Guido Reni, San Giovanni evangelista |
Dopo aver sentito i dotti, i pontefici e i santi, ci sarà egli permesso di aprire il libro delle divine
Scritture, e d'interrogarlo intorno al presente ed al prossimo avvenire della Chiesa? Ciò non ci è per
nulla interdetto, purché lo facciamo con la necessaria discrezione e riservatezza.
Il primo libro della Bibbia, la Genesi, ci fa assistere alla creazione del mondo, l'ultimo, l'Apocalisse,
alla sua fine.
L'apostolo S. Giovanni, che l'ha scritta, disse nella prima pagina: "Beato colui che legge ed ascolta
le parole di questa profezia, e che mette in pratica ciò che essa contiene". Non havvi in queste
parole un incoraggiamento a leggere questo libro e una data assicurazione che esso può essere
compreso e che porterà a chi ne avrà l'intelligenza, consolazione e stimolo al bene?
Bisogna tuttavia riconoscere che questa intelligenza difficilmente si acquista, e che non è mai
intieramente sicura di se stessa. Nessun libro è più ripieno di misteri e di misteri più oscuri. Perciò
S. Giovanni non si contenta di dire: "Beato colui che legge", egli aggiunge: "e che ascolta le parole
di questa profezia". Il lettore non deve rimettersi alle sue proprie ispirazioni, ma deve interrogare ed
ascoltare quelli che han ricevuto la grazia, e di penetrare il senso della profezia e di esporlo. Ma non
tarda ad accorgersi che gl'interpreti non vanno d'accordo nelle loro spiegazioni sopra molti punti,
sopratutto in quanto agli avvenimenti che sono ancora suggellati. Egli dunque deve interrogarne
molti, sceglierli con discernimento, e non dimenticare che niun commentatore dell'Apocalisse può
affermare che la sua spiegazione riproduce in un modo sicuro il significato profetico.
L'Apocalisse si definisce da se medesima: "La rivelazione di Gesù Cristo che Dio diede a lui per far
conoscere a' suoi servi le cose che devono accadere". Essa comprende, come disse S. Agostino nella
Città di Dio, "gli avvenimenti che devono accadere dopo la prima venuta di Gesù Cristo sulla terra,
fino alla sua venuta nell'ultimo giorno".
"Questa profezia - è ancora l'Apocalisse che parla - Dio l'ha significata inviando il suo angelo al suo
servo Giovanni, il quale attesta essere parola di Dio e testimonianza di Gesù Cristo, tutto ciò che
vide e scrisse". Ciò che l'Apostolo vide, ciò che scrisse, è una serie di visioni simboliche. Fa d'uopo
conchiudere che il senso allegorico è il senso proprio, come il senso mistico è il senso proprio del
Cantico dei cantici. Il primo lavoro dei commentatori è dunque quello di ricercare la chiave di
questi simboli, affine di scoprire le verità ch'essi nascondono.
Qual regola si deve seguire in questa ricerca? La Bibbia, malgrado la moltiplicità e la diversità de'
suoi libri, non ha che un solo autore, Dio; e quindi non ha che un solo oggetto: pigliare l'uomo dalla
sua nascita dalle mani del Creatore, e condurlo a' suoi eterni destini. Essendo così, per averne
l'intelligenza, è necessario confrontare le espressioni e le figure che s'incontrano in quel libro (della
Bibbia) che si vuole studiare, e particolarmente nell'Apocalisse, a quelle simili o analoghe che si
leggono negli altri libri santi, quelle specialmente che hanno usate i profeti. Di più, questi simboli
devono essere sempre interpretati nel medesimo modo tutte le volte che s'incontrano nel libro di S.
Giovanni.
A primo aspetto, si scorge che tutto quello che è contenuto in questa profezia è classificato colla
cifra di sette. Vi sono le sette Chiese, rappresentate dai sette candelabri e dalle sette stelle che
raffigurano i loro angeli: i sette sigilli del libro misterioso, le sette trombe che annunziano gli
avvenimenti e le sette coppe della collera divina.
Gl'interpreti più autorevoli hanno creduto che sotto questi diversi emblemi sono dipinte le diverse
fasi per le quali deve passare la Chiesa militante dalla sua nascita fino alla sua glorificazione in
cielo. Essi han veduto o creduto di vedere sette epoche successive, più o meno lunghe, secondo la
natura degli avvenimenti che vi sono predetti, e secondo il carattere particolare di ciascuna di esse,
simboleggiato da ciò che vi è detto di ciascuna Chiesa e di ciascun sigillo. Le visioni dell'Apostolo
che si riferiscono alle ultime età e sopratutto al tempo dell'Anticristo, sono più numerose e più
particolareggiate delle altre, perché in questi tempi la santa Chiesa avrà maggior uopo di
avvertimenti e di lumi.
Secondo gl'interpreti che noi crediamo di poter seguire, noi saremmo attualmente alla sesta età della
Chiesa e la settima età sarebbe quella dell'Anticristo.
