La Civiltà Cattolica, anno 57°, vol. III (fasc. 1350, 4 settembre 1906), pagg. 641-657, Roma 1906.
DELLA EVOLUZIONE DEL DOGMA[1]
VIII.
Tutte le verità di fede, i dogmi, sono contenute nel deposito della fede, ossia nella parola divina rivelata, scritta o tramandataci, la quale dai teologi è detta regola remota della fede. In quel deposito tutti i dogmi hanno la loro verità ontologica perfetta, alla quale non si può aggiungere, immutare, togliere nulla.Si tratta ora di sapere come quella verità ontologica passi dallo stato oggettivo, nel quale fu collocata, allo stato intellettivo nella mente dei fedeli, e diventi verità intelletta.
E perciò è mestieri investigare in quali condizioni, in quali proporzioni, in quali fasi, ne' differenti tempi della vita della Chiesa, siasi trovata e si possa trovare questa verità nel mondo delle intelligenze cristiane. Bisogna quindi considerare e distinguere per una parte la diversità degli articoli della fede, nella loro portata oggettiva: e per l'altra badare ai diversi tempi, ne' quali le verità della fede furono proposte alla credenza comune. Ed inoltre tener l'occhio al magistero vivo e perenne della Chiesa, al quale fu commesso il deposito della fede, e che dai teologi è denominato regola prossima di essa fede.
Alcune verità della fede sono dette fondamentali, per cagione della loro dignità intrinseca e connessione coll'ultimo fine: per es. l'esistenza di Dio creatore e rimuneratore, e di Gesù redentore degli uomini; altre non appariscono tali, siccome quelle che appartengono alla manifestazione più estesa o più recondita delle verità fondamentali, in cui sono implicitamente contenute: così nella verità oggettiva «Dio uno» si contiene implicitamente la verità ex natura rei delle tre divine persone [2]. Delle quali verità tutte però il motivo formale ad essere credute, ossia l'autorità di Dio rivelante, è identico ed ugualmente fondamentale in tutte.
In quanto poi alle diverse epoche, nelle quali la Chiesa è vissuta, si devono attentamente distinguere i tempi apostolici, i primi quattro secoli dell'era nova, i tempi dell'evo medio e moderno e quelli del contemporaneo; i quali tutti affacciano per un lato una grande diversità e ne' costumi e nelle condizioni intellettuali degli uomini, e per l'altro accampano una giusta esigenza perchè le verità si risentano di quella rispettiva differenza delle condizioni storiche della società cristiana.
Per ultimo ci si presenta l'indefettibilità della Chiesa, e per tanto quel suo magistero vigile e costante, la cui direzione, assistita dallo Spirito di verità promessole dal Fondatore, costituisce la regola prossima, viventissima, della fede.
IX.
Ciò premesso, noi scorgiamo che il patrimonio delle verità della fede potè trovarsi e trovasi di fatto nelle menti dei fedeli, in un molteplice modo, e rispettivamente diverso a seconda della diversità oggettiva delle stesse verità credende, e delle differenziali condizioni degli uomini e dei tempi.Alcune verità furono credute sempre mai [= sempre sempre, ove mai è mero rafforzativo che indica continuazione. N.d.R.], e proposte a credere di primo acchito, perchè di necessità indispensabile per cagione del loro conducimento al fine dell'uomo ed a quello stesso della Chiesa o società cristiana: tali le verità di fede dette fondamentali, del cui numero occupa la cima l'esistenza di Dio rimuneratore e dell'inviato Gesù.
Pigliando poi in considerazione la diversità dei tempi, noi troviamo, che ne' primordii del cristianesimo la professione della fede si ricapitulava nella persona di Gesù. La novità della cosa, la trascendenza della sua persona, della sua vita, della sua legge, e la mentalità di que' primi uditori non esigevano altro. Infatti per quelle circostanze e per quei primi uomini, i quali nella massima parte erano ebrei, il nome di Gesù compiva le aspettazioni dell'umanità, come di colui che adunava nel prodigio storico della sua persona teandrica la realità del Messia, del Redentore, del Legislatore, del Giudice supremo. Quindi dopo annunziato lui nel suo celebre discorso, S. Pietro senz'altro battezzò tre mila persone; così operò Filippo coll'eunuco della regina Candace; così Paolo parlò nell'areopago di Atene, dinanzi ai principi degli ebrei, e dinanzi ai presidi romani. Anzi da ciò invalse la denominazione del battezzare in modo compendioso nel nome di Gesù, come leggesi negli Atti [3].
Ma col progredire dei tempi, colla moltiplicazione di uomini dalle stirpi diverse, e dai diversi costumi e dalla diversa coltura, le esigenze nella professione del cristianesimo variarono di molto. Cominciarono presto le divergenze interne, i contrasti col giudaismo, gli urti col paganesimo, le controversie, i dubbii, le eresie, gli scismi; e quindi pur presto si fece sentire la necessità di una regola di fede, più diffusa, più determinata. più studiata accuratamente. E per tanto la necessità dei concilii provinciali ed ecumenici, e la promulgazione come in altrettanti codici della dottrina cristiana, conforme insegnano gli annali della Chiesa.
Ciò premesso, e stando ai dati della teologia e della storia, può dirsi che la intelligenza dei dogmi, a cagione della diversità dei tempi e per effetto degli umani contrasti, trovavasi nelle menti cristiane secondo lo stato di alcune delle seguenti condizioni intellettuali: alcune verità erano conosciute in modo aperto, altre in modo implicito, altre in un modo oscuro o controverso, ed altre in un modo definito. Per conseguente tutto il processo della evoluzione dogmatica consisterà in una illuminazione intellettuale, che collochi nella mente, secondo le sue note adeguate e distinte, il concetto di un vero, non bene in essa per anco effigiato per qualsiasi impedimento. Ora luce intellettuale nello schiarimento delle verità della fede, furono sempre lo studio delle questioni, le discussioni conciliari, e le definizioni dal magistero perennemente vivo della Chiesa deliberate.
