lunedì 20 luglio 2015

LA RICCHEZZA - SUE SPECIE DIVERSE (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)



Il salario, il guadagno, l'interesse sono sorgenti della ricchezza.
La verità economica fissa le idee intorno alla ricchezza, come lo fa intorno al capitale ed alla proprietà.
Si confonde spesso nel linguaggio odierno il capitale colla ricchezza. Il capitale supera in valore ed in estensione la ricchezza. Ma è pur vero il dire che la ricchezza, se non ogni ricchezza, è qualcosa del capitale.
B. de Saint-Bonnet classifica le ricchezze in tre categorie:

1° Le ricchezze di necessità;
2° Le ricchezze di miglioramento;
3° Le ricchezze di corruzione.

Ed infatti si trovano nell'uomo tre specie di bisogni, ai quali corrispondono le tre specie di ricchezze destinate a soddisfarli:

1° I bisogni indispensabili, senza l'appagamento dei quali egli non può vivere e cesserebbe d'esistere;
2° I bisogni di progresso, l'appagamento dei quali gli è necessario per isvilupparsi;
3° I bisogni fittizi, oppure quelli creati dalle passioni.

Le sole ricchezze di miglioramento formano il capitale. Le ricchezze di corruzione lo distruggono; e le ricchezze di necessità, consumandosi sul momento, non gli permettono di formarsi o di accrescersi.
i° A parlar rigorosamente, le ricchezze di necessità si riducono alla quantità di alimenti, di alloggio e di vestimenti che occorre per mantenere un santo.(1)
Ogni uomo deve esserne provveduto per ciò solo che è uomo, membro del genere umano. La società deve tendere a tale stato di cose che nessuno possa esserne sprovvisto se non per sua colpa; ed anche, quando la colpa è commessa, si deve sovvenire alla necessità che ne deriva. Perciò ognuno che possiede del superfluo è tenuto a procurare il necessario al proprio fratello che ne abbisogna. Non adempiendo questo dovere di carità s'incorre nella condanna: "Andate lungi da me, maledetti, al fuoco eterno. Poiché io ebbi fame, e voi non m'avete dato da mangiare, io era nudo, e voi non m'avete vestito," ecc.
Queste ricchezze di necessità non comprendono solamente il vitto, il vestito ed il tetto, ma eziandio l'insegnamento di tutto ciò che ogni uomo deve sapere per operare la sua salvezza. Il delitto del governo attuale, della sua legislazione e della sua amministrazione, che impedisce, per quanto sta in lui, che questo insegnamento giunga all'intelligenza ed al cuore dei fanciulli, è maggiore di quello che commetterebbe se facesse leggi al solo fine di privare i cittadini di pane, di vestiario e di abitazione, poiché sono ricchezze così necessarie come i principii della fede, tanto indispensabili all'anima, quanto il pane al corpo; di più, esse sono di un ordine superiore, mentre procurano non la vita del tempo, ma la vita eterna. Quanto questa è superiore a quella, altrettanto il delitto della legge scolastica supera ogni altro delitto.
2° Le ricchezze di miglioramento si compongono di mezzi fisici, scientifici e morali accumulati mediante il lavoro, l'esperienza e lo studio, per permettere alla società di elevarsi grado grado nelle nobili regioni della civiltà. In ultima analisi, e nei disegni di Dio, che ci ha favorito i mezzi per acquistarle, esse tendono a condurre, in numero sempre crescente, gli uomini alla loro perfezione, e sopratutto al loro ultimo fine, cioè alla santità. Se esse si scostano da questo fine e nella misura che vi si scostano, cadono fra le ricchezze di corruzione.
Tutto ciò che abbiamo detto fin qui del capitale, deve intendersi delle ricchezze di miglioramento di cui ora parliamo.
