giovedì 6 novembre 2014

CHE COSA PENSARE DELLA FRANCIA? MOTIVI DI TIMORE (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)




Se veramente possiamo sperare in mezzo agli errori, alle corruzioni, alle calamità dell'età presente,
un intervento divino a favore della santa Chiesa e di quelli che sono rimasti fedeli, la Francia
parteciperà essa alle divine misericordie?
A prima giunta sembra che non si possa sperarlo. La caduta del nostro paese data da sì lungo
tempo! ed è sì profonda!
Luigi XIV di Francia

"Alla fine del XVII secolo - scrive il celebre economista Cheysson - nell'apogeo della potenza di
Luigi XIV, l'impero di Carlo V è smembrato, la Spagna scancellata: non vi sono più in Europa che
tre grandi potenze: la Francia, l'Inghilterra e l'impero d'Alemagna. La Francia, co' suoi diciannove
milioni d'abitanti, figura per quasi due quinti, 38 per 100, nella totalità della popolazione di questi
tre grandi Stati.
"Nel 1789, la situazione si muta. La Francia si è annessa l'Alsazia e la Lorena colla loro
popolazione che si eleva a circa un milione e 500.000 abitanti: l'Alsazia sotto Luigi XIV, la Lorena
sotto Luigi XV. Ma la Russia conta 25 milioni d'abitanti: essa entra nel numero delle grandi
potenze. Sono quattro, e la Francia non figura più nel totale se non per 27 per cento.
"Eccoci nel 1815. L'Impero francese è crollato; la Prussia ha preso posto nel concerto europeo, essa
ha portato a cinque la cifra dei grandi Stati, e la parte della Francia si trova ridotta a 20 per 100.
"Arriviamo al 1882: una nuova potenza, creata da noi, è sorta da dodici anni, è l'Italia.
"Non è tutto. - Un grande popolo, nato dall'altra parte dell'Atlantico, sulla fine del diciottesimo
secolo, ha visto crescere la sua popolazione in proporzioni sconosciute alle vecchie nazioni, e, pel
suo sviluppo industriale e agricolo, mercé la rapidità delle comunicazioni, è venuto a prendere il suo
posto nella politica europea e sopratutto nei problemi economici che si agitano sul vecchio
continente.
"Gettando nella bilancia i suoi cinquanta milioni d'abitanti (oggi ne conta settanta milioni) esso ha
ridotto la Francia nel quart'ordine co' suoi trentasette o trentotto milioni e la Francia non rappresenta
più che l'undici per cento della popolazione totale dei grandi Stati riuniti".
Édouard Drumont

"Se le cose continuano a camminare di questo passo - aggiunge Cheysson - se la Francia non cangia
andamento, in cinquant'anni, essa non rappresenterà più che il sette per cento nel totale generale, e
ancora, senza aver riguardo alla Cina, alle colonie inglesi, né alla Russia d'Asia (Cheysson potrebbe
oggi aggiungere) né al Giappone, potenze colle quali un giorno o l'altro bisognerà pur fare i conti".
Nel n. del 25 gennaio 1905, Ed. Drumont ha riferito queste parole d'un personaggio giapponese, il
quale mostra che il sentimento qui espresso è diviso anche dagli Asiatici. "Vi ha di quelli che
paventano i progressi della Francia in Asia e temono di vederla annettersi le provincie del sud e
dell'ovest. Questi timori mi sembrano senza fondamento. La Francia non è quella di una volta.
Malgrado l'esterno splendore della sua civiltà, essa è assolutamente guasta nel cuore, la sua vitale
energia è esaurita. La sua popolazione diminuisce di giorno in giorno, e non è punto irragionevole
di credere ch'essa sparirà dal numero delle nazioni verso la fine del secolo".
Nel centenario della Rivoluzione, il più dotto storico delle origini della nazionalità francese, M. G.
Kurth, durante una conferenza tenuta al circolo Concordia di Liegi, risaliva alla causa delittuosa di
questa diminuzione della popolazione francese, parlava dei delitti di cui si rendevano colpevoli tanti
sposi in Francia, e diceva che oltre le loro conseguenze naturali, questi delitti chiamavano un
castigo. "Accanto al mistero d'iniquità, la Provvidenza ha posto un mistero di giustizia. La Francia
muore punita, come Onan, dal suo proprio misfatto. Et ideo percussit eum Dominus, quod rem
detestabilem faceret".(1)
A questo primo motivo di timore pel nostro paese, altri se ne aggiungono non meno inquietanti.
