mercoledì 26 novembre 2014

Un trono vuoto? Risposta a LP sul caso Bergoglio

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di Guido Ferro Canale - http://radiospada.org/
 
Su Unavox è apparso l’articolo “Sedevacantismo ovvero l’inconsistenza ideologica”, a sigla L.P., che esprime il proprio disaccordo rispetto al mio “Il Vescovo di Roma: lo scisma latente e la sede vacante”, pur apprezzandolo – del che ringrazio l’Autore – per “ottima fattura, stile e qualità discorsiva”. Ad avviso di L.P., avendo io espresso “la convinzione che papa Bergoglio stia attuando e conducendo un magistero teso allo scisma”, era opportuno contestare e “smentire la teoria sedevacantista” avvalendosi “non di brocardi e di canoni ma di sei episodî tratti dai Vangeli”. Egli afferma, dunque, “che l’attuale pontificato, come altri precedenti […] è legittimo ancorché in puzzo di scisma o di eresìa appaia il pastore”; più oltre specifica che “un magistero erroneo qualifica un papa come erroneo ma non ne abolisce la dignità e non ne interrompe la successione apostolica”; e conclude domandosi “Ed allora, a che tutto questo fermento che, in certe frange di cattolicesimo così detto ‘tradizionalista‘, caldeggia la teoria del ‘trono vuoto’?. Contendere col vuoto ci sembra, sotto l’aspetto dialettico, non solo azione donchisciottesca ma magra raccolta di frutti. Se un’entità non esiste a che vale darle di scherma rimproverandole proprio il fatto di essere inesistente e vuota? […] combattere ed opporsi al secolarismo sempre più marcato del magistero ecclesiale ha senso solo se si considera come legittimo successore di Pietro l’attuale occupante il suo trono. Diversamente, diretta contro un inesistente bersaglio, la correzione fraterna si perde nel vuoto.”.
Se ho compreso correttamente il ragionamento, L.P. sostiene che quand’anche il Papa commettesse il delitto di eresia o di scisma, comunque non perderebbe l’ufficio (suppongo che per “successione apostolica” egli intenda “successione petrina”). Egli vorrebbe provare quest’asserto tramite episodi storici, peraltro appena accennati tranne gli esempi di Bonifacio VIII e Niccolò III, in realtà non pertinenti perché relativi a delitti di simonia; ma soprattutto sui passi delle Scritture intorno al conferimento del Primato, al Vade retro Satana e al rinnegamento di Pietro, al contrasto con S. Paolo ad Antiochia, etc., nell’intento di dimostrare che né Cristo revocò a Pietro quanto gli aveva conferito, né gli Apostoli – nel tempo tra il rinnegamento e il Pasce oves meas – lo considerarono decaduto, né mai in seguito S. Paolo o altri fecero legittimamente valere una decadenza dalla carica. Sicché, egli può concludere che la promessa di Cristo (“Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”) si intende mantenuta anche tramite l’ininterrotto presidio della Sede Apostolica, pur quando il Pontefice versi in colpe gravi o in errori dottrinali.
Sarebbe fin troppo facile replicare che quel “tutti i giorni” non va preso troppo alla lettera, dati i trentatré mesi di vacanza dal 1268 in poi; e non cito il Grande Scisma d’Occidente, dato che, dopotutto, un Papa legittimo c’era. Né mi pare necessario osservare che le mie critiche, come pure quelle dei sedevacantisti in genere, non si appuntano certo sul trono vuoto, ma semmai sulle persone fisiche che lo occupano, la cui esistenza non mi sembra contestabile! Peraltro, al trono in quanto trono non si potrebbe comunque rivolgere una correzione fraterna.