Esse sole costituiscono un vero capitale. Ricordiamo ch'esse si accumulano in tre luoghi: nel suolo, mercé lo strato vegetale che il lavoro e l'ingrasso vi depongono; negli utensili, che acquistano sempre maggior potenza per proporzionare i frutti della terra ai bisogni dell'uomo; nell'uomo, mercé i lumi, le esperienze e le virtù di cui l'arricchì l'educazione.
L'insegnamento dato alla gioventù troppo spesso corrompe la mente ed il cuore, e vi riuscirebbe con questo sistema di neutralità, il cui effetto è di abbassare le anime, di fissarle alla terra, di incatenarle al tempo, di fare, in una parola, dell'uomo un animale più industrioso, ma molto più malvagio degli altri.
Il suolo e l'utensile sono perciò troppo spesso stornati dal loro fine: troppo spesso l'uomo domanda loro di fornirgli non ciò che deve conservare la vita di tutti, e di far progredire l'insieme, ma queste ricchezze di corruzione di cui avremo occasione di parlare.
Se non si fosse abusato del suolo e degli utensili, se l'uno e gli altri fossero impiegati in piena libertà e senza gli ostacoli che loro arrecano le leggi fiscali, ma puramente alla produzione delle sole ricchezze di necessità e di miglioramento, quanti uomini avrebbero pane a sufficienza, vestiti, abitazione che or non hanno! L'agricoltura e l'industria moltiplicherebbero sani prodotti, li offrirebbero a migliori condizioni al consumo; in luogo del pauperismo, progredirebbe successivamente l'abbondanza e coll'abbondanza l'agiatezza.
Questa maggior produzione di beni utili, succedendo quando il lavoro fatto dalle macchine diminuisce sì considerevolmente quello dell'uomo, darebbe agio ad un numero maggiore di persone di non essere costrette a spendere tutte le ore del giorno al mantenimento del corpo, ma a consecrarne alcune allo sviluppo della propria intelligenza ed alla santificazione della propria anima.
Nell'antichità, la massa degli uomini era in preda ad un incessante lavoro. Nel medio evo una parte più considerevole della nazione poté occuparsi in uffici liberali, e per coloro che rimasero attaccati al lavoro manuale, si videro moltiplicare i giorni destinati al riposo del corpo nel tempo stesso che erano giorni di festa per l'anima. Dopo la Rivoluzione e lo immenso sperpero ch'essa fece del capitale, i giorni di riposo furono ridotti alle domeniche ed a quattro feste per anno.
Quanti di questi giorni e di queste ore avrebbero potute venir moltiplicate, se fin d'allora la società avesse ricevuto una migliore direzione! Non istà sulla legge della forza, il poter diminuire le ore di lavoro, ma su una migliore interpretazione delle leggi economiche che riposano, non cesseremo di ripeterlo, sulle leggi morali, e le leggi morali sul dogma rivelato. D'altra parte, senza le leggi morali il riposo è più nocivo che utile. Nello stato d'animo in cui il popolo è stato messo dalla Rivoluzione e nell'annientamento progressivo dell'influenza religiosa in seno alla nostra società, in che cosa occupa l'operaio troppo spesso i rari ozii che gli sono attualmente concessi? Alla sua morale depravazione ed alla distruzione del suo essere fisico.
I governi che dopo la Rivoluzione si sono succeduti, non hanno pensato che a procurarsi i maggiori mezzi possibili per fini i più contestabili od anche i più perversi, e questi mezzi sopratutto li hanno chiesti al suolo che loro non poteva sfuggire. Di più, essi hanno avvilita l'agricoltura in modo tale da far disertare le campagne e popolare le città.(2)
Dal 1882 al 1892, cioè nello spazio di 10 anni, la superficie coltivata ha perduto, in Francia, 96.000 ettari a profitto di quello che la statistica chiama "territorio non agricolo", cioè specialmente le agglomerazioni urbane.
