martedì 18 novembre 2014

L'Impero degli Asburgo: suoi principali errori politici ( Parte Settima )



 
 
 
Politica asburgica dal 1866 al 1878


Come abbiamo visto nella precedente parte di questo lavoro, la sconfitta subita dall'esercito Imperiale e dagli Stati Tedeschi fedeli alla Corono asburgica e militanti nell'esercito della Confederazione Germanica, provocò l'espulsione degli Asburgo dalla loro secolare posizione di guida del mondo tedesco. La sconfitta subita  comportò anche il vantaggio di quel neonato regno di second'ordine retto dal Savoia che, nonostante fosse stato ripetutamente sconfitto sia per terra che per mare (Custoza e Lissa) , grazie alla sua alleanza col prussiano, usurpava il Regno Veneto  obbligando per giunta il governo di Vienna a riconoscerlo.
Anton von Schmerling .
Nel 1849 divenne ministro della giustizia e poi
 (1860) ministro di Stato sino al 1865
e dal 1867 senatore a vita.
Dopo aver perso le guerre contro i nazionalisti in Germania e in Italia, Francesco Giuseppe accetto di rivolgersi alla nuova classe industriale austriaca per ottenere il risanamento delle finanze dell’impero, compromesse a causa dei costi bellici. Non solo, dovette pure in cambio approvare la formazione di un nuovo governo sotto la guida del ministro Schmerling (1805-1893), rappresentante del filone liberale e borghese, il cui governo tosto procedette all’abolizione del concordato con Pio IX (con il pretesto che la santa Sede, a seguito del dogma dell’infallibilità papale, aveva “cambiato identità costituzionale”), cercando così di liberarsi dall’influsso della Chiesa cattolica nel settore educativo e sanitario.
L'indebolimento del potere imperiale venne sfruttato egregiamente dai nazionalisti moderati ungheresi. Le molteplici pressioni da parte della nobiltà ungherese e della borghesia magiara convinsero l'Imperatore Francesco Giuseppe a firmare il Compromesso che sostituiva all'Impero austriaco una duplice monarchia, ovvero l'Austria-Ungheria, formata da Impero d'Austria e Regno d'Ungheria.
Quindi, nel 1867 Francesco Giuseppe firmò l'Ausgleich (compromesso) che, come detto in precedenza , divideva l'Impero asburgico in Impero d'Austria  e Regno d'Ungheria, che politicamente e militarmente erano uniti, ma in quanto a politica interna e amministrazione erano due entità separate: ciò influì negativamente sul potere e l'influenza dell'Imperatore nelle decisioni di Stato spostando il peso sul Parlamento in entrambe le realtà statuali . Ciò accontentò i moderati nazionalisti ungheresi che potevano sfruttare la nuova situazione a loro pieno vantaggio. In seguito al compromesso, la politica imperiale si spostò dalla Germania, dalla quale era stata espulsa dalla militarista e protestante Prussia,  ai Balcani, ove si trovò in conflitto con la vecchia alleata, l'Impero Russo.
L'incoronazione di Francesco Giuseppe
 a Re d'Ungheria nel 1867.

Il liberale ministro Schmerling, ottenuto potere e prestigio,  introdusse la forma costituzionale nella monarchia con il sistema parlamentare, ormai dettato dal profilo ideologico-rivoluzionario dei nuovi partiti socialisti, liberali e nazionalisti.
L’esaurimento spirituale dell'Impero , cominciato lentamente secoli prima, si concluse nell’ultimo periodo del governo di Francesco Giuseppe, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, segnato, a causa dell’industrializzazione, da un arricchimento e pertanto da una laicizzazione e mondanizzazione crescente della società, sempre meno pervasa dagli ideali della Chiesa cattolica. Quest’ultima fu, nonostante gli onori ad essa pubblicamente attribuiti da parte della Casa imperiale, ridotta ad una istituzione privata in mezzo alle altre religioni e anche apertamente attaccata e perseguitata da parte di intellettuali di stampo massonico. Lo stato non intervenne in tali conflitti vista la sua "neutralità confessionale". Lo stesso imperatore insistette alla vigilia della Grande guerra che fossero nominati, e anche retribuiti ufficialmente da parte del ministero della guerra dell’Impero, gli imam per essere, a pari titolo delle cappellanie cattoliche, curati d’anime dei soldati di religione musulmana nell’esercito di sua Maestà.
Francesco Giuseppe I d'Austria
(1873).
Fin dai tempi di Carlo V del Sacro Romano Impero, in modo graduale , moderato ma costante, gli Asburgo d’Austria, per il semplice fatto di aver mantenuto il potere lungo il XIX secolo, così tormentato politicamente ed ideologicamente, assunsero una mentalità di compromesso e di cedimento nei confronti della pestilenza modernista , per mantenere in contraccambio la continuità sul trono, il potere. Il loro Impero si può paragonare, fino a un certo punto, con le monarchie che fino ad oggi mantengono il potere al prezzo di transigere sui principi morali e la dissoluzione della cultura cristiana.
La situazione politica venutasi a creare nell'Europa alla fine del XIX secolo condussero l'Impero a firmare una Triplice alleanza con l'Impero Tedesco (nato in seguito alla guerra franco-prussiana del 1870-71)  e il becero Regno d'Italia. L'Impero Austro-Ungarico finì con il divenire virtualmente un satellite dell'Impero Tedesco, quanto meno nella politica estera.
Grazie anche alle dubbie scelte di governo dell'Imperatore , l'Austria non era esente dal contagio corrosivo dei germi rivoluzionari che contaminavano tutta l'Europa: la decadenza interna, più dell'azione dei nemici esterni contribuì alla sua rovina.





