martedì 25 novembre 2014

Fallibilismo e inconsistenza teologica: una prima risposta

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Le argomentazioni prodotte in questo articolo sono talmente futili, ma altresì pericolose che si rende, pertanto, necessario dare una risposta a tanta incoerenza ed a un “papocchio” storico –teologico, infatti, non una sola citazione del magistero o di un teologo compare a comprovare un coacervo di tante assurdità!
Si sono messi insieme tanti argomenti slegati tra loro che non hanno nulla a che fare con un discorso serio e se le argomentazioni proposte vogliono essere una dimostrazione contro il sedevacantismo non fanno altro che portare acqua a suo favore.
Prima di tutto l’autore mette insieme presunti errori di papi antipapi, senza alcuna distinzione, mette insieme presunti errori teologici e semplici errori di comportamento personali di alcuni papi.
Per quanto riguarda gli “errori dottrinali” di Liberio e di Onorio è necessario fare riferimento a quanto è stato già argomentato durante le discussioni del Concilio Vaticano I. Gli anti infallibilisti portavano queste presunte prove a dimostrazione contro l’infallibilità papale.
L’argomento era già stato trattato da San Roberto Bellarmino[1]. Vogliamo precisare, che a scanso di equivoci i due pontefici non aderirono formalmente a delle eresie, ma si lasciarono trascinare dagli avvenimenti e il loro comportamento nei confronti dell’eresia fu biasimevole e per questo motivo la Chiesa li ritenne sempre legittimi Pontefici Romani.
Papa Liberio pare abbia sottoscritto, secondo le testimonianze di Sozomeno, una delle tre formule di Sirmio, luogo dove risiedeva l’imperatore Costanzo, che appoggiava l’arianesimo. [2] Queste formule furono promulgate negli anni 351, 357, 358 da dei Sinodi adunati nella città di Sirmio nella Pannonia, sotto l’egida dell’Imperatore che ne influenzava le decisioni. È ancora dubbio quale di queste abbia sottoscritto. Pare che fosse la seconda che è eretica o la terza «quae sensum catholicum admittit».[3] Qualora abbia aderito alla seconda formula lo fece sotto pressione di torture e di esilio come attesta lo stesso Sant’Atanasio nel paragrafo 42 della sua “Storia dell’eresia ariana ai monaci”: «… ea non reformidantium, sed vexantium sunt placita».[4] È quindi palese che tale sottoscrizione non abbia alcun valore, come la sua condanna del Patriarca Sant’Atanasio, anch’essa estorta sotto violente pressioni.
Per quanto riguarda invece Papa Onorio I, esso fu incriminato per il fatto di aver inviato due lettere concilianti al Patriarca Sergio di Costantinopoli sulle eresie tra esse collegate del monotelismo e del monoenergismo, credendo in tal modo di mettere fine alle dispute. La formula da lui usata “una voluntas”, «come traspare dal contesto stesso della prima lettera poteva essere intesa in senso morale e non fisico, come uniformità di volere fra la volontà dell’incorrotta natura umana assunta da Cristo e la volontà divina; ciò poteva dimostrare implicitamente di ammettere due volontà, come ha voluto chiarire successivamente Papa Giovanni IV nell’epistola “Dominus qui Dixit” (DS 496)». Allo stesso modo Onorio rimase nella seconda lettera, come nella prima, nell’ambiguità tra la denominazione di una o due energie, anche se collegandosi all’Epistola dogmatica di Papa Leone I che dice: «Ambedue le nature operano nell’unica persona di Cristo, non mescolate, non separate e non confuse quello che di ognuna è proprio». «Papa Onorio personalmente rimase nell’ortodossia, ma, proibendo di parlare di due operazioni favorì senza volerlo il monotelismo. Il VI Concilio Ecumenico (III Costantinopolitano) lo condanno ingiustamente come eretico. Papa Leone II Confermò l’anatema, ma non ammise il motivo addotto dal Concilio e rimproverò al suo predecessore non l’eresia, ma la negligenza nella repressione dell’errore». [5] Paragonare gli insegnamenti eretici dei “papi conciliari” con le negligenze di Liberio e di Onorio, fatti puramente sporadici, mi pare non solo inappropriato, ma pure pericoloso. Il Concilio Vaticano I rigetto tali argomentazioni contro l’infallibilità papale. Mi pare che l’articolista stia usando gli stessi argomenti degli eretici anti infallibilisti come Johann Joseph Ignaz von Döllinger, piuttosto che argomenti di autori cattolici sull’argomento.