Ed inoltre il commercio, uscendo, come lo vedremo, dalla sua sfera naturale ha spinto con insistenza l'industria a fornirgli ricchezze di lusso e di corruzione. Se queste due cause cessassero di agire nel senso malvagio che abbiamo detto, e se l'educazione morale e religiosa del popolo fosse favorita, non sarebbe necessario formar leggi per diminuire le ore di lavoro, l'agiatezza si
presenterebbe da se stessa, nello stesso tempo che diverrebbero più abbondanti le cose necessarie alla vita.
Or bene, il benessere d'una nazione dipende sopratutto dall'abbondanza degli oggetti di necessità, ed il suo progresso dall'abbondanza della ricchezza di miglioramento.
Oggigiorno nelle condizioni di prosperità le più grandi che mai sieno state largite agli uomini, noi vediamo la reale ricchezza del paese dissiparsi, la popolazione diminuire ed intristirsi, ed il livello delle anime abbassarsi.
Perché? perché l'idea direttrice della società è presa dal corpo e non dall'anima, dal tempo e non dall'eternità.
Il cristianesimo avea detto all'uomo: tu sei sulla terra non per godere, ma per divenir grande; e meglio ancora per elevarti sopra la tua natura, fino ad una partecipazione della natura divina. Il piacere ti è offerto non perché tu ceda alle sue lusinghe, ma perché vi resista; e, per questo mezzo, fortifichi la tua anima, la sviluppi e meriti la vita eterna.
Nel dir questo il cristianesimo aveva, non solo indirizzato l'uomo verso il cielo, ma aveva formulato la legge del nostro progresso sulla terra, la legge della formazione del capitale, la legge che s'oppone al suo sperpero. e che presiede al suo continuo aumento.
Il Rinascimento ha introdotto nel mondo cristiano il principio contrario, e la Rivoluzione vuol farlo trionfare. Essa si adopera in tutto a distorre da Dio lo sguardo dell'uomo ed a rivolgerlo verso la terra, dicendogli: procacciati i suoi beni, impiega tutte le tue facoltà per acquistarli, e tosto che li avrai acquistati, affrettati a goderne, domani sarà troppo tardi! Con tutte le sue istituzioni, e ciò che è peggio con tutti i suoi sistemi di educazione, essa soffia senza tregua sulla triplice concupiscenza, che il peccato ha posto nel cuore dell'uomo, per infiammarvi la cupidigia della carne e la cupidigia degli occhi e l'orgoglio della vita. Perciò queste tre passioni levano attualmente nel mondo tale un clamore che non fu maggiore in seno al paganesimo. Produci! produci! non per trarne utile, ma per divorare.
3° Spinta alla caccia del piacere, la nostra società fa uno spaventoso consumo di capitale, e si applica ad una non meno spaventosa produzione di ricchezze di corruzione.
L'uomo che dà ascolto alle sue passioni si distoglie dalla sua legittima, occupazione e prostituisce al piacere ciò che avrebbe potuto e dovuto servire a migliorare la propria condizione e quella del suo fratello. Quindi, invece di produrre del capitale, egli lo consuma, reca danno alla società ed a sé stesso, poiché nello stesso tempo che distrugge il suo corpo, corrompe la sua anima; la corruzione degli individui produce la rovina delle famiglie e dal complesso delle rovine domestiche risulta la rovina generale.
L'abuso della ricchezza per la soddisfazione delle passioni, è quello che si chiama lusso. Esso toglie la ricchezza ai veri e legittimi bisogni per accordarla ai sensi. Consumando il capitale precedentemente ammassato arresta il progresso; se esso si sviluppa fa indietreggiare la civiltà, ed infine termina col dar la morte alle nazioni, nella stessa guisa che cagiona l'estinzione delle famiglie ed il suicidio dell'uomo. La caduta di un popolo è il risultato necessario delle corruzioni particolari che genera il lusso e la sua figlia, la lussuria, ossia la soddisfazione disordinata concessa ai sensi. E se si vuol cercare la prima causa di questo disordine e della morte individuale, famigliare e sociale che ne deriva, si vedrà che le corruzioni particolari si moltiplicano di mano in mano che si indebolisce l'impero della fede. "Vogliamo noi conoscere tutti i nostri germi di morte? dimanda B.