Non havvi perfetto accordo circa l'estensione di ciascuna di queste età.
Secondo de Saint-André,(1) la prima età sarebbe il periodo apostolico, che decorre dall'anno 30 alla
persecuzione di Nerone.
La seconda comprende le dieci grandi persecuzioni, da Nerone a Costantino, dall'anno 64 al 313.
La terza correrebbe da Costantino a Teodosio il Grande, morto nel 395. È il periodo dei grandi
dottori.
La quarta, molto più lunga, comprende il regno di mille anni che corre dalla conversione di
Clodoveo e dei Franchi, 496, al pontificato di Alessandro VI, 1492. Essa si distingue
dall'incatenamento e scatenamento di Satana, al principio e alla fine di questo periodo. Il carattere
distintivo di quest'età è il regno spirituale dei santi dei primi secoli e di Gesù Cristo sulla società
cristiana nella Chiesa e per mezzo della Chiesa. In quest'epoca, infatti, Gesù Cristo regna nella
persona del suo Vicario divenuto sovrano della città dei Cesari. Tutti i re dell'Europa marciano sotto
la bandiera della Chiesa. La religione cattolica è la base di tutti i governi e il Vangelo la regola della
loro legislazione. Gesù Cristo è proclamato vincitore del mondo e dell'inferno. Dappertutto i suoi
martiri e i suoi santi sono ricolmi dei più splendidi onori, dappertutto i suoi ministri sono rispettati
ed obbediti. Ciò nondimeno osserviamo che questo regno ebbe, come ogni altro, i suoi periodi di
cominciamento, di accrescimento, di splendore, di decadenza, e infine di rovina.
Le tre ultime età ci mostrano i demoni scatenati: da prima uno che esce dal pozzo dell'abisso con
Lutero e il protestantismo nella quinta età.
Nella sesta, altri quattro demoni sono sciolti dalle loro catene. Quest'età incomincia col XVIII
secolo, il suo fine è nel secreto dell'avvenire.
La settima, che sarà senza dubbio anche breve, e forse più breve della prima, andrà distinta dal
regno dell'Anticristo.
Di mano in mano che scorrono i secoli, gli avvenimenti passati ci permettono di meglio
comprendere i disegni di Dio sopra la sua Chiesa, e di meglio interpretare i simboli sotto i quali
sono nascosti. E perciò l'intelligenza dell'Apocalisse è più facile e più certa di quello che altra volta
non poteva essere.
La grande questione che si dibatte nel mondo fin dalle sue origini, e sopratutto dopo la Redenzione,
è quella che noi abbiamo dimostrato più urgente, più angosciosa che mai nell'epoca in cui ci
troviamo, vo' dire durante la Rivoluzione. A chi apparterrà il genere umano? A Dio che l'ha creato,
a Gesù Cristo che lo redense, o al demonio al cui servizio l'uomo si è dato fin dalle sue origini, e al
quale si dà ancora col peccato e sopratutto coll'apostasia sociale? L'Apocalisse risponde: "Esso
apparterrà definitivamente a Dio, ma attraverso crudeli peripezie di cui fece la descrizione. Si
scorge il demonio che fa i più grandi sforzi dapprima per riprendere, poi per conservare più lungo
tempo che è possibile l'impero di cui la croce l'ha spogliato in diritto e in principio, ma che l'uomo,
pel cattivo uso della sua libertà, gli conserva in fatto, più o meno intieramente, secondo i tempi e i
luoghi".
La Redenzione completa della stirpe umana avrà luogo quando la Chiesa cattolica avrà accumulato
nella lotta, onde si sforza di strappare gli uomini dalla schiavitù dei demoni, la somma dei meriti
stabiliti dalla sapienza divina.
L'Apocalisse ci fa assistere a questo gran dramma.
D'età in età le prove, per le quali la Chiesa deve passare, sono più terribili e rivestono di più il
carattere dell'universalità.
"Godo di quello che patisco per voi - dice S. Paolo ai Colossesi - e do nella mia carne compimento a
quello che rimane dei patimenti di Cristo a pro del corpo di lui, che è la Chiesa". È necessario che
l'uomo patisca con Gesù Cristo per espiare il passato, è necessario che l'uomo lotti assieme a Gesù
Cristo per meritare di ottenere la gloria del trionfo. S. Giovanni, nella visione preparatoria alle
rivelazioni, ci mostra un angelo che sta presso l'altare dell'Agnello tenendo in mano un turibolo
d'oro. Il profumo ch'egli riceve e che offre a Dio sono le preghiere dei santi e i meriti che si
acquistarono durante la prova; e perché essi diventino sempre più numerosi e più degni di essere
offerti al Signore, la prova diviene sempre più generale, ed esige atti sempre più eroici.
