che con quel saluto stava onorando tutto il popolo ebreo. Questo è un tassello fondamentale per capire i nostri dialoghi interreligiosi. Il libro e il programma tv che abbiamo fatto insieme volevano essere prima di tutto una testimonianza che sì, possiamo e dobbiamo camminare insieme. In poche parole, c'è altro rispetto al tè e alla simpatia che ci unisce».
Ho ritenuto doveroso riportare stralci di questa intervista perchè, come dice lo stesso Skorka, «è un tassello fondamentale per capire i nostri dialoghi interreligiosi» e tale dialogo è il tema fondamentale del libro, anche se non l'unico, poichè i due affrontano tutte le questioni che da sempre pongono domande e chiedono risposte... anche se i nostri non intendono darne di definitive... per rispetto degli altri, chiunque essi siano...
Quindi alla radice di questo libro c'è una grande amicizia e stima reciproca, dovuta alla comune visione di un mondo in cammino che necessita soltanto di dialogo e non più di Verità, quella che N.S.G.C. indicò invece come unica via per la libertà autentica, e Lui stesso si dichiarò «Via,Verità e Vita» (Gv 14:6).
Per “capire” un libro è molto importante avere chiaro in mente il contesto in cui viene scritto, e proprio per questo motivo lascio la parola al card. Bergoglio ,che candidamente a pag.11 ammette: «Con Skorka non ho mai dovuto negoziare la mia identità cattolica (ne è sicuro?), così come lui non ha dovuto farlo con la sua identità ebraica (non è positivo, ricorda le parole del Vangelo “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo,ma chi non crederà sarà condannato”?), e questo non solo per via del reciproco rispetto, ma anche perchè è così che noi intendiamo il dialogo interreligioso. La sfida consiste nel riuscire a camminare con rispetto e affetto, camminare alla presenza di Dio, cercando di essere impeccabili. Questo libro è la testimonianza di quel percorso».
Da notare che il sottotitolo del libro nell'edizione Mondadori è il seguente: «Il pensiero di Papa Francesco sulla famiglia, la fede e la missione della Chiesa nel XXI secolo». Tutto ciò è abbastanza preoccupante, viste le premesse... molti di voi intenderanno smentirmi e/o tranquillizzarmi dicendo che si tratta di opinioni personali, non atti di Magistero ordinario... cercherò quindi di rispondere con un esempio molto semplice e pratico: un padre che ritiene l'aborto, la droga, l'omosessualismo, la pedofilia etc. etc. libertà dell'uomo, cosa pensate che insegni ai propri figli? Che l'aborto è omicidio? che la droga uccide? Non penso, ritengo anzi che egli “educherà” i propri figli in base al proprio pensiero, trasmettendo loro “ciò che ha”, proprio perchè «nemo dat quod non habet».
Fatte queste dovute premesse possiamo iniziare con l'analisi vera e propria del libro, che già dal primo capitolo (Su Dio) ci riserva delle belle sorprese, poichè possiamo leggere alle pagg. 14-15 la risposta che Bergoglio dà alla domanda del rabbino circa il concetto di Dio: «La cosa fondamentale da dire a qualsiasi uomo è di entrare dentro di sé... a volte si crede di avere in mano la verità, ma non è così. All'uomo di oggi direi di provare a entrare in contatto con sé stesso per conoscere l'esperienza e il volto di Dio». Leggendo questo torna alla mente l'enciclica di San Pio X «Pascendi dominici gregis» ed il precedente decreto «LAMENTABILI SANE EXITU» del luglio 1907, documenti nati per combattere e contrastare il modernismo che andava diffondendosi all'interno della Chiesa Cattolica.