Passiamo quindi trascorsivamente in rassegna i diversi capi accennati:
a) Delle verità fondamentali, aperte ed imposte a tutti, non è a dire più che tanto, essendo cosa per sè manifesta.
b) Ma nelle verità fondamentali e di prima necessità, altre parecchie si contengono, le quali, intese dai fedeli nel modo ordinario della comune consuetudine, non abbisognavano che di qualche studio o di una qualche spiegazione per venire afferrate nel loro concetto particolare. Così nella verità generica della necessita della grazia per tutte le opere salutari, si contiene, come una proposizione particolare nell'universale, la necessità di essa grazia e per l'inizio della fede, e per la perseveranza finale. Nella verità dell'essere Pietro Capo della Chiesa sono, in complesso, compresi gli uffizi di pastore universale, di maestro infallibile, di supremo direttore, e così via discorrendo.
e) Altre verità invece non possono essere dedotte da un principio generale tanto facilmente, perchè se ne dilungano non poco, attesa la natura speciale del loro contenuto. Per un esempio, è articolo di fede che tutti i sacramenti contengono e danno la grazia santificante. Ma siccome la grazia sacramentale è contemperata alla natura specifica e quindi al fine del sacramento, accade che la grazia di alcuni sacramenti produce effetti speciali, che da quella degli altri non possono essere prodotti. Così alcuni sacramenti sono rigeneratori, come il battesimo e la penitenza, e per tanto la loro necessità chiamasi di mezzo, cioè indispensabile alla salute: il che non si verifica degli altri. Coteste verità, che sono pure verità di fede, stanno al dirimpetto della prima in un modo così complicato, che la loro contenenza in essa è veramente oscura e confusa; abbisognano dunque per essere intellette, di una illustrazione speciale.
d) Molte credenze, appartenenti al patrimonio comune delle verità cristiane, erano abbracciate dal popolo e dal clero, e seguite nell'uso ordinario e nella ordinaria predicazione della fede, senza un pensiero al mondo intorno alla loro legittimità o ortodossia, o grado di credibilità intensiva. Ma per quale ragione che si fosse, a poco a poco sorsero dubbii intorno alla pratica dei riti che quelle credenze incorporavano, ed a poco a poco si passava ad una pratica nova: quindi le controversie e le discussioni e le gare, che seminarono il dubbio e sparsero l'oscurità su quelle credenze sino allora seguite con animo tranquillo. Così accadde per la famosa questione intorno la validità del battesimo conferito dagli eretici. In prima seguivasi l'uso ordinario di non rinnovare più ciò che una volta erasi conferito, e si durò nella consuetudine sino al primo ventennio del secolo III (verso il 217) essendo Agrippino vescovo di Cartagine; nel qual tempo si incominciò, come a dire, a correggere la saluberrima consuetudine antica, e quindi un punto di credenza fino allora indubbia cominciò a divenire oscuro; ma allora fu rimessa con diligenza ad esame, e, dopo la celebrazione di un concilio, ripristinata nel suo antico vigore, e passata nel comune patrimonio siccome verità inconcussa [4].
e) Tutte queste verità, o implicite, od oscure, o controverse, delle quali si potrebbe tessere un ben lungo catalogo, vennero poi a poco a poco, ne' rispettivi tempi, e co' mezzi opportuni, spiegate e chiarite, e collocate nelle menti dei fedeli in modo definito, siccome verità inconcusse, passate a popolare il mondo delle intelligenze cristiane dal deposito della fede, dove si conservano immote nel loro stato ontologico, affidato da Gesù agli apostoli, e da questi consegnato alla Chiesa. Così accadde in tempi più vicini a noi nella definizione del primato dei successori di Pietro, e dell'immacolato concepimento della madre di Dio. L'illuminazione intellettuale, che operò quel passaggio, ebbe la sua preparazione nello studio e nelle discussioni preliminari, destate in occasione de' tempi o di uomini novi, di suscitate e lungamente dibattute controversie, e di condizioni di progredita cultura; e sortì il suo effetto per opera del magistero sempre vivo nella Chiesa, sopra la quale aleggia sempre presente, ed irradia il suo lume lo Spirito di Gesù illuminatore dell'universo.
X.
Tutto dunque il processo, che vuolsi dire, della evoluzione del dogma, consiste e si riduce nello spiegare ciò che è implicato, nel disciogliere ciò che è complesso, nel chiarire l'oscuro, nel definire il controverso. Non è altro insomma se non quel gioco ordinario fisiologico e psicologico, col quale si genera il vero dalle nostre facoltà intellettuali, e quel vero si accoglie e si effigia nell'anima intellettualmente; processo comunissimo a tutte le cognizioni, di quale natura che sieno, e che si verifica nell'acquisto delle cognizioni eziandio soprannaturali, identicamente, prescindendo dai mezzi che vengono in gioco, quando si è in un ordine soprannaturale: questo perfezionando, e non punto corrompendo il modo ordinario delle facoltà naturali. In altri termini, siamo costretti a concludere, in forza di una rigorosa analisi stabilita, che il dogma, di evoluzione non ne patisce nè punto nè poco.Nè ciò basta; ma veramente chi parla di evoluzione in materia dogmatica, chi attribuisce ad una verità di fede uno svolgimento intrinseco qualsiasi, od un intrinseco progresso, commette due svarioni, non perdonabili a chi si erige in maestro riformatore: e sono uno svarione in filosofia, ed un altro in teologia, l'uno e l'altro elementari.
Infatti nessuna verità ontologica nel suo passaggio in un'anima intellettiva, e nel suo divenire intelletta, nulla patisce, nulla riceve, nulla trasmette di sè, ma rimane immutata sempre nel suo essere reale. Per un processo psicologico, del quale non abbiamo qui a stabilire il modo, riferendoci ai sani trattati di filosofia, accade che una verità ontologica, della quale l'intelletto ha percepito tutti gli elementi, viene come a dire trasportata nella mente, tutta ed identica, in modo intenzionale, come dicono i filosofi; essendo vero, in qualsiasi sistema, che intellectus intelligendo fit omnia: ossia che l'anima, come se fosse tutta uno specchio, si trasforma intenzionalmente in quella verità, della quale ha in sè tutta l'immagine. Per tanto se in questo processo psicologico c'è un qualche modo di svolgimento o di evoluzione, quello e questa accadono nell'anima, l'anima essendone il soggetto; non già nella verità oggettiva, la quale, nel suo passare e nel generarsi nell'anima in immagine intellettuale, rimane immutata nel suo essere ontologico. Accade dunque il rovescio di quanto affermano gli evoluzionisti delle verità dogmatiche: tanto è falso che il dogma per essere intelletto si evolva, chè anzi, svolgendosi e modificandosi la facoltà che lo percepisce, il dogma rimane immutato.
