La massonica Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino. |
Le parole, i sofismi, seducono le moltitudini. La Chiesa sarà sedotta anch'essa? Dei tentativi in
questo senso furono fatti; ma non isfuggirono alla chiaroveggenza del cardinale Régnier. Nella
lettera al suo clero sul Concilio Ecumenico Vaticano(1) egli diceva: "Il cattolicismo liberale si
adopera a far uscire la Chiesa dalle sue vie tradizionali e secolari, per farla entrare in quelle in cui
s'è messa la società moderna, e delle quali Dio solo conosce l'uscita".
I cattolici liberali si proclamano volentieri i figli della società moderna che dichiarano "la meno
imperfetta, la migliore delle società che mai siano esistite". Essi ripetono in tutti i toni che
"l'accettano tale qual'è", e che nessuno deve pensare a reagire contro la corrente creata dalla
Rivoluzione. Il linguaggio della Rivoluzione non fa loro paura, tutt'altro; essi hanno abitualmente
sulle labbra le formule di libertà alla moda. Che dico? Di queste libertà che i Papi han chiamate
delirii e strumenti di perversione e di corruzione essi dicono "che sono uscite dal Vangelo come altrettanti frutti squisiti" e che son dessi i "lati superbi della società moderna". Della
Dichiarazione dei diritti dell'uomo, che è il principio stesso della Rivoluzione e il fondo del naturalismo, essi dicono che "nessuna nazione ha avuto mai alcun che di simile", "che ci vollero dieciotto secoli di cristianesimo per renderla possibile", "che non vi fu mai avvenimento più grande nel mondo", ecc.
La maggior parte di queste citazioni sono tolte dal libro dell'ab. Bougaud:
Le christianisme et les temps présents .(2)
Papa Leone XIII. |
Dopo ciò, non fa meraviglia che nei primi giorni di giugno 1885, il Figaro abbia avuto l'insolenza di rivolgere questo invito a Leone XIII: "Se Leone XIII si levasse con in mano la grande cifra 1789 - improvvisamente dalla sua sedia in cui s'asside calmo, pensatore, veggente - egli sarebbe così grande come il Mosè di S. Pietro in Vinculis. A vederli assisi, il Papa e Mosè, si giudica della loro natura se fossero in piedi! Egli ha compreso che se la sua Chiesa non camminasse colla società moderna - la società moderna camminerebbe senza la sua Chiesa". Ciò che il Figaro diceva, tutta la clientela degli Ignotus, dei Wolff, dei Grandlieu, dei Millaud, ecc., in una parola, tutto il cattolicismo liberale lo pensava.
La Mennais è il padre e il capo della scuola ad un tempo cattolica e rivoluzionaria della pacificazione, della conciliazione, dell'adattamento, infine dell'unione e della fusione del
Cristianesimo colla Rivoluzione. Secondo lui, per l'avvenire non vi ha salute per la Chiesa che in ciò. Fa d'uopo ch'essa si metta in armonia colla libertà moderna, diciamo meglio col liberalismo che
è l'eresia delle eresie.
"È qui - dice Chapot - il punto culminante della seduzione liberale. Egli non saprebbe vedervi nulla al di là. Far credere ai buoni, far credere al clero che la salute ci verrà dal liberalismo, è l'apogeo e il trionfo della Rivoluzione.
"Son già più di settant'anni che questa nuova maniera di comprendere gl'interessi della Chiesa ha
tutto invaso. Essa campeggia in seno alle accademie, risiede nei santuari, gode tutti i favori
dell'opinione pubblica; la si considera come la garanzia certa, infallibile della prossima vittoria della
Chiesa sulla terra.
"Grazie all'ingegnosa distinzione fra la tesi e l'ipotesi del liberalismo, l'evoluzione dei cattolici sul
terreno rivoluzionario del diritto comune, dei diritti dell'uomo, della libertà per tutti, del
rannodamento alle idee, alle istituzioni politiche e sociali del mondo moderno, si è compiuta.
