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Louis Blanc (1850) |
Tutti i disordini che abbiamo segnalati nell'ordine economico rendono sempre più triste la questione sociale. Vi fu sempre una questione sociale, la questione della coesistenza dei ricchi e dei poveri. Ma nomi nuovi sorgono dalle cose vecchie quando queste si trasformano, quando prendono un carattere differente da quello che avevano fino allora.
Egli è a veduta ed a saputa di tutti, che la questione sociale attualmente è più irritante che non lo fosse nei tempi imbevuti dello spirito di cristianesimo, ed anche nei primi anni del secolo XIX.
"La fraternità - dice un libero pensatore socialista, Luigi Blanc, - parlando del tempo in cui regnava l'ordine sociale cristiano, - la fraternità fu il sentimento che presiedette nell'origine alla formazione delle comunità dei mercanti e degli artigiani, costituite sotto il regime di san Luigi. Se, penetrando nell'assemblea dei preposti, vi si riscontrava l'impronta del cristianesimo, ciò non è solamente perché si veggono, nelle pubbliche cerimonie, portare solennemente i loro devoti stendardi ... Una sola passione ravvicinava allora le condizioni e gli uomini, la carità".
Luigi Blanc fa il ritratto del padrone d'allora. Ne ritrae il carattere con una sola parola: la compassione pei poveri, la sollecitudine pei diseredati di questo mondo.
Poi, parlando degli operai, egli dice: "Una commovente unione esisteva fra gli artigiani d'una stessa industria! Lungi dal fuggirsi, essi si riavvicinavano l'un l'altro per incoraggiarsi reciprocamente e rendersi vicendevoli servigi ...".
Qual'era l'anima di questa fraternità fra gli operai, e chi teneva viva questa carità fra i padroni?
Il libero pensatore Luigi Blanc non si perita di dirlo:
"La Chiesa era il centro di tutto ... Era il soffio del cristianesimo che animava il medioevo".
Al principio di questo secolo, quando fu ristabilito l'ordine perturbato dalla Rivoluzione, le cose ripresero il loro antico aspetto.
"Sotto la Restaurazione - dice il P. Deschamps nel suo libro: Les Sociétés secrètes et la Societé - l'accordo regnava allora ovunque fra i padroni e gli operai: gli uni e gli altri vivevano in pace in mezzo alla prosperità generale".
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Frederic Le Play |
"Durante l'inverno 1829-1830 - dice Le Play - io ho constatato, nella più parte dei laboratori parigini, fra i padroni e gli operai una armonia paragonabile a quella che avevo ammirato nelle miniere e nelle masserie dell'Annover".
Come quest'armonia ha ceduto il posto all'ostilità che oggi si manifesta in tutte le corporazioni di mestieri, cogli scioperi organizzati fra i lavoratori per far guerra ai padroni?
È mestieri risalire al 1830 per vedere le origini di questo antagonismo. Un nuovo spirito s'impadronì allora dell'industria. Gli economisti ufficiali misero in onore la teoria per la quale il lavoro non è che una mercanzia come un'altra. Essa liberava i padroni dai doveri di patronato e loro permetteva di non più pensare che ad accumulare, nel minor tempo possibile, il maggior capitale. Per ricavare dal lavoro-mercanzia un maggior profitto, impiegarono le donne ed i fanciulli e ridussero, operai ed operaie, in condizioni deplorevoli sì rispetto alla sanità come alla moralità.
Nello stesso tempo, tanto la stampa officiosa quanto la massonica, si misero a predicare al popolo, colla massima accortezza ed insistenza, la diffidenza contro il disprezzo dei beni spirituali, l'ambizione dei godimenti sensuali, l'incredulità e l'immoralità.
Un conflitto non dovea farsi aspettare poiché ricchi e poveri, sebbene partissero da punti differenti, si trovarono condotti sullo stesso terreno da queste dottrine di arricchimento e di empietà, bramosi, colla stessa passione, dei medesimi beni che i ricchi voleano acquistare a detrimento dei poveri, ed i poveri a detrimento dei ricchi. Fin d'allora ferve il conflitto nei cuori. Esso si manifesta, in una maniera quasi continua, mediante gli scioperi parziali. Scoppierà in una guerra sociale quando si vedranno le idee definitivamente realizzarsi nei fatti, quando il popolo crederà giunto il momento d'impossessarsi di questi beni che, non si cessa di ripetergli, sono i soli beni reali, i soli beni desiderabili. Allora la società sarà scossa fino ne' suoi fondamenti.
Di qui il nome di QUESTIONE SOCIALE: vale a dire, questione che mette in giuoco e in pericolo la società medesima.