de Saint-Bonnet. Contiamo gli empi". Niente di più vero. L'empio non ha altro pensiero che di godere. Le sue mire si limitano a questa terra o alla vita presente; egli vuol votare la coppa del piacere. Egli non produce, ma, con tutti i mezzi buoni o cattivi che sono a sua disposizione, cerca il guadagno per aver di che consumare, di che godere; e con ciò egli semina intorno a sé la corruzione, la quale prendendo piede si estende ben presto a tutto il corpo sociale. E quindi, qual avvenire può aspettarsi un popolo che ha lasciato organizzare la pubblica istruzione al solo scopo di formare dei senza morale e dei senza Dio!"
Il lusso e la lussuria reclamano delle ricchezze speciali, che a buon diritto si chiamano ricchezze di corruzione. Esse si compongono di tutti quegli oggetti creati per soddisfare i bisogni fittizii, di tutti gli oggetti che alimentano e sviluppano la vanità e la sensualità. Ricchezze veramente corruttrici, poiché la vanità distrugge lo spirito e la sensualità il corpo.
Dall'alto al basso della società, il lusso distende di giorno in giorno il suo impero e sempre più preleva sul risparmio, sul mantenimento ed anche sul necessario.
Non sono solamente le persone appartenenti all'alta borghesia che, secondo l'espressione di un santo vescovo, "portano vestiti troppo pesanti per salire al cielo": gli operai, i poveri stessi, si lasciano vincere dall'attrattiva d'una vanità che chiederà non al superfluo, ma allo stretto necessario il modo di soddisfarsi: il che fatalmente distrugge l'equilibrio, dell'umile bilancio della famiglia.(3)
Quell'operaia che guadagna all'opificio un salario di lire 1.50 indossa alla domenica un vestito confezionato in tal foggia e con tal lusso che non sarebbe fuori di posto nella guardaroba d'una marchesa. Sembra che per essa il summum dei godimenti concepibili consista nel comparire per ventiquattr'ore eguale a chiunque siasi. Questo trionfo, essa lo compera, o piuttosto lo espia con sei giorni di dure privazioni. In un piccolo borgo nascosto nella campagna, nei giorni di festa, si può assistere ad un inatteso sfarzo di nastri, di fiocchetti di seta, di spoglie d'uccelli esotici e di altre bagattelle che il più delle volte non si saprebbe dire se siano più brutte o più inutili.(4) 
Il lusso della donna è la bella veste, il bel cappello; per l'uomo, è il tabacco e l'alcool: tutte cose che condannano all'abitazione malsana, all'insufficienza di vestiario, alla mancanza di pane; tutte cose che recano l'anemia nel corpo ed ispirano il vizio nell'anima.
Il consumo medio di tabacco in Francia, da settant'anni in qua, per ogni abitante si è triplicato aumentando nel modo seguente:
Nel 1830 il consumo era di 352 grammi; nel 1845, di 529; nel 1861, di 763; nel 1875, di 840; nel 1880, di 907; nel 1890, di 944 e nel 1898, di 990. La media più elevata si trovava nel dipartimento del Nord: 2228 grammi.
Nel 1899, la vendita di tabacco ha prodotto per la regìa 410 milioni di beneficio allo Stato, dieci milioni di più dell'anno precedente. I fumatori, i tabacconi ed i masticatori di tabacco, hanno pagato allo Stato settecento milioni coi quali si sarebbe potuto fornire il pane a due milioni d'uomini.
E l'alcool! In Francia si consuma per testa, in media, cinque litri di alcool; se si aggiunge l'alcool contenuto in tutte le bibite in uso, si arriva alla cifra di quattordici litri per abitante, comprendendovi donne, fanciulli, malati ed astemii. A qual cifra non si arriva in media solamente per gli uomini sani? Se il consumo del tabacco ha triplicato, quello dell'alcool ha più che quadruplicato dal 1830 in qua. Esattamente, nel 1898, la Francia ha bevuto in blocco 1.900.000 ettolitri di alcool in natura, e due milioni nel 1900. Diciamo in natura perché l'alcool contenuto nel vino, nella birra, nel sidro non è compreso in questa cifra.