Per quanto riguarda gli altri papi o presunti tali (Giovanni XXIII Baldassarre Cossa fu annoverato tra gli antipapi soltanto dopo il Concilio di Trento) non si rinviene alcuna definizione, documento o affermazione eretica o pericolosa per la fede, il loro comportamento morale o politico è ininfluente sul piano dottrinale, pertanto citare Clemente V, Alessandro VI e Leone X come papi devianti dalla fede è privo di ogni fondamento teologico. Il biasimevole comportamento morale di alcuni di loro li può far annoverare come “cattivi papi” in quanto la loro condotta influì negativamente sui costumi della Chiesa, ma non come deviati dalla fede, o eretici.
Passiamo all’esegesi che è stata fatta dei brani evangelici, (Mt. 16, 15/19 – Mt. 26, 69/75 – Gv. 2, 11/13 – Gv. 20, 3/6 – Gv. 21, 15/17) esegesi neppure presa in considerazione dagli avversari all’infallibilità pontificia. L’articolista si dimentica che San Pietro quando rinnegò Nostro Signore durante la sua Passione non aveva ancora ricevuto lo Spirito Santo, il che avvenne solo alla Pentecoste in modo definitivo facendo di essi dei paurosi discepoli rinchiusi nel Cenacolo in Apostoli di Nostro Signore e lo dice chiaramente: «Adhuc multa habeo vobis dicere sed non potestis portare modo. Cum autem venerit ille Spirtus veritatis, docebit vos omnem veritatem» (Gv. 16. 12/13) ed ancora dopo la Resurrezione  «Sicut misit me Pater, et ego mitto  vos. Haec cum dixisset, insufflavit et dixit: Accipite Spirtum sanctum, quorum remiseritis peccata, remittuntur eis, et quorum retinueritis, retenta sunt» (Gv. 20 – 21/23). Una tale interpretazione distorta dei brani evangelici sarebbe come minimo stata censurata dalle autorità ecclesiastiche prima del “rinnovamento conciliare”. Basta solo consultare sul commento alla Sacra Scrittura di Cornelio A Lapide[6] per trovare la giusta e corretta spiegazione a quei brani evangelici che per ragioni di brevità si evita di riportare.
L’ interpretazione vera dei brani citati, fa comprendere quanto priva di fondamento sia una tale distorsione dell’insegnamento evangelico, che contrasta con quanto commentato dai dottori della Chiesa e dai teologi e porta solo al libero esame dei testi sacri che molto si addice ai protestanti e ai modernisti.
Per quanto riguarda la citazione dell’Epistola ai Galati di San Paolo riportata anche negli Atti degli Apostoli, si inserisce con ragione nella correzione fraterna, in cui un inferiore riprende il superiore quando questi si comporta in modo scorretto e San Pietro accetto questa correzione e non vi fu alcuna devianza nella fede.
Quello che è grave è che l’articolista pare ignorare tutto il magistero ecclesiastico sull’argomento nonché l’insegnamento costante di tutti i teologi, sì, sofferma invero, su amenità letterarie come le citazioni dantesche, contro Bonifacio VIII e Nicolò III. Su questa citazione, impropria, si coglie l’occasione per precisare che Dante non fa testo su questa materia, anche perché la sua concezione del papato e dello stato è stata condannata dalla Chiesa. Si rammenta, infatti, che il “De Monarchia” di Dante era inserito nell’Indice dei Libri proibiti fino alla sua abolizione perpetrata dopo il Vaticano II da Paolo VI. Bonifacio VIII fu uno, infatti, dei più grandi papi del Medioevo da annoverare con San Gregorio VII, Innocenzo III e Alessandro III.
Forse è opportuno rinfrescare la memoria all’articolista su alcuni atti del magistero che insegnano cose molto diverse dalle sue affermazioni molto approssimative.
Il legame tra fede ed autorità è dottrina universale: Innocenzo III nel IV Concilio Lateranense afferma: «Cum nimis absurdum sit ut Christi blasphemus in christianos vim potestatis exerceat»[7].
Papa Leone XIII insegna: «Cum absurdum sit opinari, qui extra Ecclesiam est, eum in Ecclesia praeesse»[8].
Pio XI nell’Enciclica “Mortalium animos”, insegnava: «Chiunque non è unito con essa ( con la Chiesa), non può essere suo membro, né può essere congiunto con Cristo suo capo»[9].
Pio XII nell’Enciclica “Mystici Corporis” afferma: «l’eresia allontana dalla Chiesa suapte natura».[10] Questi sono solo alcuni degli atti più recenti sull’argomento.