Nulladimeno la società non può perire. L'uomo è così fatto: egli è un essere essenzialmente socievole; non può vivere senza i suoi simili; non può vivere con loro se non in una società costituita. Alla questione sociale tale quale oggi s'impone, vi sarà dunque necessariamente una soluzione. Quale sarà essa?
Prima di Gesù Cristo la società si conservava mediante l'intero dominio degli uni sugli altri, di quelli che si costituivano padroni su coloro che si erano asserviti, dominio sì assoluto da comprendere perfino il diritto di vita o di morte. La questione sociale era allora risolta mediante la schiavitù.
Nostro Signore Gesù Cristo, colla predicazione del suo Vangelo, mise fine al regno della forza; ma venendo a mancare il legame sociale della schiavitù, ne occorreva un altro per mantenere nell'unità i differenti membri della società. Se Gesù Cristo non avesse creato questo nuovo legame, o se non avesse potuto farlo accettare innanzi di spezzare il primo, a questa rottura la società sarebbesi ridotta in polvere, devastata dalla guerra civile, e ben presto consunta dalla miseria.
Quale fu adunque il legame sociale che il divin Salvatore ci portò dal cielo per sostituirlo a quello della schiavitù? Fu la carità, cioè l'amor fraterno e vicendevole degli uomini, fondato non solo sulle comunità d'origine, sull'unità di natura, questo sarebbe rimasto così nell'avvenire come lo fu nel passato, ma eziandio e sopratutto sulla paternità di Dio, sulla nuova e soprannaturale fraternità che nostro Signore Gesù Cristo ci ha conferita elevandoci in Lui ad una certa partecipazione della natura divina: Divinae consortes naturae.
Cristiani rigenerati mercé il santo battesimo, noi formiamo un solo e medesimo corpo, animato da un medesimo spirito, che dal divin capo si diffonde negli altri membri per farvi regnare la carità: Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis. "La carità - dice l'apostolo san Paolo - è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che a noi è stato dato". Ed altrove: "Dio ha mandato nei vostri cuori lo spirito del Figliuol suo il quale grida: Abba, Pater! Così, voi non siete più schiavi, ma figli"! (Ad Rom. V, 5; ad Gal. IV, 6).
Voi siete figli, siete fratelli, siete membri d'un medesimo corpo. Ecco ciò che ha voluto nostro Signore Gesù Cristo, ecco ciò ch'Egli ha attuato e che è. Mediante la rigenerazione battesimale noi siamo divenuti figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo, membri del suo mistico corpo, templi viventi dello Spirito Santo che infonde in noi, che fa vivere ed operare in ognuno di noi la divina carità, la fraternità soprannaturale.
Tuttavia, come osserva lo stesso Apostolo, "il corpo non è un sol membro, ma molti ... Se tutto il corpo fosse occhio, ove sarebbe l'udito? se tutto fosse udito, ove sarebbe l'odorato? Vi sono dunque molte membra ed un sol corpo ... le membra che sembrano le più deboli, sono le più necessarie ... e se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui" (Ad Cor. XII, 12-27).
Commentando questo passo san Giovanni Crisostomo dice: "Se una spina si è conficcata nella pianta del piede, tutto il corpo si risente del suo dolore, e con ansietà se lo fa proprio; il dorso si curva, il ventre si contrae, le gambe si piegano, le mani, come ministri e satelliti incaricati dell'esecuzione, s'accostano estraggono la spina, la testa s'inclina, gli occhi guardano colla più ansiosa premura. Eppure che havvi di meno nobile della pianta del piede e di più prezioso della testa? E nondimeno, la testa s'accosta al piede traendo seco tutto il corpo.
Sono gli occhi che soffrono? Tutto soffre con loro, tutto rimane nell'inazione. I piedi si fermano, le mani più non agiscono, lo stomaco stesso se ne risentirà. Ma che dunque! se il male è negli occhi, perché queste debolezze di stomaco, questa immobilità del piede, questi ostacoli della mano? Ah! gli è che tutto è incatenato alla sofferenza degli occhi; gli è che un legame ineffabile unisce il corpo intiero ai dolori di un membro"!
Parimenti, ognuno sostiene la sua parte, il suo compito nell'organismo sociale quale Dio l'ha istituito. Ognuno è obbligato a tutti e deve darsi a tutti; e tutti sono obbligati a ciascuno e devono darsi a ciascuno. Il più debole dei bambini, il più misero fra gli ammalati ha il suo valore, la sua parte da compiere quando altro non fosse che quello di mantenere nel mondo, per le cure di che abbisogna, il fuoco sacro del sacrificio.