L'errore teologico è poi presto dimostrato, essendo verità di fede, universale e sempre mai tenuta nella Chiesa, che una dottrina dogmatica, detta cioè o scritta, essendo parola rivelata e quindi verbum Dei, è di natura sua immutabile; e pertanto incapace di qualsiasi alterazione [5]. Ora non si dà evoluzione, se pure non ci vogliamo pascere di parole, che non importi un qualche tramutamento.
Il dogma dunque non è suscettibile più che tanto di evoluzione. E troviamo, che la esposizione che ne abbiamo fatta, combacia a capello non solo col concetto, ma colle stesse parole per esempio di quel grande filosofo, che fu Alberto Magno. Un tal processo, scrive il maestro di S. Tommaso, vale a dire il ridurre a forma chiara e definita una dottrina dogmatica dal senso tuttora implicito, oscuro, o controverso, un tal processo «deve dirsi progresso del fedele nella fede, anzichè uno svolgimento della fede nel fedele» [6]; o, come spiega il Franzelin, acquisto dell'esplicita e distinta cognizione dell'oggetto della fede, non accrescimento di esso oggetto in sè [7]. È poi celebre l'ammonimento di S. Vincenzo Lerinese: «È lecito il coltivare e lo schiarire ne' tempi novi gli antichi dogmi della celeste filosofia; ma non è lecito il mutarli, non è lecito il corromperli in modo alcuno» [8].
XI.
Gli errori dei moderni intorno alla evoluzione, che vogliono ad ogni costo introdurre e nella Chiesa e nel dogma, hanno radice nel difetto di una seria formazione teologica, il quale difetto è causa perchè pieghino il capo ad ogni soffiare di ventosa novità; ed in subiecta materia l'errore consiste nel confondere, o nel non intendere i seguenti principii fondamentali:l°) Ogni verità rivelata, ossia verbum Dei, ha la sua esistenza obbiettiva, deposta da Dio nelle menti dei primi discepoli, e da questi tramandate per iscritto o per tramite orale.
2°) Questa esistenza è reale; e per conseguenza non si può dire con rigore (salvo per maniera di paragone), che un dogma anteriormente ad ogni definizione sia in istato di germe [9]. Tra il germe, che non ha se non la virtù (δὺναµιν) di divenir pianta od animale, e l'animale o la pianta già organizzati, passa una differenza sostanziale: nessuno dirà mai che la ghianda sia querce o che un uovo sia una gallina. In quella vece una verità rivelata non acquista, per la definizione sopraggiunta della Chiesa, alcuna nova entità sostanziale, ma rimane oggettivamente la stessa verità di prima; solo è diventata oggetto di fede cattolica, quando prima non era se non oggetto di conoscenza e di fede divina, ossia riveste una relazione coll'intelletto, che prima non aveva. In altri termini, secondo l'usata distinzione dei teologi, quella verità non è mutata quoad se, ma quoad nos.
3°) Quindi la ragione intrinseca dell'essere rivelata una data verità, non è la definizione della Chiesa, ma la comune a tutte le verità rivelate, ossia l'autorità di Dio rivelante: non perchè la Chiesa propone una verità siccome dottrina rivelata, perciò come per motivo intrinseco tale dottrina è rivelata; sì bene perchè è dottrina rivelata, la Chiesa la propone ad essere creduta come tale. La proposizione della Chiesa non è costitutiva della rivelazione, ma è regola estrinseca che la disvela e la dichiara, regola sicura, infallibile.
4°) La verità rivelata trascende ogni lume intellettuale creato. Pertanto la conclusione di un sillogismo, anche quando contiene una verità rivelata, non entra nella credibilità di essa verità rivelata nè come ragione intrinseca nè come regola estrinseca, di fede, ma come semplice forza naturale generatrice di convincimento umano, o di certezza teologica. Per ciò solo dunque che discende dalle premesse di un sillogismo, una conclusione non sarà mai se non materialmente di fede. Formalmente di fede è una tal verità, unicamente perchè è parola rivelata di Dio verità somma, e perchè la Chiesa l'ha dichiarata tale.
5°) Nessun dogma patisce dunque nè può comportare ragione alcuna di evoluzione, di sviluppamento morfico, di alterazione intrinseca; perchè 1°) partecipa della natura di tutte le verità, le quali sono essenzialmente immutabili, per es. (a + b)2 = a2 + b2 +2 ab; o pure «Giulio Cesare conquistò le Gallie»; o pure «il giorno conta 24 ore»; 2°) perchè, come parola da Dio già detta, è cosa esistente già extra causas. –– Quando poi i moderni dicono, che il dogma non è cosa morta, ma vivente, ma risententesi della forza corrente della vita..., commettono un insopportabile sofisma. Ogni vero di natura sua include una relazione intrinseca con un intelletto che lo percepisce, lo racchiude, se lo immedesima e lo fa suo pensiero; per conseguente partecipa della natura intellettuale e quindi vive di vita intellettuale; e, secondo la forza e la potenza operatrice dell'intelletto da cui quel vero è assorbito, concorrerà ad attivarne la energia, servirà come seme intellettivo ad accrescerne la fecondità, e a stenderne la forza intuitiva all'acquisto di altri veri: ma in tutte queste funzioni dell'intelletto, esso vero rimane in sè, nella sua entità obbiettiva, quella cosa che era, che è, che sarà sempre, immutata sempre, e sempre immutabile. L'attribuire dunque ad un vero la vitalità dell'intelletto che lo ha percepito, e l'arrogargliene le funzioni, è un commettere un errore grossolano: non il vero, ma l'intelletto evolve, vive, cresce e si modifica intellettivamente.