Governo asburgico e  Polveriera Balcanica (1878 - 1914)



I delegati alla Conferenza di Costantinopoli.
Negli anni '70 del secolo XIX, la politica asburgica , estromessa dalla penisola italiana e dall'are tedesca , si concentrò sull'area dei Balcani.
In seguito allo scoppio dei tumulti anti-turchi nei Balcani , nel dicembre 1876 si tenne la Conferenza di Costantinopoli,incentrata su proposte di riforme per l'Impero Ottomano. Il Sultano si impegnò a promulgare una costituzione demandandone l'applicazione ad una assemblea, che però non venne mai convocata.
Il Regno Unito assicurò la sua neutralità a condizione che la Russia non intendesse muovere contro l'Egitto e liberare dalla secolare occupazione Ottomana Costantinopoli.
I 15 gennaio 1877 anche l'Austria annunciò la sua neutralità in cambio del protettorato sulla Bosnia ed Erzegovina.Il 24 aprile 1877 la Russia dichiarò guerra all'Impero Ottomano: i Russi vennero fermati per quattro mesi a Plevna, poi davanti a Costantinopoli fino al gennaio 1878, quando comparve negli stretti la flotta britannica a minacciare un intervento.


Il 3 marzo 1878 venne siglata la pace di Santo Stefano, con la quale gli Ottomani  riconoscevano l'indipendenza di Serbia, Montenegro, e Romania, la creazione del Principato Autonomo di Bulgaria, e la cessione alla Russia della Bessarabia. La Pace di Santo Stefano fu foriera di nuove tensioni internazionali,a causa dello sbocco sul Mediterraneo ottenuto dalla Russia, con il controllo militare sul neonato Principato di Bulgaria, solo formalmente sotto sovranità ottomana, e per la reticenza russa a concedere, come da accordi, l'amministrazione della Bosnia all’Austria.Oltre all’Austria ingannata vi era, infatti, la Gran Bretagna, che vedeva l'avversaria Russia migliorare la sua posizione strategica.
Alessandro II di Russia
(1877)

La Russia infatti, si trovava ora ad un passo da liberare Costantinopoli e dai Dardanelli, teneva sotto scacco gli Ottomani ed aumentava enormemente il suo peso nei Balcani, grazie ai nuovi stati amici cui aveva permesso l’indipendenza: Serbia e Montenegro.
La crisi internazionale ebbe una evoluzione con la richiesta dell’Austria di convocare una conferenza che riesaminasse la Pace di Santo Stefano, e lo Zar Alessandro II si ritrovò ad accettare la proposta.
Nel marzo del 1878, il nuovo Ministro degli Esteri britannico, Robert Gascoyne-Cecil di Salisbury, trattò per un accordo preventivo con l’ambasciatore russo a Londra, Pëtr Andreevič Šuvalov, che conosceva bene lo Zar Alessandro II.
L’accordo anglo-russo consisteva nel prospettare all’Austria l'eventuale neutralità della Gran Bretagna nel caso di una guerra fra Austria e Russia. Inoltre, San Pietroburgo si impegnava a rivedere l’estensione della Bulgaria, accettando di ridurne il territorio.
Fu deciso anche che la Bulgaria della Pace di Santo Stefano dovesse essere divisa in due Stati, quello settentrionale, che avrebbe conservato il nome di "Bulgaria" ed al cui possesso aspirava la Russia, avrebbe dovuto essere autonomo ed avere un suo principe, mentre quello meridionale avrebbe dovuto godere soltanto di un’autonomia amministrativa sotto un principe bulgaro ma all'interno dell'Impero Ottomano. Il 30 maggio 1878 fu firmato l’accordo.
Gyula Andrássy
Il 4 giugno 1878, Salisbury concluse anche un’importante intesa con Costantinopoli, preservandosi da eventuali acquisizioni della Russia in Asia Minore, pur già previste dalla Pace di Santo Stefano.
La Gran Bretagna pretendeva quindi l’isola di Cipro nel caso la Russia avesse spuntato vantaggi territoriali in Anatolia. In cambio, la Gran Bretagna si impegnava in garanzie di protezione dei domini turchi in Asia Minore.
Oltre a questi, Salisbury stipulò un ulteriore accordo con il Ministro degli Esteri austriaco Gyula Andrássy il 6 giugno.
I due governi si impegnarono per la creazione di uno Stato bulgaro di dimensioni minori e gli inglesi garantirono il loro appoggio a qualsiasi proposta l’Austria avesse avanzato nei riguardi della Bosnia.
Inoltre, se si fosse giunti ad una mobilitazione austriaca per obbligare la Russia ad accettare le decisioni del congresso, la Gran Bretagna avrebbe aiutato economicamente l’Austria.

Il Congresso di Berlino cominciò il 13 giugno 1878 e terminò, dopo venti sessioni plenarie e un numero interminabile di riunioni di commissioni, feste e banchetti, esattamente un mese dopo.

Otto von Bismarck

Il primo giorno dei lavori, il Cancelliere tedesco Otto von Bismarck fu, su proposta del delegato austriaco Gyula Andrássy, eletto presidente del congresso.
Nonostante le intese preventive, più volte i delegati delle potenze furono sul punto di separarsi senza aver raggiunto una composizione delle questioni pendenti, fra le quali massima fu quella della Bulgaria.
L’accordo preliminare anglo-russo aveva solo sommariamente delineato la sistemazione dell’ex territorio ottomano, restavano da definire tutti i dettagli.
Attraverso grandi difficoltà, il 22 giugno, si arrivò ad un compromesso.
Gli inglesi cedettero relative ai confini, ma ottennero che la parte meridionale, chiamata "Rumelia orientale", spettasse con certe limitazioni al Sultano, e che la durata della presenza russa in Bulgaria fosse solo di nove mesi.
In questa sistemazione il Ministro degli Esteri austriaco Andrássy sostenne con energia gli inglesi, per i quali il dissolvimento della “Grande Bulgaria” era lo scopo principale da raggiungere.
Eccettuati i due principati costituiti, della Bulgaria e della Rumelia orientale, ciò che rimase della “Grande Bulgaria” venne riannesso dall'Impero Ottomano.