A tal proposito riporto un breve estratto dell'enciclica appena citata, che condanna inesorabilmente le parole stesse dell'allora arcivescovo Bergoglio sull'esperienza di fede : «...il credente ha come certo ed indubitato che la realtà divina esiste di fatto in sé stessa, né punto dipende da chi crede. Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia cotale asserzione del credente, i modernisti rispondono: l'esperienza individuale. Ma nel dir ciò, se costoro si dilungano dai razionalisti, cadono nell'opinione dei protestante dei pseudomistici. Così infatti essi discorrono. Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l'uomo in contatto immediato colla realtà stessa di Dio, e tale gl'infonde una persuasione dell'esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell'uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico... or questa esperienza, poi che l'abbia alcuno conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente credente. Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti li abbiamo già uditi condannare dal Concilio Vaticano. Vedremo più oltre come, con siffatte teorie, congiunte agli altri errori già mentovati, si spalanchi la via all'ateismo. Qui giova subito notare che, posta questa dottrina dell'esperienza unitamente all'altra del simbolismo, ogni religione, sia pure quella degl'idolatri, deve ritenersi siccome vera. Perché infatti non sarà possibile che tali esperienze s'incontrino in ogni religione? E che si siano di fatto incontrate non pochi lo pretendono. E con qual diritto modernisti negheranno la verità ad una esperienza affermata da un islamita? con qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei soli cattolici? Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente altri apertissimamente, che tutte le religioni son vere». Abbiamo appena letto la condanna senza appello («Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti...») del Santo Pontefice Pio X alle tesi moderniste circa Dio e la fede come esperienza e non come adesione della nostra intelligenza alle verità rivelate da Dio, opinione che porta inevitabilmente ad equiparare tutte le religioni come vere e come il libro «Il cielo e la terra» attesta. Inoltre nel decreto Lamentabili (1907) vediamo condannata la seguente proposizione: (20.) La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall'uomo circa la sua relazione con Dio.
Come San Pio X aveva previsto questa opinione porta inevitabilmente alla perdita della Fede e quindi all'ateismo, che, come vedremo nelle pagine seguenti, viene considerato positivamente da Bergoglio (pagg. 22-25). Molto interessante è il secondo capitolo dedicato al Diavolo, nel quale l'allora arcivescovo di Buenos Aires esordisce fedele all'insegnamento della Chiesa definendolo quale «essere che
scelse di non accettare il piano di Dio, padre della menzogna...» ed ammette che il suo maggior successo sia quello di averci persuaso della sua inesistenza. Il discorso cambia quando il suo interlocutore, il rabbino Skorka, afferma che la concezione ebraica del Diavolo è ampia ed egli «più che di angelo preferisce parlare dell'istinto» o meglio di «una parte interiore dell'uomo che sfida il Signore» e che spetta a ciascun di noi accettarlo o meno poichè « tutto il resto sono percezioni, interpretazioni che derivano dai testi che consideriamo sacri». A questo punto un cattolico «autentico» si aspetta una netta presa di distanza da questa errata concezione del rabbino, magari citando passi dell'Antico Testamento o ancor meglio del Nuovo Testamento tipo questi: «Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché il diavolo è peccatore fin dal principio. Ora il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo. Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui, e non può peccare perché è nato da Dio» (1 Gv 3, 7-9); «Sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca: chi è nato da Dio preserva sé stesso e il maligno non lo tocca» (1 Gv 5,18), oppure l'esortazione di San Paolo nella Lettera agli Efesini: «Rivestitevi, dice l’Apostolo, dell’armatura di Dio per poter affrontare le insidie del diavolo, poiché la nostra lotta non è (soltanto) col sangue e con la carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori delle tenebre, contro gli spiriti maligni dell’aria» (Eph. 6, 11-12).
Invece niente di tutto ciò, anzi, quando il rabbino conferma la sua posizione dichiarando che comunque qualcosa c'è e, che sia il Diavolo o l'istinto noi dobbiamo combatterlo... Bergoglio conferma esclamando «È proprio questa la lotta dell'uomo sulla terra».
Cito quindi Paolo VI che in una udienza generale del 1972 ben conferma le nostre impressioni e condanna la falsa concezione espressa nel dialogo tra i due religiosi: «Troviamo il peccato, perversione della libertà umana, e causa profonda della morte, perché distacco da Dio fonte della vita (Rom. 5, 12), e poi, a sua volta, occasione ed effetto d’un intervento in noi e nel nostro mondo d’un agente oscuro e nemico, il Demonio. Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa. Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a sé stante, non avente essa pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure la spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni».
Come non ricordare alla luce di tutto ciò le terribili parole di Gesù a Pietro: «Lungi da me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mt 16, 24).
Alessandro Pini (http://radiospada.org/)