Il 17 ottobre a Santa Marta, J.M. Bergoglio ha avuto modo di scagliarsi contro i nuovi farisei, “ostili e insidiosi”, coloro che tengono “chiave in tasca e porta chiusa”, coloro che da solita propaganda modernista sarebbero “attaccati alla Legge e non allo Spirito”. E così: “Le ideologìe sono rigide, sempre … quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologìa, ha perso la fede … l’ideologìa caccia via la gente e allontana la Chiesa dalla gente … perché quel cristiano diventa così? … quel prete, quel vescovo, quel Papa…? Quel cristiano non prega … si diventa rigidi, eticisti, moralisti ma senza bontà.” Giuliano Ferrara il 20 Ottobre su Il Foglio, argutamente nota come tali invettive siano lo strascico della polemica innescata dal duo “eticista” Gnocchi-Palmaro e con una forbita e rabbiosa arringa in loro difesa, mette il dito nella piaga: la tolleranza del progressista Bergoglio, come tutte le tolleranze del progressismo, diventa sempre una mannaia implacabile contro coloro che hanno invece “idee tradizionali”, che vengono questi sì, giudicati e condannati nettamente. Giuliano Ferrara rappresenta un ambiente che ancora non si rassegna al “passaggio delle consegne” avvenuto con la fine del pontificato di Joseph ratzinger e su questo, ci tornerò alla fine dell’articolo. La paura bergogliesca di “svuotare le chiese” è una sindrome da Auditel, tipica di tutte le persone che hanno un successo mediatico ed è per questo che attacca, addirittura “quel prete, quel vescovo, QUEL PAPA (!!!)”, lasciando intendere che il cattolicesimo “tradizionale” sia una riedizione del fariseismo di Caifa. San Luca negli Atti ci evidenzia invece la severa giustizia esercitata da San Pietro con Anania e Saffira, esempio di come la Chiesa deve esercitare la carità senza cedere alle debolezze umane, perché il cattolicesimo non è una comoda religione di massa che punta al numero dei “fedeli” più che alla loro vera conversione. Il Vangelo di San Giovanni (VI, 60-72) ci ricorda il “parlare duro” di Gesù e le moltitudini dei discepoli che lo abbandonarono a Cafarnao mentre Egli chiese agli apostoli: “… ve ne andrete anche voi?”… Pietro rispose: “Dove andremo? Tu hai parole di vita eterna….e sappiamo che sei il Cristo…”.
Secondo Bergoglio quindi chi non prega diventa “discepolo dell’ideologìa”. Non è chiaro cosa Bergoglio intenda per “ideologìa” e per “fede”, ma si capirà meglio quattro giorni dopo.
Il 21 ottobre alla Commissione luterano-cattolica per l’Unità, Bergoglio dichiara l’importanza dell’impegno a “progredire nell’ecumenismo spirituale … che è l’anima del nostro cammino verso la piena comunione e ci permette di pregustare già da ora qualche frutto … nella misura in cui ci avviciniamo con umiltà al Signore … siamo sicuri di avvicinarci anche tra di noi, nella misura in cui invocheremo dal Signore il dono dell’unità, stiamo certi che Lui ci prenderà per mano e SARA’ la nostra guida … cattolici e luterani possono chiedere perdono per il male arrecato gli uni agli altri … e insieme gioire per la nostalgia di unità che il Signore ha risvegliato nei nostri cuori…”
Ovviamente si dà per superato ed ingombrante tutto ciò che sappia di “tridentino”, ribadendo l’errore della “comunione imperfetta” e delle colpe reciproche, superabili perdonandosi. Siamo allo sviluppo di Unitatis Redintegratio e quindi la Chiesa non sarebbe già UNA ma di là da venire. Chi “prega” dunque, a suo dire, tenderebbe necessariamente allo “ecumenismo spirituale” che pertanto E’ la (sua) vera fede, laddove il cattolicesimo sarebbe in realtà una “ideologìa”: il suo Gesù infatti, SARA’ la nostra guida “nella misura in cui invocheremo l’unità” e pertanto non lo è di già.