S. Giovanni comincia col dire in qual modo fu introdotto nella conoscenza dei misteri della vita
della Chiesa: "Io vidi, egli dice, una porta aperta nel cielo, e una voce dissemi: "Ascendi qui, ed io ti
mostrerò quello che deve accadere in avvenire". E tosto vi fui in ispirito".
S. Giovanni descrive allora la Corte celeste e il trono di Dio, poi dice: "Io vidi nella mano destra di
Colui che era assiso sul trono, un libro scritto dentro e fuori, suggellato da sette sigilli".
Questo libro scritto dentro e fuori contiene l'avvenire della Chiesa sotto due punti di vista. Le
visioni dei sette sigilli sono scritte al di fuori della pergamena arrotolata. Esse contengono la
predizione delle prove che la Chiesa subirà al di fuori, cioè nelle battaglie che le daranno i poteri
umani ostili a Dio e al suo Cristo. È l'Agnello, il quale, svolgendo la pergamena, rompe
successivamente i sette sigilli, perché a Lui Dio ha dato in eredità le nazioni, ed è Lui che innalza e
rovescia gl'Imperi. Le visioni che seguono gli allarmi dati dalle sette trombe, sono scritte dentro il
libro.
Esse narrano le lotte e le prove interne della Chiesa cagionate dagli scismi e dalle eresie, sopratutto
dalle eresie madri. Il fuoco di cui si parla in presso che tutte queste visioni, è il simbolo espressivo
dell'eresia.(2)
Nelle sette epistole, sono enumerate le opere della Chiesa e i meriti ch'essa acquista nelle battaglie
che le son date all'interno e all'esterno.
Non è punto nostra intenzione di spiegare le sette epistole, né le visioni di S. Giovanni all'apertura
dei sette sigilli e al suono delle sette trombe, ma soltanto la visione relativa alle tribolazioni che la
Chiesa subì nella sesta età pel fatto della grande eresia del giorno, visione che si presentò agli occhi
dell'Apostolo, dopo che il sesto angelo ne diede l'avviso col suono clamoroso della sua tromba.
La descrizione della quinta età termina con queste parole: "La prima calamità è passata: ecco che
giungono altre due calamità".
Queste due calamità sono: 1° Le rovine che fa la sètta la quale, nella sesta età, continua ed estende
sempre più lontano questi fatti per mezzo del protestantismo; e 2° l'ultima prova e le ultime
calamità, le quali saranno inflitte dall'Anticristo.
Il protestantismo, o l'eresia della quinta età, è stata presentata sotto la figura d'un nuvolo di
cavallette; la setta che regna durante la sesta viene raffigurata da un esercito di duecento milioni di
cavalieri. Con ciò è indicata la differenza tra l'eresia di quest'età e quella delle età precedenti. Fin
qui, gli eretici devastavano la Chiesa colla propaganda dei loro errori e dei loro vizi, come le
cavallette devastano un campo, andando e tornando, portando la desolazione qui e colà senza
ordine, senza direzione. Laddove un esercito e sopratutto un esercito sì numeroso ha il suo generale,
i suoi ufficiali, il suo piano di battaglia, e perciò l'unità d'azione si è aggiunta alla rapidità che i
cavalli possono dare all'esecuzione.
Questi tratti si possono facilmente applicare alla setta, la quale, ai nostri giorni, dà alla Chiesa la
grande battaglia di cui siamo testimoni e che sosteniamo.
Infatti, quello che distingue la framassoneria dalle sètte precedenti, si è ch'essa è costituita come un
governo potente e che agisce come un esercito che ha un capo il quale comanda ad ufficiali
subalterni. Essa ha le sue logge o le sue compagnie; al disopra delle logge i suoi grandi orienti o i
suoi reggimenti; logge e grandi orienti, classificati sotto diversi riti, formano vari corpi d'armata.
Superiore a questa prima organizzazione, trovasi quella delle retro-logge che risultano dai grandi
consigli, e al disopra di tutto, il suo patriarca che tutto governa. Tutta questa organizzazione,
corrisponde molto bene all'organizzazione militare.
Questo esercito muove contro la Chiesa. Esso ha un piano di battaglia imperturbabilmente seguito
da due secoli almeno, una direzione data e osservata in tutti i paesi, in America e in Asia come in
Europa, una consegna la cui osservanza ciascuno dei congiurati promette ed assicura con terribili
giuramenti.
L'Apocalisse stabilisce il loro numero di duecento, milioni. Questo numero spaventoso è egli reale o
simbolico? I numeri tre, quattro, sette, dodici, ecc., sovente sono simbolici nella Scrittura. Ma di che
potrebbe esser simbolo una simile cifra? A quale idea può essa riferirsi? all'idea d'una quantità che
supera i nostri concetti? Ma, per rendere un numero indeterminato, lo Spirito Santo non si serve di
cifre determinate. Egli dice, per es., in altri luoghi dell'Apocalisse "la terza parte", ovvero: "Io vidi
una grande moltitudine che nessuno poteva noverare". Questi duecento milioni designerebbero
adunque, in cifre rotonde, il numero degli aderenti che avrà potuto contare la nuova eresia, in tutta
la durata della sua esistenza, e su tutta l'estensione del mondo, dalle sue origini fino al trionfo che la
Chiesa riporterà un giorno sopra di essa.