De Beugny d'Hagerne pubblicò nel 1890 nella Revue du Monde catholique le sue note dei viaggi da
Parigi in Transilvania. Egli racconta un abboccamento ch'ebbe a Fured con Lonkay, direttore del
Magyar Allam (Lo Stato ungherese), il grande giornale cattolico dell'Ungheria: "Io amo molto la
Francia, ei mi disse, e in mezzo agli avvenimenti politici della nostra epoca, che il mio mestiere di
giornalista mi costringe a studiare tutti i giorni, vi sono due punti che non perdo mai di vista: il
Papato e la Francia. La Francia mi è sembrata sempre il popolo scelto da Dio per difendere i diritti
della sua Chiesa; io veggo tutte le nazioni cristiane che fanno assegnamento sopra di essa e ne
aspettano la salvezza. Disgraziatamente vi sono molte cose che mi fanno tremare per voi. Io non
parlo delle follie attuali dei vostri governanti, è una malattia, un accesso di febbre calda, la quale
non può essere che momentanea. La guerra fra l'Impero germanico e la Francia, è inevitabile ... Sarà
un duello a morte. Se la Francia fosse ancora la figlia primogenita della Chiesa, se avesse un capo
che si chiamasse, come S. Luigi, il sergente di Gesù Cristo, nulla avrei a temere. Ma, tra le colpe e
le follie della vostra prima rivoluzione, ve n'ha una che deve attirarvi terribili castighi.
In quest'epoca nefasta la Francia ha cacciato Dio dalle sue leggi: fu un delitto di apostasia
nazionale. Questo delitto, tutti i governi che seguirono la Rivoluzione non hanno saputo, o non
hanno potuto, o non hanno osato ripararlo. Questo delitto è stato più tardi imitato da altre nazioni
cattoliche, ed io mi domando spesso se Dio non finirà anch'egli, col rinnegare quelli che l'hanno
rinnegato".
Waldeck-Rousseau

Più recentemente il medesimo timore era manifestato ad Amsterdam, o piuttosto l'affermazione era
pronunciata da un protestante, membro della Camera Alta degli Stati generali. Parlando ad un
religioso espulso dalla Francia mediante la legge Waldeck-Rousseau, egli chiedeva:
"-Sarebbe un offendervi se vi dicessi che la Francia è perduta?
" - Vorrei, almeno, sapere da che lo arguite, rispose il religioso.
"-Dai segni che annunziano il suo sfacelo, soggiunse il senatore".(2)
Scorgendo i segni, egli avea cercata la causa di questa morte, e la riponeva nell'abbandono del
cattolicismo. "Ho detto male: "La Francia perduta", è il cattolicismo ch'io credo perduto in Francia.
Ed è in questa atrofia del cattolicismo che io, protestante, veggo i sintomi di morte per la Francia".
Durante la discussione sollevata nel Belgio a cagione dell'emigrazione in quel paese dei religiosi
che un governo, quanto traditore della patria, altrettanto empio ed inumano, scaccia dalla Francia,
uno dei membri più eminenti della Camera belga diceva pure: "La politica anticlericale sarà per la
Francia un suicidio nazionale".
I giornali stranieri non parlano diversamente da questi personaggi. Ci basti citare il Vaterland di
Vienna. In un articolo intitolato: L'istigatore del Kulturkampf francese, pubblicato il 1° ottobre
1904, anch'egli diceva: "La politica antireligiosa francese è una vera politica di suicidio".