Primaria importanza aveva invece per l’Austria la sistemazione della questione della Bosnia-Erzegovina.
In molti ambienti di Vienna una vera e propria annessione non  era affatto ben vista, principalmente per il fatto che essa era una regione profondamente povera ed arretrata, nonché priva di interessi politici, economici o militari.
Il ministro Andrássy voleva quindi che risultasse chiaro che era il congresso a spingere l’Austria ad annettere quelle province e che egli aveva acconsentito controvoglia.
Dopo un invito del 28 giugno da parte del Ministro austriaco a risolvere la questione dei disordini anti-turchi in Bosnia, che avevano prodotto l'arrivo in Austria di 150.000 profughi, Salisbury, riconoscente per la posizione di Andrássy sulla faccenda bulgara, propose l'amministrazione austriaca della Bosnia.
I turchi protestarono mentre i russi, che avevano già promesso la provincia a Vienna, accettarono purché il porto di Antivari fosse assegnato al Montenegro.



William Waddington

Il Ministro degli Esteri francese William Waddington aderì con entusiasmo alla proposta inglese ed anche il delegato sabaudo, il Ministro degli Esteri Luigi Corti, dichiarò di approvare deludendo la delegazione turca, che aveva sperato di essere sostenuta dall’antiaustriaca italietta del Savoia.

A quel punto Bismarck consigliò ad Andrássy di procedere con la mobilitazione in  Bosnia senza il consenso dell'Impero Ottomano ma il 4 luglio, il primo delegato di Costantinopoli,Alèxandros Karatheodorìs, dichiarò che aveva ricevuto nuove istruzioni e che il governo ottomano aveva fiducia nelle decisioni del Congresso, ma si riservava di intendersi direttamente con Vienna.
Per venire incontro ai turchi, il 13 luglio, ultimo giorno del Congresso, Andrássy rilasciò un documento nel quale il suo governo dichiarava che i diritti del Sultano in Bosnia non sarebbero stati lesi e che la presenza austriaca in quelle province sarebbe stata provvisoria.
In un successivo accordo ufficiale fra Austria e Impero Ottomano, firmato a Costantinopoli il 21 aprile 1879, non si fece più parola della provvisorietà della presenza Austriaca, benché venisse ancora messo in chiaro che i diritti del Sultano restavano intatti.
Durante il Congresso, assicuratosi il successo sulla questione bosniaca, Andrássy richiese anche di poter presidiare il Sangiaccato, un corridoio di territorio turco fra la Serbia ed il Montenegro, che anticamente faceva parte della provincia di Bosnia.
Dopo una certa esitazione i russi, pur di non lasciarlo ai turchi, acconsentirono ed Andrássy poté intravedere la realizzazione di un progetto che aveva già sottoposto all’attenzione dell'Arciduca Francesco Ferdinando: una linea ferroviaria che dall'Austria giungeva fino a Salonicco.

Il 29 giugno, il Congresso risolse la questione greca.
La Francia e l’Italia sabauda proposero una rettifica di confine a vantaggio della Grecia previo accordo fra greci e turchi ed eventualmente la mediazione delle potenze, la Gran Bretagna fece dapprima delle obiezioni, che poi lasciò cadere, la Russia sostenne senza riserve la proposta franco-italiana ed i turchi dichiararono di non poter prendere decisioni per mancanza di istruzioni.
Il Congresso decise, quindi, concessioni territoriali alla Grecia da definirsi in futuro.
Nel 1881, con una Conferenza a Costantinopoli, Atene ottenne la Tessaglia.
Nei primi giorni di luglio furono affrontate le questioni della Serbia, del Montenegro e della Romania, i tre principati a sovranità turca.
La Serbia, in rotta con la Russia a causa del "tradimento" sulla questione della Grande Bulgaria, si rivolse all’Austria per sostenere la questione dell'indipendenza.
In cambio dell'appoggio, Andrássy riuscì ad assicurarsi promesse di trattati commerciali.
A Berlino fu concessa, così, alla Serbia la piena indipendenza (confermando la Pace di Santo Stefano) ed un modesto ampliamento di territorio a spese della Grande Bulgaria.

Anche il Montenegro fu reso completamente indipendente e, dopo accese dispute con i delegati austriaci, i russi riuscirono ad ottenere per la nazione amica anche il porto di Antivari, ma gli austriaci ottennero la sua interdizione alle navi da guerra russe.
La Romania, per l’aiuto prestato alla Russia, sperava di poter ottenere la Bessarabia che i russi le avevano tolto a Santo Stefano, e di garantirsi un’indennità finanziaria, ma il Congresso non fu di questa opinione.
La Bessarabia rimase alla Russia ed in cambio la Romania, di cui fu riconosciuta la completa indipendenza dai turchi, ottenne la Dobrugia.

Le questioni dell’Asia Minore tennero occupati i delegati nella settimana finale del congresso.
La destinazione del porto di Batum, sul Mar Nero, causò un’aspra disputa, ma alla fine la Russia si assicurò la città, con la limitazione che non sarebbe stata fortificata.
Anche le altre città sul cui passaggio si era deliberato a Santo Stefano (Kars e Ardahan) rimasero alla Russia.
Ciò fece scattare la convenzione stipulata prima del congresso fra Gran Bretagna e Impero Ottomano, per cui a Londra fu affidata l’isola di Cipro.
Tuttavia, bersagliato da vivaci proteste degli inglesi, che ritenevano si fosse concesso troppo alla Russia, Salisbury, nella seduta dell’11 luglio, dichiarò che la Gran Bretagna si sarebbe impegnata per il futuro a rispettare solamente le "libere determinazioni" del Sultano per quanto riguardava l’accesso agli Stretti turchi.
Il Sultano, o avrebbe permesso alle navi inglesi di passare o non sarebbe stato più considerato indipendente, decadendo come interlocutore.
Con questa dichiarazione, che teoricamente permetteva agli inglesi di violare gli Stretti e colpire la Crimea russa, Salisbury sconfessò il Trattato di Parigi (1856), che impediva l’accesso ai Dardanelli di navi straniere se non in caso di guerra e a discrezione del Sultano.
La decadente italietta sabauda, molto prima del Congresso di Berlino, aveva sperato che l’eventuale protettorato austriaco della Bosnia le permettesse in compenso di occupare il Tirolo.




