sabato 25 luglio 2015

IL LUSSO DELLO STATO (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)


Fra i creatori di ricchezze di corruzione, i fautori del lusso, i distruttori del capitale, fa d'uopo porre in prima linea i governi che in Francia si sono succeduti dopo il 1830.

Vi ha per lo Stato un lusso lodevole, ed è quello che si può esigere dall'arte, poiché l'arte, l'arte sana e vera è uno degli educatori dell'uomo; essa lo solleva al disopra della terra, per portarlo nelle regioni dell'ideale, prossime alle regioni soprannaturali.
Ma appartengono all'arte quelle scene offerte in pubblico spettacolo sui nostri teatri, quelle scolture che disonorano i pubblici ritrovi, e quel genere di pittura incoraggiata dagli acquisti all'esposizione? Appartengono all'arte quelle costruzioni in plastica che per un giorno hanno servito di ricovero a tante ricchezze di corruzione nel Campo di Marte(1) ove tutti i popoli sono stati chiamati ad inebbriarsi col vino della voluttà? Questo è un lusso che stimola la lussuria.
Che sono mai state le Esposizioni universali? Incantesimi, divertimenti e grandi imprese di corruzione. Un giornale Le Rentier ha fatto il calcolo dei capitali impegnati nelle differenti imprese create specialmente nell'ultima Esposizione per divertimento più o meno malsano del pubblico. Non contando che quelle sulle quali si son potute avere precise informazioni, ne ha trovate cinquantatré per le quali è stato versato un capitale di 54 milioni 328.000 franchi, che in Borsa sono saliti a più di 66 milioni.(2)
Il risultato di queste Esposizioni ogni volta è stato di moltiplicare le spese improduttive, di aumentare i bisogni fittizii, di far pure aumentare le imposte, ed il costo della vita, tutte le cose distruttive del capitale ed infine di accrescere la popolazione di Parigi nella sua parte operaia, miserabile e rivoluzionaria.
Al lusso che deprava, i nostri governi hanno aggiunto quello che impoverisce.
Sarebbe loro stato possibile, ed era loro dovere, di indirizzare l'attività del paese verso la produzione delle ricchezze di necessità. Che cosa hanno essi fatto? hanno condotto l'agricoltura a non poter produrre il frumento senza perdita, la derrata più indispensabile al mantenimento della nostra popolazione. I prezzi di vendita attualmente sono insufficienti, per coprir le spese di produzione di questo cereale. Vero è che vi sono i diritti di dogana di 7 franchi per proteggerlo, ma subito che l'aggio cresce, il governo si dà premura di sopprimerli per un tempo arbitrariamente stabilito e subito gli speculatori moltiplicano le importazioni del grano estero, ne formano degli stocks (provviste) che durano parecchi anni, e che recano danno alla produzione indigena. In ogni tempo,
però, questi speculatori hanno "l'ammissione temporanea" che è stata accordata alle loro istanze e di cui essi si servono come d'un mezzo per render vana la protezione che il coltivamento poteva sperare dal diritto di dogana.
Quello che i nostri governi hanno incoraggiato si è la produzione parassitaria che consuma il fiore della terra a detrimento delle piante utili e nutritive; è cioè il micidiale consumo dell'alcool e del tabacco. Lungi dal frenarlo come sarebbe loro dovere sotto tutti i punti di vista, vi hanno dato nuovo impulso, a fine di impinguare le loro esazioni e di prepararsi nelle bettole le elezioni fatte secondo lo spirito da cui sono essi medesimi animati.(3)
Sarebbe loro stato possibile il favorire la popolazione agricola, la popolazione che produce il nutrimento del paese, la grande riserva della sua forza e della sua moralità; hanno invece preferito di scoraggiarla in tutti i modi, di opprimerla d'imposte ingiuste, a tal punto che mentre chi vive d'entrata non paga che il 4.50% senza il minimo lavoro, l'agricoltore paga fino il 16% della sua rendita; e quando il prodotto dell'agricoltura diminuisce di prezzo, non per questo si abbassa il suo tasso di imposta fondiaria, mentrechè i valori mobili non pagano che in ragione del loro prodotto. Con questa e con mille altri mezzi essi hanno strappato le braccia alla terra, hanno attratto i contadini nelle città, vere sentine di vizi che corrompono il fisico ed il morale.
Sarebbe loro stato possibile di dirigere non solo l'agricoltura, ma eziandio l'industria ed il commercio per altre vie da quelle seguite, mostrar loro e facilitare il fine che si deve raggiungere, cioè di render la vita meno costosa, metter alla portata del più gran numero possibile ciò che si richiede per una onesta esistenza, ed accumulare le ricchezze di miglioramento.