Questo esercito è radunato e condotto da quattro demoni.
"Il sesto angelo suonò: allora intesi una voce che veniva dai quattro corni (lati) dell'altare d'oro che
è davanti a Dio, e diceva al sesto angelo che teneva la tromba: "Sciogli i quattro angeli cattivi che
sono incatenati sul gran fiume Eufrate". E i quattro angeli che erano pronti per l'ora, il giorno, il
mese e l'anno furono sciolti, affine di uccidere il terzo degli uomini".
Pel corso di molti anni, questi quattro angeli maledetti non aveano avuto azione nocevole che nei
limiti dei paesi irrigati dall'Eufrate.(3) Essi erano incatenati, senza poter far nulla al di là.
Ma essi si tenevano pronti per l'ora, il giorno, il mese e l'anno, cioè pel momento molto preciso, in
cui i progressi dell'incredulità e dell'immoralità, ed anche un concorso di circostanze favorevoli, lor
preparassero la via a dei futuri successi fra i popoli cristiani.
Viene il XVIII secolo. Il protestantismo, il gallicanismo, il giansenismo e il filosofismo hanno
disposto le menti e i cuori a tutte le ribellioni. In questo preciso momento la coppa della giustizia
divina è colma. Essa trabocca. I quattro demoni dell'Eufrate sono scatenati, e mediante l'iniziazione
che avea ricevuto dagli Ebrei ai misteri cabalistici, la massoneria offre loro un terreno ben
preparato; essi ne prendono possesso.
Ciò non deve per nulla recarci stupore.
Daniele, al capo X del suo libro, ci fa vedere i santi arcangeli Michele e Gabriele preposti alla guida
del popolo di Dio, che discutono cogli angeli custodi dei Persiani e dei Greci la fine della cattività
del popolo di Dio e le conseguenze che avrebbe per le nazioni ancora sepolte nelle tenebre
dell'idolatria.
Ma non vi sono i soli angeli buoni, vi sono eziandio i cattivi; e questi come quelli si occupano di
noi, sono in relazione col nostro mondo. Abbiam veduto che il conflitto cominciato in cielo,
all'origine delle cose, continua quaggiù, e che gli uomini e i popoli possono in questa lotta schierarsi
sotto il vessillo di S. Michele o sotto quello di Satana.
Adamo ha posto tutta la sua discendenza sotto l'impero del demonio; e Gesù Cristo, alla vigilia
dell'atto redentore, disse: "Ora è la crisi del mondo, ora il principe di questo mondo sarà buttato
fuori". Infatti, fin d'allora incominciò la liberazione; il battesimo ha strappato gl'individui, e la fede i
popoli alla schiavitù del demonio.
Ma individui e popoli rimangono sempre liberi di riporsi sotto il giogo di Lucifero e de' suoi. Non è
Dio che allora li scatena, ma la nostra empietà e la nostra infedeltà. I demoni non ebbero e non
avranno mai altra entrata nel mondo che quella che l'uomo volle o vorrà conceder loro.
Come leoni ruggenti si aggirano tanto intorno agl'individui quanto intorno ai popoli che non hanno
potuto ritenere sotto il loro giogo per riconquistare sopra di loro l'antico impero.
È loro desiderio di rendere la condizione del genere umano peggiore di quella che era prima della
venuta di Gesù Cristo (Luc. XI, 26). Nell'ora presente, essi sono per colpa nostra più numerosi e più
potenti di quello che non lo furono mai dopo il sacrificio del Calvario. Gli è perciò che Leone XIII e
Pio X ci fanno pronunciare ogni giorno ai piedi dell'altare l'esorcismo che ha per iscopo di cacciar
giù nell'inferno Satana e gli spiriti maligni che Voltaire evocò col suo grido satanico tante volte
ripetuto nelle logge.
L'Apocalisse ci dice che tutti questi demoni sono sotto gli ordini e la guida dei quattro capi usciti
dal paese della Cabala per dirigere e governare questa figlia della Cabala giudaica che ci domina,
che ci uccide: la massoneria.
Il libro ispirato - se l'applicazione che facciamo del suo testo è esatta - ci presenta questa setta sotto
il simbolo del cavallo, ma d'un cavallo mostruoso. In generale, nella santa Scrittura, "la bestia",
simboleggia le potenze umane in guerra con Dio. Sono rappresentate sotto la figura d'animali di
varie specie o anche d'animali chimerici, i cui tratti si affanno alla parte che queste potenze si sono
assunta nel mondo. I cavalli che compongono l'esercito di cui si è parlato nella sesta età sono così
descritti: le loro teste erano come teste di leone, le loro code erano simili a serpenti. Queste orribili
bestie aveano dunque la testa di leone, il corpo di cavallo e le loro code erano composte di serpenti
la testa dei quali discendeva verso la terra
Che cosa si può vedere sotto questo simbolo?
