mercoledì 5 novembre 2014

La "Nouvelle Theologie" del sedeplenismo

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 In questo scritto fra'  Leone da Bagnoregio affronta il tema della "visibilità" della Chiesa cattolica durante la grande crisi dottrinale che l'ha attraversa e la attraversa, a partire dal Concilio vaticano secondo.  Lo scritto è severamente critica verso quell'atteggiamento psicologico ed ecclesiologico che alcuni commentatori hanno definito l' "ossessione visibilista".
 
Leggendo alcuni articoli usciti recentemente e rileggendo altri scritti tempo orsono anche da insigni personalità sul problema della canonizzazione dei santi e sulla non infallibilità delle medesime, ho letto certe affermazioni che fanno accapponare la pelle.
Se queste affermazioni fossero state scritte solo al tempo di Pio XII gli autori sarebbero incorsi in qualche grave censura canonica.
Se i “papi conciliari” non vogliono impegnare la loro infallibilità in questi atti (fatto tutto da dimostrare) non è un motivo a favore, bensì contro la tesi sedeplenista, infatti, un re che non esercita la sua autorità dove dovrebbe esercitarla non è un re! La parola re viene da reggere se un individuo non regge non è re, per di più la trasposizione di questo ragionamento in capo dottrinale porta con se conseguenze ancor più pesanti di quelle in campo filosofico o giuridico. Se il “modernismo” (che è un’eresia) in cui sono intrisi i “papi conciliari” è un impedimento all’esercizio della loro autorità è pure un impedimento a ricevere la loro autorità da Cristo, Cristo, donerebbe un’autorità nella Chiesa a chi lo contraddice, questa affermazione equivale quasi ad una bestemmia! Sicuramente i propugnatori di tale teoria sono lontani dal voler insultare Nostro Signore Gesù Cristo, ma vogliono vedere nella loro ottica di continuità qualcuno da ritenere legittimamente insediato nei palazzi apostolici a prescindere dal suo insegnamento. Spiegheremo più avanti la vacuità di tale ragionamento.
 Di tutto si è detto e si dice, e di tutto si è fatto pur di mettere in dubbio l’autenticità dell’oggetto secondario o virtuale del Magistero, di cui abbiamo trattato già in precedenti articoli,[1] nonché il Magistero vivente, mettendo, quindi, in dubbio l’insegnamento constante dei Romani Pontefici, quasi che le encicliche che hanno trattato di questo potessero valere allora e non adesso, ma questa spiegazione è l’unica via per uscire o trovare una pseudo soluzione a un sillogismo errato (cioè  ad un sofisma). Questo modo di agire è simile a quello adottato dai teologi progressisti, prima e durante il Vaticano II che con una logica aberrante smantellarono tutto l’insegnamento pontificio dalla Controriforma ai tempi moderni.
Si è giunti ultimamente a citare e a scomodare come fonte della non infallibilità delle canonizzazioni, attuali segretari della Signatura Apostolica. Forse chi ha intervistato detto giurista non è a conoscenza che tutti i teologi classici preconciliari affermano senza alcuna esclusione, non ce ne è uno che si discosti, pur di scuole teologiche diverse, che il papa esercita sempre la sua infallibilità indiretta pure sulle canonizzazioni dei santi ed affermare che un individuo canonizzato non goda della gloria eterna è un’affermazione “prossima all’eresia”.[2].
Si è disposti ad infrangere senza pudore tutto l’insegnamento costante della Chiesa e dei teologi cattolici. Si è giunti a mettere pure di mezzo il Card. Bacci che avrebbe affermato che non compariva nei decreti di canonizzazione dei santi alcunché che facesse supporre un’infallibilità dell’atto. Cosa inverosimile e mai sostenuta dal cardinale.
