Le macerie di Dresda dopo il bombardamento
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I tedeschi, si sa, hanno tutte le colpe, da sempre: oggi sono i feroci custodi dell'euro, mentre ieri erano i Barbari che combatterono contro Roma, i Lanzichenecchi che la saccheggiarono, gli Unni che ci sconfissero a Caporetto, e i Nazisti che scatenarono la Seconda guerra mondiale, a cui, soprattutto, non possiamo perdonare di essere stati nostri alleati almeno fino al 1943.
Forse è per questo che, in Italia, non è possibile, o comunque non interessa, parlare di quello che la Germania patì dopo la sconfitta del 1945. Argomento tabù per tutto l'Occidente almeno fino alla caduta del Muro di Berlino, quello dei «vinti della liberazione» è, per ovvie ragioni, un argomento poco trattato. Qualche anno fa è uscito anche in Italia, tradotto da Einaudi ma ormai fuori catalogo, un libro anonimo intitolato Una donna a Berlino , un diario che raccontava con agghiacciante crudezza le violenze subite dalle donne tedesche durante l'occupazione sovietica, tanto brutali e sistematiche da rendere lo stupro di ogni creatura femminile dai nove ai novant'anni quasi una doverosa «normalità». Dal libro, nel 2008, fu tratto un film, anche quello di poco impatto sul pubblico nostrano, anche se incrinò il mito della cosiddetta «liberazione», che tale certamente non fu per la metà dell'Europa finita sotto il tallone dell'Armata rossa. Più recentemente, altri libri e documentari, come ad esempio Hellstorm , un saggio dello scrittore americano Thomas Goodrich da cui è stato tratto un impressionante documentario, visionabile anche su You Tube e un altro scioccante film, prodotto dalla Bbc, e disponibile anch'esso su Internet, 1 945: The Savage Peace , hanno raccontato la «pulizia etnica» operata contro i tedeschi nell'Europa Orientale. Sconsigliabile alle persone impressionabili, il documentario prodotto dalla Bbc mostra del raro materiale d'archivio sulle violenze e torture compiute insieme ad alcune interviste con alcune anziane, sopravvissute a stupri ed abusi inimmaginabili operati sempre dalle «orde sovietiche», la cui brutalità è stata assodata una volta per tutte e consegnata alla nostra memoria collettiva.
Quello che sinora, invece, è rimasto quasi totalmente inesplorato è il destino dei tedeschi finiti nelle mani degli Alleati, anche se un recente blockbuster americano ha, sorprendentemente, sfiorato l'argomento: parliamo di Fury , dove i carristi al comando di Brad Pitt, oltre che pensare a trucidare più tedeschi possibili, considerano del tutto naturale violentare le donne tedesche incontrate durante la loro avanzata. Quello che nel film è solo accennato fu, invece, un crimine di guerra sistematicamente compiuto dalle truppe americane, inglesi e francesi, come dimostra un saggio appena uscito in Germania, che ha già bruciato due edizioni in un mese: Als die Soldaten kamen , scritto da una giovane storica, Miriam Gebhardt, che ha deciso di raccontare la violenza contro le donne tedesche alla fine della Seconda guerra mondiale, come recita il sottotitolo del volume edito da Deutsche Verlags-Anstalt.
Quando arrivarono i soldati, questa la traduzione, che forse riecheggia il celebre best-seller di Paul Carrell, Sie Kommen! (Arrivano!), è un libro veramente disturbante, che smonta una volta per tutte il mito dei «buoni americani». Furono, infatti, almeno 900.000 le vittime tedesche di violenza operata dalle truppe alleate alla fine della Seconda guerra mondiale e negli anni successivi. Subirono violenza sessuale non solo le donne, ma anche uomini e ragazzi, e i soprusi contro la popolazione continuarono fino al 1955, anno in cui venne proclamata la Repubblica federale tedesca. La vergogna, il senso di colpa, la scoperta dei crimini contro gli ebrei - che nessuno intende sminuire o negare - fecero calare il silenzio sul lato oscuro dei liberatori. L'autrice, che insegna storia all'università di Costanza, ha consultato anche i dossier della polizia e gli archivi delle parrocchie, che in Baviera sono ricchi di cosiddetti «rapporti sull'invasione», ovvero elenchi delle violenze subite dai civili, mestamente elencate come una tragica, ineluttabile fatalità.
All'epoca, infatti, le violenze erano risapute: una lettera di un anonimo soldato americano, pubblicata su Time nel 1945, denunciava «la ferocia e il saccheggio del nostro esercito, considerato, ormai, un'armata di violentatori». Col tempo, la memoria degli orrori dei vincitori sbiadì; del resto, settant'anni di kolossal hollywoodiani in cui gli Alleati vengono rappresentati come eroi nobili e generosi, pronti a sacrificarsi per la nostra libertà, pagandola con cioccolata, sigarette e calze di seta, hanno fatto dimenticare le parole di Rex Stout, il celebre creatore di Nero Wolfe che, al pari di tanti altri suoi connazionali, incitava, in un famoso articolo pubblicato sul New York Times Magazine il 17 gennaio 1943, a sterminare senza pietà tutti i tedeschi, che andavano odiati e uccisi senza alcuna remora: il solo tedesco buono è quello morto.