Essi non han visto che l'oro, non hanno stimato, favorito se non ciò che lo conduce nel loro bilancio, come se l'oro costituisse la vera ricchezza della nazione. La lezione che la Spagna ha dato al mondo non è stata punto compresa. Essa pure, da principio, dopo avere scoperto l'America, ha creduto che la ricchezza consistesse nell'oro. Abbandonando i veri agenti di produzione, fu ben presto sforzata ad abbandonare i suoi metalli preziosi per ottenere quanto il suo suolo ed il suo lavoro più non davano. Noi siamo in Francia, nell'ora presente, sullo stesso declivio: con un clima tanto temperato, con un suolo che il lavoro delle precedenti generazioni hanno reso sì fertile, la nostra agricoltura è in uno stato che si fa sempre più inquietante.
Sarebbe loro stato possibile far delle leggi sociali veramente vantaggiose per tutti, per l'operaio, pel proprietario, pel paese. Quelle che hanno fatto tendono a sopprimere nell'operaio lo sforzo ed il risparmio; paralizzano il padrone snervandone l'autorità e rendendogli sempre più impossibile la concorrenza cogli altri paesi; esse formeranno la rovina materiale e morale della Francia.
Fautori del lusso, creatori di ricchezze di corruzione, i nostri governi rivoluzionari si sono così fatti attivi distruttori del capitale raccolto dalle generazioni precedenti.
Per questo, essi hanno usato due mezzi. Le imposte ed i prestiti. Allo scorcio del secolo XVIII, nel 1789, la spesa della Francia era di 531.448.000 franchi, l'ottava parte del bilancio attuale; ed il grande pretesto invocato per far la rivoluzione fu di salvaguardare gli interessi dei contribuenti controllandone severamente le spese pubbliche! Da un secolo noi abbiamo dei rappresentanti del popolo il cui principale incarico, almeno in principio, è di discutere e di approvare il bilancio, e noi siamo arrivati a circa quattro miliardi; e supponendo che si perseveri in questa linea di condotta, la cifra delle nostre spese pubbliche annuali sarebbe, all'apertura del XXI secolo, di venti miliardi.(4)
Nel 1804, epoca in cui la Francia ingrandita comprendeva 108 dipartimenti, il bilancio non era ancora che di 915 milioni. La progressione rapida ha cominciato colla Rivoluzione del 1830. Da un
miliardo il regime usurpatore ci ha condotti a un miliardo e 629 milioni di spese pel 1847. L'Impero ha continuato: il bilancio del 1869 saliva a 2 miliardi e 143 milioni. Dopo la guerra, nel 1875, esso era arrivato a 2 miliardi e 614 milioni. Un miliardo è stato aggiunto a questa cifra già enorme dopo che tutte le spese di guerra furono liquidate, e non si dovevano attuare che economie.
Il prezzo di un'ora del carro dello Stato, sotto il primo Impero, costava ai contribuenti 115.000 franchi; 119.000 sotto la Restaurazione; 150.000 sotto Luigi Filippo; 170.000 sotto la seconda Repubblica; 249.000 sotto il secondo Impero; 405.000 durante i primi undici anni della terza Repubblica; e 500.000 franchi dal 1880 in poi.
Nel modo con cui cammina questo carro dello Stato, in dieci anni, la corsa sarà per lo meno quotata ad un milione.
Ma il bilancio dello Stato non è il solo che i contribuenti abbiano ad alimentare; vi è anche quello dei dipartimenti e dei comuni. Per mascherare lo spaventoso progresso delle spese dello Stato, di poi si è messo, a poco a poco, a loro conto quello che una volta non vi si trovava.
Fino al 1892, si faceva figurare nel bilancio dello Stato, sotto il nome di bilancio sulle entrate speciali, i centesimi dipartimentali e comunali, cioè 384 milioni, e si avea ragione. Cominciando da questa data, i 384 milioni sono spariti dal bilancio dello Stato, e sono stati inseriti di nuovo nelle spese locali. Fu per questo economizzato un solo centesimo? Neppur uno. Le altre spese locali, che ogni anno aumentano da 15 a 20 milioni, salirono, nel 1900, a 750 milioni, senza contare i 70 milioni di prestazioni e i dazi comunali che, solamente per Parigi, s'elevarono, al momento in cui furono sostituiti da altre imposte, a 150 e qualche milione, invece dei 30 milioni sotto la seconda Repubblica. Eccoci, non più ai tre miliardi e mezzo, ma a più che cinque miliardi e cento milioni di spese reali!