Infatti, come disse G. de Maistre, e secondo la verità manifestata dai fatti, ciò che forma il fondo,
l'essenza dell'anima francese, ciò che diede l'impulso a tutte le sue gesta, è l'idea cattolica. "Avvi -
egli dice - nelle idee nazionali del popolo francese, non so qual elemento teocratico e religioso che
si ritrova sempre. Il francese ha bisogno della religione più che ogni altro uomo; se essa gli fa
difetto, egli non è solamente indebolito, è mutilato. Osservate la sua storia ... Il cristianesimo
penetrò di buon'ora in mezzo ai Francesi con una facilità che non può essere se non il risultato di
una affinità particolare ..." Dopo aver ricordato le Gesta Dei per Francos, de Maistre dimostra che
la posizione eminente che occupava la Francia nel mondo derivava da ciò ch'essa presiedeva
(umanamente) il sistema religioso e che il suo re era "il protettore ereditario dell'unità cattolica".(3)
Questo profondo pensatore aggiungeva: "Dal momento in cui i Francesi non fossero più cattolici,
non vi sarebbero più Francesi in Francia, perché non vi sarebbero più in Francia uomini aventi nella
mente e nel cuore l'idea direttrice degli antenati, idea a cui i Francesi hanno obbedito fin dalla
nascita, che ha fatto della loro nazione quello che fu, e senza della quale non sarà più dessa, non
esisterà più".
Già, nel 1814, vedendo che la Ristaurazione non riconduceva la Francia intieramente nelle sue vie
tradizionali, egli scriveva a de Bonald: "Finora, le nazioni sono state uccise dalla conquista, cioè per
via di penetrazione, ma qui si presenta un grande quesito. Può ella, una nazione morire sopra il
proprio suolo, senza essere traslocata o penetrata (da altri elementi), unicamente per via di
putrefazione, lasciando giungere la corruzione fino al punto centrale, e fino ai principii originali e
costitutivi che la fanno quello che è? È questo un grande e formidabile problema. Se voi siete giunti
a tale estremo, non vi sono più Francesi neppure in Francia, e tutto è perduto".(4) L'anno seguente
mostravasi più affermativo: "La Francia in questo momento è morta; tutta la questione si riduce a
sapere se risorgerà".(5)
Che avrebbe egli detto se l'avesse vista nello stato in cui oggi noi la vediamo, in potere dell'anarchia
più profonda: anarchia nelle intelligenze date in preda alle opinioni più disparate ed anche più
opposte, e ciò, perfino nei centri i più obbligati a mettersi d'accordo; anarchia nei costumi che,
dall'alto al basso della scala sociale, non hanno più altra norma che l'interesse personale e il piacere;
anarchia nelle leggi, le quali, mettendosi in opposizione colle leggi eterne, non sono più atte che a
reprimere il bene ed a favorire il male; anarchia nell'autorità in cui tutti i poteri sono sottomessi a
potenze occulte che li fanno operare, a gara, per avvilire il clero, la magistratura e l'esercito, queste
tre colonne di ogni edificio sociale. Perciò, vedendola così distruggersi colle proprie mani, i popoli
stranieri, - eccettuati taluni spiriti elevati, come quelli che abbiam citato, - manifestano per la
Francia odierna un sommo disprezzo. Non vi fu trasferimento della razza francese in un altro suolo,
ma vi è in essa penetrazione d'uno spirito del tutto contrario al suo, lo spirito massonico; ed anche
penetrazione d'una razza, la razza giudaica, che si è resa padrona in casa nostra, e mercé un'azione
incessante, ci inocula tutte le corruzioni.(6) Di guisa che non si può fare a meno di chiedere a se
stessi se il punto centrale della nostra vita non sia colpito, se i principii originali e costitutivi i quali
aveano fatto che la Francia fosse la Francia non sieno già spariti.
Ciò che lo fa temere più di tutto il resto, si è che la Francia pare voglia ripudiare colla sua missione
tutto quello che formava la sua ragion d'essere.
Mentre scriviamo queste righe, il Journal Officiel reca l'approvazione data dal Parlamento al
progetto del viaggio di Loubet a Roma, e il voto dei crediti destinati a questo scopo.
Fin qui, niun sovrano d'una nazione ufficialmente cattolica avea voluto visitare a Roma l'usurpatore,
neanche l'imperatore d'Austria, suo alleato, malgrado vent'anni d'istanze per ricordargli l'osservanza
delle leggi di reciproche convenienze. È questa, da parte dei principi cattolici, una maniera
d'affermare che la questione romana esiste sempre, ch'essa rimane sempre viva per le potenze.
Anche gli stessi Sovrani non cattolici, nel modo onde compiono la loro visita al Vaticano, attestano
che, parimenti per essi, il problema è sempre pendente, non è risoluto.