I risultati? Eccoli. Nel 1878, il numero delle "giornate di ospedale" era, in cifra tonda, di due milioni e mezzo; nel 1894, dopo sei anni, era di quattro milioni e mezzo, il doppio, in sedici anni. Nel 1899, siamo arrivati ai cinque milioni; ed indubitatamente questa cifra s'accresce ancora.
Nel periodo dal 1886 al 1896, dieci anni, il numero dei suicidi si è sestuplicato; il numero dei pazzi ha progredito del 9 al 22%; e tutti i medici, tutti i moralisti sono unanimi nel constatare che l'aumento dei pazzi e dei suicidi è in diretto rapporto con quello degli alcoolici: perdita enorme di capitale-uomo.(5)
In quanto al capitale-danaro, esso è valutato per la somma di 1 miliardo 248 milioni di franchi, cifra delle giornate di lavoro perdute dagli alcoolici. Aggiungi a ciò la spesa per l'acquisto dell'alcool, ed il pregiudizio nazionale che risulta dall'occupazione della terra con coltivazioni nocive le quali prendono il posto delle coltivazioni utili.
Invece di arrestare il male, il Governo per aumentare le sue risorse e per darsi validi appoggi nei giorni delle elezioni, lo favorisce.
Nel 1880, vi erano in Francia 350.424 bettole; oggi ve ne sono 500.000, senza contare i circoli e le vendite clandestine. In certe città del dipartimento del Nord, si trova una bettola ogni 53 abitanti o per 14 elettori. Qual pane possono dare ai loro figli questi elettori dopo d'aver fatto vivere o arricchito, in quattordici, un bettoliere e la sua famiglia! Con piena ragione un personaggio di Stato belga diceva: "Voi non riuscirete mai a risolvere le questioni sociali, la cui soluzione mette in pensiero la nostra epoca, se prima non avrete vinto l'alcoolismo; per cagion sua tutte le riforme sono sterili e senza effetto".
Certamente, il lusso dei poveri è deplorevole, ma sarebbe esso quello che è se l'esempio non venisse dall'alto? È moralmente impossibile che le classi popolari abbiano, intorno al godimento dei beni di questo mondo, giudizi e sentimenti che differiscano dai giudizi e dai sentimenti che si manifestano dalle classi elevate nella condotta della loro vita. Il popolo che vede tutti quelli che stanno al disopra di lui darsi senza freno al godimento, e farne unico fine della loro vita, non può non sentirsi spinto a seguire la medesima via. Son già quarant'anni, il P. Felix dall'alto della cattedra di Notre Dame poteva presentare questo quadro, vero allora, oggi verissimo:
"A Parigi, tre mesi di piaceri, di spettacoli, di danze, di feste, tutto a grand'onore e soddisfazione della carne. Altri tre mesi a rifare, alle brezze della spiaggia ed a ritemprare nelle onde del mare, una carne infralita nell'atmosfera dei piaceri; scossa al contatto dei godimenti della terra. Altri tre mesi a cercare, come gli augelli che fuggono l'aquilone, i tiepidi soli, ed i climi temperati. Il resto, passato nel dolce far niente, a cullare la propria pigrizia nei dolci riposi, a ripararsi nell'intimo della propria abitazione per evitare l'ingiuria del clima. Ecco l'orbita fortunata, in cui la vita di molti compie la sua annuale rivoluzione; eterna primavera, in cui tutto è disposto non dalla Provvidenza di Dio, ma della mollezza degli uomini, perché il corpo non abbia a provare né privazione né disagio che l'incomodi, nemmeno un soffio d'aria che l'offenda".