Per non apparire come fautori di tesi proprie vogliamo proporre alcuni brani dei testi di canonizzazione proclamati dai Sommi Pontefici:
Formula di Benedetto XIII: «Ad honorem sanctae et individuae Trinitatis, fidei catholicae exaltationem et christiani nominis incrementum, auctoritate omnipotentis Dei Patris, Filii et Spiritus Sancti, et BB Apostolorum Petri et Pauli ac Nostra, de venerabilium fratrum Nostrorum S.R.E. Cardinalium consilio et unanimi consensu, Beatum Ioannem a Cruce Sanctum esse definimus Sanctorum Confessorum non Pontificum, canoni adscribimus decremimus, prout prasentium tenore definimus, decernimus adscribimus, eumdemque per universos Christi fedeles tamquam vere Sanctum honorari mandavimus et mandamus ab universa Ecclesia» (Bullarium Romanum Vol. 22). 
Formula di Benedetto XV: « Ad honorem sanctae et individuae Trinitatis, fidei catholicae exaltatiomem et cristiani nominis incrementum auctoritate ominipotentis Dei (…) Beatam Margaritam Mariam Alaquoque (…) Sanctam esse et in Sanctorum catalago adscribi decrevimus. Eique eodem decreto sociavimus Beatum Gabrielem a Virgine Perdolente (…)Perpensis omnibus quae erant inspicienda, ex certa scientia ac Apostolicae Auctoritatis Nostrae plenitudine, cuncta praedicta et eorum singula confirmamus, roboramus, at iterum statuimus decernimus, universaeque catholicae Ecclesiae denuntiamus» AAS XII 1920 pp. 486 e ss.). 
Formula di Pio XII: «Ad honorem sanctae et individuae Trinitatis ad exalatatiomem Fidei catholicae, et cristiane religionis augmentum, auctoritate Domini Nostri Iesu Christi (…) BB. Ioannem de Britto Martyrem, Iosephum Cafasso et Bernardinum Realino Confessores, Sanctos esse decernimus et definimus ac Sanctorum catalogo adscribimus; statuentes ab Ecclesia universa illorum memoriam pia devotione recoli debere» (AAS 30  (1947).
 
Sicuramente l’infallibilità nelle canonizzazioni essendo solo sentenza certa o prossima alla fede, non fruisce dell’infallibilità delle definizioni dogmatiche è quindi di grado inferiore, ma è collegata direttamente al dogma. È però evidente che il papa esercita la prerogativa dell’infallibilità “ex cathedra” soltanto una volta ogni secolo, se non anche per un lasso tempo ancor più vasto. Ciò permetterebbe di asserire che nella Chiesa si sia, dunque, liberi di pensare come vuole su tutti gli argomenti, perché il papa non esercita infallibilmente la sua autorità? Questa affermazione oltre ad essere pericolosa per la fede è pure assurda.[3]
Si è giunti ad affermare che San Pietro durante il Concilio di Gerusalemme sarebbe incorso in eresia assecondando i giudeo-cristiani, e rimase tuttavia papa ed addirittura santo. Argomento mai evidenziato o sollevato da alcun teologo in tutta la storia della Chiesa trattandosi di pura e semplice invenzione teologica o piuttosto! La nuova teologia del sedeplenismo sta costruendo il mito, perché di mito si tratta, e non di teologia del fallibilismo pontificio, dottrina sempre ripugnata dai papi e non per ultimo proprio da Pio XII nell’enciclica Humani Generis [4]e dai teologici cattolici.
Secondo questa nuova teologia oggi non potrebbe esistere un magistero vivente, il papa sarebbe un’entità astratta che ha autorità e visibilità, ma non gli si può obbedire, e non per un breve periodo, perché prigioniero, incapace o malato, ma ormai da cinquantanni perché contaminato dal “modernismo” o dalla sua mentalità modernista, come se il “modernismo” fosse un raffreddore cronico di cui non ci si riesce a liberare, dimenticando che “il modernismo” è e rimane un’eresia!
Si sta costruendo una “Nouvelle theologie” secondo la quale si deve vedere ad ogni costo un’autorità, a cui però non si deve obbedire, perché deviata nella fede ma, avente diritto al Soglio Pontificio, in contrasto con tutto l’insegnamento precedente della Chiesa!