L'esercito cristiano è passato tutto intiero, con armi e bagagli, sotto gli stendardi del liberalismo e
della Rivoluzione. È così che i cattolici di Francia si son gettati, a capo chino nell'agguato supremo
di Satana. Questo acciecamento è sì profondo ed ha una importanza sì considerevole, che si può a
buon dritto considerarlo come il fatto capitale della Rivoluzione, e uno dei più funesti, quanto alle
sue conseguenze, di tutta la storia umana.
"La confusione invase tutte le menti, anche le migliori. Si è giunti a non più distinguere chiaramente
i caratteri del regno di Satana da quelli del regno di Gesù Cristo, i principii del cristianesimo, dai
principii dell'eresia di Satana".(3)
I cattolici liberali oggidì si chiamano americanisti. Monsignore Keane, nel Catholic World, rivista
dei Paolisti, diceva nel marzo 1898 a proposito della Vita del P. Hecker: "La sintesi del progresso e
del cattolicismo più puro, sintesi di cui l'americanismo porge un esempio, è riconosciuta ognor più
come possibile e desiderabile". Sotto questo titolo:
Paul Bourget. |
L'Eglise et le Siècle, Felice Klein e Charbonnel prima della sua apostasia,(4) raccolsero i discorsi pronunziati da Mons. Ireland a Parigi e in America. Dopo averli letti, Paolo Bourget dichiarava di aver compreso "quanto il cristianesimo è conciliabile con tutto il mondo moderno".
È il successo che i traduttori aveano sperato. Parlando della loro opera esclamarono: "A questo
focolare vengano dunque ad illuminarsi e riscaldarsi quelli che sono agghiacciati dalla diffidenza e
ottenebrati dai pregiudizi dell'empietà o dello spirito retrogrado".
La lettera del Papa al cardinal Gibbons venne a disturbare queste speranze e questo entusiasmo.
Essa condannava questa proposizione: "Per condurre più facilmente i dissidenti alla verità cattolica,
fa mestieri che la Chiesa si acconci di più alla civiltà d'un mondo pervenuto all'età d'uomo adulto e che, rallentando il suo antico rigore, si mostri conciliante colle aspirazioni e colle esigenze dei popoli moderni". Era, sotto una nuova forma, l'ultima delle proposizioni condannate dal Sillabo: "Il Pontefice Romano può e deve riconciliarsi e transigere col progresso, col liberalismo e colla civiltà moderna".(5)
All'indomani della pubblicazione di questa Enciclica 24 marzo 1899, il Temps, uno degli organi del
protestantismo, disse agli americanisti che non rinunziassero per questo al progetto: "Quelli che nel
clero come presso i laici, cercano un rinnovamento, un'azione sociale più profonda, un accordo più
cordiale con la società moderna, non hanno alcuna ragione di scoraggiarsi". Raoul Allier, nel
Siècle, 12 marzo 1899, erasi mostrato ancora più schietto. Esaminando il campo di battaglia che l'Enciclica
voleva sgombrare, egli disse: "I vinti sono gli uomini che poteano avere le loro ristrettezze, ma che
sognavano un principio di riconciliazione tra la loro fede religiosa e l'amore della libertà. I vincitori
sono i più fieri apologisti del vecchio fanatismo, sono gli ispiratori e i redattori di quei giornali che
dovrebbero ricondurci ai tempi delle guerre di religione". Nessuno tra i cattolici pensa di ricondurre
le guerre di religione, e non ve ne sarebbero state se i dissidenti non le avessero dichiarate. Trattasi
unicamente di conservare la verità e il suo regno; e perciò è mestieri affermarla nella sua integrità.