Gli è così che Rouvier ha potuto lanciare alla Camera questo avvertimento: "Noi siamo alla vigilia d'una catastrofe finanziaria".
Nel 1904. egli si è ricreduto ed ha dato alla Camera assicurazioni le più ottimiste; Ma Giulio Roche ha risposto nel Figaro mostrando che la politica attuale conduce la Francia ad una inevitabile rovina.(5)
Frattanto ogni francese sostiene un aggravio che diviene sempre più intollerabile.
Da lungo tempo s'impone il problema della ricchezza della Francia.
Hanno lavorato alla sua soluzione statisti, economisti e finanzieri. I signori Paolo Leroy-Beaulieu, Edmondo Théry, Besson, de Foville, Salefranque, Alfredo Neymarck, il marchese di ChasseloupLaubat, sono pervenuti, con diversi metodi a risultati molto vicini gli uni agli altri per darci un'idea assai approssimativa della verità.
La ricchezza totale dei Francesi si eleverebbe a 205 oppure 225 miliardi, dando, secondo la maggior parte degli specialisti, una rendita generale dai 20 ai 25 miliardi. Ripartendo teoricamente questa ricchezza totale su 40 milioni di anime, si trova che ad ogni francese spetta un quantitativo, in capitale di 5600 franchi, ed in rendita 625 franchi. Ora, le spese di Stato essendo di 3 miliardi e 549 milioni, ognuno di noi paga allo Stato, secondo M. Cailaux, quando egli era ministro delle finanze, 95 franchi e 84 cent. (6) e, comprese le spese dei dipartimenti e dei comuni, più che 120 franchi. In modo tale che ogni qualvolta un francese guadagna 6 franchi, egli è obbligato a versare, sia per vie
dirette sia per vie indirette, un franco ed anche un po' più nelle casse dello Stato, e non può tenerne che cinque per sé e per la sua famiglia.
La Rivoluzione ha recato alla Francia tre piaghe, dalle quali stilla il meglio delle sue risorse: la piaga scolastica. la piaga militare e la piaga dei prestiti.
Prima della Rivoluzione l'insegnamento non costava, per così dire, niente allo Stato, esso era impartito gratuitamente dalla Chiesa. Oggi invece, secondo Poincaré, dal 1878 al 1884 692 milioni furono spesi, in esecuzione della legge dell'insegnamento neutro, in costruzioni scolastiche. Attualmente, per questa stessa ragione, si sono raggiunti i 775 milioni. Il bilancio annuale della pubblica istruzione è di 227 milioni, di cui 150 per imporre ai comuni, oltre i loro sacrifizi volontari per le scuole libere, scuole senza Dio, delle quali, un gran numero di questi comuni non vogliono saperne. A qual cifra ammonterà questo bilancio, quando la legge che interdice ai religiosi ed alle religiose l'insegnamento di ogni specie, sarà in pieno vigore, e l'insegnamento di tutta la gioventù sarà a carico dello Stato? Chi lo può dire?
Perché questo monopolio, già tanto oneroso e che lo diverrà sempre più? "Perché non vi sia più che una sola Francia", rispose Waldeck-Rousseau, cioè, perché lo spirito rivoluzionario che vuole la distruzione della Chiesa in vista della deificazione dello Stato e della sottrazione di tutte le anime all'ordine soprannaturale, non incontri più alcun ostacolo.
La seconda piaga è la piaga militare. Fino al 1789 gli eserciti erano unicamente composti di volontari e di mercenari in numero limitato. L'ultima gran battaglia della monarchia, Fontenoy, non vide più che 40.000 uomini di linea. Scoppia la Rivoluzione, essa vuol diffondere il suo spirito nel mondo; perciò dichiara la guerra all'Europa. Viene inventata la coscrizione. Le altre potenze si trovano nella necessità di seguire la Francia in questa nuova via. Ma ecco che alla terza invasione, che ci frutta la propaganda dello spirito rivoluzionario, ci accorgiamo che la Prussia ha superato il suo modello, e che noi alla nostra volta ci troviamo nella necessità di imitarla. Allora vien decretato per tutti il servizio obbligatorio. Oggi l'esercito attivo, secondo la statistica del 1899, comprende 561.000 uomini, ed in caso di guerra, la Francia disporrebbe di 4.800.000 uomini armati, il decimo della sua popolazione maschile.(7)
Esercito e marina ci costano ogni anno in tempo di pace 993 milioni. Da trent'anni noi abbiamo speso per essi una trentina di miliardi! Che sarà quando scoppierà la guerra?(8)
Ma la cifra portata al bilancio non ci mostra che la più piccola parte della perdita del capitale che ci costa il principio della nazione in armi.