Prima di affrontare l’ultimo atto del magistero di rilevanza, sarebbe necessario soffermarsi su cosa sia l’eresia, secondo l’articolista usando un termine scolastico, sarebbe solo un accidente che non influirebbe minimamente sulla sostanza per la quale è stata istituita l’autorità nella Chiesa da Nostro Signore Gesù Cristo! L’eresia al contrario è una diminuzione o un’assenza di fede che intacca il principio per il quale è stata istituita l’autorità nella Chiesa e non può ridursi ad un semplice accidente, privo di valore determinante. La fede è il principio dell’autorità, perché Nostro Signore ha detto a Pietro di confermare i fratelli nella fede Lc. 22, 31-32 (frase evangelica citata proprio dall’articolista). Questo è il fine per cui è stato dato a Pietro e ai suoi successori il primato su tutti gli Apostoli.
Passiamo ora a citare la tanto contestata Costituzione Apostolica di Paolo IV “Cum ex Apostolatus officio” con la quale un atto del magistero infallibile dichiara che vi è incompatibilità tra autorità nella Chiesa ed eresia.
«Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere in qualche tempo che un Vescovo, anche se agisse in qualità di Arcivescovo o di Patriarca o Primate o un cardinale di Romana Chiesa, come detto, o un Legato, oppure lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a Cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla Fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o abbia questo suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore (nulla, irrita et inanis existat), la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i Cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso conseguente del governo e dell’amministrazione, ovvero per l’intronizzazione o adorazione (adoratio) dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare (nullam … facultatem) a tali persone promosse come Vescovi od Arcivescovi o Patriarchi o Primati od assunte come Cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza (viribus careant) tutte e ciascuna (omnia et singula) di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse consequenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto (nullam prorsus firmitatem nec ius), e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione (absque aliqua desuper facienda declaratione), private (sint privati) di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere (auctoritate, officio et potestate)». Probabilmente secondo l’autore dell’articolo, Paolo IV non era “sui compus” e con lui tutti cardinali che hanno sottoscritto l’atto.
Questo stesso insegnamento è stato recepito pure dal diritto canonico, se si consulta l’Enchiridion Iuris Canonici così si legge: «Eligi potest masculum, usu rationis pollens, membrum Ecclesiae. Invalide ergo eligerentur feminae, infantes, habituali amentia laborantes, non baptizati, haeretici, schismatici».[11]
Torniamo all’insegnamento riguardo agli atti propri del Romano Pontefice, come è stato già più volte ribadito a nessun fedele è lecito mettere in dubbio l’insegnamento propalante da un papa legittimo, ecco ciò che insegna sull’argomento l’enciclica “Humani Generis”.[12] «Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per se, il nostro assenso, col pretesto che i pontefici non vi esercitino il loro magistero supremo. Infatti questi insegnamenti sono del magistero ordinario di cui valgono pure le parole “Chi ascolta voi ascolta me” (Lc. 10-16)».
 Vi è però di più, ci sono, infatti, atti propri del Romano Pontefice sebbene non facciano parte dell’oggetto primario del suo magistero (ex cathedra) che fanno parte del suo oggetto secondario e sono talmente connessi con il dogma che negarli comportebbe negare implicitamente il dogma stesso. Questi atti sono soggetti alla nota teologica di “sentenza certa” o come vogliono alcuni teologi “prossima alla fede”.
Questi atti sono i seguenti:
  1. a) Canonizzazioni dei Santi;
  2. b) Emanazioni di leggi sia liturgiche che disciplinari obbliganti la Chiesa universale;
  3. c) Approvazione di ordini e congregazioni religiose;
  4. d) Fatti storici e dogmatici e conclusioni teologiche;
Un papa legittimamente eletto non può promulgare nella pienezza del suo potere, atti o documenti riguardanti le casistiche summenzionate al cui interno si trovino errori. O canonizzare persone che non abbiano i requisiti della santità.
Qualora questo accadesse ne consegue che il promulgatore di questi documenti non aveva l’assistenza dello Spirito Santo e quindi non era legittimo papa. Il carisma dell’infallibilità o inerrabilità è concessa all’eletto al momento dell’accettazione “una cum” con il potere di giurisdizione suprema sulla Chiesa.