Ci si chiede continuamente, restando perplessi, come tutto ciò possa venire non solo dalla Chiesa, ma dal suo più alto vertice. Ci si interroga fino a che punto sia vincolante per la coscienza del cattolico quello che il Papa insegna.
Secondo il cosiddetto ‘sedevacantismo’, tutti gli atti promulgati da una gerarchia apparente o in stato di privazione sono nulli (al di là della loro giustezza, come presumibilmente quelli sulla canonizzazione di Padre Pio o certamente quelli dell’aggiunta della litania lauretana “Mater Ecclesiae”, etc.) e solo la Chiesa tornata in autorità potrà ratificare, cancellare, convalidare, approvare una parte di essi: occorre quindi riferirsi a tutto quanto vigente ante CVII. Tali atti hanno invece un valore positivo ed oggettivo per coloro che necessariamente non possono eluderli, avendo riconosciuto la legittimità dei pontefici che li hanno promulgati.
E’ dunque possibile disobbedire, disattendere, glissare sull’attuale “magistero” se lo si DEVE riconoscere? Secondo molti sì, anche se il “magistero” vigente non sembra lasciare adito a dubbi circa il contrario. Per uno strano caso o meglio per una provvidenziale contingenza, anche i nuovi documenti post-conciliari sono una prova indiretta della mancanza di autorità nella Chiesa. Esaminiamone una parte prima di spiegarne il perché:
Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica
- 2033 “Il Magistero dei Pastori della Chiesa in materia morale ordinariamente si esercita nella catechesi e nella predicazione, con l'aiuto delle opere dei teologi e degli autori spirituali…”
(Appare assai temerario pertanto, il considerare come ‘non magistero’ tutto quello che i ‘Pastori’ espongono in materia morale, anche oralmente o con forme inconsuete come le costanti esternazioni di J.M. Bergoglio ma anche di tanti vescovi che con le loro predicazioni hanno spesso sollevato polveroni, come nell’ultimo caso di Friburgo: http://www.repubblica.it/esteri/2013/10/08/news/s_ai_sacramenti_per_divorziati_e_risposati_germania_lo_strappo_della_diocesi_di_friburgo-68134233/
Nuovo codice di diritto canonico
- Can. 752 - Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell'intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli perciò procurino di evitare quello che con essa non concorda.
(L’argomento del “mancato impegno dell’infallibilità” per giustificare la corrispondente mancata adesione al “magistero”, cade come un castello di carte. Infatti anche a voler considerare come ‘non definitiva’ o ‘non infallibile’ una dottrina enunciata dal Pontefice, comunque i fedeli da ‘codice vigente’, devono prestare verso essa “un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà” ed “evitare quello che con essa non concorda”. Pertanto, la catechesi dei vescovi e lo stesso insegnamento del pontefice devono indurre i fedeli a conformarsi ad essi. I fedeli devono evitare di considerare gli argomenti non concordanti con quanto abitualmente i Pastori propongono a credere. Cercai di elencare una parte delle assurdità proferite da J.M. Bergoglio alle quali bisognerebbe aderire se fosse il Papa: http://radiospada.org/2013/09/jorge-mario-lincompreso/
Can. 753 - I Vescovi, che sono in comunione con il capo del Collegio e con i membri, sia singolarmente sia riuniti nelle Conferenze Episcopali o nei concili particolari, anche se non godono dell'infallibilità nell'insegnamento, sono autentici dottori e maestri della fede per i fedeli affidati alla loro cura; a tale magistero autentico dei propri Vescovi i fedeli sono tenuti ad aderire con religioso ossequio dell'animo.