6°) La proclamazione nella Chiesa di dogmi novi, non è l'introduzione di una entità nova nella Chiesa, ma una nova espressione della medesima verità già conosciuta, come quella che esisteva già nel deposito della fede. Come esisteva? Lo abbiamo già veduto: esisteva in modo implicito, nella comune professione della fede come era esercitata nella vita religiosa dei popoli, modo che S. Agostino chiama latente [10]. Un errore introdotto, una controversia sorta, od una eresia apparsa furono occasione perchè la Chiesa intervenendo determinasse col suo magistero essere quella verità dottrina rivelata: così è accaduto nella proclamazione dell'immacolato concepimento della Madre di Dio, e così in quella dell'infallibilità dottrinale del Pontefice romano.
XII.
Questa è la dottrina cattolica intorno ad una questione per sè importantissima come fondamentale: il dogma non ammette evoluzione.E non ne ha ammesso mai, nè poteva d'altra parte ammetterne alcuna. E notisi bene essere questa dottrina strettamente cattolica, la cui professione o modificata o diminuita o negata segna i vari gradi di appartenenza alla scuola protestantica. Ne abbiamo un esempio e una prova nella celeberrima polemica di Bossuet contro il protestantesimo, cui il gran vescovo di Meaux colpì nel cuore con fortissimi e ponderosi assalti, dandolo precisamente a vedere siccome sorgente prima e nova di un vero evoluzionismo nelle dottrine fondamentali della Chiesa, che i protestanti dicevano essere sconosciute, informi, nella Chiesa primitiva, ed aver ricevuto corpo e forma solamente nei tempi posteriori per opera de' pontefici e de' vescovi. Ad un errore così fondamentale il Bossuet oppose nella Storia delle variazioni delle chiese protestanti, opera ammirabile per forza di logica e di erudizione come per isplendore di forma, oppose siccome una colonna di granito la massima fondamentale dell'immutabilità della dottrina della Chiesa. Citando vari SS. Padri, «la Chiesa, diceva quel gran luminare della Francia, non varia mai, come quella che ha per regola di non dire e di non insegnare se non quello che ha ricevuto: laddove per ragione contraria, l'eresia è sempre variabile» [11]. E subito dopo esprimendo come in un canone fondamentale la verità cattolica, aggiungeva: «La verità cattolica, venuta da Dio, ha fin da principio la sua perfezione: l'eresia, inferma produzione dello spirito umano, non si raffazona se non con pezzi mal acconciati» [12].
Si risentì l'eresia protestantica della forza di quel vero sfolgoratogli addosso dalla penna dell'apologista cattolico, e si fece alla riscossa per mezzo di uno de' suoi più celebrati campioni. Il Jurieu, professore di teologia protestantica, oratore e pastore avuto in gran conto, non potè smaltire quella sentenza dell'essere la verità cattolica perfetta fino dal suo principio, perchè parola di Dio. E appuntando il Bossuet d'ignoranza e di temerità (niente meno!), rimproverogli di non aver gittato mai neppure lo sguardo sopra i primi quattro secoli cristiani! «Ognuno sa, diceva quel pastore, che il mistero della Trinità rimase informe sino al primo concilio di Nicea ed anche a quello di Costantinopoli. ... Il Figlio non divenne Persona distinta dal Padre se non poco prima della creazione del mondo, e così la Trinità non cominciò che un po' prima del mondo. ... Il dogma dell'avere Gesù Cristo data soddisfazione per i peccati del mondo, rimase informe sino al quarto secolo» ... e così via.
Come il vescovo di Meaux avesse bel gioco nel confutare gli strafalcioni di quel ministro della riforma, si può vedere dalle risposte piene di sale, di sapienza, e di brio, ch'egli fece al ministro Jurieu [13]. Egli dimostra facilmente, con ogni testimonianza di scrittura e di tradizione, come i primi cristiani professavano popolarmente tutti i dogmi della nostra religione, e come a quella professione non fu poi aggiunto nulla di nuovo ne' secoli posteriori, lasciando le definizioni conciliari e le discussioni teologiche dei Padri quelle verità nel loro essere integrale venuto da Dio e commesso alla Chiesa in deposito, dissipando sì bene le oscurità fatte sorgere dall'eresia, e aggiungendo alle verità rivelate maggior chiarezza di espressione, più sicura determinazione, estensione più esplicita di portata e di valore, ... in che consiste e si verifica il vero progresso (profectus) che solo si può dare e che di fatto si diede alle verità della fede, secondo l'insegnamento ammannito ex professo nel Commonitorio di Vincenzo di Lerino [14].
Nè dalla dottrina di Vincenzo di Lerino e di Bossuet, che è la dottrina cattolica, si appartò in sostanza Giovanni Enrico Newman nell'opera che scrisse su questo argomento col titolo di Un saggio intorno allo svolgimento della dottrina cristiana. Egli ricorse la via tentata già da que' due grandi, e ne presentò l'indagine in un modo del tutto novo, e degno della originalità nativa di quel poderoso ingegno ch'egli era. Rifacendosi con ardita analisi sopra la lunga tela della dottrina cattolica, sceverandone la nativa trama divina, ed investigandone l'orditura di composizione umana, il Newman compose quell'opera negli anni 1842-43, quando già lo studio profondo della storia ecclesiastica avevalo condotto a riconoscere nella Chiesa romana la dottrina invariata integrale dei Vangeli, degli apostoli, della Chiesa primitiva. Per rendere a sè e dare agli altri ragione dell'apparente difformità del credo cattolico dalla dottrina antica, come da quella che non era espressa in articoli nè in canoni, il Newman argomentando in parte ad hominem contro i novatori che ammettono variazione di dottrina ne' primi secoli, ed in parte svolgendo storicamente e psicologicamente la teoria teologica di Vincenzo di Lerino e di Bossuet, riesce a persuadersi insomma che le verità rivelate vissero sì veramente nelle successive generazioni cristiane, si svolsero spargendosi e rinsaldandosi in sistema vario ed armonioso [15], si assimilarono le dottrine umane in ciò che avevano di vero; e rimanendo le stesse nel valore integrale del loro concetto nativo, perchè dottrine rivelate da Dio, pure, perchè percepite e tramandate da uomini, si rinnovarono esternamente [16]; ciò vale a dire che presero una espressione più chiara e definitiva per cagione delle relazioni di contrasto cogli errori e co' sistemi contrari, mano mano che attraversarono epoche storiche dalla coltura intellettuale differente. Ma in mezzo ed a traverso alle vicissitudini delle loro varie fasi o parvenze, non patirono mai alcuna modificazione di sostanza o corruzione: la qual cosa è il cardine della teoria del Newman.