L'Impero, che avea dato questa spinta al lusso, dopo dieci anni spariva nel cataclisma del 1870. La lezione del cielo è perduta. La nobiltà, più ancora la grande industria ed il gran commercio, più che mai si sono slanciati a capo fitto nel fasto e nel piacere. Si vedono famiglie che hanno 50.000 franchi di rendita voler vivere come quelle che ne hanno 100.000. Quelle che ne hanno 20.000, come quelle che ne hanno 50.000; quelle che ne hanno 10.000 oppure 5000, come quelle che ne hanno 20 o 10. La tentazione si presenta da tutte le parti, e quasi tutti vi si lasciano trascinare. "Che cosa volete! Non si può più vivere come una volta, bisogna essere del proprio tempo".(6) Ecco la risposta che si oppone ai genitori, che si oppone al prete, che si fa a se stesso quando ci si sente
ripetere: Voi correte alla rovina! e la rovina non si fa aspettare. Essa viene pel nobile che vende le sue terre, pel commerciante che liquida, per l'industriale che chiude i suoi opifici e mette i suoi operai sul lastrico. Essa viene ancora pel piccolo mercante, pel piccolo agricoltore, perché per essi pure son necessari i godimenti, e i godimenti distolgono dal lavoro, e consumano il risparmio accumulato dai loro antenati. Non vi è più piccolo borghese, più piccolo impiegato che non debba fare un viaggio al mare, se non può permettersi una stagione. Non esiste più borgata, né villaggio che non abbia i suoi divertimenti o che non ne rechino ogni domenica da lungi i treni di piacere; le feste di famiglia non bastano più, si vuole il solletico delle feste pubbliche, incessantemente rinnovate coi disordini morali che ne seguono.
E così tutto si perde: le sostanze, la sanità e l'anima, il presente, l'avvenire e l'eternità.
M. Demolins termina, con queste riflessioni, il suo articolo sopra il lusso e sopra le sue conseguenze di cui prendiamo un estratto:
"Di fronte a tale disorganizzazione, quanto poca cosa sono le dissertazioni, anche le più eloquenti dei filosofi e degli economisti! La religione sola ha il dono di toccare i cuori e di muovere le volontà. Le eloquenti diatribe di Seneca e degli stoici non furono capaci di staccare la vecchia società romana dal suo lusso e dalla sua decadenza. Essa non fu trasformata che dalla predicazione degli Apostoli, dagli esempi dei martiri, e sopratutto dalla grazia divina più potente e più feconda che tutti gli sforzi degli uomini. Gli è tempo che comprendiamo questi grandi insegnamenti dell'esperienza, se non vogliamo, come i Romani, della decadenza, divenir preda dei barbari".
 

Note:

(1) Bossuet ha un discorso sopra le nostre disposizioni circa le necessità della vita. Egli comincia con questo dubbio: "Io non credo, signori, che voi abbiate mai capito quello che noi diciamo, allorché tutti i giorni dimandiamo a Dio nell'Orazione dominicale, che ci dia il pane quotidiano". E ne dà in ragione del suo giudizio punto temerario: "Se aveste compreso che non dimandate a Dio se non il necessario, vi lamentereste voi, come fate, quando non avete il superfluo? Non dovreste voi tenervi soddisfatti, quando vi si concede ciò che dimandate? ... La cura paterna della Provvidenza riguarda il necessario e non il superfluo ... "Non mormorare dunque nel tuo cuore, vedendo la profusione di quelle mense sì delicate, la stolta magnificenza di quegli arredi sontuosi, non lamentarti quasi che Dio ti maltratti rifiutandoti tutte queste delizie. Mio caro fratello. non hai tu del pane? Egli non promette niente di più. Il nostro corpo essendo opera della sua mano, egli si prende l'incarico di mantenerlo. "A chi promette egli questa sostanza necessaria? A tutti indifferentemente o in particolar modo a' suoi fedeli? Ascolta la decisione che ne dà nel suo Evangelo: Quaerite primum regnum Dei. Il che vuol dire: il regno di Dio è il principale, i beni temporali non sono che un piccolo accessorio: ed io non prometto questo accessorio se non a colui che ricercherà il principale: Quaerite primum. Perciò, nell'Orazione dominicale, egli non ci permette di parlare di pane se non dopo di aver santificato il suo nome e dimandato il regno suo. Cercate dapprima il regno". Bossuet dimostra come nostro Signore abbia applicato questa regola, quando alimentò miracolosamente gli Ebrei nel deserto: "Essi hanno cercato il regno, egli ha voluto loro aggiungere il resto". Ed aggiunge: "Io non voglio dire, ch'egli generalmente rifiuti ai peccatori i beni temporali, egli che fa splendere il suo sole sopra i buoni e sopra i cattivi, e che fa cadere la pioggia sui giusti come sugli ingiusti"; ma sebbene egli dia molto a' suoi nemici, osservate, di grazia, che non s'impegna se non co' suoi servi: Quaerite primum regnum Dei. E la ragione n'è evidente: perché questi solamente sono suoi figli e costituiscono la sua famiglia.