Il cavallo è un animale domestico cui l'uomo che lo monta domina e mena a suo talento per la
briglia e il morso. Havvi uomo più schiavo del framassone mercé i suoi giuramenti? Dove trovare
un'abdicazione più perfetta della personalità e una docilità più cieca a tutti gl'impulsi? E ciò che si
avvera in ogni framassone sì verifica egualmente di tutta la setta Questa orribile cavalla è montata
da un personaggio ch'essa non conosce punto e che la conduce ove gli piace. Come il cavallo può
sentire il suo cavaliere, ma non può vedere il sembiante di colui che porta sul suo dorso, così essa
ha cento volte confessato per mezzo de' suoi adepti meglio informati, che non sa né chi la governa,
né a qual fine sono prescritti i movimenti che è costretta di eseguire.
Lo Spirito Santo dà a questa bestia, agli occhi dell'Apostolo, una testa di leone; il leone, collerico e
terribile, simboleggia nelle Scritture gli orgogliosi e gli ambiziosi, i potenti e persecutori. Qui, è
l'orgoglio di cacciar Dio dal trono, di respingerlo dalla società, l'ambizione di sottomettere a sé il
genere umano. Son cotesti i caratteri salienti della framassoneria. Nelle sue origini, si è incorporata
quanto ha potuto i protestanti, i giansenisti, i rivoltosi d'ogni natura e i miscredenti d'ogni specie.
Oggi, chiama a sé tutti quelli che vogliono arrivare agli onori, tutti quelli che vogliono sentire
l'ebbrezza del potere, e si arma delle loro passioni nella sua guerra alla Chiesa.
Se, nella framassoneria, il complesso dei capi forma la testa, e se la massa di quelli che non furono
giudicati degni o capaci d'iniziazione più intima costituisce il corpo, al corpo si attacca la coda delle
sètte che la massoneria trascina dietro di sé: carbonari, nichilisti, internazionalisti, socialisti, ecc.,
tutti quelli che nutrono in cuore l'odio della società e non hanno altro desiderio che quello di
nuocerle. Perciò l'Apostolo li vede sotto forma di serpenti; serpenti, notatelo bene, aventi teste che
lor permettono di nuocere colle loro morsicature e col veleno che esse introducono in quelli che
feriscono.
Il profeta porta più lontano la descrizione della pena che il suono della sesta tromba ha fatto
svolgere sotto i suoi occhi. La potenza di questi cavalli, ei dice, sta nella lor bocca, e da questa
bocca esce fuoco, fumo e zolfo. Tre volte egli chiama l'attenzione su questa bocca. Sarebbe forse
per indicare che, più che le eresie, questa archieresia ha la potenza della bocca e della parola?
Nessuna setta, infatti, insegnò l'errore in un modo sì radicale e così universale come la
framassoneria.
Abbiam veduto che la sua grande potenza di seduzione deriva dall'arte con cui essa cangia il senso
delle parole, altera tutte le nozioni, perverte la verità, se così può dirsi, appiccicandovi le apparenze
su tutti gli errori. È la sua parola che ha scatenato la libertà della stampa; è la sua parola che
trasporta i merciaiuoli ambulanti in ogni luogo; è la sua parola che si offre a tutti nelle biblioteche
pubbliche e in quelle delle strade ferrate, nei gabinetti e nelle sale di lettura, per mezzo dei libri,
delle riviste e dei giornali sotto forma letteraria, scientifica, filosofica, storica, politica; è dessa
ancora che si ode dalla tribuna del Parlamento come da quella dei circoli, nelle accademie come nei
congressi. nelle cattedre di alti studi come nelle scuole dei villaggi, ai banchetti politici come sulle
tombe dei morti. Attualmente, essa usurpa il monopolio dell'insegnamento. e non vuole si ascolti
altro maestro fuori di essa.
Quello che questa parola diffonde in tutti, quello che esce dalla bocca della bestia, il profeta lo
distingue col fuoco, col fumo e col zolfo: De ore eorum procidit ignis et fumus et sulphur.
Gl'interpreti veggono in queste tre cose il simbolo espressivo dell'errore dommatico, dell'errore
sociale e dell'errore morale. Il fuoco è sempre stato il simbolo dell'eresia in tutte le visioni
precedenti. Il fumo simboleggia quella nube onde i principii moderni hanno intenebrata la società;
lo zolfo significa l'infezione che risulta dalla corruzione della dottrina e dalla depravazione dei
costumi che ne è la conseguenza, esso ricorda le città impudiche ed il castigo inflitto alla loro
lussuria.