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Benedetto Cairoli

Il Consiglio dei ministri sabaudo, presieduto da Benedetto Cairoli, il 6 giugno 1878 dava così incarico al Ministro degli Esteri Luigi Corti di adoperarsi a Berlino affinché la presenza austriaca in Bosnia, data per sicura, avesse un carattere temporaneo.
Se si fosse trattato di un’annessione vera e propria, invece, egli doveva esaminare l’opportunità di presentare una domanda di compensi.
Stabilita dal Congresso la sorte della Bulgaria, Cairoli, il 30 giugno, telegrafava a Corti che la presenza austriaca della Bosnia doveva essere assolutamente provvisoria proprio come quella russa in Bulgaria, e cioè doveva durare nove mesi.
Diffusasi la voce che il Congresso aveva affidato la Bosnia all’Austria, cominciava nella Venezia occupata dal Savoia, con l’abbattimento dello stemma del consolato austriaco ad opera di sgherri prezzolati dal governo, una serie di pilotate dimostrazioni che contrassegnarono il luglio 1878.

 I delegati sabaudi non avevano però scelta, poiché per non porre un veto al protettorato della Bosnia, di fronte al quale si sarebbe potuta aprire una crisi internazionale, a loro svantaggio, furono costretti a limitarsi ad una domanda di chiarimento, alla quale Andrássy rispose decisamente che la presenza austriaca in Bosnia corrispondeva al punto di vista delle grandi potenze europee.
Insistere su questo punto avrebbe significato mettersi contro Vienna e l’Europa, ed i plenipotenziari sabaudi avevano avuto disposizione dal governo «di comportarsi in modo da conservare all’Italia l’amicizia di tutte le potenze, mantenendola pienamente libera da ogni impegno per l’avvenire».



Bernhard Ernst von Bülow

Corti palesò la sua inquietudine al Ministro degli Esteri tedesco Bernhard Ernst von Bülow, il quale gli chiese il motivo per cui l'Italia non avesse invece pensato all’occupazione di Tunisi, allora ancora ottomanoa, previo accordo con la Gran Bretagna.
Corti rispose che ciò avrebbe portato ad uno scontro con la Francia, benché Salisbury avesse dichiarato al secondo delegato sabaudo, Edoardo de Launay, che il litorale africano dell'Impero ottomano era tanto grande che sia la Francia che l’Italia avrebbero potuto trovarvi compensi.
Sia Waddington che Salisbury avevano avanzato l’idea di compensare l’Italia con Tripoli, ed il ministro francese aveva domandato in cambio un’ipoteca francese su Tunisi.
Corti, però, non poteva deludere le direttive del governo e poiché non era stato possibile occupare territori austriaci, non conveniva accettarne di altri che avrebbero compromesso le relazioni dell’Italia con altre potenze o l'avrebbero impegnata per il futuro.
Di fronte all’opinione pubblica, il delegato sabaudo tornò da Berlino senza risultati e fu male accolto anche nelle vie di Milano.
Fatto segno di attacchi pesantissimi, il 16 ottobre 1878 si dimise.
Il Congresso, inscenato con grande fasto, fu un trionfo per Bismarck e per i tedeschi.
Il loro cancelliere, così sembrava, era riuscito a guidare l’Europa fuori dalle acque di una crisi che avrebbe potuto portare ad una guerra mondiale. Ma i giorni del Congresso furono anche quelli della grande crisi del Reichstag che, scoppiata sull’onda di due attentati all’imperatore Guglielmo I, raggiunse il suo apice con la minaccia di Bismarck di colpo di stato e con lo scioglimento del parlamento.

L'insoddisfazione della Russia per le trattative portò inoltre ad una crisi di rapporti fra Berlino e San Pietroburgo ed al riavvicinamento della Germania all'Austria che condusse, nel 1879, alla Duplice alleanza.
Al tavolo delle trattative infatti, i russi videro delusa la loro speranza di trovarsi, nello scontro con Gran Bretagna e Austria, le spalle coperte dai tedeschi.
Le conseguenze furono un raffreddamento dei rapporti, diffidenza, manovre di truppe e una violenta campagna di stampa contro la Germania.
Tornato a San Pietroburgo dopo Gorčakov, l’ambasciatore Šuvalov fu pesantemente redarguito dallo Zar Alessandro II per l’esito delle trattative, e l’anno dopo fu messo a riposo.



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Benjamin Disraeli


Salisbury, uno dei principali artefici del Congresso, era riuscito a preservare la consistenza dell’Impero Ottomano, ormai una potenza quasi esclusivamente asiatica, ma ancora utile per tenere la Russia lontana dal Mediterraneo.
Il ritorno da Berlino del gran massone Disraeli, che portava con sé una “pace con tutti gli onori” fu un trionfo così palpabile che la maggioranza dei conservatori ebbe la tentazione di trarne profitto indicendo le elezioni generali. Ma una conclusione prematura della legislatura andava contro la normale prassi e poco dopo, nel settembre 1878, il governo si dovette occupare delle sommosse in Sud Africa.


 Per la Romania, che era intervenuta contro l'Impero Ottomano nella guerra, la perdita della regione della Bessarabia a favore della Russia, fu un grave colpo per l’orgoglio nazionale ed in breve tempo indusse il regno ad entrare nell’orbita politica di Berlino.
Nei Balcani, Montenegro e Serbia rimasero amiche della Russia, ed in particolare la funzione serba di "braccio armato" del panslavismo egemonico russo, contribuì a mantenere critiche le relazioni fra Vienna e San Pietroburgo.
In tutta la regione un precario equilibrio perdurò ancora per trent’anni, continuamente funestato da azioni terroristiche e sovversive, condotte da associazioni eversive segrete serbe come Narodna Obrana e Crna Ruka, propaggini massoniche manovrate dalla setta internazionale, volte a provocare una reazione militare austriaca contro la Serbia, pretesto per una nuova guerra egemonica e panslavista nei Balcani.

