Un anonimo poeta ha cantato l'incendio di Carmagnola operato dai francesi e dai valdesi il 13 maggio 1799
Di: Giorgio Enrico Cavallo
L’ira accanita e ‘l marzial furore
Ch’infiammò già ne’ petti de’ Valdesi
Cupidigia dell’oro, e non d’onore,
Quando lor armi uniro a dei francesi
Di Carmagnola in odio e in disonore,
Vorrei cantarvi, amici miei cortesi,
Ma temo… questi appena m’udiranno
Della bipenne al canto mio daranno.
Così canta l’anonimo autore della Carmagnoleide, “poema epico” sui generis, a metà tra l’opera tragica e la tragicomica, che tratta della distruzione di borgo Salsasio (ël borgh ëd la Madòna, in piemontese) a Carmagnola, avvenuta il 13 maggio 1799 per mano delle forze francesi e valdesi. Un poema assolutamente poco noto, legato ad un fatto storico che, fuori dai ristretti confini carmagnolesi, è a sua volta sconosciuto.
Perché si giunse alla distruzione di Carmagnola? Facciamo un piccolo excursus. Siamo in un periodo turbolento e difficile: i francesi avevano cacciato, l’8 dicembre 1799, il re Carlo Emanuele IV, e avevano instaurato una effimera repubblica, poi annessa alla Francia. I piemontesi si erano sollevati, e nella regione erano giunte ben presto le armate alleate di Suvorov. Anche a Carmagnola i contadini si erano ribellati all’esercito francese, che aveva risposto inviando una divisione militare, la quale tuttavia ebbe la peggio. Il generale Frassinet, violento e vendicativo, volle dare una dura lezione agli insorti: giunse alle porte della città con un vero e proprio esercito di oltre duemila uomini, dei quali circa la metà erano valdesi. Comandava i valdesi Giacomo Marauda, ufficiale di certo ingegno, qui descritto con toni ironici:
Avea su tutti il general comando
Messer Marauda, primo tralli anziani,
Dal cui fianco pendea un lungo brando
Atto ad ispaventar li barbagiani.
Frassinet ingiunse agli insorti la resa, ma questi replicarono chiedendo la garanzia della salvezza della città, richiesero che i soldati francesi non passassero più per Carmagnola e pretesero degli ufficiali nemici come ostaggio. Erano richieste esagerate, per il Frassinet, che non avrebbe usato pietà. I francesi attaccarono senza alcuna remora. I carmagnolesi si asserragliarono in borgo Salsasio, opponendo una tenacissima resistenza. Dal campanile del convento dei Minori Osservanti alcuni carmagnolesi prendevano a fucilate i francesi che avanzavano per il paese. Ecco ancora l’anonimo poeta:
La difesa maggior era in convento
Fiamme dal campanile e dalle porte
Piovean sulli aggressor ogni momento,
Sì che parecchi furon tratti a morte
Nel lungo ostinatissimo cimento.
Alfine anco costui cedé alla sorte:
entra il nemico e con atto inumano
i difensori estingue, ed il guardiano.
Ma i francesi erano più numerosi e meglio armati. Nonostante l’accanitissima resistenza di borgo Salsasio, la vittoria arrise a loro; i contadini si sbandarono:
I vincitori i vinti colle spade
Seguono ancor, ispiando i nascondigli
Non perdonando ai padri ned’ai figli
E per l’ostinatissima difesa
Che fero i terrazzani, Fressinetto
Ordin diè che gli ussar con torchia accesa
Appiccassero il foco già al suddetto
Borgo, e nissuna casa gisse illesa
Dal gallico furor, smania, dispetto;
Né tardaro eseguir la commissione
Del generale senza remissione
Orrendi furono i massacri, terribile l’incendio che venne appiccato alle case del borgo:
Durò poi quell’incendio tutto ‘l giorno
la notte e parte ancor dell’indomane,
sfavillar vedeansi d’ogni intorno
le case, i tetti, con ferocia immane.
Nemmen la chiesa, di Dio soggiorno,
dal barbaro livor sicura ne rimane,
ogni sostanza ancor alfin ingoia
l’incendio, vera immagine di Troia
Quanti furono i morti? Fonti francesi parlano di quattrocento caduti tra i civili di borgo Salsasio. Una cifra che forse non si discosta molto dalla realtà, anche se nei registri delle parrocchie di Carmagnola risultano molti meno i caduti sepolti: in tanti morirono in mezzo ai campi, inseguiti dai francesi e finiti senza pietà, altri ancora morirono più avanti per le ferite riportate. Lo scempio di Carmagnola fa capire come i francesi intendessero portare la libertà ai popoli conquistati: quanto si studia sui libri di scuola spesso – troppo spesso – risente di una critica partigiana, che ne ha posto in luce principalmente gli aspetti “eroici” e quasi “epici”, se consideriamo l’epica come il fondamento delle origini di un popolo (e in questo, fondamento della società contemporanea), della rivoluzione francese. Carmagnola dimostra il contrario: la libertà era portata a caro prezzo, e chi si opponeva ad essa subiva il fuoco e la spada. Si comprende perché, spesso, si rimpiangessero i vecchi “tiranni”: la libertà dei francesi era solo una nuova, e più cruenta tirannia.
Fonte: http://www.ilbicerin.com/