(Pertanto, i fedeli sottoposti ad esempio alle tante Conferenze Episcopali nazionali, ma anche ai singoli vescovi diocesani, devono “aderire con religioso ossequio dell’animo” - in quanto “affidati alla loro cura” - a quanto esse od essi insegnano, propongono a credere, consigliano, essendo “maestri della fede”. Ogni spazio a disobbedienze, distinguo, opposizioni o critiche, risultano essere contrarie a quell’ossequio religioso che un animo fedele deve avere. Quindi la C.E.I. va ossequiata quando propone dottrine morali permissive circa la Legge sulla fecondazione assistita o quella olandese o austriaca quando contrastano altri insegnamenti ufficiali. Tutto ciò presuppone che la differenza dottrinale non dovrebbe in teoria mai sussistere tra le varie componenti della Chiesa.)
Dal Sito ‘Amici domenicani’ non tacciabile di ‘sedevacantismo’, riporto una interessante domanda con altrettanto interessante risposta circa la questione del “magistero non infallibile” del Papa, se sia o meno vincolante:
<< Se il magistero ordinario e autentico della Chiesa sia fallibile
Quesito
Gentile Reverendo Padre Angelo Bellon
Le volevo porre una domanda sul valore del Magistero solo ordinario del Papa. Quando un Papa si esprime con atti di Magistero ordinario, solo autentico, essi sono infallibili oppure no? Potrebbero contenere errori questi atti? Io sapevo che a questo Magistero ordinario autentico il cattolico deve prestare l’ossequio dell’intelletto e della volontà che si distingue dall’assenso di Fede. In caso contrario si ha peccato mortale, ma non di eresia.
E’ possibile che un Papa possa insegnare degli errori nel suo Magistero ordinario autentico, ingannare i fedeli, offuscare la Chiesa e che quindi il cattolico debba seguire il Papa nell’errore?
Se poi anche il Magistero ordinario del Papa è infallibile, che non contiene errori, in che cosa si distinguerebbe dal Magistero solenne che è infallibile secondo la definizione del Concilio Vaticano Primo?
Rinnovo i miei più vivi apprezzamenti per le risposte riportate nel sito che leggo ogni giorno con molto interesse.
La ringrazio in anticipo delle risposte.
Sarò felice di ricordarla nelle mie preghiere.
Distinti Saluti.
Marchesini
Risposta del sacerdote
Carissimo Marchesini,
1. il magistero ordinario del papa è duplice.
Può essere un magistero ordinario infallibile, se propone un insegnamento definitivo. Oppure può essere un magistero ordinario autentico e basta.
Tu mi chiedi se questo ultimo tipo di magistero sia fallibile.
È certamente strano coniugare le parole magistero e fallibilità. Il magistero in quanto tale, soprattutto perché è garantito, non può contenere errore. E pertanto non è fallibile.
Tuttavia talvolta la Chiesa nel suo magistero non impegna il suo carisma di infallibilità che dà l’aut aut al fedele (o dentro o fuori della comunione con la Chiesa) e si limita a proporre un solo magistero autentico.
2. Un documento della Congregazione per la dottrina della fede sulla “Professione di fede e Giuramento di fedeltà” (29.6.1998) dopo aver parlato del magistero straordinario e definitorio (sempre infallibile) e del magistero ordinario definitivo (anche questo infallibile), parla del magistero ordinario autentico.
La Professione di fede richiesta per quest’ultimo tipo di magistero si esprime così: “La terza proposizione della Professione di fede afferma: «Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il romano pontefice o il collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo».
A questo comma appartengono tutti quegli insegnamentiin materia di fede o morale presentati come verio almeno come sicuri, anche se non sono stati definiti con giudizio solenne né proposti come definitivi dal magistero ordinario e universale”.
Allora, caro Marchesini, non si tratta di magistero fallibile, ma vero e sicuro.
3. Il documento poi va avanti così: “Tali insegnamenti sono comunque espressione autentica del magistero ordinario del romano pontefice o del collegio episcopale e richiedono, pertanto, l'ossequio religioso della volontà e dell'intelletto. Sono proposti per raggiungere un’intelligenza più profonda della rivelazione, ovvero per richiamare la conformità di un insegnamento con le verità di fede, oppure infine per mettere in guardia contro concezioni incompatibili con queste stesse verità o contro opinioni pericolose che possono portare all'errore”.