Deve poi notarsi con ogni maggiore attenzione, qualmente il Newman parlando di svolgimento non lo riferisce altrimenti alla dottrina dogmatica, ma all'idea che quella dottrina rappresenta e raffigura. Per lui l'idea è come una pittura perfezionabile ne' ragguagli e ne' ripieni, della quale la cosa rappresentata, o l'oggettività, è immutabile, perchè cosa detta da Dio. Ma la rappresentazione o la parvenza, il colorito, la forza di espressione, la virtù vivificatrice di tutto l'altro corredo intellettuale, la potenza espansiva che la mette in relazione e in contatto col magno mare degli esseri, tutto ciò siccome cosa soggettiva e proporzionata alla vigorìa dell'anima pensante, può e deve naturalmente variare a seconda della varietà dei soggetti, e della diversità dei tempi e delle circostanze. In altri termini, il νούμενον o la cosa pensata di quella idea non cambia mai; il φαινόμενον o la vestitura della cosa pensata è naturalmente variabile: ciò, secondo il Newman, si verifica di tutte le idee in generale, e quindi anche dell'idea rappresentante la dottrina cattolica. Di una tale idea vivente della vita dell'intelletto egli discorre a lungo, e ne mostra graficamente la genesi, la perfezione progressiva, la estensione, le vicissitudini, i contrasti co' concetti affini o contrari, le varie fasi di vivezza o di riposo, gli acquisti o le disdette, come se avesse attitudini personali [17].
Egli pubblicò il suo libro in Londra nel 1844, chiudendolo con questa coronide: Nunc dimittis servum tuum Domine..., quia viderunt oculi mei salutare tuum [18]. –– Come si vede, lo svolgimento del Newman [19], sebbene scritto da un tuttavia anglicano, non suffraga per nulla agli evoluzionisti moderni del dogma: i quali veramente hanno abusato ed abusano, senza sufficiente fondamento, dell'autorità del Newman per sostenere una evoluzione progressiva del dogma, la quale dal Newman non fu davvero sostenuta e nè pure pensata [20].
Eppure i progressisti dei nostri giorni, che anche in Italia oramai hanno eretto una specie di scuola, alla quale l'antico latino sa di rancido, vogliono ad ogni costo, sebbene dissimulatamente, incamminare la Chiesa nella via di una vera evoluzione. Per cotestoro la Chiesa è invecchiata, la dottrina, cattolica basisce nelle strette di un vieto formalismo, e la teologia non esce mai dalle vecchie seste, nel mentre che il mondo cammina innanzi e gli uomini e le cose si rinnovellano. Quindi hanno in bocca e nella penna continuamente due parole, le quali sono la loro divisa: progresso e riforma; progresso nella dottrina, riforma nella morale. Vedremo subito quale verità si cela sotto il velame di coteste parole strane. Intanto presentiamo ai nostri lettori un ritratto di riformatori e progressisti, quale delineavalo un settecento anni fa uno scrittore di quel tempo. Veggasi se per avventura il ritratto di quelli antichi, a dispetto del progresso, o meglio in virtù di un regresso atavico, non si attagli alle persone di alcuni moderni:
«Io non valgo, scriveva S. Vincenzo Lerinese, ad ammirare abbastanza tanto prurito di errare che fruga certi uomini, sino al punto di non istar contenti alla regola della fede, dall'antichità tramandataci; ma in quella vece vadano cercando ogni giorno sempre nove e nove cose, e sempre abbiano la smania di aggiungere alcun che alla religione, di mutare, o di togliere; quasi che non vi sia un dogma celeste, il quale rivelato una volta basti per sempre» [21].
XIII.
Progresso e riforma! gridano i novelli Paoli che non provengono da Damasco. Non vedete? La nave fa acqua, gli alberi vacillano, le antenne piegano, il sartiame è fracido, le vele lacere, arrugginite le chiavarde: dunque o virare di bordo, o andar nelle secche.Tutte ciance di gente discervellata! Ma sono ciance però, che corrono per le bocche di molti, che occupano le colonne anche di certi giornaloni che vanno per la maggiore, che compongono lo spirito informatore di un romanzo (che tratta di santità!), al quale si è voluto ad ogni costo fare una celebrità ibrida: sono ciance a ogni modo, che, sparse nel popolo possono cagionare un danno immenso. Che dire, poi, se coteste ciance si fanno udire nel pergamo eziandio dalla bocca di qualche predicatore alla moda? [22]
Abbiamo detto essere coteste ciance di gente discervellata, ed è il meno che si possa dire. Chè messi colle spalle al muro, siccome cotestoro furono e sono fecondi in ciance, altrettanto si mostrano brulli di ragioni e di fatti. Affè! dicano chiaro una volta che progresso vogliono cotesti signori, e che riforme nella Chiesa di Dio. Lascino le ciance, i periodi lunghi e larghi, e torti, le vaghe determinazioni, le accuse indeterminate: e vengano ai fatti, chiamino le cose co' loro nomi, dicano in nome di Dio qual è la parte della dottrina cattolica che debba progredire, quali le virtù che mancano, e quali i peccati che essi attribuiscono alla Chiesa a fine di riforma.
Si stabilisca dunque un'analisi diligente, spassionata, che delle costoro querimonie ci mostri la base e la ragione. E noi vedremo sì veramente esservi nella Chiesa bisogno di qualche progresso, e di qualche riforma. Di quale? Ce lo dirà l'analisi.