Le stesse autorità romane deviate affermano che questo atteggiamento è contrario al magistero costante della Chiesa[5].
Si sono escogitate da parte dei nuovi teologi sedeplenisti tutte le motivazioni possibili per sminuire l’insegnamento dei papi su questo argomento si vedano le sempre numerose obiezioni proposte dai novelli teologi all’insegnamento di Paolo IV nella Costituzione Apostolica “Cum ex apostolatus officio”.
Alla luce di questi nuovi indirizzi teologici esisterebbe, quindi, nella Chiesa un magistero dell’errore, come se Nostro Signore Gesù Cristo potesse permettere una cosa simile e consentisse così la dannazione delle anime tramite l’insegnamento della Chiesa!
Tralasciando le argomentazioni prettamente sentimentali escogitate e soffermandoci su quelle un po’ più consistenti i fautori del fallibilismo pontificio affermano che è meglio avere un “magistero dell’errore” piuttosto che una Chiesa non visibile e priva di capo. L’argomento non è così campato in aria! È necessario esaminare in modo più approfondito l’argomento.
Al fine di rendere più comprensibile il problema che non è di facile comprensione si è pensato di proporlo suddividendolo in più punti.
 
La Visibilità della Chiesa non è riducibile a quella del Vicario del Capo 
Si premette che la visibilità della Chiesa non è una nota principale tra quelle enunciate nella professione del Credo ma, consequenziale, che però ha una notevole importanza a livello teologico. Liberiamo anzitutto il campo da una tesi inconsistente: non è una semplificazione corretta il far coincidere la visibilità della Chiesa con la persona del papa, anche se è vero che ordinariamente esso, posto alla sommità, ne indica, come una bandiera sulla torre del castello, la posizione.
In tempi ordinari è ben vero che “Ubi Petrus ibi Ecclesia”, ma se temporaneamente manca Petrus, la Ecclesia non sparisce nel nulla, essendo indefettibile, ma resta perfettamente visibile. Né si può dire che diventi acefala, perché il suo Capo, che è N.S. Gesù Cristo, non cessa di esser tale e di dirigerla anche in mancanza del suo Vicario. Ciò resta vero se si considera, in aggiunta alla persona del papa, anche il suo seguito di prelati, sia residenti a Roma che fuori. Se, infatti, la visibilità della Chiesa militante coincidesse semplicemente con la persona del papa ed eventualmente della sua corte e dei vescovi, che cosa si potrebbe dire riguardo all’epoca del grande Scisma d’Occidente, quando, per non pochi anni, i papi visibili furono tre, ciascuno con la sua corte di cardinali e vescovi? Forse che la Chiesa ebbe “troppa visibilità”? Se la visibilità può essere messa in forse per difetto parimenti lo può essere per eccesso!
Come mostra papa Leone XIII nell’enciclica “Satis Cognitum” del 29 giugno 1896, ripresa anche da papa Pio XII nella “Mystici Corporis” del 29 giugno 1943: «Per il fatto stesso che è Corpo, la Chiesa si discerne cogli occhi». È dunque, piuttosto il Corpo e non il pontefice, vicario del Capo, che è Nostro Signore Gesù Cristo, a cui la tradizionale teologia cattolica attribuisce la visibilità esteriore.
Aspetti e Distinzioni della Visibilità 
Il cardinale Ludovico Billot S.J., uno dei migliori teologi della nostra epoca, avendo in vista l’analogia della Chiesa, istituita da Nostro Signore Gesù Cristo, col corpo umano da Lui creato, spiega: «Infatti per analogia col composto umano, nella Chiesa fondata da Cristo distinguiamo il corpo e l’anima: il corpo che è un organismo sociale ovvero una esteriore compagine di membra che ripresenta la somiglianza col corpo fisico organico, e l’anima che consiste nei doni interiori della grazia abituale cioè della vita sovrannaturale» [6]. Ma questi due appartengono entrambi all’unica Chiesa vivente, la cui anima è congiunta al corpo. «Così diciamo la Chiesa visibile grazie al corpo a cui è unita l’anima» [7].