Invece, desidero precisare, in primo luogo, che le mie considerazioni non muovevano e non muovono dal magistero di Bergoglio – come sembra aver inteso L.P. – ma dalla sua condotta complessiva, e per questo ho ipotizzato lo scisma, anziché l’eresia. Peraltro, delitto di scisma commesso per concorso, non in proprio. Sempre per tale ragione ho potuto affermare che questa mia ipotesi prescinde da  qualunque giudizio sul Concilio e il post-Concilio e che potrebbe risultare accetta anche ai più accesi “continuisti” (mi scuso per il refuso “continuasti”). Aggiungo, per quanto possa occorrere, che la mia posizione su questi temi non è quella che forse si aspetterebbe L.P., o che normalmente professano i sedevacantisti: ritengo, infatti, che i documenti del Concilio Vaticano II meritino svariate censure teologiche, sia rispetto alla forma espressiva, sia anche riguardo alla sostanza, ma che esse, per quanto gravi, non raggiungano l’eresia vera e propria; i Papi del post-Concilio, poi, hanno senz’altro alimentato una gran confusione spirituale, prima ancora che dottrinale, e nel corpus sterminato del loro insegnamento si trovano (anche) asserti che vanno dall’infelicissimo all’indifendibile… però, almeno a mio avviso, non possono essere definiti “eretici notori e pertinaci”. Di conseguenza, io riconosco come legittimi i Pontefici fino a Benedetto XVI incluso; ma ai miei occhi il “caso Bergoglio” è diverso, perché può essere affrontato sub specie schismatis, e offre a tutto il variegato arcipelago “tradizionalista”, o perfino “conservatore”, la possibilità di convergere nel giudizio sulla vacanza della Sede. (Ho dimenticato, semmai, e me ne scuso, di citare un altro autore che ha avanzato un’ipotesi simile, l’abbé de Nantes nel suo Libellus accusationis).
Tanto premesso, veniamo al punto: L.P. non afferma affatto una continuità a prescindere e, se ho capito bene, neppure l’impossibilità che il Papa cada in eresia o commetta il delitto di scisma; ma è sostenibile la tesi secondo cui, perfino in tali disgraziatissime ipotesi, egli resterebbe Papa?
A parer mio, si tratta di una sentenza temeraria, perché senza motivo si discosta da quella comune tra gli autori approvati. Desidero osservare, peraltro, che il diritto canonico forma parte integrante dell’arsenale argomentativo del teologo (i cc.dd. loci theologici) e che l’auctor classicus in materia, Melchior Cano (De locis theologicis I, 3), accomuna in uno stesso locus, il settimo, canonisti e teologi (“auctoritas theologorum scholasticorum, quibus adiungamus etiam juris pontificii peritos”). Nei loci, invece, non rientrano le cc.dd. “rivelazioni private”, mentre gli argomenti di ragione, tra cui quelli desunti dalla Storia, occupano il posto più debole (cfr. ibid., I 2: “Utraque igitur theologo necessaria est, et auctoritas et ratio: sed ita tamen, ut auctoritas primas in theologia partes obtineat, ratio vero habeat postremas. […] Nam traditi sunt quidem, e quibus argumenta ducuntur, duplices loci, uni ex auctoritate, alteri ex ratione: sed omnia ferme argumenta theologica a priore illo fonte derivantur.”; nello stesso senso, Summa Theologiae, I, qu. 1, a. 8). Restano, è vero, gli argomenti scritturistici; ma appunto per questo la sentenza di L.P. deve qualificarsi temeraria, perché non ha tenuto conto del fatto che gli autori approvati, pur conoscendo (ovviamente), la Scrittura, sono concordi nell’ammettere che, ove il Papa cada in eresia o commetta scisma, la Sede divenga vacante. 
A conferma, mi limito, qui, a citare “soltanto” due Dottori della Chiesa, Roberto Bellarmino e Alfonso Maria de’ Liguori. Quest’ultimo, in Verità della Fede…, cap. IX, scrive da difensore del Pontefice e della sua superiorità sul Concilio, ma non mette affatto in dubbio che egli, caduto in scisma o in eresia, dal Concilio possa essere giudicato: “quando in tempo di scisma si dubita chi sia il vero papa, in tal caso il concilio può essere convocato da’ cardinali e da’ vescovi; ed allora ciascuno degli eletti è tenuto di stare alla definizione del concilio, perché allora si tiene come vacante la sede apostolica. E lo stesso sarebbe nel caso che il papa cadesse notoriamente e pertinacemente in qualche eresia. Benché allora, come meglio dicono altri, non sarebbe il papa privato del pontificato dal concilio come suo superiore, ma ne sarebbe spogliato immediatamente da Cristo, divenendo allora soggetto affatto inabile e caduto dal suo officio. […] (fuori del caso di scisma o di eresia, come si è detto di sopra) il concilio non ha alcuna autorità, poiché il concilio non è altro che la congregazione de’ vescovi costituita sotto del capo, qual è il papa […] Rispondiamo non dubitarsi che in qualche caso il concilio può esser giudice del papa, ma quando? In due soli casi: quando il papa è eretico dichiarato o quando è dubbio, siccome abbiamo veduto essersi proceduto nel concilio pisano e costanziese; ma fuori di questi due casi il concilio non ha alcuna autorità sopra de’ pontefici, ma il concilio è tenuto ubbidire al papa, come abbiam provato di sopra con tanti attestati degli stessi concilj.” (ivi, §1 nn. 2-3 e §4, n. 63). Anzi, egli asserisce espressamente: “noi rispondiamo non esser dubbio che il papa possa essere deposto dal concilio, quando fosse stato dichiarato eretico, come quegli che definisse una dottrina opposta alla divina legge” (ivi, §4, n. 65). Mi permetto di aggiungere che la funzione del Concilio in caso di Papa dubbio (per scisma o per eresia) è ammessa addirittura da Joseph de Maistre come possibilità “de certifier la personne du Pape” [J. De Maistre, Du Pape, Lyon 1819, pag. 126].