Anche la Civiltà Cattolica diceva tre giorni dopo: "Chi si destreggia, chi va tentone, chi si adatta al
secolo e transige, costui può da sé darsi il nome che gli aggrada, ma davanti a Dio e alla Chiesa egli
è un ribelle e un traditore". Ribelle, perché vuole opporsi alle direzioni secolari della Chiesa;
traditore, perché favorisce i nemici della Chiesa. Anche uno degli organi più influenti del
protestantismo degli Stati Uniti, l' Independent di New York, manifestava la sua gioia osservando gli
sforzi fatti da taluni cattolici per indurre la Chiesa ad avvicinarsi al secolo: "I protestanti credono
che la Chiesa cattolica si va cangiando per migliorare (nel loro senso); essi credono ch'ella deve
continuare a cangiarsi , e se ne rallegrano". Queste speranze, queste gioie dell'avversario mostrano
quanto era male ispirato il direttore della Quinzaine, allorché in quel medesimo tempo egli si
toglieva l'incarico d'insegnare al "giovane clero" a mettersi in contatto con "l'anima moderna".
Come disse assai bene il Maignen: "La loro impresa (quella dei conciliatori) sarebbe degna di
rispetto e di incoraggiamento, se i loro sforzi tendessero a riconciliare la setta moderna con la
Chiesa, inducendo l'opinione contemporanea ad abbandonare gli errori e i pregiudizi che li mettono
su tanti punti in contraddizione col cattolicismo; ma disperando di ottenere questo risultato,
credendo fors'anche, che tutti i torti non sieno dalla parte delle idee moderne, i conciliatori hanno
intrapreso ad indurre la Chiesa a riconciliarsi ed a transigere colla società moderna, col liberalismo
e con quello che si è convenuto di chiamare il progresso".(6) Naudet, nel Monde, di cui era allora il
direttore, dichiarò di voler qualche cosa di più di questa riconciliazione: "La è verità incontestabile
che vi ha un grande movimento d'idee; ma si comprende qualmente le dottrine che erano in stato di
possesso, i dottori i quali venivano considerati come oracoli, non siano disposti a cedere davanti a
teorie che essi chiamano nuove, quantunque si trovino nel Vangelo, e davanti ad uomini che
reputano rivoluzionari, sebbene la loro propaganda sia uno dei grandi mezzi per cristianeggiare la
Rivoluzione".
reticenza; dare una tinta di cristianesimo alla Rivoluzione che è "satanica", come dissero De Maistre
e Pio IX; "alla Rivoluzione, la quale non forma che una cosa sola coll'ateismo", confessava Blanqui; alla Rivoluzione, la quale, potrebbesi dire, che andò più in là di Satana. Egli si ribellò a Dio; essa lo nega, lo disconosce e vuole che sia come non esistente per le nuove generazioni.
Rendere cristiana la Rivoluzione o rendere rivoluzionario il Cristianesimo, è proprio il termine a cui la setta spera di condurci con tutte le parziali conciliazioni a cui spinge più o meno misteriosamente.
Non è certamente ciò che vuole Naudet, e qui, come troppo spesso avviene, "l'ebbrezza del verbo" gli avrà fatto esagerare il suo pensiero. Ma egli ben capisce che "le dottrine le quali erano in stato di possesso" prendono in considerazione il grande movimento d'idee nuove che agitano il mondo, e fanno piegare la loro rigidezza per accomodarsi colla Rivoluzione.
L'Ami du Clergé,
nel suo fascicolo del 26 gennaio 1899, diceva di essere stato interrogato su questo
punto: "Avvi qualche cosa di vero in quello che affermano taluni pubblicisti cattolici a proposito
d'un partito inquietante che si andrebbe formando nel giovane clero francese?"
Su questo argomento Ch. Maignen fece osservare che "ciò che distingue il nuovo dal vecchio clero,
più che l'età, sono le idee, idee nuove che costituiscono la giovinezza e la novità del primo; idee vecchie e tradizionali che fanno l'anzianità del secondo. Ora, la caratteristica del nuovo clero, è l'alleanza della Chiesa col Secolo che egli sintetizza nella sua persona".
Abbiamo visto più sopra che le medesime idee sono familiari alla mente della gioventù laica che fa
professione di cattolicismo. Abbiamo inteso il fondatore dell' Union progressiste de la jeunesse
catholique dire che questa gioventù era "piena di questa fiducia che la Chiesa s'avvicinava al
secolo"; il Sillon, che era suo dovere di cercare una "conciliazione tra il dogma cattolico e le idee
del secolo, di lavorare ad un accomodamento progressivo del cattolicismo con tutte le forze che
governano il nostro mondo moderno".