Regolate tutte le questioni della Guerra russo-turca con il Congresso di Berlino, la Bosnia-Erzegovina fu ceduta in amministrazione fiduciaria all'Austria-Ungheria.
Formalmente però, la Bosnia-Erzegovina rimaneva parte dell’Impero Ottomano e la Serbia bramava ancora la sua annessione.
Per i serbi, infatti, la Bosnia-Erzegovina rappresentava una provincia nazionale.
Nell'aprile del 1907, il settario giornale panslavista filoserbo "Narod", di Mostar, dichiarava che se non si fosse attuata l’evacuazione delle forze austriache sarebbe scoppiata una rivolta che si sarebbe propagata e avrebbe provocato la rovina dell’Impero Austro-Ungarico.


 
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L'Arciduca Francesco Ferdinando
d'Asburgo-Este

A Vienna, viceversa, acquistava sempre più peso l'influenza della frangia, la quale annoverava tra i suoi più autorevoli esponenti lo stesso Arciduca Francesco Ferdinando, che propendeva ad una riforma federale dell'Impero ed ad una sua riorganizzazione su base trialistica, con la creazione di un terzo Stato che, affiancato ad Austria e Ungheria, avrebbe riunito i sudditi slavi.

 Un incentivo a risolvere la questione con l'annessione ufficiale della provincia fu inaspettatamente fornito all'Austria dalla Russia. Il 2 luglio 1908, infatti, all’insaputa di Parigi e Londra, il ministro degli Esteri russo Aleksandr Petrovič Izvol'skij invitava, esponendosi per iscritto, Aehrenthal a considerare l’ipotesi di uno scambio.
La Russia avrebbe acconsentito all’annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina se l’Austria avesse perorato davanti alle altre potenze la causa dell’apertura degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli alle navi russe.
Il ministro Aehrenthal, sulla base della lettera che gli aveva spedito Izvol'skij, ottenne un incontro con lui nel castello moravo di Buchlau, il 16 settembre 1908.
Ci fu un accordo di massima sulla Bosnia-Erzegovina, del quale, però, le due versioni non concordano. Non fu stilato un verbale unico dell’incontro e la versione di Izvol'skij è del 30 settembre e risente dell’imminenza dell’annessione.



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Aleksandr Petrovič Izvol'skij

Secondo il ministro austriaco, Izvol'skij dichiarò che la Russia avrebbe assunto un atteggiamento amichevole di fronte all’annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina, fermo restando un analogo atteggiamento dell’Austria nel caso la Russia avesse premuto per ottenere il passaggio negli stretti turchi di proprie navi da guerra isolate.
Ad una specifica domanda di Izvol'skij, Aehrenthal dichiarò di aver risposto che era molto probabile che l’annessione venisse proclamata al principio di ottobre.
Il ministro di San Pietroburgo, invece, riferì di aver fatto presente che l’annessione era una questione che interessava le potenze firmatarie del Congresso di Berlino e che doveva essere considerata, se attuata unilateralmente, come una violazione di tale trattato.
A quel punto, secondo Izvol’skij, Aehrenthal avrebbe offerto in cambio il ritiro delle truppe austriache dal Sangiaccato, che il ministro russo avrebbe rifiutato, minacciando invece la trasgressione di clausole del Trattato di Berlino onerose per la Russia.
Sembra certo, comunque, che Izvol'skij a quel tempo non sapesse quando si sarebbe verificata l’annessione.
Dichiarò che Aehrenthal ne avrebbe proposto, forse, il piano di attuazione l’8 ottobre e, dopo Buchlau, andò prima in villeggiatura e poi partì per un giro delle capitali europee allo scopo di ottenere il consenso delle potenze all'apertura degli stretti turchi.
Intanto la Bulgaria, nominalmente ottomana secondo il trattato del 1878, era un principato autonomo governato dal Principe tedesco Ferdinando di Sassonia-Coburgo Gotha (Ferdinando I di Bulgaria).
Il 5 agosto 1908, Aehrenthal scrisse a Ferdinando istigandolo a proclamare l’indipendenza del suo Paese con l'appoggio austriaco, che fu puntualmente annunciata a Veliko Tărnovo esattamente due mesi dopo, il 5 ottobre.
File:Franz Josef of Austria K.G. Colonel-in-Chief 1st King's Dragoon Guards 1896 - 1914.jpg
Francesco Giuseppe I d'Austria
(1896 circa)

Il giorno successivo, il 6 ottobre, l’Imperatore Francesco Giuseppe scrisse ai popoli della Bosnia-Erzegovina un proclama in cui, allo scopo di elevare quelle province ad un più alto livello amministrativo, rendeva nota l'intenzione di dar loro istituzioni costituzionali, formalizzando quindi l'annessione diretta e l'inserimento della Bosnia nell'organizzazione territoriale dell'Impero.
Le ripercussioni più gravi si ebbero in Serbia, che si vedeva ovviamente lesa nei propri fantomatici diritti, e si giunse alla mobilitazione.
Il settario principe ereditario serbo, il ventunenne Giorgio Karađorđević ,  figlio di un altro settario golpista , Pietro I di Serbia,  , si pose alla testa dei dimostranti e si proclamò , inebriato da una follia nazionalista, pronto a morire, con tutto il suo popolo, per l'ideale egemonico panslavista della "Grande Serbia".
Nella capitale Belgrado, la folla di sgherri cercò di sfondare le finestre della legazione austriaca.
Anche l'Impero Ottomano, che aveva ceduto molto malvolentieri l'amministrazione della Bosnia-Erzegovina nel 1878, si sentì offeso.
A Costantinopoli, fra eccessi che si verificarono contro sudditi austriaci, furono boicottate tutte le merci provenienti da Vienna, mentre la stampa panslavista russa ne approfittò per sostenere che i serbi avrebbero dovuto esigere grandi compensi dall’Austria-Ungheria.