Veniamo, invece, al Bellarmino, che affronta ex professo la questione del Papa eretico, ma svolge un ragionamento perfettamente applicabile anche allo scisma. Giova osservare, in primo luogo, che per il Santo Cardinale non si tratta affatto di questioni meramente ipotetiche (come invece per il Billot), giacché egli, pur reputando probabilis che, per una speciale assistenza di Dio, il Papa non possa mai cadere in eresia, riconosce che la sentenza contraria è altrettanto probabilis e, anzi, communis. Soprattutto, egli discute le conseguenze e respinge, inter cetera, proprio la tesi che mi sembra di dover ascrivere a L.P.:  “Tertia opinio est […] papam neque per haeresim occultam, neque per manifestam, esse depositum aut deponi posse. Haec refert et refellit Turrecremata loc. not. et sane est opinio valde improbabilis. Primo, quoniam haereticum papam posse judicari, expresse habetur can. “Si papa” dist. 40, et apud Innocentium serm. 2 de consecr. pontif. Et quod majus est in VIII synodo act. 7 recitantur acta concilii romani sub Hadriano, et in his continebatur, Honorium papam jure videri anathematizatum, quia de haeresi fuerat convictus, ob quam solam caussam licet minoribus judicare majores. Ubi notandum est, quod etsi probabile sit, Honorium non fuisse haereticum, et Hadrianum II papam deceptum ex corruptis exemplaribus VI synodi, falso putasse Honorium fuisse haereticum; tamen non possumus negare, quin Hadrianus cum romano concilio, immo et tota synodus VIII generalis senserit, in caussa haeresis posse romanum pontificem judicari. Adde, quod esset miserrima conditio Ecclesiae, si lupum manifeste grassantem, pro pastore agnoscere cogeretur.” (Controversiae, Lib. II De Romano Pontifice, cap. XXX). Si noti che egli fa ricorso sia al diritto canonico – Decretum Gratiani, dist. XL can. 6, Si Papa – sia al Magistero di Innocenzo III e dei Concili sotto Adriano II, ma aggiunge che sarebbe infelicissima la condizione della Chiesa costretta a riconoscere come Pastore un lupo, pur avendo poc’anzi riconosciuto, con il Gaetano e con Torquemada senior, il diritto di resistenza attiva e passiva contro il Pontefice che abusa della propria Autorità (cfr. ibid., cap. XXIX, arg. septimum).