Si potrebbe dire non esservi una sola cosa in possesso della Chiesa da cui non le sia dimandato di
ritirarsi per arrivare alla conciliazione; la Sacra Scrittura non dovrebbe mantenere intatta la sua
ispirazione, la sua veracità e la sua autenticità; la teologia dovrebbe diminuire il numero de' suoi
dogmi e sottometterli al controllo della scienza; la filosofia, farsi kantiana; la politica, consacrare la
sovranità del popolo; l'economia, offrire il paradiso quaggiù, ecc. ecc. A tutte e a ciascuna di queste
pretese, Leone XIII ha risposto colle sue immortali Encicliche. Nella prima, Inscrutabili, ha detto,
che la civiltà la quale si oppone alle dottrine della Chiesa, non è che una falsa civiltà; in quella che
incomincia colle parole:
Quod apostolici ha respinto le conclusioni pratiche a cui questa falsa civiltà deve condurre: cioè il socialismo, il comunismo, il nichilismo che vogliono stabilire l'ordine sociale sulla eguaglianza di tutti gli uomini; vale a dire il rovesciamento di ogni gerarchia, l'abolizione del matrimonio e della famiglia, la negazione del diritto di proprietà. Le Encicliche seguenti son ritornate su ciascuna di queste basi dell'ordine sociale: Arcanum divinae sapientiae, sul matrimonio e la famiglia; Diuturnum, sul potere civile; Immortale Dei, sulla costituzione cristiana degli Stati; Libertas praestantissimum , sulla vera nozione della libertà, Scientiae christianae, sui doveri civili dei cristiani;
Rerum Novarum, sulla pace sociale e i mezzi di ottenerla; Aeterni Patris, sulla filosofia;
Providentissimus Deus, sulla Santa Scrittura, ecc. ecc., e nel centro di questa sfera donde raggia la luce in tutte le questioni agitate ai nostri giorni, l'Enciclica sulla Chiesa, depositaria e Maestra di tutte le verità, e quella sulla framassoneria, focolare di tutti gli errori.
"Noi facciamo tutti i nostri sforzi - diceva Leone XIII, ai pellegrini di Malta, il 22 maggio 1893 -
per ricondurre sul diritto sentiero la società umana"; e in una lettera indirizzata, il 6 gennaio 1896, al
cardinal Langénieux, esortava in questi termini tutti i cattolici a secondare i suoi sforzi: "I cattolici
devono affermarsi come figli della luce, tanto più intrepidi e prudenti, quanto più vedono una
potenza tenebrosa mettere maggior persistenza a rovinare intorno ad essi tutto ciò che è sacro e
benefico; essi devono prendere con chiaroveggenza e coraggio, conformemente alla dottrina esposta
nelle nostre Encicliche, l'iniziativa di tutti i veri progressi sociali, tenersi nel primo posto tra quelli
che hanno l'intenzione leale, in qualunque condizione si trovino, di concorrere a far regnare
dovunque, contro i nemici di ogni ordine, gli eterni principii della giustizia e della civiltà cristiana".
Il rifiuto di conciliazione opposto dalla Chiesa ai nemici di ogni buon ordine, non riguarda dunque
che l'errore e il male ch'essa non può consacrare, nemmeno in minima parte. In ciò la sua
opposizione è sempre irreducibile. Ma è una perfidia della setta, la quale vorrebbe la conciliazione
nell'errore e nel male, il far credere che la Chiesa ha in orrore le scoperte della scienza moderna e la
loro applicazione agli usi della vita.
Non è da oggi che l'idea di una conciliazione da stabilirsi tra la Chiesa e il mondo, questo mondo
che Nostro Signore ha colpito de' suoi anatemi, preoccupa certe teste. La parola che dovrebbe
mettervi fine l'ha detta Donoso Cortés.