E conclude: “La proposizione contraria a tali dottrine può essere qualificate rispettivamente come erronea oppure, nel caso degli insegnamenti di ordine prudenziale come temeraria o pericolosa e quindi «sicuramente non può essere insegnata» (tuto doceri non potest).
4. Tu mi chiedi: ma se anche questo magistero è infallibile che differenza vi è da quello proposto in maniera definitoria o definitiva?
Come avrai notato, a proposito del terzo tipo di magistero, non si parla di infallibilità, ma di insegnamento vero e sicuro e che affermare il contrario significa proporre un insegnamento erroneo, temerario e pericoloso e che sicuramente non può essere insegnato (tuto doceri non potest).
- Se uno rifiuta ciò che è dogma di fede è scomunicato.
- Se uno rifiuta un insegnamento definitivo commette un errore nella fede.
- Se uno rifiuta un insegnamento relativo al magistero ordinario autentico insegna una dottrina che viene classificata prossima all’errore, erronea, temeraria, pericolosa.
5. Circa il tipo di peccato:
Nel primo caso vi è peccato mortale e pena canonica.
Nel secondo caso c’è peccato mortale direttamente contro la fede.
Nel terzo caso c’è peccato mortale indirettamente contro la fede oppure per la
temerarietà.
Caro Marchesini, mi hai portato nel sottile. Ma spero di essere stato chiaro.
Ti ringrazio per la domanda e per le preghiere che mi assicuri. Sii certo che anch’io faccio altrettanto e ti benedico.
Padre Angelo >>
(Pertanto <e anche se poi ci sarebbe da discutere sul perché nessuno applichi realmente le varie cose esposte>, anche per i domenicani del post-concilio, è “temerario, erroneo e pericoloso” rifiutare un insegnamento del “magistero autentico” anche se “non definitivo o infallibile”, in quanto essendo comunque ‘VERO’ e ‘SICURO’, il rifiutarlo comporta il commettere peccato mortale “indirettamente contro la fede”, perché “un insegnamento erroneo non può essere insegnato”. In buona sostanza la Chiesa non può MAI insegnare l’errore e chi crede questo o rifiuta di aderirvi “resistendo”, si separa dall’Anima della Chiesa.)
Se pertanto anche dal nuovo catechismo e dal nuovo codice di diritto canonico, si desume chiaramente che la Chiesa non può dare insegnamenti sbagliati, insicuri o falsi, tutto ciò rende OBBLIGATA, più che una “ermeneutica della continuità” sugli atti più problematici, una DIMOSTRAZIONE DELLA CONTINUITA’ degli stessi col magistero di sempre. Ecco perché l’intelligente Joseph Ratzinger ha cercato (invano) di rimettere nell’alveo della Tradizione il CVII.
Il disorientamento di una importante fetta del mondo tradizionalista ‘sedeplenista’, a seguito delle “dimissioni” (sarebbe più corretto parlare di “abdicazione” a meno che non lo si creda un presidente qualunque e non un monarca di diritto divino) di Joseph Ratzinger, come può spiegarsi se non per questa cocente delusione? Dove sarebbe oggi la continuità? Cosa spinge due giornalisti convinti “continuisti”, ad accusare J.M. Bergoglio di diffondere “relativismo morale”, se non la presa d’atto di un qualche “tradimento”? Cosa li spinge a rincarare la dose sul sito Corrispondenza Romana?