"La cupidigia è una voragine continuamente aperta, che non dice mai: basta; più vi gettate dentro e più sì dilata; tutto quello che le concedete non fa che stuzzicare le sue brame ... La prima cosa che ci fa conoscere la sua insaziabile avidità, è ch'essa non conta per niente tutto il necessario: esso è troppo comune e per conseguenza non la riguarda. È sorta nel mondo una certa convenienza immaginaria che c'impone leggi novelle, che ci ha creato nuove necessità che la natura punto non conosceva. A lui piacque che si potesse essere povero senza che ne soffrisse la natura, e che la povertà si opponesse non più ai godimenti dei beni necessari, ma alla delicatezza ed al lusso; tanto è pervertito fra noi il retto uso delle cose ... O voragine della cupidigia, non sarai tu mai riempiuta! E fino a quando aprirai tu i tuoi vasti abissi per inghiottire tutto il bene dei poveri che rappresentano il superfluo dei ricchi? "Per arrestarne gli eccessi, bisogna considerare, o cristiani, una bella sentenza di Tertulliano: Castigando et castrando saeculo erudimur a Domino: Dio ci chiamò al cristianesimo, perché? per moderare gli eccessi del secolo e sopprimere le sue superfluità. E perciò fin dai primi giorni, ci fa rinunziare alle pompe del mondo. "O disordine dei nostri costumi, o semplicità male osservata! Chi di noi fa a Dio, con lo spirito del cristianesimo, questa preghiera: Signore, datemi il pane, accordatemi il necessario? Il necessario, quale povertà! Siamo noi ridotti a questa miseria?"
(2) "Più produttivo di ogni altro impiego dell'attività umana - scriveva Armando Fresneau nella Vérité poco tempo prima della sua morte - il lavoro agricolo deve essere incoraggiato specialmente quando si vuole assicurare ad un popolo una ricchezza reale e duratura. Nel lavoro industriale niente è gratuito, tutto si paga: il motore, l'utensile, la più piccola mano d'opera. Nel lavoro agricolo, la cosa corre diversamente. In 30 quintali di frumento, sono entrati appena per formarli 4 o 5 quintali di sostanza, avendo in sé stessa un valore commerciale; i 5/6 del prodotto sarebbero così un puro dono di natura, se non fosse stato necessario di fecondarlo con qualche sforzo, molto limitato del resto, poiché l'aria, l'acqua, il sole, tutti gli agenti atmosferici non costano niente, e questi potenti ausiliarii recano così i loro concorsi senza chiedere verun compenso. Inoltre, il lavoro industriale ha dinanzi a sé continuamente il pericolo di quello che gl'Inglesi chiamano: l'over production - l'eccesso di produzione. - L'over production dei paesi agricoli è una chimera. Non si avrà mai troppo pane, carne, grasso, latte, burro, lane, cuoio, né materie tessili per vestimenti, neppure di derrate meno necessarie".