"Pel concorso degli avvenimenti dei nostri giorni, la Religione e la Società han cessato di comprendersi. La Religione pronuncia anatema sul mondo nuovo e se ne tiene separata; il mondo è
vicino ad accettare l'anatema e la separazione. Avvicinare lo spirito cristiano e lo spirito del secolo, la vecchia religione e la società nuova, e condurle ad accettarsi a vicenda, ecco il pensiero
veramente cattolico, equo, e manifesto d'un'alta intelligenza. Senza adulazione, il nostro tempo è grande, che ha fatto di grandi cose, aperto grandi destini! Tutti questi risultati positivi, visibili, così
rapidamente ottenuti, questo progresso sì generale di benessere, di ricchezza, di ordine, di giustizia pratica negli affari di ordine sociale, sono cotesti sintomi di decadenza? No, la nostra società ha
coscienza di quello che è e di quello che può divenire, del bene che ha fatto all'umanità: ella vuol essere onorata".
Donoso Cortès pensava affatto diversamente. Egli diceva: "Il destino dell'umanità è un mistero
profondo che ha ricevuto due spiegazioni contrarie, quella del cattolicismo e quella della filosofia. Il
complesso di ciascuna di queste spiegazioni costituisce una civiltà completa. Fra queste due civiltà
vi è un abisso impenetrabile, un antagonismo assoluto. I tentativi fatti per venire ad una transazione
fra loro sono stati, sono e saranno sempre vani. L'una è l'errore, l'altra la verità".
Tredici anni più tardi, Guizot ricevette da Donoso Cortès un esemplare del suo Essai sur le
Catholicisme, le Libéralisme et le Socialisme . Nell'accusarne ricevuta, in data 3 luglio 1851, Guizot
ritorna sull'idea espressa nel 1838. "Sembrami - egli dice - che non leverei (dal vostro libro) un iota;
ma che vi aggiungerei qualche cosa. La Chiesa cattolica non cangia né varia, questo è certo; ma è
pure indubítabile ch'ella cammina e progredisce.
Per incorporarsi alla società umana qual'è attualmente, ella ha ancora un passo da fare. Questo passo, può farlo, se vuole. Lo farà dessa? Io non conosco alcuno che sia più adatto e più capace di voi per farla entrare in questa via".
Nella sua risposta, Donoso Cortès fece capire a Guizot che s'ingannava, sperando un buon effetto
dal suo progetto d'incorporare la Chiesa nella società umana qual'è attualmente, e ciò perché il
mondo per andar salvo, ha bisogno non di conciliazione, e sopra tutto di conciliazione per una
condiscendenza dello spirito della Chiesa verso lo spirito del mondo, ma abbisogna di verità e di
virtù. Ora, dice il filosofo cristiano, il mondo non può ricevere né la verità, né la virtù che dalla
Chiesa, la quale sola è in possesso dell' assoluto nell'ordine del pensiero, e nell'ordine delle azioni è sola in possesso della carità. Dunque, se mai, per impossibile, la Chiesa si lasciasse rimorchiare dal mondo, il genere umano correrebbe tosto ad una rovina irrimediabile.
Cortès gli ritornò il suo complimento in questo modo: "Io credo possibilissimo che la salute dell'Europa dipenda, nell'ora presente, dal volere o dal non volere di un uomo che è a Val-Richer.
Lo vorrà egli?" Alla proposta che Guizot avea fatto a Donoso Cortès di adoperare il suo talento a ravvicinare la Chiesa al mondo, Donoso Cortès oppose a Guizot la proposta di adoperare la sua
influenza a ricondurre il mondo alla Chiesa cattolica. Il ministro di Luigi Filippo non lo volle.
D'altra parte egli non era la persona adatta, né avea carattere per gridare altamente alla società già così sconvolta del 1851, che non eravi salute se non nella Chiesa cattolica, nella intera adesione alla verità ch'ella predica, nella pratica di tutta la carità che prescrive.