A detto corpo compete una visibilità considerata sotto due aspetti: «In primo luogo una visibilità intrinseca (quoad esse intrinsecum) appartenente a una determinata struttura sociale che può essere percepita mediante i sensi esterni nella sua, propria individualità, nella distinzione degli ordini dei quali consta, nella gerarchia presso la quale si trova il suo governo, e nella moltitudine ad essa sottoposta. In secondo luogo una visibilità scaturente dalla rivelazione (quoad esse revelatum) per la quale questo distinto ed individuato corpo religioso venga illustrato mediante le note caratteristiche delle quali è adorno, in modo tale che ad esso la divina rivelazione attribuisca in proprio i mezzi della vita soprannaturale, insieme con la promessa della perpetua assistenza in ordine al fine della vita eterna. E anche questa stessa visibilità del corpo è tale da rendere visibile anche l’anima mediante la visibilità cioè della credibilità».[8].
É importante notare dunque, come si evince dall’insegnamento chiarissimo dell’illustre cardinale Billot, che non solo strettamente unita a quella del corpo vi deve essere anche una visibilità dell’anima, ma anzi che tale visibilità è tanto più importante dell’altra almeno di quanto l’anima è più importante del corpo. La mera occupazione fisica della Sede Apostolica e delle sedi prelatizie senza l’intima unione dei prelati con l’immutabile Verità della fede non costituisce, pertanto, ragione di visibilità alcuna. Tali membra eretiche non possono far visibile neppure il corpo della Chiesa a cui più non appartengono. Come potranno far visibile l’anima senza ruga né macchia della Sposa di Cristo?  Eppure questa visibilità dell’anima è ancor più indispensabile dell’altra del corpo. Perché, come spiega il Card. Billot, la Chiesa deve essere «anche visibile per la visibilità della discernibilità dalle chiese non genuine, poiché proprio per questo fu fondata, affinché gli uomini chiamati si aggreghino ad essa»[9].
Scopo della Visibilità 
Qual è, dunque, lo scopo della visibilità? Alcuni dimenticano troppo facilmente il motivo oggettivo, concretissimo, per cui la Chiesa deve risultare visibile corpore et anima e non può, quindi, essere una società unicamente spirituale o “pneumatica” come pretesero varie eresie già condannate, come pretese il protestantesimo e come, a ben vedere, pretende anche l’ecumenismo modernista.
La ragion d’essere della visibilità, il fine a cui essa è ordinata è senza dubbio la salute eterna delle anime, né potrebbe essere diversamente, dato che tutto nella Chiesa è ordinato a tale fine.
Come è erronea la concezione di una Chiesa unicamente “spirituale”, del pari è erronea la concezione di una Chiesa soltanto “corporale”. Entrambi gli errori sono in qualche modo anticristici, sono la trasposizione sulla Sposa di Cristo dello stesso errore che separa, come insegna San Giovanni Evangelista, in Nostro Signore Gesù Cristo l’umanità dalla divinità, negando ora l’una ora l’altra, e che qui separa l’umanità del corpo della Chiesa dalla divinità della sua anima, accettando una sola delle due e negando per conseguenza l’altra.
Non ha senso una “visibilità” materiale, puramente corporea, slegata dal fine della salute eterna. Altrimenti anche i membri di qualche setta satanica che abilmente infiltratisi nei ranghi della carriera ecclesiastica occupassero, infine la Santa Sede soddisferebbero a un tale criterio di visibilità meramente materiale, purché tutti siano noti come preti o prelati, ivi compreso il gran maestro di questa setta in veste di “papa”, e fingano di essere la semplice continuazione della precedente amministrazione. L’abito, come noto, non fa il monaco e a maggior ragione non fa nemmeno il papa. La visibilità della Chiesa è necessaria per convertire i pagani e per ricondurre gli eretici all’unità!