Ogni cittadino rappresenta, l'abbiamo detto, un capitale intellettuale e materiale la cui attività entra fra i prodotti generali della nazione. Ora, ogni individuo tolto all'agricoltura, all'industria, al commercio, alla scienza, ecc., costituisce per la produttività nazionale, una perdita media, sull'importanza della quale gli economisti non sono assolutamente d'accordo, ma che non deve essere inferiore a 6 franchi per giornata di lavoro perduto, cioè, una perdita annuale media di 1800 franchi per soldato sotto le bandiere, il che costituisce un miliardo e dieci milioni per anno di pura perdita pel paese, da aggiungersi alla cifra di spese portata in bilancio.
Le perdite morali che risultano da questo regime sono più rattristanti ancora. Gli eserciti permanenti sono un terribile agente di spostamento sociale e di depravazione.
Duecentoventimila giovanotti, due terzi dei quali sono di origine rurale, sono tolti ogni anno alla loro famiglia. Il servizio militare li piglia, e per tre anni, li disavvezza all'ambiente in cui furono
allevati, li sottrae all'occhio vigilante del loro padre e della loro madre, del loro parroco e dei loro vicini. Li inizia alle distrazioni corruttrici della città; li disgusta della coltura o del mestiere che aveano appreso. Terminato il servizio, per restare in città si faranno portalettere, impiegati delle strade ferrate, operai di bottega. E in tal modo le campagne si spopolano e le città crepano di pletora e di miseria, la popolazione diminuisce per la rarità dei matrimoni e delle nascite, e la corruzione estende la sua lebbra da un punto all'altro del paese.
Scoppia la guerra. La vita si arresterà dovunque. In ogni casa partono figli e sposi. Non rimarranno che le donne, i bambini e i vecchi. Opifici, magazzini, tutto sarà chiuso. Bisognerà vivere dei risparmi, se ve ne saranno. Dopo la guerra, bisognerà vivere per anni ed anni per rifarsi dei 200 mila morti e dei 400 mila feriti, per rigovernare le strade, le case, gli stabilimenti, per ristabilire le finanze. Nel 1870 gli eserciti costarono 10 milioni al giorno, ne costeranno ormai più di 20 milioni, 600 milioni al mese a datare dall'entrata in campagna, e questo senza contare le spese preliminari, le spese di primo apparecchio, indispensabili alla mobilizzazione ed alla concentrazione. Questo sarà il fallimento supremo.
Questo cataclisma sembra inevitabile. Esso sarà l'ultima conseguenza di questa insurrezione contro l'ordine divino che fu la Rivoluzione. Per isfuggirvi, se vi è tempo ancora, bisognerebbe risolutamente far macchina indietro, non solamente in Francia, ma in tutta l'Europa. Ciò non sembra possibile se non quando i terribili avvenimenti che ci minacciano, avranno alfine aperto gli occhi a tutti.
Le gravi imposte non bastano più. Bisogna ancora che ad intervalli, quasi regolari, si facciano dei prestiti. Questa è la terza piaga che ha aperto nei nostri fianchi la Rivoluzione, poiché questi prestiti, per la maggior parte, si son resi necessari per pagare le spese delle nostre Rivoluzioni e delle guerre che ne sono state la conseguenza.
Nel 1820 il debito contratto dallo Stato era di tre miliardi; nel 1870 era giunto a 13 miliardi. Oggi, secondo un lavoro pubblicato alla fine del marzo 1893, da Giorgio Blondel, professore all'"Ecole des Hautes Etudes commerciales", è giunto, compresivi i debiti dipartimentali e comunali, alla cifra di 36 miliardi.(9) Il servizio degli interessi esige ogni anno la somma di 1250 milioni. Questo rappresenta 800 franchi per abitante, mentre che l'inglese non deve che 377 franchi; il tedesco 284 franchi; il russo 150 franchi; lo Svizzero 106 franchi; l'americano 97 franchi. Si calcoli l'enorme quantità di lavoro da fare annualmente per pagare il miliardo e duecento milioni d'interesse di questo debito! Ai prestiti chiari e dichiarati, quanti fa d'uopo aggiungerne di occulti! Lo Stato riceve a prestito per le mani di Compagnie, per le mani di Camere di commercio, per le mani di Casse di risparmio, in una parola, per tutte le mani e sotto tutte le forme.
Durante uno de' suoi ministeri, Leone Say, spaventato dell'arditezza de' suoi colleghi ed in particolare di ciò che egli tanto piacevolmente motteggiava sotto il nome della loro politica scolastica, immaginò un mezzo di dare o ad essi od al pubblico, o agli uni ed all'altro insieme un discreto avvertimento. Egli fece fare in uno de' suoi uffici una statistica degli impegni del Tesoro. Fin da quell'epoca essi salivano a 17 miliardi.