Molti tradizionalisti cattolici sono rimasti delusi e spiazzati dal gesto insolito di J. Ratzinger mai accaduto prima nella storia, ma probabilmente anche da una sorta di promessa non mantenuta dal suo pontificato. Doveva chiudersi ogni lettura di “rottura” tradizionalista o progressista, ma il tentativo era già sfumato prima di Bergoglio, proprio perché non è stato mai realizzato in concreto e basti pensare a quanto possa essere giudicato "restauratore" un pontefice che mentre corteggia i lefebvriani, ad Erfurt, esalta la spiritualità “cristocentrica” del bestemmiatore Lutero definendo la condanna di Lutero l'errore di una “società confessionale” e con un colpo di spugna riassorbe l'anglicanesimo nella Chiesa: http://radiospada.org/2013/07/se-lo-scisma-e-leresia-van-via-col-bianchetto/
e comunque non chiude la parabola invasiva dei neocatecumenali. Ottimi giornalisti come Gnocchi e Palmaro, “epurati” da Radio Gospa, da tempo frequentavano ambienti che hanno preso sul serio il discorso ratzingheriano circa la “ermeneutica della continuità”, come il teologo Brunero Gherardini. Col suo “Concilio Ecumenico Vaticano II, un discorso da fare” (edito da Casa Mariana Editrice, vicina ai Francescani dell’Immacolata, che però già lentamente prendevano le distanze dal teologo), Brunero Gherardini si chiedeva ad esempio, circa la libertà religiosa così come insegnata dal CVII dove fosse la “continuità”:
“E’ allora possibile sottoporre DH all’ermeneutica della continuità? Se ci si contenta della declamazione astratta, sì; sul piano della concretezza storica, non vedo come. La ragione è lapalissiana: la libertà del decreto DH, che non riguarda un aspetto della persona umana ma la sua stessa essenza … ha ben poco in comune con la Mirari Vos di Gregorio XVI, con la Quanta Cura di Pio IX e l’allegato Syllabus, con la Immortale Dei di Leone XIII, la Pascendi di Pio X, etc…. Non è, infatti, questione di linguaggio diverso; la diversità è sostanziale, e pertanto irriducibile … i contenuti del precedente Magistero non trovano né continuità, né sviluppo in quello di DH. Due Magisteri allora?… L’evidenza … farebbe proprio pensare ad un Magistero sdoppiato”
In buona sostanza, la continuità va dimostrata, non proclamata. Sull’ecumenismo, né sincretistico, né proselitistico ma di “reciproco arricchimento” non le manda a dire:
“Il dialogo è una sorta di tacito imbroglio. Lo si raccomanda e lo si mette pure in atto ‘per comunicarsi reciprocamente le proprie interiori ricchezze’ (AA 12)….Quando poi, e sempre sulla base di ciò che unisce, i dialoghi affrontano i motivi del dissenso, diventano snervanti e quasi sempre inconcludenti. Peggio è quando le conclusioni sono quelle all’insegna del cedimento: il tema della ‘giustificazione’ lo testimonia … ognuno ha le sue ragioni, ognuno può mantenersele … facendone dono agli altri e ricevendo il dono altrui per il vicendevole arricchimento. Come il meno possa arricchire il Tutto e come possa l’errore arricchire la verità, resta da spiegare.”
Tertulliano ammoniva duramente (vedasi mio articolo: http://radiospada.org/2012/11/tertulliano-2012/ ) coloro che impugnavano la verità, per prediligere una sorta di scetticismo della falsa umiltà per cui, "avere" certezze sarebbe segno di arroganza e non rimettere in discussione quanto già definito, una omissione dovuta a "chiusura mentale". Il CVII è stato ed è ancora una tragedia per la Chiesa, di dimensioni tali che un anziano e stimatissimo teologo ‘sedeplenista’ non riesce ancora a darsi come chiara, buona parte della sua portata. Ecco che tali difficoltà insuperabili vengono portate, con filiale speranza di risoluzione al pontefice regnante con una supplica, firmata anche da numerosi altri personaggi:
Supplica al Santo Padre BXVI sul CVII come epilogo del libro citato:
“Qual è la sua natura? Il suo valore dogmatico? La sua pastoralità di cui si dovrà autorevolmente precisare la nozione, in quale rapporto sta con il suo eventuale carattere dogmatico … Se la conclusione dell’esame porterà all’ermeneutica della continuità come l’unica doverosa e possibile, sarà allora necessario dimostrare – al di là di ogni declamatoria asseverazione – che la continuità è reale, e tale si manifesta, solo nella identità dogmatica di fondo …Basta una sua parola Beatissimo Padre, perché tutto torni nell’alveo della pacifica e luminosa e gioiosa professione dell’unica Fede nell’unica Chiesa … lo strumento potrebbe essere anche un grande documento papale, destinato a rimanere nei secoli … si potrà sapere in tal modo, se, in che senso e fin a che punto il vaticano II e il postconcilio, possan interpretarsi nella linea di una indiscutibile continuità sia pur evolutiva, o se invece le sian estranei se non anche d’ostacolo…”.