Il progresso, relativamente alla Chiesa, non può darsi se non nel dogma, nella morale, ne' sacramenti, nella ierarchia.
Ora queste quattro cose, nel senso sopra spiegato, sono essenzialmente incapaci di progresso.
Dunque, relativamente alla Chiesa, il progresso è assurdo.
Con questo solo sillogismo la causa dei progressiti è spacciata: si contorcano quanto vogliono, si girino su tutti i lati, non si potranno mai disciogliere dai legami, co' quali li stringe questo funiculus triplex.
Essi non avrebbero se non una scappatoia; e sarebbe di dichiarare apertamente, dando i nomi alle cose, se intendono di far progredire il dogma, o la morale, o i sacramenti, o la ierarchia. E se hanno fissato l'occhio progressivo sul dogma, ci dicano quale mistero o quale verità rivelata di nostra santa fede vogliano ampliare e distendere ed allungare, se il mistero della Trinità, dell'Incarnazione, dell'Immacolata, della Risurrezione, eccetera, eccetera. Se sulla morale, ci manifestino i punti su i quali cadrà la pioggia fecondatrice del progresso: se sul quinto, sul sesto, sul settimo, sull'ottavo, sul nono, o sul decimo dei precetti del decalogo. Se su i sacramenti, ci facciano sapere se vogliono allargare i sacramenti della penitenza, o del matrimonio, e se intendano di sdoppiare il battesimo, o conferirlo con acque fiorentine. Se sulla ierarchia, dicano a nome quale degli ordini sacri abbiano destinato al benefizio del progresso; se per avventura intendano di togliere la distinzione tra ordini maggiori e minori, o di sopprimere i secondi e d'ingemmare i primi coll'aggiunta di una compagnia gentile: se infine architettino di cambiare il modo di elezione dei sommi Pontefici, dell'episcopato, dei preti o dei diaconi, se intendano di fare dell'umanità un regale sacerdozio...
Il nostro sillogismo parla chiaro: parlino chiaro anche gli araldi del progresso nella Chiesa, depongano gl'involucri, cambino le ciance in parole nominative.
Ciò per la prima cosa. Ma non possiamo tralasciar la questione pregiudiziale in un punto di tanta importanza. E la pregiudiziale è la seguente: chi vi ha dato il diritto, chi vi ha conferito la missione di riformatori della Chiesa di Gesù Cristo? Chi vi ha costituiti a correttori della Chiesa di Dio? –– Noi sappiamo dalla teologia e dalla storia, che il fondatore della Chiesa diede a Pietro ed a' suoi successori insieme coll'altissima dignità i vicari di lui il diritto e l'obbligo di pascere la cristianità; che ai vescovi fu ed è affidato il reggere la Chiesa di Dio; e che a tutto il clero, massimamente a quello, tanto benemerente, il quale si trova in contatto col popolo, incombe l'ufficio di essere il sale della terra: ma ignoriamo affatto, che esista nella ierarchia ecclesiastica l'ordine dei censori o dei riformatori. Sì bene conosciamo ab antico come predetti nell'avvenire «magistros prurientes auribus», ma non furono fondazione di Gesù, e S. Paolo raccomandava caldamente a Timoteo di tenersi sopra l'avviso contro i cosiffatti.
Che cosa dunque, in buona logica, devesi dedurre dal fin qui detto? Una conclusione, la quale ha due parti: la prima è, che i nostri paladini del progresso e della riforma nella Chiesa non hanno nè programma, nè missione, e pertanto inutile e dannosa è l'opera loro; e la seconda, che invece di bandire, con iscandalo intollerabile, la riforma alla Chiesa che non ne ha mestieri, essi hanno obbligo di applicare a sè medesimi, a propria e ad altrui edificazione, una vera riforma. La quale consiste nel tornare al vecchio, vogliamo dire all'osservanza di tutto quello che da diciannove secoli Gesù ha fondato, gli apostoli hanno promugato, e la Chiesa ha ricevuto in sacro deposito ed inviolabile, e che durerà immobile ed immutato sino all'ultimo momento del tempo, a dispetto di tutti e di tutto.
Che sorte poi sia riservata agli evoluzionisti cattolici vedremo in un prossimo studio.
NOTE:
[1] Vedi quad. 1348 (8 agosto p. p.) pag. 411 e sgg.[2] S. Thomas, 2. 2., q. 1. a. 6. ad 1, e a. 7; Franzelin, De divina traditione et scriptura, p. 238. Il Becano, nel primo articolo proposto a esser creduto da S. Paolo (Hebr. II, 6) «oportet credere quia (Deus) est», dichiara contenersi implicitamente tutti gli articoli «de Deo et Trinitate: ut quod Deus sit unus, bonus, iustus, misericors, omnipotens, aeternus, infinitus; et quod sint tres personae divinae eiusdem essentiae, Pater, Filius, et Spiritus Sanctus». (De virtutibus theologicis, q. III, n. 2). E il De Lugo: «Fides etiam Trinitatis continebatur implicite in fide explicita Dei infinite perfecti, si quidem ad infinitam perfectionem naturae divinae pertinet fecunditas ad processiones divinas» (De virtute Fidei divinae, Disp. III, sect. V, n.° 65), dove distingue i vari modi di contenenza implicita di un oggetto in un altro; il qual modo è ancora più diffusamente descritto dal Suarez nel De fide, disp. II, sect. VI., n. 2.
[3] Notisi siccome saggio dell'ermeneutica protestantica questo trovato di alta critica dello Strauss. In Matteo la formola del battesimo (XXVIII, 19) esprime chiaramente le tre persone; negli atti invece (X. 48) si battezzava nel nome di Gesù solamente. Ora il battesimo conferito nel nome di Gesù non era se non una denominazione estrinseca, colla quale distinguevasi il battesimo comandato da Gesù, e fondato da lui, dal battesimo di Giovanni; ma in realità di fatto era amministrato in nome delle tre Persone, se non vogliamo supporre gli Apostoli o riottosi o ignoranti. Ma lo Strauss, stando alle seste di un cieco materialismo, vedendo la formola usata negli Atti diversa dalla usata dalla Chiesa ne' secoli posteriori, non esita punto a sentenziare che in que' secoli posteriori la Chiesa rimaneggiò il testo primitivo dei vangeli, ed in quello di Matteo vi insinuò l'aggiunta della formola che vi si legge: laonde il vangelo di Matteo fu scritto dopo gli Atti! (Strauss, Nouvelle vie de Jésus, I. 151).