Il prestito fatto alle Casse di risparmio si è ingrossato, esso solo, di ben 4 miliardi e 250 milioni, versati in oro ed in argento da 7 milioni di depositanti. Che ha fatto lo Stato di quest'oro e di quest'argento? Lo ha impiegato nell'acquisto di titoli di rendita, titoli di rendita suoi propri. "Con ciò - così parla Giulio Roche - si è fatto l'arbitro del corso dei valori, il quale però non doveva dipendere che dai fenomeni naturali e dalle tendenze del pubblico. Egli ha assuefatto per forza i capitali a nascondersi nelle casse del Tesoro, ad allontanarsi dagli impieghi industriali, commerciali, agricoli, sterile il risparmio, soli produttivi e vivificanti; esso rende sterile il risparmio, spegne lo
spirito di ricerca, d'iniziativa, d'intrapresa, eleva falsamente il tasso del capitale; altera il prezzo de' suoi propri fondi, speculando sulla propria firma. I magistrati trascinerebbero dinanzi alla Corte d'assise gli amministratori di una banca o di una società che seguissero il suo esempio violando formalmente la legge del 1867, legge evidentemente promulgata pel complesso dei mortali, ma non per lui ...".
I depositanti s'immaginano che questi miliardi siano rimborsabili a vista. S'ingannano. Si son prese delle misure che consistono, in caso di guerra, di scontare le somme depositate in piccoli pagamenti di 50 franchi separati da lunghi intervalli. Sette milioni di rimborsi di 50 franchi solamente formano una somma di 350 milioni; dopo quanti sconti parziali si arresterebbe la possibilità del rimborso dello Stato? Poiché non avrebbe a pagare che questo. Si richiami alla mente il passato. Non fu sotto un aggravio di quattro miliardi, ma di soli 260 milioni, che in meno di due mesi, il Governo provvisorio del 1848 fece bancarotta in piena pace ai portatori di buoni del Tesoro e delle Casse di risparmio, obbligandoli a prendere in pagamento al tasso di 60 franchi, rendite, che al corso di Borsa, non ne valevano che 30.
Tanti miliardi di prestito aumentano gli obblighi di ogni specie, pesano nello stesso tempo sul paese e sui particolari, rendono la produzione agricola più rara, e l'industria più aleatoria. Tutto questo ci mette in una manifesta inferiorità di fronte ai nostri rivali; la nostra industria ed il nostro commercio saranno ben presto incapaci di sopportare la concorrenza straniera, questa nuova forma di lotta fra le nazioni. "Il passato ci divora", si è detto un giorno al Senato; il presente divorerà di più l'avvenire. Una generazione non è che l'usufruttuaria del patrimonio morale e materiale che ha ereditato! Noi divoriamo l'uno e l'altro; i nostri nipoti ci malediranno.
Infine, alle tre piaghe della scuola laica, dell'armata e dei prestiti bisogna aggiungere la piaga degli impiegati. Felice Martin giudica che il numero degli impiegati in Francia s'elevi a 545.000. D'onde conchiude che, diffalcando le donne, trentatré francesi mantengono un impiegato.
Nessuno può negare oggi - dice Giulio Roche - che la nostra organizzazione amministrativa, nel senso generale della parola, è assurda. Noi ci burliamo dei mandarini; noi siamo cento volte più cinesi in pieno Parigi, che i cinesi di Pe-Tschi-Li, del Kouang-Toung e delle altre diciassette provincie dell'impero della Cina. I nostri 87 dipartimenti, i 362 circondari, gli 87 prefetti, i 275 sottoprefetti, i 350 segretari generali e consiglieri di prefettura, i 362 tribunali, gli 87 stati maggiori di funzionari del registro, delle contribuzioni dirette, delle contribuzioni indirette, delle poste, della tesoreria, ecc., sono in contraddizione stridente colla natura delle cose, colla situazione attuale della Francia, coi bisogni e cogl'interessi del pubblico che paga, tanto più mal servito quanto maggiormente paga.
Questo enorme cumulo di uffici, di fabbriche di carta straccia, non ingenera che continue complicazioni, spese, ostacoli, pastoie, perdita di tempo e di forze. Mentre bisognerebbe semplificare, abbreviare, alleggerire per permetterci di camminare sempre più lesti nella universale corsa internazionale, in cui i plantigradi e i tardigradi sono fatalmente condannati alla decadenza ed alla rovina, sembra che lo Stato si compiaccia nel moltiplicare i fardelli ed i pesi morti che aggravano le nostre spalle. Tuttavia niente di più naturale, di più semplice, che le riforme da effettuarsi ...