"Per mezzo del fuoco, del fumo e dello zolfo che usciva dalla lor bocca fu uccisa una terza parte
degli uomini", uccisa di morte spirituale, poiché si tratta di errori e di vizi. A quante anime la belva
massonica ha fatto perdere la vita della grazia: la fede e la carità divina! Il profeta porta il loro
numero alla terza parte; uno su tre sono stati colpiti dal contagio. Statistica spaventevole; ma scema
lo stupore se si riflette alla moltitudine di quelli che son tratti in tante associazioni che la
framassoneria ha saputo creare intorno a sé, o di cui essa ha saputo impadronirsi per dirigerle o
ispirarle, e alla moltitudine ancora più grande di coloro che si lascian corrompere dall'insegnamento
delle scuole e dalla lettura dei giornali.
Dopo queste terribili descrizioni vengono le parole di consolazione e di speranza.
"Io vidi un altro angelo, forte, che discendeva dal cielo, coperto d'una nuvola, ed avea sul capo
l'iride, e la sua faccia era come il sole e i suoi piedi come colonne di fuoco. Egli teneva in mano un
piccolo libro aperto, e posò il suo piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, e gridò ad alta voce,
qual rugge un leone. Tosto i sette tuoni misero fuori le loro voci. Or quando i sette tuoni ebbero
dato fuori le loro voci, io stava per iscrivere; ma udii una voce dal cielo, la quale mi disse: Sigilla
quello che hanno detto i sette tuoni e non lo scrivere.
"E l'angelo ch'io vedeva ritto sul mare e sulla terra, alzò la mano destra al cielo, e giurò per Colui
"che vive ne' secoli dei secoli, che creò il cielo, e ciò ch'esso contiene; e la terra, e quanto in essa
contiensi; e il mare, e ciò ch'esso rinchiude: che non saravvi più tempo;(4) ma che nei giorni del
parlare del settimo angelo, quando comincierà a dar fiato alla tromba, sarà compito il mistero di
Dio, conforme annunziò pei profeti suoi servi.
"E udii la voce dal cielo che di nuovo mi parlava e diceva: "Va', e piglia il piccolo libro aperto nella
mano dell'angelo che posa sulla terra e sul mare". "Io andava dall'angelo per dirgli che mi desse il
piccolo libro. Ed ei mi rispose: "Prendilo e divoralo; esso sarà amaro al tuo ventre, ma alla tua
bocca sarà dolce come il miele". "Io presi dunque il piccolo libro dalla mano dell'Angelo e lo
divorai, ed era alla mia bocca dolce come il miele; ma divorato che l'ebbi, il mio ventre ne fu pieno
di amarezza. Allora mi fu detto: "Fa d'uopo che tu profetizzi di bel nuovo a genti e a popoli, a
linguaggi e a molti re"".
Allorché l'Apostolo disse qui: "Io vidi un altro angelo", egli non vuol più parlare di angeli decaduti,
poiché mostra questo discendente dal cielo. Vi è qui l'annunzio d'un intervento di Dio a favore della
sua Chiesa. Questo soccorso sarà potente, perché l'angelo porta il titolo di "forte".
Questa espressione non si trova che in tre luoghi dell'Apocalisse, e sempre in circostanze in cui,
secondo il testo, Dio agisce o si prepara ad agire in una maniera particolare contro Satana e contro
le opere sue (Ap. V, 2 e XVIII, 21).
D'altronde è da notare che l'Angelo il quale fu il messaggero dell'Incarnazione, il più potente, il più
ammirabile intervento di Dio a favore del genere umano, è chiamato Gabriele, che è quanto dire
Virtù di Dio. Noi dunque possiamo credere che quello che è indicato qui dover accadere in un certo
momento della sesta età, sarà un'azione forte e straordinaria contro i nemici della Chiesa.
A questo titolo di "forte", l'Apostolo aggiunge la descrizione degli attributi sotto i quali l'angelo si
presenta. Egli è rivestito di una nube che lascia scoperta la faccia, le mani, le gambe ed i piedi.
Nella Bibbia, la nube nasconde la maestà divina agli sguardi degli uomini. Fa egli mestieri
conchiudere che in questo intervento Dio in parte si nasconderebbe? Sarebbe questa un'azione
divina ben distinta, ma che non uscirebbe dall'ordine provvidenziale. Dio agirebbe non
miracolosamente, ma sotto il velo degli avvenimenti in guisa però che il suo intervento fosse
evidente.
Un'iride era sul capo dell'angelo. L'iride è simbolo della pace e della misericordia; l'angelo che se ne
mostra coronato, annunzia la fine delle prove e dei castighi.
La sua faccia era come il sole e i suoi piedi come colonne di fuoco. Il suo messaggio sarebbe
adunque un messaggio di luce. Egli porterebbe agli uomini la luce-divina: la verità tanto oscurata,
tanto sfigurata nel corso di questa età, splenderebbe come il sole, e s'imporrebbe a tutti. Ecco quello
che sembrano dire di primo acchito i primi versetti di questo capo (X) decimo. Ma vi si possono
vedere anche altre cose.