Nessuna risposta.
Vi sono quindi due “magisteri” che si contraddicono e che pertanto non possono venire entrambi da Pietro, perché Pietro e la sua Chiesa non possono dare frutti cattivi. Vi è però obbligo di conformarsi…ad entrambi, cosa impossibile. Il teologo pubblicò quindi l’amarissimo seguito del suo libro e cioè: “Il discorso mancato” con la Lindau. Ci furono le “dimissioni” e l’avvento del pontefice più gradito di sempre, tra credenti e non, come attestano tutti i sondaggi. Con Joseph Ratzinger vi fu la dogmatizzazione (forzata e apodittica) della “continuità” che servì per rimettere (apparentemente) nell'alveo della Tradizione il CVII. Chiusa quella "fase" e mai contraddetta esplicitamente da Bergoglio perché data ormai per acquisita, si può tornare a "volare" facendo balzi "in avanti" che riprendono invece lo "spirito del concilio" roncalliano. Questo crea un disagio fortissimo in coloro che avevano posto troppe speranze sul pontificato di Joseph Ratzinger. Riflessione tedesca e balzo in avanti argentino, si pongono come due facce del modernismo condannato, dirette verso la stessa direzione: la sconfitta, il “praevalebunt”, riempito da una sorta di guerra civile interna tra i nostalgici del ‘papaemerito’ e i difensori del ‘vescovodiroma’, sotto lo sguardo apprensivo della mistica Caterina Emmerich che vide la rovina stessa della Chiesa con “due papi”: http://www.ilfoglio.it/soloqui/18721
L’apostasìa generale delle Nazioni una volta cristiane, prevista nell’Apocalisse di San Giovanni non la stiamo già vivendo? L’apostasìa di coloro che sono vestiti da vescovi e l’attenzione dei loro seguaci più al bon ton del quieto vivere che alla sostanza delle questioni, non dovrebbero essere esplicitamente condannate e chiaramente sanzionate dall’Autorità? Uno come J.M. Bergoglio, può davvero essere considerato come l’Autorità? Rimane il “mantra” dell’obbedienza… Disobbedisce allo Spirito Santo chi Lo contraddice e mai lo Spirito plaude all’obbedienza umana se contrasta con l’obbedienza a Dio e alla Chiesa, quando la stessa si è già pronunciata (Roma locuta quaestio soluta) su determinate questioni.
Quindi, chiedo agli amici cattolici, spesso ostili alle posizioni dell’I.M.B.C.: siete ancora così sicuri che la Chiesa e il Papa possano insegnare errori e che la costatazione che questi errori purtroppo vi sono, non debba rendere invece l’ipotesi sedevacantista quella più ragionevole e conforme alla Rivelazione e al Magistero? Come potrebbe la Chiesa vincolarci all’errore con la pienezza della sua autorità?
Voglio confortare, in questa occasione, i due stimati giornalisti Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro e tutti coloro che soffrono condanne morali per aver cercato di dire la verità, con questo stralcio della “Imitazione di Cristo” - Libro II cap 6, che potrebbe leggere anche Eugenio Scalfari per riflettere meglio sul significato della “coscienza retta”:
“La gloria dell’uomo giusto è la testimonianza della sua buona coscienza. Abbi dunque una coscienza pura e avrai sempre letizia. La buona coscienza può sopportare molte tribolazioni, e nelle avversità è lietissima. La cattiva coscienza è sempre timorosa e inquieta.”
Pietro Ferrari (http://radiospada.org/)