Alla diversità dei membri, si aggiunge nel corpo mistico di Gesù Cristo, come altresì nel corpo naturale, l'ineguaglianza delle condizioni. Per le ragioni già indicate, e che svilupperemo in appresso, - nella Chiesa, come nella società pagana, vi sono dei grandi e dei piccoli, dei ricchi e dei poveri; ma il divin Salvatore ha stabilito fra di loro la legge della mutua assistenza, - i ricchi che assistono i poveri corporalmente, i poveri che assistono i ricchi spiritualmente; ed inoltre egli ha disposto le cose, "in modo da tributar maggior onore ai membri che ne difettano".
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Jacques-Bénigne Bossuet |
Come fa osservare Bossuet, Gesù Cristo ha lasciato nel mondo i ricchi al disopra dei poveri, ma Egli ha messo nella sua Chiesa i poveri al disopra dei ricchi; Egli ha lasciato i poveri alla dipendenza dei ricchi relativamente ai beni temporali, ma ha messo i ricchi nella dipendenza dei poveri relativamente ai beni spirituali: e se i beni temporali sono più seducenti agli occhi della natura, Egli ha reso i beni spirituali infinitamente più attraenti agli occhi della fede, onde ha illuminato nello stesso tempo e la mente dei ricchi e la mente dei poveri che vogliono essere suoi.
È ciò che lo Spirito di Dio ha fatto comprendere a tutti i cristiani docili alle sue ispirazioni, inducendoli tutti a lavorare, per quanto sta in loro, ad attuare l'ordine sociale voluto dal Vangelo.
Con ciò, la società si è trovata in una situazione mille volte più stabile e ferma di quella che la schiavitù le aveva dato, e, di più, ciascuno si è trovato contento della sua sorte.
Il ricco ha cominciato a rispettare il povero, ad amare il povero, a porre la sua felicità nel servirlo. Egli sapeva che alloggiandolo, vestendolo, nutrendolo, nutriva la sua propria anima, la rivestiva della grazia santificante, e la rendeva meritevole di entrar nei tabernacoli eterni.
Il povero riceveva con riconoscenza i doni del ricco, e ne faceva omaggio a Dio per l'amore, onde era stato così favorito. Nello stesso tempo, usava del suo credito presso il divin Maestro a vantaggio del suo benefattore. "Un po' di carità se vi piace - diceva egli - per amor di Dio"; vi chiedo l'elemosina in nome dell'amore che Dio ci porta, a me come a voi; ve la dimando perché il suo amore cresca nelle nostre anime, nella mia per riconoscenza, nella vostra pel merito del vostro beneficio. D'altronde, il povero avea imparato come il ricco a preferire i beni spirituali ai beni temporali; e se avveniva che avesse a soffrir penuria di questi, sapeva che il suo abbandono alla Provvidenza, la sua rassegnazione alla volontà divina, accrescevano la benevolenza di Dio a suo riguardo e gli preparavano nel cielo maggiori tesori ed una gloria più splendida.
In tutto il tempo che questa dottrina regnò nei cuori, la società è stata in pace, pace incomparabilmente più perfetta e più stabile, e sopratutto infinitamente più bella di quella che la schiavitù ha fatto regnare nel mondo pagano.
Tutte le volte che questa dottrina si è alterata, si è pur raffreddata la carità, l'egoismo umano ha preso il sopravvento, la guerra civile è scoppiata fra ricchi e poveri, fra piccoli e grandi; l'oppressione dei deboli per opera dei potenti ha ripreso a poco a poco il terreno che Gesù Cristo le avea fatto perdere. Tale la storia del protestantismo in Alemagna ed in Inghilterra, tale la storia del filosofismo in Francia. Il livello della schiavitù sale in proporzione che si abbassa il livello della carità; e la carità nei cuori segue le vicissitudini della fede nelle intelligenze.
Oggi si vorrebbe emanciparsi dalla carità, senza rientrare nello stato sociale fondato sulla schiavitù. Si pretende di trovare il mezzo di far sussistere e vivere la società ripudiando il nuovo vincolo sociale come l'antico.
Gli empi non vogliono più la carità cristiana; e vorrebbero renderne impossibile il regno, distruggendo la dottrina sulla quale essa riposa.