La nube non è soltanto il simbolo d'una operazione divina velata; i santi Padri nei loro Commentari,
ne fanno altresì la figura profetica di Maria. Essi applicano alla Santissima Vergine quello che è
detto nel terzo libro dei Re (cap. XVIII, v. 44): "Ecco che apparve una piccolissima nube elevantesi
dal mare". Ora nella visione di S. Giovanni la nube porta l'iride.
È dunque per mezzo di Maria che ci verrà, in mezzo alla desolazione della sesta età, la certezza
della misericordia e il pegno della pace. Difatti, la definizione del dogma dell'Immacolata
Concezione non ha essa diffuso la speranza in tutti i cuori, e Maria non è venuta nell'oscuro periodo
di questa età a dire a Parigi, alla Salette, a Lourdes, a Pontmain: Non temete, io sono con voi ed
intercedo per voi? Nel 1830 Ella fece la sua prima manifestazione, venne a darci la medaglia
miracolosa, cioè nel momento stesso in cui la framassoneria, essendosi riorganizzata, tramava per
mezzo dell'Alta Vendita le sue più nere cospirazioni.
La nube e l'iride non sono i soli oggetti sui quali l'Apostolo chiama la nostra attenzione e per mezzo
dei quali annunzia la venuta d'un aiuto divino.
L'angelo, ei dice, teneva in mano un piccolo libro aperto. Un libro aperto è un libro la cui lettura, o
la composizione è cominciata e non è finita. È quindi un libro che non è misterioso, la cui apertura
indica che esso è accessibile a tutti. Che cosa ci annunzia questo libro? Il P. Holzhauser, che
pubblicò un'interpretazione dell'Apocalisse assai autorevole, dice che questo piccolo libro in mano
dell'angelo era la profezia del più grande e dell'ultimo dei concilii e che questo concilio si terrebbe
nella sesta età. Essa era scritta verso il 1650, più di due secoli avanti l'apertura del Concilio
Vaticano. Il Venerabile aggiunse che questo concilio si sarebbe trovato in faccia al più profondo
degli errori, l'ateismo, il che lo metterebbe nella necessità di condannarlo. Il protestantismo non
faceva allora che portar le sue negazioni e le sue proteste contro la Chiesa e contro alcuni de' suoi
dogmi, ma non contro il dogma fondamentale, l'esistenza di Dio. Oggi l'ateismo si professa non più
soltanto da qualche individuo, ma da tutta la setta e dallo Stato medesimo.
Cosa assai singolare, l'anticoncilio tenuto a Napoli nel 1869, come una provocazione al Concilio
Vaticano, aperto in quel medesimo anno, fece questa dichiarazione: "Considerando che l'idea di Dio
è la sorgente e il sostegno di ogni dispotismo e d'ogni iniquità, considerando che la religione
cattolica è la più completa e la più terribile personificazione di quest'idea ..., i liberi pensatori si
assumono l'obbligo di lavorare all'abolizione pronta e radicale del cattolicismo".
Dal canto suo il Concilio Vaticano si trovò nella necessità di mettere nella luce più viva l'idea di
Dio e di circondarla di tutte le sue prove teologiche ed anche filosofiche. Il che fece nella
costituzione Dei Filius.(5)
Vi sono altre cose degne d'attenzione.
"L'angelo posò il piede destro sul mare e il piede sinistro sulla terra". In tal guisa si stabilì su tutto
l'universo. I suoi piedi che ne prendono possesso, brillano dello splendore del fuoco: vale a dire che
nella sesta età verrà un momento in cui la luce della verità splenderà su tutta la superficie del globo,
e per un certo tempo lo soggetterà al suo impero.
Come e per quali mezzi le vie saranno preparate ad un cangiamento sì meraviglioso? Un'altra
azione simbolica dell'angelo ce lo fa conoscere. "Egli mandò fuori un grido forte, come un leone
che rugge. Tosto sette tuoni diedero la loro voce". Quando nell'Antico Testamento si dice che il
Signore ruggisce come un leone (Ierem. XXV, 30; vedasi pure: Ioel, III, 16, ecc.), gl'interpreti
s'accordano nel riconoscere che queste espressioni significano che Dio esercita una terribile
vendetta. L'atto simbolico dell'angelo annunzierebbe adunque che alla fine della sesta età, il Signore
colpirà i nemici della Chiesa con punizioni spaventevoli. Senza dubbio che avvenimenti politici e
sociali, che ormai anche troppo si preveggono, accompagnati da altri fatti, che i sapienti del secolo
non avranno potuto prevedere, verranno a contrariare i loro calcoli e rompere le loro trame; e quindi
rovesciare il piano dei nemici della Chiesa, ridurli all'impotenza e ad atterrarli. Gli uomini vedranno
che questi fatti calamitosi sono le conseguenze dei principii e delle pratiche della setta e se ne
staccheranno. La verità si farà strada nelle intelligenze; si vedrà, si comprenderà che la sola Chiesa
cattolica possiede la sapienza divina per conservare in pace le società e dirigerle.