Il signor Loubet, pel primo, dichiara, col suo procedere, che a' suoi occhi il vero e solo sovrano di
Roma è il nipote di Vittorio Emanuele: egli ratifica il grande misfatto politico e religioso commesso
nel 1870. È a nome della Francia ch'egli pretende commettere questo atto, il più opposto a tutta la
nostra storia, alla parte ch'essa ha sostenuto nel mondo, alla vocazione che Dio le ha dato. E ciò, nel
tempo in cui l'imperatore di Germania si atteggia a gonfaloniere della Chiesa!(7)
Chi non vede nei movimenti contrari della Francia e della Prussia, il doppio impulso della
framassoneria, e la sapiente strategia di quelli che hanno dichiarata una guerra mortale alla Chiesa e
alla Francia?
Vi sono alla Camera due preti; ed essi hanno lasciato ad un laico, Boni de Castellane,(8) la cura di
rivendicare i diritti imprescrittibili del Papato e di difendere i diritti e l'onore della Francia. Che
dico? L'uno di essi, Gayraud, colla sua astensione, si dichiarò indifferente alla questione; e l'altro,
Lemire, disse, mediante il suo voto, a Loubet: Io sono lieto che voi andiate a dare all'usurpazione
piemontese la sanzione che non ha peranco ricevuta, e, usando del mio potere di deputato, io ve ne
offro i mezzi.
Niente di più rattristante, niente di più sconcertante era stato ancor fatto.
All'indomani di questo voto, all'indomani di questa missione data a Loubet dai deputati e dai
senatori, Henri Rochefort scriveva nell'Intransigeant: "La giornata di ieri è stata, si può dire,
eccellente per i senza patria ... La Francia se ne muore, è incontestabile, ma essi non saranno
realmente soddisfatti, se non allora che potranno esclamare: "La Francia è morta!"" Già, dopo la
seduta del 22 gennaio sulla questione Delsor, egli avea scritto (nello stesso giornale): "Si può dire
che la Francia ha vissuto. Essa è ancora per qualche tempo un'espressione geografica". Il voto dei
crediti pel viaggio di Roma lo confermava in questo pensiero.
È la risposta definitiva al quesito che de Maistre faceva a de Bonald: "La Francia è morta?"
Proseguiamo la nostra ricerca.
Nel 1878, il cardinal Pitra, in una lettera indirizzata al barone Baude, il vecchio ambasciatore a
Costantinopoli, dimandava: "Dimani dove sarà la Francia? Voi mi parlate di affondamenti che
minacciano tutti i punti dell'Europa. Che cosa è dunque siffatta situazione, e in qual modo siamo
giunti a questo estremo, che sia mestieri temere, ogni mattina, uno sfacelo universale?"
Nell'aprile 1903, Ed. Drumont pure diceva: "Non havvi alcun dubbio che la Francia non sia in
questo momento in piena depressione; è pronta a tutto, accetta tutto, assiste indifferente ai più
mostruosi attentati. Di questo stato d'animo, molteplici sono le cause ... Sembra che quello che ha
colpito la Francia nel cuore, sia il presentimento che prova, forse per la prima volta, nella sua
esistenza di nazione, di poter morire. E se il cuore vien meno, gli è perché il cervello vacilla in
mezzo al più spaventoso dissesto intellettuale e morale a cui il mondo abbia mai assistito".
Il 4 febbraio 1904, al tribunale della Senna, si dibatteva, dopo il divorzio, un processo riguardante la
custodia dell'infanzia. A chi affidarla? I giudici si consigliavano. E il presidente, imbarazzato,
impotente, lasciò cadere questa parola di scoraggiamento e di tristezza: "Noi viviamo in una società
che va in isfacelo!"