Nikola Pašić

Allo scopo di perorare la causa serba, il ministro degli Esteri di Belgrado, Milovan Milovanovič, partì il 17 ottobre 1908 per le capitali europee, seguito il 26 ottobre dal principe Giorgio che, accompagnato dal capo del partito radicale Nikola Pašić, si recò a San Pietroburgo.
Anche in Montenegro l’annessione sollevò proteste. Il Principe Nicola reclamò dalla Bosnia austriaca sia Spizza, che dominava l’unico porto del Montenegro, Antivari, sia la soppressione dell’articolo 29 del Trattato di Berlino, che limitava la sovranità montenegrina sulla costa adriatica.
Izvol'skij era, comprensibilmente, la personalità più agitata, visto che era colui che aveva concesso all’Austria l'annessione della Bosnia-Erzegovina senza una reale contropartita.
Invece di tornare in patria e affrontare lo Zar, il ministro degli Esteri russo cercò di ottenere una qualche assicurazione dalle potenze occidentali sull’apertura degli stretti del Mar Nero.
Dopo Vienna, era comparso prima a Londra, poi a Parigi, senza avere una qualche fortuna.
L’insuccesso di Izvol'skij a Londra fu dovuto soprattutto alla volontà del ministro degli Esteri britannico Edward Grey di far rispettare ai russi l’Accordo anglo-russo del 1907, disatteso, secondo gli inglesi, in Persia.
Bülow, desideroso di vendicare lo smacco della Conferenza di Algeciras e di spezzare il debole fronte anglo-franco-russo, decise di fare di tutto per evitare una nuova conferenza internazionale,proposta da Izvol'skij, e puntò le sue carte sulla momentanea debolezza economica di San Pietroburgo, in grave crisi finanziaria e quindi verosimilmente impossibilitata a muovere guerra.
A tale riguardo, per sostenere meglio l’Austria, che con l’Italia  sabauda era legata alla Germania dalla Triplice alleanza, il 30 ottobre 1908, Bülow scrisse ad Aehrenthal: «Qualunque decisione voi prendiate, la considererò come l’unica appropriata».
Nel gennaio 1909, il Capo di stato maggiore dell'esercito tedesco Helmuth von Moltke scriveva con l’approvazione di Bülow al suo omologo austriaco Conrad: «Nel preciso momento in cui la Russia mobiliterà, mobiliterà anche la Germania e si tratterà indubbiamente di una mobilitazione generale».

Guglielmo II di Germania

L’ostilità tedesca verso la Russia implicò un tentativo da parte di Bülow di riconciliazione con la Gran Bretagna e la Francia.
Con la prima, però, il margine di manovra si rivelò assai ristretto date la gaffe commessa dall’Imperatore Guglielmo II ad un’intervista al Daily Telegraph.
Con Parigi, invece, alleata della Russia, Bülow ebbe maggior successo, riuscendo a stipulare il 9 febbraio 1909 un’intesa per la quale la Germania riconosceva la supremazia politica della Francia sul Marocco mentre i francesi si impegnavano a non intralciare nella stessa zona gli interessi economici della Germania.
Accontentata la Francia sul Marocco, la posizione della Russia risultò più debole.
In queste circostanze così favorevoli, Vienna consolidò la sua posizione dopo il 26 febbraio quando raggiunse, mediante il pagamento di due milioni e mezzo di Lire turche, l’accordo con Costantinopoli per il riconoscimento del passaggio della Bosnia-Erzegovina all’Austria-Ungheria.
Ma la Serbia, spalleggiata ancora dalla Russia, non aveva intenzione di cedere e non volle riconoscere l’annessione austriaca, quanto meno non senza esservi costretta da una conferenza internazionale.
Il 14 marzo 1909, perdurando lo stato di agitazione in Serbia, Bülow comunicò all’ambasciatore russo che sarebbe stato un delitto far precipitare l’Europa in una guerra sanguinosa, ma che se Izvol'skij non avesse agito per tenere a freno i serbi, alla Germania non restava che lasciare carta bianca all’Austria per procedere contro la Serbia nel modo che le sembrasse più opportuno.

Il 21 marzo, Bülow telegrafò all’ambasciatore a San Pietroburgo:
«Vostra eccellenza vorrà ancora dire a Izvol'skij in un modo fermo che noi attendiamo una risposta precisa: sì o no. Saremo obbligati a considerare ogni risposta evasiva [...] come un rifiuto. In tal caso noi ci ritireremo e lasceremo che le cose seguano il loro corso. La responsabilità di tutti gli avvenimenti ulteriori ricadrà allora su Izvol'skij».
Tre giorni dopo questo telegramma, pervenne a Berlino ed a Vienna il consenso della Russia, senza restrizioni, all’annessione della Bosnia-Erzegovina.



Sergej Dmitrievič Sazonov

L'anno dopo, nel 1910, come conseguenza della crisi bosniaca, Izvol'skij dovette cedere la poltrona di ministro degli Esteri a Sergej Dmitrievič Sazonov.
Ritiratosi l'appoggio russo, il 27 marzo 1909 l’Austria decise la mobilitazione contro la Serbia.
Alle 23,30 dello stesso giorno, il ministro degli Esteri britannico Edward Grey, disgustato dalla capitolazione di Izvol'skij, autorizzò l’ambasciatore a Vienna a comunicare al governo austriaco che Londra avvallava l'annessione.

