giovedì 2 luglio 2015

Ettore Tolomei

Articolo scritto da Heinz-Dietrich Schulte nella rivista Die Tat, maggio 1924 “Monatschrift für die Zukunft deutscher Kultur”, Jena.



Ettore Tolomei (1865-1952)
Ma che è mai la distruzione d’un tempio e di un’opera d’arte, o l’assassinio d’una sola persona, anche se coronata, a paragone dello sterminio morale d’una famiglia, di un popolo, di centinaia di migliaia di tedeschi? Codesto sterminio avviene per impulso d’un solo ed unico uomo, il cui nome ricordiamo come quello d’un nemico del popolo tedesco, il cui pensiero noi possiamo e dobbiamo combattere, ma la cui azione torturante non possiamo vendicare, possiamo soltanto metterla alla gogna. Se questa lotta dopo la sua morte non potrà più essere condotta contro di lui, sarà però dovere del popolo tedesco di spegnere il suo nome e, quando che sia, di tentar di riparar al guasto ch’egli ha fatto.
La sua vittima è il nostro paese tedesco sul versante meridionale delle Alpi lungo l’Isarco e l’Adige, paese guadagnato dalle genti tedesche da assai più d’un millennio, con la più legittima forma dell’acquisto, quella del lavoro delle braccia, del sudore della fronte; le vittime sono quasi un quarto di milione d’abitanti delle fertili valli con le loro graziose e vivaci cittadine e borgate e delle fresche agresti costiere coi lindi casali e il campicel faticoso: cara gente dabbene, affatto impreparata a sapersi difendere contro un misfatto.
Ettore Tolomei nacque nel principio dell’anno 1860 in Rovereto nel Trentino: Welschtirol noi vogliamo continuare a chiamarlo, pacatamente, senza riposte intenzioni politiche, col diritto storico dalla nostra, lasciando pure agl’Italiani quel loro nome politico.
La sua famiglia era una delle tante immigrate nel Trentino dalle parti italiane schiette del mezzodì, famiglia che crebbe in agiatezza. Entrambi i genitori erano di quelli che nella singolare circostanza del Trentino di allora erano diventati degli italiani ferventi, degli Italianissimi.
La sua missione era di persuader il popolo italiano – e non esso soltanto, ma pure i popoli che sarebbero diventati alleati nella lotta – tutta intiera la Venezia tridentina appartenente di diritto all’Italia. Già da tempo aveva preso domicilio nell’Alto Adige, nel territorio che avrebbe un giorno annesso alla patria, e ciò fece per poter comparire come figlio italiano di esso. Nell’anno 1906, egli fondava l’ Archivio per l’Alto Adige. L’Archivio doveva affermarsi come periodico “scientifico”, che avrebbe dato la prova della pertinenza della Venezia tridentina all’Italia, nei rispetti geografici, storici, climatici, economici, strategici. Egli stesso si mise con straordinario acume all’impresa di raccogliere e produrre tutto ciò che, distaccato per lo più dal proprio contorno, potesse servire al suo fine politico. Tolomei pervenne anche a procurarsi degl’ingenui collaboratori tedeschi. La scienza tedesca ha naturalmente negato fin dal principio un carattere scientifico all’archivio. Volle non prenderlo sul serio, ma dispregiarlo. In realtà si trattava d’un tentativo serio di conquista d’un paese con nuovi mezzi. E come s’oppose ad un’armata propria, così si sarebbe dovuto adattare le difese, ma purtroppo non lo si fece.
Vedeva egli ben chiaro, che anche nel caso più fortunato non si sarebbe potuti cangiare di punto in bianco in italiani i tedeschi dell’Alto Adige: che l’essenza del paese e dei suoi non si sarebbe potuta rimutare tanto presto. A quest’opera bisognava in primo luogo accingersi con preparativi di lunga mano. Tolomei venne a fine di italianizzare, o con la traduzione o con propri nomi italiani, tutti i toponimi del paese, che in gran parte eran d’origine tedesca, mai d’italiana. Molto dové combattere e penare per far accogliere nelle Carte italiane codesti nomi nuovi. Un’altra fatica sua fu quella di far persuasi dei suoi piani i Trentini. Quando scoppiò la guerra mondiale, Tolomei si trasferì a Roma. Nelle trattative della primavera 1915 egli si strinse agli uomini di stato italiani e dell’Intesa, dirigendo i suoi sforzi a far prevalere il concetto dei termini sacri, l’entrata dell’Italia in guerra a fianco delle potenze occidentali. Col Patto di Londra, firmato dall’Italia il 24 aprile 1915, il suo intento diventava l’intento d’Italia. Volse allora ogni suo sforzo a creare il punto di partenza per la realizzazione di esso, la vittoria delle armi italiane. Mostrò all’esercito italiano e alle nazioni alleate, con una serie di opuscoli, sotto gli aspetti più lusinghieri, i frutti della futura vittoria.
Preparò fin d’allora nel suo archivio, con memorie e piani, l’italianizzazione dell’Alto Adige non ancora conquistato.
Doveva ben presto giungere il tempo, ch’egli ebbe via libera per irrompere come lupo nel gregge. Appena a Trento e a Roma i fascisti cominciarono a diventare una potenza, s’era avvicinato a loro. Provocò il concentramento dei fascisti in Bolzano e le quotidiane violenze contro i pacifici abitanti del paese Il paese venne assorbito nel centralismo nazionale, privato d’ogni autonomia. Tutti i pubblici uffici si diedero ad Italiani, s’introdusse la legislazione italiana, s’italianizzarono le scuole, anche quelle dove quasi nessuno sapeva parlare l’italiano. Non si decampò neanche rispetto ai servizi e all’insegnamento della religione. Tenne nell’estate del 1923 al teatro civico di Bolzano un pubblico Discorso, nel quale ancora una volta produsse il suo intero programma.
Odio mortale e volontà di sterminio, per veder compiuta la sua opera, e non già coscienza di popolo, muovono lui, come mossero altri malfattori della storia mondiale. Egli non è che un fanatico. Per queste cose non v’è discolpa alcuna, ma solo la più amara rampogna e la più veemente condanna.

Fonte: http://www.welschtirol.eu/