L'empietà, con qualunque nome si chiami, ha per comune carattere la negazione, il ripudio dell'ordine soprannaturale; essa adopera ogni suo sforzo per impedire che nasca o regni nelle anime, per distruggerlo nella società. È ciò che fanno con accanimento i governi attuali. Quindi, i poveri, non trovando compenso alle loro privazioni ed ai loro patimenti, né i ricchi ai loro sacrifici, ritornano gli uni e gli altri all'aspra cupidigia dei beni di questo mondo. So bene che alla carità ispirata da motivi soprannaturali, si è con grande strepito annunziato che si sostituirebbe la
beneficenza e la solidarietà, la filantropia e l'altruismo: è già più d'un secolo che lo si tenta. Ma, oltre che le istituzioni stabilite su queste grandi parole in generale non vivono che della carità di coloro che sono rimasti cristiani che hanno conservato lo spirito del cristianesimo, e ch'esse assorbiscono la più gran parte di questa carità, in trattenimenti, in ispese, in scialacqui d'ogni sorta, i logici dell'empietà dicono che vi ha qualche cosa di meglio a fare che sollevare la miseria, è sopprimerla.
Sopprimere la miseria, sopprimere la povertà! È la soluzione che pretendono dare alla grande questione del giorno coloro che non vogliono più ordine sociale cristiano, pur pretendendo di lasciar nella tomba, in cui l'ha rinchiuso il cristianesimo, l'ordine, sociale pagano.
Il progetto è seducente per la ragione umana emancipata, che non vorrebbe dipendere, se non da se medesima, e trovar mezzo di regolar i propri destini a suo talento.
Ma come sopprimere la miseria? La cosa è facile dicono. Basta abolire la proprietà privata, e sulle sue rovine stabilire il comunismo o il collettivismo. Affinché non ci sieno più poveri, basterà mettere tutti i beni in comune, e ripartire fra tutti i cittadini i lavori necessari per farli produrre e poi dividere i frutti che producono.
Se un giorno sarà concesso ai socialisti di attuare il loro sistema, si vedrà rinnovarsi, in senso inverso, ciò che accadde alle origini del cristianesimo. Allora, man mano che si stabiliva nella società il regno della carità, indietreggiava il regno della schiavitù, e ben presto spariva quasi da se medesimo. Il collettivismo lo introdurrà di nuovo. Esso non potrà stabilirsi senza ristabilire la schiavitù.
Supponiamo che tutti i beni sieno messi in comune, e che lo Stato sia il solo ed unico proprietario: questi beni dovranno pure essere amministrati, se si vuole che continuino a produrre. Le terre dovranno essere coltivate, i loro frutti consegnati all'industria perché li adatti ai nostri bisogni, poi ripartiti fra i cittadini. Ma questa amministrazione, questa coltura, questa fabbricazione, queste distribuzioni non si faranno da se medesime. Bisognerà preporvi da una parte dei direttori, dei funzionari, un governo, e dall'altra dei lavoratori. Voi avete quindi, come adesso, come sempre, dei grandi e dei piccoli, dei padroni che comandano e dei sudditi che devono eseguire i loro ordini. Ora, questi sudditi saranno nello stato di sudditanza più assoluta. Lo Stato li terrà per la bocca; da lui riceveranno la lor pietanza, invece che procurarsela da se stessi, e come condizione per darla, esso potrà imporre loro un genere di lavoro a cui non avranno alcuna inclinazione e nemmeno attitudine.
Questa è la schiavitù, la schiavitù antica, con questo di aggravante che il numero dei padroni sarà più ristretto, che il loro potere non avrà alcun limite, e che lo eserciteranno ancora senza quella morale responsabilità a cui il padrone pagano non poteva interamente sottrarsi di fronte a' suoi pari. Il padrone, qui, sarà tutti e nessuno: sarà lo Stato.
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P. J. Proudhon |
Non si avrà dunque rigettata la soluzione cristiana della questione sociale se non per ricadere nella soluzione pagana ed ingolfarvisi più profondamente. Se mai il collettivismo giungesse a stabilirsi ed a funzionare, esso renderà la moltitudine più miserabile di quello che non lo era prima della venuta del divin Salvatore. Avendo voluto stabilire un ordine sociale, in cui non ci fossero più né ricchi, né poveri, il socialismo finirà col renderci tutti schiavi d'una oligarchia che governerà la moltitudine colla fame, come il cavallo si doma col morso.
"La Rivoluzione socialista - disse un uomo che se ne dovea intendere - P. J. Proudhon, finirà con un immenso cataclisma il cui effetto sarà di rinchiudere la società, in una camicia di forza, e di far perire, con una fame impreveduta, tre o quattro milioni di uomini".
Poiché l'unica soluzione trovata dal socialismo alla questione sociale non può metter capo che ad una nuova schiavitù, tutti dovrebbero trovarsi d'accordo nel dire che non solo, è necessario di ritornare alla carità cristiana, - perché grazie a Dio non è ancora sparita dalla terra, - ma che è urgente di rendere, all'ordine sociale cristiano, fondato su di essa, tutto l'impero che ha ottenuto nelle migliori epoche del cristianesimo.