Ma la politica si oppone ad ogni riforma seria, ad ogni miglioramento efficace. Essa cagiona tutto il male. Essa impedisce tutto il bene. Ostinarsi a conservare un sistema tanto funesto e tanto pericoloso è un atto di vera pazzia. Pure, le "cose" sono tali che è chimerico supporre che una Camera, qualunque, potesse oggi essere tanto svincolata da viste personali e da preoccupazioni
locali inferiori da avere il coraggio di effettuare la riorganizzazione costituzionale ed amministrativa che s'impone al nostro paese.
Solo un potere indipendente sarebbe capace di fare ciò che è indispensabile.
O noi istituiremo questo potere, e l'opera dì salute e di vita si effettuerà.
O noi non l'istituiremo e l'opera di rovina e di distruzione continuerà, fino al suo scioglimento predetto dalla storia.(10)
 

Note:

(1) Luogo delle Esposizioni mondiali di Parigi.
(2) M. Neymark ha fatto nel Rentier il rilievo delle società che si erano costituite allo scopo di offrire attrattive ai visitatori dell'Esposizione del 1901. Il Panorama Marchand, costituito col capitale di 500.000 franchi è stato liquidato con una ripartizione di 19.61%. Le Tour du Monde (a milioni) ha restituito 6 franchi per azione. Le divisioni sono state di 16% pel Maréorama (capitale 1.250.000 franchi); di 0.75% per Venezia a Parigi (950.000 franchi); di 5.65 per l'Aquarium e les Bonshommes Guillaume (1 milione); di 6.50% pel Teatro Indo Chinese (350.000); di 1.63% pel Restaurant International (300.000); di 78.60% per la Gran Ruota (4 milioni); di 20% per la via del Cairo (1500.000 franchi); di 1.32% pel Diorama di Fachoda (250.000 franchi); di 50.45% per Parigi nel 1400 (850.000 franchi); di 9.20% per i Bars automatici(173.000 franchi); di 45% pei trasporti elettrici (4 milioni). Il Restaurant Kammezell (500.000 franchi) ha reso 12.62 per azione; la Feria (270.000 franchi); 23.67; le Rampes mobili (1.000.000 fr.) 14 fr. nella prima divisione. Il fallimento del Palace (1.600.000 fr.) è stato chiuso per insufficienza di attivo. Dunque, là solamente, è un capitale di oltre 20 milioni quasi interamente perduto.
(3) 20.000 ettari di terre migliori sono destinati alla coltivazione del tabacco; queste buone terre potrebbero produrre annualmente circa 400.000 ettolitri di frumento e 600.000 quintali di paglia, o 700.000 ettolitri di avena e 600.000 quintali di paglia, o 800.000 quintali di fieno, o 2 milioni d'ettolitri di patate. Ma lo Stato trova nella regia dei tabacchi un prodotto netto di circa 310 milioni.
(4) Secondo una persona, la cui competenza in materia finanziaria è indiscutibile, Enrico Germain, i risultati reali di tutti gli esercizi dal 1875 fino al 1902 possono riassumersi colle tre cifre seguenti: Entrate . . . . . . . 88.095.000.000  Spese . . . . . . . . 93.825.000.000 Deficit . . . . . . . .5.730.000,000 Per conseguenza, in 28 anni la cattiva amministrazione della Società francese avrebbe avuto una perdita di 5 miliardi 730 milioni, una perdita superiore all'enorme contribuzione di guerra che la Francia ha dovuto sobbarcarsi dopo i disastri del 1870-71. Di più, una stima moderata porta a 200 milioni l'annualità che una società, così importante come la Società francese, dovrebbe impiegare all'ammortamento del suo capitale impiegato. Per ventotto anni, la mancanza di ammortamento rappresenta dunque una nuova perdita di 5 miliardi 600 milioni, quasi eguale all'altra subita dalla Società francese.