Il 31 marzo, la Serbia, minacciata unanimemente da tutte le grandi potenze, presentò a Vienna la nota con la quale rinunciava non solo all’atteggiamento di protesta contro l’annessione della Bosnia-Erzegovina, ma si impegnava a mutare il corso della sua politica verso l’Austria per convivere da buona vicina.
Con lo stesso documento la Serbia assicurava anche di ricondurre l’esercito allo stato precedente la crisi.
Aehrenthal si dichiarò soddisfatto della nota serba e si giunse alla conclusione che la conferenza non era più necessaria.
Raggiunto il 7 aprile anche l’accordo col Montenegro, che grazie alla mediazione di Italia e Gran Bretagna ottenne alcuni vantaggi di sovranità sulla costa, Aehrenthal chiese alle potenze di riconoscere formalmente la soppressione dell’articolo 25 del Trattato di Berlino, che appunto stabiliva la sola e semplice amministrazione austriaca della Bosnia-Erzegovina.
Riconoscimento che ottenne fra il 7 ed il 19 aprile.
In una lettera a Bülow del 22 giugno 1909, l’ambasciatore tedesco a Belgrado scrisse tuttavia riferendosi al popolo serbo:
«Il piccolo gruppo delle persone veramente colte o semicolte [...] non vuole rassegnarsi, per la sua boria nazionale offesa, ad accettare il fatto dell’annessione. Starà, perciò, come il cacciatore alla posta, per cogliere l’istante giusto per sparare un colpo a segno».
Nell’estate del 1908, il ministro Aehrenthal trovò necessario sondare il pensiero del governo sabaudo incontrandosi con il suo omologo, il conservatore Tommaso Tittoni. Il colloquio avvenne il 24 agosto 1908 a Salisburgo
I ministri delle due nazioni alleate parlarono della questione Bosnia-Erzegovina e dal rapporto di Aehrenthal così riporta:
«[...] Tittoni non ha esitato a dichiararmi in maniera precisa che, naturalmente, la Bosnia-Erzegovina ci apparteneva e che noi avevamo la firma dell’Italia per il nostro diritto su queste province.
[...] Il trattato della Triplice è stato stipulato quattro anni dopo l’occupazione e stabilisce esplicitamente che a compensi territoriali si dovrebbe addivenire solo quando l’uno o l’altro dei contraenti procedesse all’occupazione temporanea o definitiva di un paese turco».
Il ministro degli Esteri austriaco si riferiva all’articolo 7 del trattato della Triplice alleanza, il quale stabiliva che, fra Austria ed Italia, in caso di “occupazione temporanea o permanente” di territori nei Balcani, la potenza occupante avrebbe riconosciuto compensi all’altra.
Aehrenthal escludeva a buon diritto quindi che, secondo gli accordi, l’annessione della Bosnia-Erzegovina fosse stata una “occupazione”, dato che la provincia era già legittimamente affidata all'amministrazione austriaca da accordi internazionali,per cui l’Italia sabauda non aveva diritto ad alcun compenso in caso di annessione di una provincia già riconosciuta dalle potenze come sotto governo austriaco.
Dopo l’incontro di Buchlau del 16 settembre, Aehrenthal scrisse a Tittoni annunciandogli che l’annessione era imminente ed il ministro sabaudo, benché sorpreso, rispose assecondando l'omologo austriaco. Tittoni tuttavia, per il suo prestigio e per quello del decadente governo sabaudo , pensò ad un accordo a tre fra il suo paese, l'Austria e la Russia, che garantisse prestigiosi compensi territoriali a Roma.
Il 6 ottobre 1908, giorno dell’annessione, Tittoni, in un discorso pubblico, si spinse a dire che l’Italia poteva attendere serenamente gli avvenimenti e che il governo chiedeva all’opinione pubblica fiducia, poiché «potrà dimostrare di averla pienamente meritata».
Questo discorso, nel quale si faceva sperare a grandi compensi, fu un errore che il ministro, successivamente, riconobbe.
Quando l'opinione pubblica seppe, invece, che non c’erano concessioni (l’Austria rinunciò infatti solo ai suoi diritti sul Sangiaccato di Novi Pazar), si diffuse nel governo sabaudo un senso di delusione  che diede luogo a proteste e minacciò di travolgere la posizione di Tittoni.
La campagna di stampa contro il ministro degli Esteri italiano fu durissima e, per riparare al danno, Tittoni avanzò proposte all'Austria di compensi all'Italia di vario tipo.
Poi sostenne la necessità di una conferenza internazionale ed infine minacciò le sue dimissioni e l'uscita dell'Italia dalla Triplice alleanza. Aehrenthal fu, tuttavia, irremovibile, forte dell'appoggio dalle altre potenze, così il ministro sabaudo dovette presentarsi in parlamento senza avere ottenuto alcunché dall'Austria.
In un dibattito alla Camera, che durò dal 1º al 4 dicembre 1908, si susseguirono interventi favorevoli e contrari alla condotta del governo. Il discorso più importante fu tenuto da Alessandro Fortis. Egli si disse disposto ad approvare la politica del governo, ma non quella dell’Austria, che con l’annessione violava, secondo loro, il Trattato di Berlino. Fortis riconosceva che all’Italia non era dato di seguire altra politica, perché non poteva isolarsi dalle altre potenze senza mettersi in pericolo, e chiudeva il suo discorso così:
«O cessa questa anormalissima condizione di cose per cui l’Italia non ha ormai da temere la guerra che da una potenza alleata... ed io spero ed auguro con tutto il cuore che questa condizione intollerabile possa cessare; oppure non può cessare, ed allora riprendiamo serenamente la nostra libertà di azione»
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Giovanni Giolitti

Uno scroscio di applausi di convenienza salutava queste parole, dopo le quali anche il presidente del Consiglio Giolitti si recava a stringere la mano all’oratore, avvalorando l’impressione che volesse abbandonare Tittoni.
Il ministro degli Esteri, presa la parola, fece un’abile e pomposa difesa della sua politica, dimostrando come l’Austria già esercitasse da anni in Bosnia-Erzegovina una sovranità piena e come, in quel momento, non c’era altra condotta da seguire.
Triplice alleanza integrata dalle amicizie con Francia e Gran Bretagna, e da accordi con la Russia.
Parlò infine Giolitti, il quale dichiarò che nella crisi bosniaca non erano in causa né l’onore né gli interessi vitali della nazione, il cui bisogno supremo era la pace.
Il 4 dicembre 1908 la Camera approvò la politica estera del governo con 297 voti contro 140. Questo nella storiografia unitarista è dipinto come un successo personale soprattutto di Giolitti.
 
Assetto confinario dopo le due guerre balcaniche
 (1912-1913).