Insistiamo a costo di annoiare: una qualunque organizzazione di eretici in abiti di prelati cattolici anche se in possesso degli edifici, dei mezzi e del potere che da questi, deriva, elementi già appartenenti alla Chiesa Cattolica, non conferisce a quest’ultima alcuna visibilità, e neppure riuscirebbe a conferirgliela, anche se tutti i suddetti eretici si bordassero le talari di catarifrangenti.
La “visibilità” della chiesa conciliare modernista, che è stata costruita precisamente per condurre i cattolici a perdizione, serve solo a poter facilmente ingannare il povero fedele con l’insegnamento costante dell’errore e della menzogna e non è dunque, la visibilità della Santa Chiesa Cattolica che ci interessa, il cui fine è diametralmente opposto a quello della chiesa conciliare.
Del resto, come potrebbe un ateo o un pagano convertirsi seguendo l’apostasia del Vaticano e cioè avvalendosi della “visibilità modernista”, decantataci da certuni come alternativa al “caos” ed alla “sterilità” del riconoscimento della sede vacante?
Occorre ancora notare che quali che siano le argomentazioni addotte, i fatti che sono dinanzi agli occhi di tutti non possono essere cambiati per riguardo ad esse. Quindi, semmai, l’onere di fornire spiegazioni convincenti della perdita di visibilità della Chiesa spetterebbe proprio a chi sostiene e ha sostenuto che gli occupanti della Sede Apostolica siano “papi legittimi”, poiché la visibilità è mezzo affinché il fine dell’ascolto della verità da parte dei fedeli, insegnata dalla legittima autorità, possa essere soddisfatto.
I Motivi della Visibilità
Nel classico “Dictionnaire de Théologie Catholique”[10], alla voce “Église”, così scrive il Dublanchy: «Lo Stapleton (†1598) espone quattro ragioni per le quali la visibilità della Chiesa deve essere manifestata agli occhi di tutti: il bene dei fedeli che possono così facilmente seguire gli insegnamenti della Chiesa ed obbedire ai suoi precetti; la necessità per i fedeli, esposti a perdere la fede, di poter facilmente discernere dalle sette eretiche la Chiesa cattolica della quale la verità è divenuta così risplendente; la necessità, per gli infedeli che vogliano abbracciare la fede cattolica, di poter agevolmente riconoscere la Chiesa cattolica; infine la gloria di Nostro Signore Gesù Cristo il cui regno su tutta la terra brilla così di un meraviglioso splendore»[11].
San Roberto Bellarmino (†1625) nelle sue celebri Controversie, pubblicate dal 1586 al 1593 completa e rafforza la tesi di Stapleton, che fa senz’altro sua. Egli mostra particolarmente come la nozione di visibilità della Chiesa quale anzi esposta sia un dato di fatto universale e costante. Approfondisce, inoltre, l’aspetto di Chiesa visibile quale oggetto della fede. Il citato “Dictionnaire” [12] prosegue, infatti: «Egli mostra che la Chiesa, benché visibile, è allo stesso tempo oggetto della fede, perché ciò che si vede di essa non è punto ciò che si crede. Si vede la società degli uomini che professano la stessa fede sotto l’autorità dei pastori legittimi, principalmente dei pontefici romani, e si crede che quella medesima società, istituita da Gesù Cristo, è la sola vera Chiesa; verità in se stessa rivelata e evidente, alla quale possiamo [e dobbiamo] dunque aderire mediante l’atto di fede»[13]. L’adesione alla vera Chiesa essendo, quindi, anche un atto di fede dovuto, il discernimento della vera autorità cattolica dalla falsa o pseudo autorità modernista, per seguire la prima e rifiutare quest’ultima, segue come ineludibile dovere cristiano e non certo come questione facoltativa. É importante notare come le ragioni sopra dette non sono opinione isolata, ma costituiscono nozione comune dei teologi cattolici, invero, il ripetuto “Dictionnaire”[14] attesta: «Gli autori successivi non fanno altro che riprodurre gli argomenti del Bellarmino e dello Stapleton. Citeremo particolarmente Suarez, S. Francesco di Sales, Bossuet, Liberio di Gesù, Tournely, Gotti, Billuart, Perrone, P.Murray, Franzelin, Hurter, Mazzella, Pesch, De Groot, Wilmers, Billot, P. Schanz, B. Poschmann»[15].