(5) Egli così ricapitola i risultati de' suoi calcoli sul bilancio del 1905. "Voi vedete: "Che il totale dei centesimi addizionali, dipartimentali e comunali, oltrepassa 122 - cioè che ove il bilancio dello Stato porta 100 franchi di imposte sulla proprietà fondiaria e sul commercio ed industria, i contribuenti pagano in realtà 222 franchi! "Che il debito che gravita sull'insieme del paese non è solo di 30.375 milioni, come indica lo specchietto pubblicato nel bilancio 1905, ma che bisogna aggiungervi i 496 milioni di debito dipartimentale ed i 3834 milioni del debito comunale (al 31 dicembre 1902, oggi assai più elevato), ciò che porta un totale almeno di 34 miliardi e 705 milioni. "Questo calcolo però è ancora incompleto; vi manca il debito vitalizio, che non è meno inscritto nel gran libro con la rendita al 3%, e che bisogna capitalizzare al medesimo tasso, poiché i creditori non muoiono punto! Uno avulso non deficit alter. Per uno che si seppellisce, due ne sorgono! Vedete piuttosto la progressione della spesa:
 Nel 1902 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 244.908.000 franchi Nel 1903 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251.702.000 Nel 1904 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 254.766.000 Previsto pel 1905 . . . . . . . . . . . . . . . 258.382.000 Capitalizzate queste annualità, troverete pel progresso del debito vitalizio valutato in capitale la progressione seguente: Nel 1902 . . . . . . . 8.163 milioni Nel 1903 . . . . . . . 8.390 " Nel 1904 . . . . . . . 8.492 " Nel 1905 . . . . . . . 8.612 " "Aggiungete ora ai 34.705 milioni del Debito pubblico suesposti questi nuovi 8512 milioni, avrete un totale di più che 43 miliardi. "Cioè che su i 220 (?), 250 (?) miliardi della pubblica fortuna in Francia, 43 (un quinto? ... un sesto? ... ) sono ipotecati dal Debito pubblico e devono dare i loro prodotti al servizio annuale de' suoi interessi. "Sull'insieme dei bilanci, vi restano non consacrati al debito, 3300 milioni di spese, le quali assorbono le rendite di più che 100 miliardi; di modo che quasi i tre quarti (più che la metà certamente) della fortuna pubblica non produce che per lo Stato, sotto le sue diverse forme. "Qualche progresso ancora sull'aumento delle spese, e tutte le rendite della pubblica ricchezza saranno assorbite dall'erario"!
(6) Secondo lo stesso l'inglese paga 66 franchi e 46 cent. ed il tedesco 58 franchi e 82 centesimi.
(7) Le cinque grandi potenze dell'Europa, Germania, Austria, Francia, Italia e Russia si sono poste in condizione di poter disporre in caso di guerra venticinque milioni d'uomini. Quando si pensi che le potenze barbare, la Cina dopo il Giappone, incominciano ad armarsi all'europea, vi è da spaventarsi. Giuseppe de Maistre disse: "Gli annali di tutti i popoli non hanno che un grido per dimostrarvi come il flagello della guerra infierisce sempre con una violenza rigorosamente proporzionata ai vizi delle nazioni, di maniera che, allora che vi ha traboccamento di delitti, vi ha pur sempre traboccamento di sangue". In un articolo pubblicato nel 1887, e che fece il giro della stampa, J. Simon scriveva: "Come sarebbe possibile la guerra se nessuno la volesse!" Eh! si fece mai la guerra di buon animo! La guerra è un flagello con cui la giustizia divina colpisce i popoli colpevoli. Essa è un mezzo di cui si serve la divina misericordia per rialzarli. "Allorché l'anima umana ha perduto la sua energia mediante la mollezza, l'incredulità e i vizi cancrenosi che seguono gli eccessi della civiltà, non può ritemprarsi che nel sangue ... "Non havvi che un sol mezzo per comprimere il flagello della guerra, ed è quello di comprimere i disordini che adducono questa terribile purificazione". Gius. de Maistre, Considérations sur la France.