Fatto anche più importante ai nostri fini, il Bellarmino accomuna, di fatto, l’ipotesi del Papa eretico a quella del Papa scismatico, come si ricava dall’esposizione e dalle autorità addotte, ad es. Cipriano, che si occupava appunto di uno scisma di Papi (Novaziano/Cornelio) e affermava che il primo, se anche fosse stato vero e legittimo Pontefice, sarebbe comunque decaduto se si fosse separato dall’unità della Chiesa: “Est ergo quinta opino vera, papam haereticum manifestum per se desinere esse papam, et caput; sicut per se desinit esse christianus et membrum corporis Ecclesiae: quare ab Ecclesia posse judicari et puniri. Haec est sententia omnium veterum Patrum, qui docent, haereticos manifestos mox amittere omnem jurisdictionem, et nominatim Cypriani lib. 4 epist. 2, ubi sic loquitur de Novatiano, qui fuit papa in schismate cum Cornelio: Episcopatum, inquit, tenere non posset, et si episcopus primus factus, a coepiscoporum suorum corpore et ab Ecclesiae unitate discederet. Ubi dicit Novatianum, etsi verus ac legitimus papa fuisset, tamen eo ipso casurum fuisse a pontificatu si se ab Ecclesia separaret.Eadem est sententia doctissimorum recentiorum ut Jo. Driedonis, qui lib. 4 de Script. et dogmat. Eccles. cap. 2 par. 2 sent. 2 docet, eos tantum ab Ecclesia separari, qui vel ejiciuntur, ut excommunicati, vel per se discedunt et oppugnant Ecclesiam, ut haeretici et schismatici. Et sententia septima dicit, in iis, qui ab Ecclesia discesserunt, nullam prorsus remanere spiritualem potestatem super eos, qui sunt de Ecclesia. Idem Melchior Canus, qui lib. 4 de loc. cap 2 docet, haeretics non esse partes Ecclesiae, nec membra, et cap. ult. ad argument. 12 dicit, non posse vel cogitatione informari, ut aliquis sit caput et papa, qui non est membrum neque pars. Et ibidem disertis verbis docet, haereticos occultos adhuc esse de Ecclesia, et partes, ac membra, atque adeo papam haereticum occultum adhuc esse papam. Eadem est aliorum etiam, quos citavimus in lib. 1 de Eccles.” (Ibid., cap. XXX). Supra nel testo, egli non manca di richiamarsi, quanto all’immediata perdita di giurisdizione da parte degli scismatici, anche all’Aquinate (Summa Theologiae, II-II qu. 39 art. 3); e afferma, almeno riguardo all’eresia (ma riferendosi anche a Cipriano), che si tratta di un principio desunto ex natura haeresis, non dal diritto umano. Come potrebbe essere Capo colui che – per volere proprio – neppure è membro?
Si potrebbe obiettare che la contrapposizione tra due (o più) pretendenti alla Sede Apostolica sia un caso radicalmente diverso dal concorso nello scisma altrui; questo sarebbe vero se si pensasse al caso di Costanza, alla Cristianità divisa su un caso eclatante di Papa dubbio; ma S. Cipriano, se non erro, scrive per ben altra ipotesi, in cui l’Episcopato si è schierato compatto per Cornelio, e per questo scrive che Novaziano avrebbe perso comunque la carica, perché si sarebbe trovato nella condizione “classica” del Papa scismatico – la menziona ancora il Billot – che vellet totam Ecclesiam excommunicare. Questo a prescindere dal fatto che, a prescindere dai torti e dalle ragioni iniziali, i diversi pretendenti al Soglio avrebbero l’obbligo di adoperarsi per comporre la frattura… pena, in difetto, il concorso nello scisma, ancorché da loro non iniziato.
Inoltre – e qui torna utile il locus theologicus del diritto canonico vigente – il CIC 1983 segue lo stesso ragionamento del Bellarmino, nella disciplina generale degli uffici ecclesiastici, e lo applica espressamente anche allo scismatico, che, come l’apostata e l’eretico, è automaticamente rimosso (cann. 1364 e 194 §1 n. 2), se sia pubblico il suo abbandono della Fede o della comunione (qui… publice defecerit). Rimosso e non privato: non si tratta di una sanzione penale aggiuntiva, ma della perdita di una qualità necessaria al possesso dell’ufficio (essere in comunione con la Chiesa è il primo dei requisiti enunciati al can. 149). Come si vede, non è necessario rifarsi né al CIC 1917 né alla Bolla di Paolo IV.
Invero, la condotta di Bergoglio è sotto gli occhi di tutti; la sua contrarietà ai doveri propri del Papa è percepita, almeno a livello intuitivo, da tutti i fedeli non inebriati dal modernismo (e ne fa fede il loro disagio); tanto basta perché la Sede sia vacante, non richiedendosi certo la notorietà della qualificazione giuridica della condotta (inoltre, a mio avviso, publice, nel can. 194, è meno di notorie). E’ vero che lo stesso can. 194 prevede che la rimozione possa essere fatta valere solo previa dichiarazione scritta dell’autorità competente e che, a norma del can. 1332 §2 n. 2, gli atti compiuti dall’usurpatore dell’ufficio siano nulli solo se la scomunica è stata irrogata o dichiarata; ma si tratta di considerazioni che attengono agli effetti della rimozione, non alla sua esistenza.