"Senza dubbio, son cotesti tristi pronostici - scriveva Kurth dopo le righe più sopra da noi citate - e
non è senza emozione che mi veggo sorpreso a formularli. All'idea della possibile scomparsa di una
grande nazione, qual cuore non si conturberebbe? E quando questa nazione minacciata di morte si
chiama la Francia, ciò che si prova non è più semplicemente una pietà filantropica, ma un dolore
amaro, quale cagionerebbe la perdita di un essere teneramente amato. Dolce Francia! patria di san
Luigi, di Giovanna d'Arco e di san Vincenzo de' Paoli, sarebbe mai possibile che un giorno l'Europa
dovesse imparare a far senza di te? Certamente, mancherebbe qualche cosa nel mondo il giorno in
cui il posto della Francia rimanesse vuoto nella famiglia dei popoli cristiani, e niuna cosa
sostituirebbe questa nazione eroica e affascinante, questa stirpe briosa e sublime che faceva brillare
sulla civiltà europea qualche cosa che somiglia il sorriso di un'eterna giovinezza. E nondimeno,
bisogna avere il coraggio di guardare la verità in faccia e di proclamarla quando si è riconosciuta.
Se, mercé una reazione energica, la Francia non perviene a rigettare il virus rivoluzionario di cui va
satura, essa è perduta per sempre, e i nostri discendenti assisteranno ai funerali della nazione
francese".
Bismarck ben sapeva quel che facevasi quando spingeva Gambetta in un kulturkampf francese.(9)
Egli sentiva istintivamente la verità che Lacordaire aveva, un giorno, proclamata dall'alto della
cattedra di Notre-Dame:
"Se il Vangelo e la Patria finalmente si separassero, la sarebbe finita per noi, perché la sarebbe finita
pel nostro carattere nazionale. La Francia non sarebbe più che un leone morto, e sarebbe trascinata,
colla corda al collo, alle gemonie della storia".

Note:

(1) In 21 anni, dal 1881 al 1901, non si contò presso di noi che un milione circa di nati più che i
morti. È in vent'anni, la cifra che la Germania, per non addurre che quest'esempio, ha raggiunto nel
solo anno 1903. Vi sono anche dei dipartimenti nei quali il numero dei decessi supera regolarmente
quello dei nati.
Nel 1877, Ch. Girault, in un opuscolo accompagnato da 34 disegni grafici, corrispondenti ai
trentaquattro cantoni di Calvados, ha stabilito che, dal 1853 al 1863 e dal 1863 al 1873, in tutti i
circondari (o distretti) il numero dei decessi ha superato quello dei nati. Senza dubbio, in ciò vi sono
più cause, ma la principale è la limitazione voluta della posterità. La morale dei Normanni s
manifesta, in questo argomento, con questo proverbio locale: "Basta un vitello per il pascolo".
I poteri pubblici si sono commossi, o parvero commuoversi di questo stato di cose. Diciamo,
"parvero" perché hanno ostinatamente chiusi gli occhi, nella ricerca, che hanno istituita, dei rimedi
opportuni. Si è proposto di favorire i padri di molti figliuoli. In primo luogo non si porrà mai sulla
bilancia peso che basti a sollevare l'egoista prudenza che restringe le nascite. E non è pur
desiderabile che si ottengano figli per calcolo interessato. Adoperatevi a rifar cristiana la Francia e
voi la sbarazzerete da questa prudenza che ci avvilisce e ci uccide.
(2) Études, num. del 5 Ott. 1902.
(3) Tutti i sovrani che hanno contrariata la Francia nella sua missione, finirono miserabilmente. Per
limitarci all'ultimo secolo: Napoleone Bonaparte dopo aver firmato il Concordato e rialzati gli
altari, imprigiona il Papa; tosto questo colosso trema e vacilla sulla sua base. Le fiamme del
Kremlin bruciano il suo diadema. Lipsia lo ferisce mortalmente, Waterloo l'uccide.
Luigi Filippo vuol far prova di regnare, non contro la religione, ma senza di essa. Un giorno, questo
re liberale, sostenuto nel Parlamento e nel paese legale da una immensa maggioranza, è rovesciato,
non da un colpo di folgore, ma da un buffetto rivoluzionario.
Napoleone III comincia col dare ai cattolici dei pegni d'alleanza e di protezione; finisce col mettere
in moto la rivoluzione italiana e si fa complice degli spogliatori del Papato. Eccolo preso nelle reti
di Bismarck, i suoi eserciti si disfanno e spariscono come nelle pagine tragiche in cui la Bibbia
dipinge le divine vendette.