É necessario precisare che questa “inerrabilità” si esercita in due modi: la prima con il magistero supremo (ex cathedra) “in docendo” la seconda anche con il magistero ordinario “in non errando”. La promessa di Nostro Signore Gesù Cristo a Pietro del «non praevalebunt» (Mt. 16 -18), si inserisce in questo contesto, anche sull’insegnamento dottrinale, per questo tutti i Concili, i dottori e i teologi hanno sempre professato che la Chiesa Romana è sempre stata immune da ogni macchia e madre e maestra di tutte le chiese.
Tutti i teologi affermano anche che il semplice magistero ordinario del papa deve sempre essere considerata dottrina “tuta” cioè sicura. Non parliamo poi di quanto insegnato nei Concili Ecumenici ancorché non di natura dottrinale, ma puramente disciplinare e “pastorale” si veda come esempio il I Concilio di Lione. Affermare che nella Chiesa, ci possa essere da parte di legittimi pastori un magistero dell’errore è quantomeno una proposizione temeraria se non prossima all’eresia!
La tesi professata dall’articolista darebbe un’importanza assoluta al conclave, che si ribadisce non è un’istituzione di diritto divino, ma puramente ecclesiastico e che può quindi essere infiltrato da qualsivoglia nemico della Chiesa, come era nei programmi della massoneria dai tempi della Rivoluzione Francese come hanno ben scritto sia Mons. H. Delassus che il Padre A. Barruel. [13] La Chiesa nel corso della sua storia bimillenaria ha mutato più volte il modo di eleggere il Sommo Pontefice il modo dell’elezione del papa è stata determinata sempre dalle contingenze in cui versava la Sposa Mistica di Cristo.
Non si vuole andare ulteriormente oltre nelle argomentazioni che sono state già sviscerate “ad abundatiam” in altre sedi.
Le argomentazioni proposte dall’articolista peccano, purtroppo, di superficialità e di sentimentalismo, la citazione delle apparizioni di “la Salette” sono anch’esse citate in modo erroneo ed incompleto ovviamente sempre “Cicero pro domo sua”.
Si confà però all’articolista quanto formulato nell’introduzione degli Acta Apostolicae Sedis all’enciclica “Humani generis” di Pio XII: «Alcune false opinioni che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica … denuncia di una mentalità relativista in filosofia e soggettivista nell’esegesi biblica che toglie ogni valore assoluto alla verità e sottrae al magistero della Chiesa l’interpretazione autentica della rivelazione. (…) Condanna del relativismo dogmatico, del disprezzo del magistero ecclesiastico, delle false interpretazioni della sacra scrittura».[14]
All’autore dell’articolo amante delle citazioni dantesche potrà sicuramente piacere la seguente: «…e un Marcel diventa ogne villan che parteggiando viene».
Catholicus
 
[1] SAN ROBERTO BELLARMINO, De Romano pontifice, in Opera omnia Parigi 1870, Vol. II, c. 30, p. 418.
[2] K.  BIHLMAYER H. TUECHLE, Storia della Chiesa, Brescia 1973, Vol. I, pp. 304-306.
[3] T. ZAPELENA, De Ecclesia Christi, Roma 1954, Vol II, p. 221; L.  BILLOT, De Ecclesia Christi, Roma 1927, Vol. I, pp. 691-697.
[4] ibidem, p. 221.
[5] K. BIHLMEYER – H. TUECHLE, op. cit., Vol. I, pp. 358.359; L. OTT, Compendio di Teologia Dogmatica, Torino-Roma 1957, p.251.
[6] CORNELIUS A LAPIDE, Commentaria in Scripturam Sacram, Vol. XV e XVI Parigi 1891.
[7] J. D. MANSI, op. cit., Vol. IX, col. 996.
[8] LEONE XIII, Enc. Satis cognitum, in: op. cit., Vol. V, p. 46.
[9] PIO XI, Enc. Mortalium animos, in: Acta Apostolicae Sedis ,  Roma 1926.  
[10] PIO XII, Enc. Mystici Corporis, in: Acta Apostolicae Sedis ,  Roma 1943.  
[11] S. SIPOS,  Enchiridion Iuris Canonici,  Pecs 1940, p. 191.
[12] PIO XII, Enc. Humani Generis, in: Acta Apostolicae Sedis ,  Roma 1950 Vol. 42..  
[13] A. Barruel, Gli Illuminati di Baviera, Milano 2004 p. IX Introduzione «Nei piani delle logge massoniche, però, la Chiesa non doveva essere annientata, bensì conquistata e controllata: lo scontro con essa doveva avere come fine ultimo la sostituzione dei valori morali e religiosi del cattolicesimo con quelli laici, filantropici umanitaristici della massoneria»
[14] Cfr nota 11.