[4] Nondum enim, così S. Agostino, erat diligenter illa baptismi quaestio pertractata, sed tamen saluberrimam consuetudinem tenebat Ecclesia... ex apostolica traditione venientem... Hanc... per Agrippinum praedecessorem suum dicit Cyprianus quasi coepisse corrigi... et verisimiles rationes intercluserunt iter pervestigandae veritatis... Postea non solum inventa est (veritas), sed etiam ad plenarii Concilii auctoritatem roburque perducta». (De Baptism., II, n. 5).
[5] «Neque enim fidei doctrina quam Deus revelavit, velut philosophicum inventum proposita est humanis ingeniis perficienda» [trad. it: «Imperocchè la dottrina della fede, la quale Dio rivelò, non è proposta agli ingegni umani come un'invenzione filosofica da perfezionare» N.d.R.] (Concil. Vatic., cap. IV, Constit. Dei Filius). E nel can. 3°: «Si quis dixerit, fieri posse, ut dogmatibus ab Ecclesia propositis aliquando secundum progressum scientiae sensus tribuendus sit alius ab eo, quem intellexit et intelligit Ecclesia, anatema sit» [trad. it.: «Se alcuno dirà possibile ad accadere, che ai dommi proposti dalla Chiesa si possa una volta, secondo il progresso della scienza, attribuire un senso diverso da quello che intese ed intende la Chiesa; sia anatema.» N.d.R.].
Accanto a questa definizione dogmatica, si degni il lettore di collocare le seguenti parole, che togliamo dalla Rivista di cultura, uscita in Roma, 1° luglio 1906; le quali fanno parte del compendio di un articolo della rivista inglese The Hibbert Journal (IV, 2), che ha per titolo «Outcome of the Theological movement of our age». Nella Rivista di cultura si legge dunque a p. 15: «... A evoluzione progredita più che oggi non sia, gli articoli di fede cattolica... saranno adorati e creduti come riflettenti nel pensiero umano i mistici segreti dell'universo, l'ordine e la costituzione dell'universo. E saranno adorati e creduti per la loro reale natura, non per il loro supposto carattere. Saranno presi per ciò che sono non per ciò che non sono. Come per fedi cosmiche (sic) non potranno mai pensarsi fissati e fermati in forme definitive ma si riconosceranno come plastici simboli dei fluenti processi della vita che evolge (sic), aprendosi in sempre nuovi e più alti significati».
Non avendo sotto gli occhi l'Hibbert Journal, dobbiamo supporre che il concetto dell'autore di questo articolo sia reso fedelmente. Ciò posto, confessiamo schietto di ravvisare nel brano citato altrettanti spropositi gravissimi, quante sono le parole. Infatti stando alle parole citate, 1°) gli articoli di fede, ad evoluzione progredita, non saranno più parola da Dio rivelata, sì bene riflessione della costituzione dell'universo nello specchio dell'anima credente; 2°) il motivo formale della loro credibilità non sarà più l'autorità di Dio rivelante, ma la loro reale natura; 3°) non avranno più in terra forme definitive fisse, ma gireranno come banderuole sopra ed attorno il flusso corrente della vita; 4°) acquisteranno nuovi significati. –– Sono queste vere scempiaggini nel fondo, e vere goffaggini nella espressione; stanno poi in aperta opposizione colla definizione del Concilio Vaticano, dalla quale sono condannate apertamente.
[6] «Potius profectus fidelis in fide, quam fidei in fideli» (3. sent., dist. 25. a. 1. ad 1).
[7] Op. cit., p. 260.
[8] «... Fas est enim, ut prisca illa coelestis philosophiae dogmata processu temporis excurentur, limentur, poliantur; sed nefas est, ut commutentur; nefas, ut detruncentur, ut mutilentur» (Commonitor., n. 27-32).
[9] Quando nel suo celebre Commonitorio, Vincenzo Lerinese parla di triticeae fidei semina..., che si svolgono in hac Ecclesiae Dei agricultura, è manifesto che egli parla allegoricamente e per modo di semplice figura; ciò si deduce con evidenza dal contesto (nell'ediz. del P. Hurter, cap. IX, p. 2l4).
[10] «Multa latebant in Scripuris, et cum praecisi essent haeretici, quaestionibus agitaverunt Ecclesiam Dei: aperta sunt quae latebant, et intellecta est voluntas Dei» (In Ps. 54. n.22).
[11] «Pendant que les hérésies toujours variables ne s'accordent pas avec elles-mêmes, et introduisent continuellement de nouvelles règles ... dans l'Eglise, dit Tertullien (Eth. et Beat., lib. I. contr. Elip.), la règle de foi est immuable, et ne se réforme point. C'est que l'Eglise, qui fait profession de ne dire et de n'einseigner que ce qu'elle a reçu, ne varie jamais, et au contraire l'hérésie, qui a commencé par innover, innove toujours et ne change point de nature» (Histoire des variations, oper. compl. ediz. Migne, VIII, 322).
[12] «La vérité catholique, venue de Dieu, a d'abord sa perfection: l'hérésie, faible production de l'esprit humain, ne se peut faire que par pièces mal assorties» (Ibid., p. 324).
[13] Avertissements aux protestants ... sur les lettres du ministre Jurieu (op. cit., VIII, 1056 segg.).
[14] Citando la dottrina di quel Santo, la quale è uno stupendo commentario e sanissimo delle parole paoline: «o Timotee, serva depositum», egli conchiude: «Voilà ma proposition: Il n'y a jamais rien à ajouter à la religion, parce que c'est un ouvrage divin, qui a d'abord toute sa perfection» (Op. cit., p. 1061).