"Io son convinto - scrisse Paul de Cassagnac - essere la condotta dei nostri imperatori verso il
Papato che recò loro disgrazia. Sant'Elena e Sedan furono il castigo terribile della cattività di Pio
VII e dell'abbandono di Pio IX".
(4) OEuvres complètes de J. de Maistre, t. XII, p. 460.
(5) Ibid., t. XIII, p. 158.
(6) La rivista inglese The Month, nel suo numero d'ottobre 1896, attribuiva agli Ebrei le cause di
morte che sono in noi: "Gli Ebrei nemmeno tentano di dissimulare che, nell'eterno loro odio contro
il cristianesimo secondato dai circoli e dalla framassoneria, essi sono stati gli autori della
Rivoluzione". Il giornale algerino ebraico Haschophet rivendicava ultimamente ancora la
Rivoluzione come un'opera puramente semitica, in un articolo intitolato. L'Agonia dell'universo
romano. "Invano la tiara lotta contro lo spettro della Rivoluzione ebraica del 1793; ella vorrebbe
invano liberarsi dalle morse del colosso semitico che la stringono: tutti i suoi sforzi sono inutili. il
pericolo è imminente e il cattolicismo muore man mano che il giudaismo penetra nella società".
(7) La Prussia ha ella cessato d'essere quello che l'Opinion nationale diceva di essa all'indomani di
Sadowa? "La missione della Prussia è di rendere protestante l'Europa, come la missione dell'Italia è
di distruggere il Pontificato romano". Chi può crederlo?
(8) Baudry-d'Asson appoggiò Boni de Castellane. Al Senato, Domenico Delahaye si è fatto lo
stesso onore. Il progetto di legge non incontrò alla Camera che dodici oppositori.
(9) Nel 1887, il conte Henckel, il capo della polizia internazionale prussiana, che risiedeva nel
castello di Pontchartrain, ricevette l'ordine di abboccarsi con Gambetta. I negoziati ebbero luogo,
secondo un articolo pubblicato nel Tageblatt di Buda-Pest, per mezzo del generale Turr, gran
maestro della framassoneria, dal mese d'ottobre 1877 al mese di aprile 1878.
Bismarck impegnavasi a sostenere la Repubblica in Francia, se il capo del partito repubblicano
prometteva di fare anch'egli la guerra al cattolicismo. Ciò apparisce dalla lettera seguente,
indirizzata dal conte Henckel al Bismarck:
"Ho risposto a Gambetta quanto segue:
"Un'attitudine decisa contro Roma sarebbe il nostro mezzo più sicuro di ulteriore ravvicinamento.
"Il padre Giuseppe dell'attuale governo, l'uomo che dispone della maggioranza delle due Camere
parlamentari, vi offrirà, coll'estensione la più larga, la premura e il concorso della Francia per
arrivare ai fini ch'egli giudica necessari al ristabilimento delle relazioni regolate e sicure in Europa e
alla soluzione della crisi commerciale e industriale.
"Vale a dire: Un'attitudine comune della Germania e della Francia contro Roma; il ritorno della
confidenza fra le due nazioni, e un sindacato reciproco sul bilancio della guerra".
Fu all'indomani della conclusione di questo trattato, firmato in una sala del castello di Pontchartrain,
fra il rappresentante del principe di Bismarck e il dittatore, che quest'ultimo si recò nel Delfinato e
pronuncio il famoso discorso da romanzo, che terminò col grido di guerra: "Il clericalismo, ecco il
nemico!"
Tutto ciò d'altronde è in perfetto accordo da una parte col dispaccio indirizzato dal cancelliere
Bismarck al conte d'Arnim, ambasciatore di Germania a Parigi e pubblicato nel tempo del processo
d'Arnim, dall'altra parte, colle rivelazioni fatte dalla tribuna da Jaurès nei primi giorni di novembre
1904.
Il trattato conchiuso a Pontchartrain tra la Prussia e la Repubblica francese dura sempre. Tutti i
ministri l'hanno rispettato! La guerra alla Chiesa cattolica si è aggravata di giorno in giorno e
Jaurès, più apertamente ancora di Gambetta, dichiarò d'essere, non un patriota francese, ma "un
patriota europeo", devoto alla politica internazionale diretta dalla framassoneria pel predominio
della Prussia.