Successivamente , le tensioni nei Balcani sfociarono in una vera e propria guerra fatta di diversi schieramenti ed interessi più o meno celati. Tra il 1912 ed il 1913 furono combattute le "Guerre Balcaniche", cruenti conflitti che si conclusero il 10 agosto del 1913.
Dopo faticose trattative si raggiunse un accordo ed a Bucarest fu firmata una pace che avrebbe modificato profondamente la geografia politica dei Balcani.
Alla Grecia, oltre all'isola di Creta, vennero assegnate Tessalonica, l'Epiro, parte della Macedonia fino a Bitola, e Cavala.
Al Montenegro venne ceduto qualche lembo dell'Albania settentrionale ed il Sangiaccato di Novi Pazar.
La Serbia, alleata dell'Impero Russo, vide quasi raddoppiato il suo territorio, annettendo quasi totalmente la Macedonia.
La Romania annetté Silistra, quasi tutta la Dobrugia e parte della costa bulgara sul Mar Nero.
In seguito, al termine della guerra e della conferenza di Londra, l'Albania, almeno apparentemente, venne proclamata Stato indipendente, retta su da un Principato ereditario e dichiarata neutrale.
Conclusesi dunque in questo modo, le due guerre balcaniche lasciavano una situazione di pace che aveva tutto l'aspetto di un armistizio e che non dava un equilibrio definitivo all'assetto politico della penisola.
Di tutti gli stati che parteciparono alla conferenza di pace di Bucarest, l'unico che ne uscì pienamente soddisfatto fu il Regno di Romania, che riuscì ad avere tutti i territori che si aspettava di ottenere.
La Grecia avrebbe voluto impadronirsi di una parte dell'Albania meridionale, creando grattacapi all'Italitalietta del Savoia nel tentativo di alimentare il nazionalismo greco nelle isole del Dodecanneso, annesse al decadente Regno d'Italia nel 1912.
Un grande malcontento nacque anche nel Regno di Montenegro, che avrebbe aspirato a mantenere il controllo su Scutari e altri territori, e nella Serbia.
Osservando come vennero lasciate in sospeso alcune questioni, è facile immaginare, soprattutto alla luce del ben noto panslavismo-nazionalismo serbo, tutt'altro che sopito nonostante i cospicui ampliamenti territoriali ottenuti da questo conflitto, come ben presto la situazione politica dell'area balcanica sarebbe stata una scintilla che avrebbe dato luogo ad un nuovo conflitto non soltanto per l'egemonia sulla regione ma per la distruzione dell'intera Europa.

A fare le spese di questa situazione non sarà solo l'Austria, la quale pagherà le scelte politico-diplomatiche (specialmente in campo di alleanze) fatte negli ultimi sessant'anni., ma anche l'intera Europa..


Fine Parte Settima...


Fonte:


  • Bernhard von Bülow, Denkwürdigkeiten, 1930-31 (Ediz. Ital. Memorie, Mondadori, Milano 1930-31, 4 volumi. Vol. IV:Ricordi di gioventù e diplomazia).
  • Luigi Albertini, Le origini della guerra del 1914, Fratelli Bocca, Milano, 1942-1943, 3 volumi.
  • Alan John Percival Taylor, The Struggle for Mastery in Europe 1848-1918, Oxford, Clarendon Press, 1954 (Ediz. Ital.L’Europa delle grandi potenze. Da Metternich a Lenin, Laterza, Bari, 1961).
  • E.J. Feuchtwanger, Democracy and Empire: Britain, 1865-1914, London, 1985 (Ediz. Ital. Democrazia e Impero, l’Inghilterra fra il 1865 e il 1914, il Mulino, Bologna 1989 ISBN 88-15-04819-7).
  • Arthur J. May, The Habsburg Monarchy 1867-1914. Cambridge, Mass., 1968 (Ediz. Ital. La monarchia asburgica 1867-1914. il Mulino, Bologna, 1991 ISBN 88-15-03313-0).
  • Hans Rogger, Russia in the Age of Modernisation and Revolution 1881-1917, New York, 1983 (Ediz. Ital. La Russia pre-rivoluzionaria 1881-1917, il Mulino, Bologna 1992 ISBN 88-15-03433-1).
  • Michael Stürmer, Das ruhelose Reich. Deutschland 1866-1918, Berlin, 1983 (Ediz. Ital. L'impero inquieto. La Germania dal 1866 al 1918, il Mulino, Bologna, 1993 ISBN 88-15-04120-6).
  • Giancarlo Giordano, Cilindri e feluche. La politica estera dell’Italia dopo l’Unità, Aracne, Roma, 2008 ISBN 978-88-548-1733-3.
  • Lev Trotsky, Le guerre balcaniche 1912-1913, edizioni Lotta Comunista, Milano, 1999
  • Egidio Ivetic, Le guerre balcaniche, Il Mulino, Bologna, 2006, ISBN 88-15-11373-8
  • GianPaolo Ferraioli, Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di Antonino di San Giuliano (1852-1914), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2007
  • (EN) Testi della Biblioteca del Congresso USA sulle guerre balcaniche
  • (EN) "Le crisi dei Balcani, 1903 - 1914"
  • (EN) Le Guerre Balcaniche, 1912-13
  • Uniformi ed insegni militari nelle Guerre Balcaniche
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  • Bernhard von Bülow, Denkwürdigkeiten, 1930-31 (Ediz.Ital. Memorie, Mondadori, Milano 1930-31, 4 volumi).
  • Luigi Albertini, Le origini della guerra del 1914, Fratelli Bocca, Milano, 1942-1943, 3 volumi.
  • Alan John Percival Taylor, The Struggle for Mastery in Europe 1848-1918, Oxford, Clarendon Press, 1954 (Ediz.Ital.L’Europa delle grandi potenze. Da Metternich a Lenin, Laterza, Bari, 1961).
  • Arthur J. May, The Habsburg Monarchy 1867-1914. Cambridge, Mass., 1968 (Ediz.Ital. La monarchia asburgica 1867-1914. il Mulino, Bologna, 1991 ISBN 88-15-03313-0).
  • Ernst Nolte, Storia dell'Europa 1848-1918, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2003 ISBN 88-8273-022-0 (l'edizione italiana ha preceduto quella tedesca)
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    Scritto da:
    Presidente e fondatore A.L.T.A.  Amedeo Bellizzi.