Ai ruggiti dell'angelo fecero eco le voci dei sette tuoni. L'abate Drach osserva qui (Ap., pag. 106)
che santa Brigida ebbe la confidenza di chiedere a Dio quello che avevano detto i sette tuoni, e le fu
risposto che avevano fatto le più terribili minacce contro i persecutori della Chiesa.(6)
Ma il Signore non colpirà la setta fino alla completa distruzione; Egli non distruggerà intieramente
la città del male, la cui rovina definitiva non deve accadere che più tardi, dopo i giorni
dell'Anticristo. Ciò sembra risultare dai versetti seguenti: "E quando i tuoni ebbero fatto udire le
loro voci, io andava a scrivere, ma intesi una voce dal cielo che diceva: "Sigilla le parole dei sette
tuoni e non le scrivere"". L'ordine di suggellarle non vuol dire che non si eseguiranno, ma che sono
tenute sospese e si adempiranno più tardi. Sono forse le sette ultime piaghe, plagas novissimas,
colle quali Dio punirà gli uomini della settima età e comincierà la distruzione definitiva della città
del male.
Note:
(1) Pseudonimo. È dal suo libro Framassoni ed Ebrei (sesta età della Chiesa, secondo l'Apocalisse)
che abbiamo tolto la maggior parte delle idee qui espresse.
(2) Nel libro dei Proverbi lo Spirito Santo disse: "Vir impius fodit malum et in labiis eius ignis
exardescit (XX, 27). L'empio, per fare il male, si prende la pena di colui che scava la terra, e sulle
sue labbra havvi un fuoco ardente". Un commentatore, Rodolfo Bayne, spiega così questo passo
della Scrittura: "Per l'uomo empio intendiamo l'apostata e l'eretico che si travaglia molto nel campo
delle Scritture, e che accende colle sue labbra il fuoco delle divisioni religiose, ovverosia il fuoco
dell'empietà".
(3) Se crediamo all'ab. P. Martin, la Caldea sarebbe anche ai nostri giorni un centro d'onde la
Cabala si estende fino in Europa. Popolazioni nomadi chiamati Iesidi (Iesidi è nel linguaggio turco
il nome del diavolo) o Schamanites, che hanno un culto e una religione cabalistica e satanica,
abitano questa contrada. Esse si estenderebbero nella Mesopotamia, nella Media, nel Kurdistan e
nei monti Sindier. La loro popolazione giungerebbe a più milioni (La Caldea, Saggio storico per
l'ab. P. Martin, cappellano di S. Luigi dei Francesi, Roma, 1867).
M. Gougenot des Mousseaux disse pure: "La massoneria cabalistica ha ancora uno de' suoi centri e
forse il suo centro primitivo nella Caldea, paese natale della Cabala. La Cabala, molto anteriore al
popolo ebreo, fu accolta da loro quando si diedero al culto pubblico delle divinità della Caldea (IV
Reg. cap. XXIII). Fin d'allora, essa s'infiltrò nei loro libri dottrinari e si radicò nei loro costumi. I
Talmudisti hanno rinnovato questa Cabala". "Essi ce l'insegnano - dice il prof. Limagia, Eliphaz
Lévi - dopo averne ricevuto il deposito dai Caldei Sabeisti, derivati da Cham, e che, secondo
un'opinione molto accreditata nella scienza (magica), erano gli eredi della dottrina dei figli di
Caino".
(4) Si traduce ordinariamente: "non vi sarà più tempo". La parola greca tradotta per tempus é il
sostantivo crouoj. Questa parola non ha il significato di tempo opposto all'eternità, essa vuol dire
"lunghezza di tempo" e per conseguenza "ritardo". Non saravvi più ritardo. Se si dovesse intendere
diversamente, il versetto 6 direbbe che il tempo è finito, e il versetto 7 annunzierebbe che vi sono
ancora dei "giorni" durante i quali Dio compirà la profezia.
(5) Se l'interpretazione del P. Holzhauser è esatta - e sembra che non abbia potuto essergli suggerita
che da un lume profetico - noi avremmo qui, come osserva De Saint-André, una data storica e un
punto di riscontro per l'interpretazione di questa parte dell'Apocalisse. Il secondo versetto del capo
X annunzia un fatto che dev'essere inscritto per gli anni 1869 e seguenti. Di qui risulterebbe che la
seconda visione della sesta tromba, dove si trova questo versetto, riguarda il nostro tempo, e che la
prima visione di questa medesima tromba altresì gli appartiene; e fin d'allora la grande eresia dei
nostri giorni, l'eresia massonica è simbolicamente predetta nell'orribile esercito equestre radunato
dai quattro demoni dell'Eufrate.
(6) Rivel. di S. Brigida, lib. VI e X.