(3) Non è guari uno dei principali dottori della democrazia cristiana incoraggiava così, davanti ad una imponente assemblea, gli appetiti sensibili: "Nostro Signor Gesù Cristo è venuto a portare nel mondo la comodità (confortable)". Questa formula sintetizza tutto il loro programma, e segna l'aurora di un nuovo Vangelo: "Cercate dapprima il benessere, promettetelo a tutti: il resto verrà per giunta".
(4) Il The Times Weekly edition, nell'aprile 1903, ha riprodotto una lettera scritta al Times da diversi direttori passati e presenti delle University Settlements, il cui scopo si è di riavvicinare le classi. Questa lettera incomincia così: "Le spese per la mensa, per l'abbigliamento (toilette) e pei piaceri passeggeri sono aumentate, allorché 28 per 1000 abitanti di Londra sono nella miseria". I sottoscrittori di questa lettera, tutte persone di grand'esperienza, come Percy Alden, il canonico Barnett, miss Cheetham, ecc., cercano di fissare mediante dimostrazioni economiche, che il falso lusso che è destinato a soddisfare l'amor proprio, la vanità e l'egoismo delle classi ricche è, per l'esempio che dànno, una causa diretta della miseria. Come antidoto, non chieggono nuove misure legislative, ma fanno appello alle classi agiate e le scongiurano a menare una vita più razionale e più semplice in modo da assicurare la stabilità nazionale.
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(5) Queste righe erano scritte quando l'Accademia delle Scienze pubblicò una statistica più recente, dalla quale risulta che in Francia l'alcoolismo è la causa diretta di 50.000 crimini o delitti, ogni anno, di 1800 suicidi, e di 60.000 casi di pazzia. Sempre secondo questo lavoro, 75% dei malati curati nei nostri ospedali sono alcoolici, e si constatano annualmente 130.000 casi di tubercolosi per abuso di alcool.
(6) "Io ebbi ultimamente l'occasione - scrisse M. Edmond Demolins nel 1878 - di fare uno studio curioso, che è facile ad ognuno di verificare. "Trovandomi in una famiglia che contava nel medesimo focolare quattro generazioni stabilite, ho potuto confrontare nel libro di stato attivo e passivo, perfettamente conservato, le cifre delle spese incontrate da ciascuna delle tre amministrazioni. Io fui da prima sorpreso da un duplice fatto: di mano in mano che la fortuna della famiglia andava diminuendo, la somma delle spese aumentava sempre. "Venendo al particolare, io osservava che il corredo e il mobilio della nonna si componeva principalmente di oggetti utili alla casa. La biancheria era senza lusso, ma di prima qualità, le camicie non avevano merletti, ma erano di magnifica tela capace di sfidare il tempo e il lungo uso. "Prendendo il corredo della figlia, era facile di vedere che una trasformazione andavasi operando nelle idee e nelle abitudini. Vi entrava largamente il superfluo a danno del necessario. Il mobilio era più elegante, ma meno solido; la biancheria più ornata, ma meno forte; le camicie orlate di trine, ma d'una qualità inferiore.  "Nel corredo della nipote, la trasformazione era completa. Tutto era sacrificato al superfluo, alla mostra, all'occhio, secondo l'espressione barbara creata espressamente per designare uno stato di cose che ci riconduce alla barbarie mediante l'estremo incivilimento. Sotto le apparenze di eleganza e di grazia, il mobilio mal nascondeva i difetti della sua fabbricazione. Era quello che si conveniva a famiglie nomadi, senza tradizione, senza focolare stabile, e per conseguenza senza pensiero del domani. E tuttavia, tutte queste bagattelle, tutta questa minuzieria, tutti questi giocattoli dorati, argentati, cesellati, rappresentavano, tenendo conto della differenza dell'argento, una somma due volte più elevata di quella inscritta per la fornitura della nonna".