Il Magistero sancisce, infine, tale opinione comune: «Questo insegnamento tradizionale è confermato da Leone XIII nella sua enciclica Satis cognitum del 29 giugno 1896. (…) donde Leone XIII deduce che sono in un grande e pernicioso errore coloro che, rimodellando la Chiesa a loro talento, l’immaginano come nascosta e per nulla visibile; ed anche coloro che la riguardano come una istituzione umana avente una organizzazione, una disciplina e dei riti esteriori, ma senza alcuna comunicazione permanente dei doni della grazia divina, senza nulla che attesti, con manifestazione quotidiana ed evidente, la vita soprannaturale attinta in Dio» [16].
Le sopra dette ragioni, tutte indispensabili a definire la vera visibilità della Chiesa individuano perciò anche da un lato i criteri per distinguere la vera dalla falsa visibilità e dall’altro i rimedi alle attuali carenze della medesima e paiono così inconsistenti le argomentazioni relative ad una visibilità quasi ectoplasmatica e solo di facciata. Vi è chi sostiene che la visibilità di cui parlano i fautori della tesi fallibilista, è una visibilità giuridica e non teologica. Quest’ultimo argomento è ancor più futile di quello precedente. Se è pur vero che la Chiesa romana è una Chiesa del diritto e dell’ordine tanto vero che il diritto canonico ha permeato tutto la vita della Chiesa dall’età costantiniana al tempo contemporaneo, è altresì vero che non ci possono essere due realtà una giuridica e una teologica, l’adesione del diritto ecclesiastico alla teologia deve avere una valenza ontologica e non soltanto fisica. L’adesione estemporanea del diritto dalla realtà dei fatti è un errore tipico del diritto moderno e contemporaneo. Il diritto ecclesiastico ha il compito di recepire in termini giuridici quanto proviene dalla fede, altrimenti si corre il rischio di fossilizzare in una struttura giuridica dei concetti non più confacenti alla realtà e alla verità. Questo è puro idealismo giuridico di matrice hegeliana. Se questa realtà è poi la verità che scaturisce dalla fede soprannaturale la regola che si impone è: “suprema lex salus animarum” in caso contrario si finisce col sostenere un legalismo di matrice farisaica in cui contro la verità di fede prevale il “nos habemus legem et secundum legem debet mori quia filius Dei se fecit” non considerando che Cristo era ed è “filius Dei”. Per non dilungarci ulteriormente la questione della legittimità sarà affrontata in altro studio.
Il Signore illumini le menti ed i cuori e ci conceda la virtù di speranza che trasale ogni vana aspettativa puramente umana.
 
1° novembre 2014
Festa di Ognissanti 
Fra Leone da Bagnoregio
 
[1] Cfr. Risposta a margine dell’articolo di don Gleize sulle canonizzazioni e Infallibilità della Chiesa e del Papa.
[2] Sisto Cartechini: Dall’opinione al domma p. 165.
[3] La stessa teoria applicata ai fatti e alle conclusioni teologiche, comporta alla rimessa in discussione di tutte le condanne inflitte dai romani pontefici o dalla Chiesa contro gli eretici.
[4] Pio XII “Humani generis”: «Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per sé il nostro assenso, col pretesto che i pontefici non vi esercitano il potere del loro magistero supremo. Infatti questi insegnamenti sono del magistero ordinario di cui valgono pure le parole: “Chi ascolta voi ascolta me” (Luca 10,16) e per lo più, quanto viene  proposto ed inculcato nelle encicliche, è già per altre ragioni patrimonio della dottrina cattolica».
Si confronti anche Leone XIII “Satis cognitum”: «Da quanto si è detto appare dunque che Gesù Cristo istituì nella Chiesa un vivo, autentico e perenne magistero, che egli stesso rafforzò col suo potere, lo informò dello Spirito di verità e l’autenticò con i miracoli; e volle e comandò che i precetti della sua dottrina fossero ricevuti come suoi».