[15] Essendo, scrive il Newman, il cristianesimo un fatto, può siccome tale divenir oggetto del pensiero, e quindi materia alle speculazioni intellettuali. Si odano le sue parole: «If Christianity is a fact, and can be made subject-matter of exercises of the reason, and impresses an idea of itself on our minds, that idea will in course of time develope in a series of ideas connected and harmonious with one another, and unchangeable and complete, as is the external fact itself which is thus represented» (An essay.... p. 94).
[16] «The highest and most wonderful truths, though communicated to the world once for all by inspired teachers, could not be comprehended at once by the recipients, but, as being received and transmitted by minds not inspired and through media which were human, have required only the longer time and deeper thought for their full elucidation».
[17] «... In time it (an idea) enters upon strange territory: points of controversy alter their bearing: parties rise and fall around it; dangers and hopes appear in new relations: and old principles reappear under new forms. It changes with them in order to remain the same. In a higher world it is otherwise, but here below to live is to change, and to be perfect is to have changed often». (Dall'edizione del 1897, p. 40). Le quali parole, per verità esposte di leggeri ad essere fraintese, qualora si piglino come staccate dal contesto, furono appunto male interpretate dal traduttore francese, il quale così ne parla: «Dès les premières pages de ce livre (del Newman), on rencontre ces extraordinaires paroles –– «Les grandes idées évoluent sous peine de se corrompre. Il n'en va pas ainsi dans l'autre monde, mais ici-bas vivre c'est changer: plus une doctrine est parfaite, plus souvent elle a dû changer» (Brémond, Newman: Le développement du dogme chrétien. 1905, p. X). La differenza di significato e di portata tra le parole del Newman e quelle del Brémond è enorme. Il Newman non parla di dottrina, ma della concezione di una dottrina nella mente umana, la quale concezione nel suo vivere intellettuale naturalmente si svolge da imperfetta in espressione più chiara, più sicura, più definitiva: ma il concetto oggettivo non cambia mai in sè stesso. Le parole «plus une doctrine est parfaite, plus souvent elle a dû changer», non sono del Newman, e contengono errore se non vengono spiegate in buon senso. Lo stesso dicasi della corruzione, a cui vadano incontro «les grandes idées» che non seguano la corrente della evoluzione.
[18] An essay on the development of christian doctrine (London 1844, pp. 453 in 8°).
[19] Cf. Bainvel, De magistero vivo et traditione (1905). il quale della trattazione del Newman dà un largo sunto schematico a p. 146 segg.
[20] Tale ci sembra la evoluzione progressiva, descritta nelle seguenti parole: «Les temps où la théologie catholique sera une adaptation de la foi aux principes qui gouvernent la philosophie, l'exégèse, et l'histoire, ne sont peut-être pas très éloignés». (Dimnet, La pensée catholique dans l'Angleterre contemporaine. Paris, 1906. pp. 289). –– Un tal principio, che qui viene espresso in tono profetico, è addirittura temerario, come quello che sconvolge anzi rovescia l'attitudine della teologia, vale a dire della dottrina rivelata, colla scienza umana ossia colla dottrina soggetta ad errore. Fino ai nostri giorni, tutti i teologi avevano pensato e detto il contrario, coll'asserire che non la teologia è funzione della scienza umana, ma viceversa. Infatti, una delle due: o la filosofia (lasciamo stare la esegesi e la storia, i cui principii sono chiari abbastanza, sebbene si possa discordare nella loro applicazione pratica), o la filosofia presenta principii opposti alla dottrina rivelata, o no: nel primo caso l'asserzione è blasfema, e manda in aria la Scrittura, la tradizione, le definizioni dei concilii; nel secondo caso, l'asserire che la teologia si adatti al dettame di una scienza umana quale che sia, è una espressione la quale redolet tutta la insipienza delle teste vuote, vale a dire illogiche di alcuni modernisti. Essendo cosa manifesta, e molto antica, che una verità non si oppone ad un'altra verità, ne viene di conseguenza che una verità di ordine inferiore sarà detta adattarsi a quella di un ordine superiore, se vi è relazione tra l'una e l'altra, e non già viceversa; e quindi non mai la teologia cattolica sarà un adattamento ai principii che governano la filosofia, ma dovrà accadere per l'appunto il contrario, se pure la logica dovrà governare ancora la mente umana.
[21] «Mirari satis nequeo tantam quorumdam hominum... errandi libidinem, ut contenti non sint tradita semel et accepta antiquitus credendi regula; sed nova ac nova in diem quaerant, semperque aliquid gestiant religioni addere, mutare, detrahere; quasi non coeleste dogma sit, quod semel revelatum esse sufficiat» (Commonitor. n. 26).
[22] Da uno di questi predicatori di moda abbiamo udito noi stessi queste parole, almeno secondo il senso: Ve l'ho detto già varie volte, che il Verbum Dei, o la divina parola, non deve essere confinato in un luogo o in un tempo: ma fu dato per ispargersi e progredire... avanti, avanti. Noi vorremmo sapere se la parola divina possa venire confinata: e nel caso negativo, perchè combattere delle ombre nella Chiesa di Dio, quando ci sono le peccata da flagellare? Ma forse per i filosofi dell'anima moderna certe cose o certi fatti non costituiscono peccato. –– Altrettanto, anzi più grazioso ci riesce l'eufemismo di un altro predicatore o conferenziere alla moda, il quale intende seriamente di voler ammorbidire il dogma. Un cosiffatto intendimento è certamente gentile, e tale da fare andar in visibilio la eletta della gentuccia amica delle cose gentili. Ma quanto possa essere apostolico un tale intendimento, non sapremmo dire, attesa la difficoltà pratica che si presenta nella esecuzione. Pigliamo per un esempio il dogma dell'inferno, che è il dogma di tutti più rude: come potrebbe venire ammorbidito? Ci sembra, che in due soli modi: l'uno consiste nel sopprimere la eternità della pena, a cui sono da Dio dannati gli abitatori del doloroso regno: l'altro nel cancellare il fuoco, che secondo l'antico credo arde nell'inferno. Sarebbe un bell'incarico per un apostolo moderno! Se non che egli incappa, con quel vezzo di ammorbidire ciò che di natura sua non è ammorbidibile, egli incappa in due eresie, o in una eresia e mezzo!