Il còmpito che Donoso Cortès così rigettava, altri l'hanno eseguito. Già, La Mennais, nel movimento di transizione che lo portò dall'esagerazione dell'ultramontanismo al democratismo più eccessivo, aveva fondato il giornale L'Avenir per cantare l'epitalamio dell'unione del liberalismo con la dottrina cattolica. Siamo sempre alle mutue promesse. I mediatori si succedono, si moltiplicano, si fanno sempre più incalzanti, il contratto non si conchiude e non sarà mai firmato.
L'apostolo S. Paolo disse:
Nolite conformari huic saeculo(7). Non conformatevi al presente secolo".
E l'apostolo S. Giacomo: "Chiunque vuol essere amico del mondo diventa nemico di Dio". La Chiesa non dimenticherà mai queste parole.
Note:
(1)
OEuvres, t. IV, p. 189.
(2) In questa medesima opera, t. V, p. 21, l'ab. Bougaud dice: "Non vi ha soluzione di continuità fra
le verità dell'ordine soprannaturale e le verità dell'ordine naturale; queste cadono in quelle e
reciprocamente". E più lungi: "Si sale dal senso alla ragione, come si sale dalla ragione alla fede".
Alla p. 42: "Senza dubbio la fede è un dono di Dio come la vista, come la ragione, né più né meno".
Queste sono proposizioni di puro pelagianismo. Esse addimostrano ciò che diventa la nozione del
soprannaturale negli spiriti che si lasciano invadere dal liberalismo.
(3) Revue catholique des Institution et du Droit, settembre 1904, n. 9, p. 202.
(4) A proposito d'un discorso recitato dal P. Coubé a Saint-Sulpice, l'ex ab. Charbonnel scrisse nella
Revue chrétienne
(revue protestante), il 1° ottobre 1899: "Il mio caso gli servì di pretesto per una
prolissa requisitoria contro il P. Hecker, contro Mons. Ireland, contro Mons. Keane, e l'ab. Félix
Klein. Senza dubbio, io son debitore alle idee rappresentate da questi uomini, della mia apostasia, se
pur vuolsi chiamare così, ed io dico: della mia liberazione".
(5) L'essenza del modernismo, disse Charles Périn, è la pretensione di eliminar Dio da tutta la vita
sociale. Sarà ben presto un secolo (1881) che il modernismo ha fatto il suo ingresso officiale nelle
nostre società cristiane. Fu la Costituente che l'introdusse nelle leggi, ma da lungo tempo i costumi
e le idee n'erano già impregnate.
L'uomo, secondo l'idea moderna, essendo Dio di se stesso e padrone sovrano del mondo, fa d'uopo
che nella società tutto si faccia da lui e dalla sola autorità della legge ch'ei detta. Questo è il
modernismo assoluto, che contradice radicalmente all'ordine sociale che la Chiesa avea fondato, a
quest'ordine secondo il quale la vita pubblica e la vita privata si riferivano allo stesso fine, e in cui
tutto si faceva direttamente o indirettamente, in vista di Dio, e sotto la suprema autorità del potere istituito da Dio per reggere l'ordine spirituale. Vi è un modernismo temperato, che non fa apertamente la guerra a
Dio e che, in qualche modo, viene a patti con Lui. Senza negarlo e combatterlo, gli assegna, ponendolo nel diritto comune, il posto ch'Egli può occupare tra gli uomini. Con questa tattica, pur conservando le apparenze d'un certo rispetto, il modernismo pone Dio sotto il dominio e la tutela dello Stato. Questo modernismo temperato e circospetto è il liberalismo di ogni gradazione e d'ogni tinta.
Ma non si dimentichi che da una banda e dall'altra il principio è il medesimo. Si tratta sempre di
fare una società senza Dio, o almeno di costituire una società che tiene Dio il più lontano possibile
dalle sue istituzioni e dalle sue leggi.
(Le modernisme dans l'Eglise dietro lettere inedite di Lamennais).
Ciò stante, si comprende come il modernismo o la civiltà moderna sia stato condannato dalla Santa
Sede, e come la conciliazione fra il modernismo e il cattolicismo sia un'utopia che non si potrà mai
attuare.
(6) Nationalisme, Catholicisme, Révolution, p. 195.
(7) Rom. XII, 2.