[5] Cfr. l’intervista rilasciata a Mons. Guido Pozzo sulle relazioni tra F.S.S.P.X e il Vaticano.
[6] Card. L.Billot S.J. - Tractatus de Ecclesia Christi - t.I, q.I, thesis II, p. 103, Ed. Quinta, Univ. Gregoriana, Roma, 1927
[7] Ibidem p. 103.
[8]  Ibidem p. 103.
[9] ibidem, p. 104: «Visibilem etiam visibilitate discernibilitatis a non genuinis ecclesiis, quia ideo sane fundata est, ut ad eam evocati homines se aggregent.».
[10]E. Dublanchy in Dictionnaire de Théologie Catholique, 1920, t. IV, voce Église, col. 2143
[11] Stapleton - Principiorum fidei doctrinalium demonstratio methodica - lib. II, c. VI-VII, pp. 45-49, etc., Paris, 1582
[12] E. Dublanchy, op. cit., col. 2143.
[13] San Roberto Bellarmino, Card. - Controversiæ, De Ecclesia militante, tomo I, lib.III, c. XV, col. 957, Lyon, 1601
[14] E. Dublanchy, op. cit., col. 2143
[15]Suarez - Defensio fidei catholicæ adversus anglicanæ sectæ errores, lib. I, c. VII e segg; San Francesco di Sales - Controverses, pars I, c. II, a. 1 e segg.; Bossuet - Conference avec M. Claude; Liberio di Gesù - Controversiarum de Ecclesia militante, P. II, disp. II, controv. VI, Milano, 1757, t. VIII, p. 214 e segg.; Tournely - Praelectiones theologicæ de Ecclesia, q. II, a. 7, Paris, 1739, t. I, p. 234 e segg.; Gotti - Vera Ecclesia Christi, Billuart - De regulis fidei, diss. III, a. 3; Perrone - De locis theologicis, part. II, c. II, a. 2, Praelectiones theologicæ, Louvain, 1843, t. VIII, p. 38 e segg.; P.Murray - Tractatus de Ecclesia Christi,  disp. V, Dublin, 1860, t. I, p. 266 e segg.; Franzelin - Theses de Ecclesia, 2a ed., Roma, 1907, p. 345 e segg; Hurter - Theologiæ dogmaticæ compendium, De Ecclesia Christi, parte I, c. II, 4a ed. Innsbruck, 1883, t. I, p. 195 e segg.; Mazzella - De religione et Ecclesia, disp. III, a. 4, 5a ed. Roma, 1896, p. 367 e segg.; Pesch - Praelectiones dogmaticæ, De Ecclesia Christi, 4a ed. Friburg an Brisgau, 1909, p. 214 e segg.; De Groot - Summa apologetica de Ecclesia catholica, q. III, a. 2, 2a ed., Ratisbona, 1892, p. 49 e segg.; Wilmers - De Christi Ecclesia, lib. I, c. III, a.1 , Ratisbona, 1897, p. 58 e segg.; Billot - De Ecclesia Christi, q. I, th. II, 2a ed. Roma, 1903, p. 106 e segg.; P. Schanz - Apologie des Christenthums, 3a ed., Friburg an Brisgau, 1906, t. III, p. 88 e segg.; B. Poschmann - Die Sichtbarkeit der Kirche nach der Lehre des Hl. Cyprian, Paderborn, 1908.
 
[16] E. Dublanchy, op. cit., col. 2144. Si confronti, inoltre, Card. L.Billot S.J., op. cit., p. 108: «Vide an Ecclesiae visibilitas potuisset sub vividioribus describi coloribus: visibilitas, inquam, quae competit ei non solum prout quaedam societas est, verum etiam prout vera Dei Ecclesia est, cuius cathedra tot et tantis signis foret decoranda, ut ad omnem hominum conscientiam proderetur tamquam coelitus instituta ad erudiendum humanum genus circa ultimum aeternae beatitudinis finem.»