(8) Giulio Roete ha esaminato quali sarebbero le spese della guerra futura. Dopo d'aver dato le cifre per le spese della guerra del 1870-71 e detto quello che la guerra contro i Turchi nel 1877-78 avea costato alla Russia, aggiunse: "Le spese cosidette di prima linea - indennità d'entrata in campagna, ecc. - si può dire, raggiungerebbero certamente, all'incirca i due miliardi, e questi da pagarsi dentro i due primi mesi. "Nel mentre che il Tesoro avrebbe da versare questi due miliardi in due mesi - cioè una media di 33 milioni per giorno - non è meno obbligato di far fronte alle spese quotidiane normali dell'armata: paga, viveri, foraggi, ed infine mantenimento degli ufficiali. "Nel bilancio della guerra queste spese rappresentano circa 400 milioni del totale dei 678 milioni. Gli effettivi al tempo di guerra, essendo almeno sei volte maggiori che quelli in tempo di pace, le spese seguirebbero la stessa legge. Bisogna dunque moltiplicare questi 400 milioni almeno per 6, e si avrà una somma di 2400 milioni. Ma il prezzo di ogni genere: frumento, carne, legumi, vino ecc. verrebbe ad aumentare fortemente, almeno della metà, per certo; pure non calcolando che un terzo, per lo meno bisogna aggiungere 800 milioni. "Non sì potrebbe tuttavia valutare a meno di 10 il coefficiente d'aumento per le spese di foraggio. I nostri 120.000 cavalli ci costano 63 milioni di foraggio, il nutrimento dei nostri 600.000 cavalli al tempo di guerra, ci costerebbe certamente, a detta di tutti, al minimo 600 milioni. "Ricapitolate: 2400 + 800 + 600, eccoci a 3800 milioni. Ho lasciato da parte 278 milioni d'altre spese al bilancio della guerra, aggiungetele; è una spesa totale di 4878 milioni, almeno, rappresentante una spesa di mantenimento maggiore di 11 milioni al giorno, in tutta la durata della guerra, cioè più di 330 milioni al mese. "I due primi mesi della guerra richiederebbero dunque ognuno circa 1330 milioni, ossia 44 milioni al giorno; e nei mesi seguenti, ogni mese 11 milioni al giorno pel solo mantenimento dell'esercito. "Ma questa armata sarebbe in guerra, combatterebbe, consumerebbe, distruggerebbe: armi, munizioni, cavalli, case, messi, vestiti, provvigioni di ogni specie che bisognerebbe sostituire, ricompensare, riparare e ristabilire. "Agli 11 milioni dì spese giornaliere propriamente dette, s'aggiungano le mille spese speciali dirette ed indirette della guerra in atto, che eguagliano almeno le spese della prima categoria, cosicché la somma quotidiana necessaria indipendentemente dalle spese di allestimento, si troverebbero portate sopra i 22 milioni, e senza dubbio assai vicini ai 25 milioni.
(9) Altri calcoli fatti nel 1904 l'hanno portato a 42 miliardi e 694 milioni. Nel settembre 1904, Rouvier pubblicò, per cura della tipografia Nazionale, il resoconto generale delle finanze pel 1903. Noi vi troviamo la statistica del danaro tolto a prestito in Francia dalla Rivoluzione francese in poi. Ecco le sue cifre che differiscono, nel totale, da quelle date da noi. In rendita di conversioni, la Francia ha tolto a prestito un capitale di 3o1 miliardi e 495 milioni, pei quali ha pagato in media 1 miliardo e 104 milioni d'annuo interesse. In rendita d'imprestiti, il nostro paese toccò dopo il 1795 una somma di 19 miliardi e 41 milioni, per la quale pagò annualmente 769 milioni d'interesse. Infine, in rendite di consolidato, la Francia ha pagato una somma di 331 milioni d'interesse per un capitale nominale di 9 miliardi e 87 milioni circa. Insomma, se non ci fossero state alcune serie estinzioni, il debito della Francia sarebbe oggi di 58 miliardi e 620 milioni, somma per la quale dovremmo pagare annualmente 2 miliardi e 202 milioni d'interesse. Ma questo debito non è più che di 34 miliardi pei quali paghiamo ancora un miliardo crescente d'interessi.
(10) Come mezzo di riforma Giulio Roche indica la diminuzione del numero dei dipartimenti, ridotti a venti o più. Se ne guadagnerebbe in tutti i modi, in tempo ed in danaro; materialmente e moralmente; si sarebbe venti volte meglio serviti, più presto ed a migliore mercato. Le spese di Stato vi troverebbero un sollievo di parecchi milioni, contati così ad un tanto al cento.
Un altro mezzo sarebbe di aver dei prefetti e dei sotto-prefetti simili ai sceriffi e sotto-sceriffi inglesi. Scegliamoli fra i proprietari fondiarii, stimoliamoli all'onore di dirigere gratuitamente l'amministrazione del loro dipartimento. Confidiamo egualmente la cura d'esercitare la giustizia locale e l'amministrazione municipale intera, le finanze, la polizia, la viabilità a dei proprietarii residenti, nobili, borghesi o coltivatori, come questo ha luogo in Inghilterra ed anche agli Stati Uniti. "Lo Stato della Virginia - ha scritto Tocqueville - è diviso in contee. In ogni contea sono nominati dei magistrati chiamati giudici di pace, generalmente dal numero di otto a quaranta in proporzione dell'estensione della contea. Essi sono presi fra i più onesti e probi abitanti. Essi sono eletti dai loro eguali, ma nominati dal governo dello Stato. Non ricevono alcuna mercede. Questi magistrati hanno una giurisdizione ad un tempo criminale e civile. Notiamolo. Questo è il mezzo di amministrare con economia uno Stato e nello stesso tempo di farvi regnare l'armonia sociale ravvicinando i cittadini d'un paese ed obbligandoli a conoscersi.