domenica 30 novembre 2014

RESTAURATO BUSTO DI FRANCESCO GIUSEPPE I A PERASTO (Bocche di Cattaro)


Abbattuto durante l'età comunista il busto di Francesco Giuseppe dal luogo ove era collocato, venne da anime buone sottratto alla rottamazione. Nel 2011 venne ritrovato tra vari materiali depositato in un magazzino privato della cittadina. Un benefattore che volle restare anonimo pagò il suo restauro e venne collocato l'anno successivo, in prossimità del campanile, sul muro esterno della chiesa di San Nicola visitata dal sovrano nel 1875.

Il busto di Francesco Giuseppe rinvenuto tra i rottami di un magazzino nel 2011.
 


La fusione del busto è di buona qualità e la scultura possiede un valore storico per la cittadina di Perasto dove l'amato sovrano venne in visita nel 1875.

 
 

Dopo il restauro è stato collocato su un muro esterno della Chiesa di San Ncola, il Duomo di Perasto, a un'altezza di circa 5 metri in modo che fosse visibile e nello stesso tempo sistemato in luogo sicuro.




 
 
 
 
 
 
Di Redazione A.L.T.A.
 
 

Dedicato ai friulani che...




Dedicato ai friulani che:

- Stelutis alpinis e gli Alpini che conquistarono nel 1918 Pontaifel, terra natale dell'autore della canzone dove non viveva un solo "italiano"...

- le Frecce Tricolori orgoglio del popolo friulano...
...

- hanno ancora nel giardino la bandiera con l'aquila del Patriarcato e la bandiera italiana dal 15 marzo del 2011 ma non sanno che il 98% dei Patriarchi erano principi vescovi tedeschi, vassalli del Sacro Romano Impero...

- hanno la casa a Tarvis da dove fu cacciato 1/3 della popolazione e dicono "maledetti stranieri"...
- parlano in italiano ai figli.. e non ricordano più i manifesti dove c'era scritto "furlans favelè furlan che l'è un onor e no une vergogne"...

- si alleano con la Lega Nazionale contro la "slavizzazione di Cividale" scordando che prima dell'arrivo degli italiani si parlava sloveno a Tarcento e fino a quasi Gemona...

- non sanno che a Spilimbergo si parlava bavaro-carinziano come a Sauris, dove credono di tutelare le minoranze perchè i bambini di Sauris recitano poesie in sauriano 1 ora alla settimana...

- sono orgogliosi che gli abitanti delle Valli del Natisone si stanno italianizzando...

- sarebbero strafelici di avere l'elemosina dagli italiani di 1 ora di friulano settimanale nelle scuole anzichè il multilinguismo paritario...

- votano una Presidente romana...

- scherzano con l'accento romanesco perchè lo sentono spesso alla RAI TV...

- ce l'hanno con "gli stranieri" ma non sanno di avere una percentuale di pizzerie per popolazione, più alta che a Napoli...





Fonte: Vota franz vive
Di Redazione A.L.T.A.

sabato 29 novembre 2014

Test cattolico: trova le differenze.

1-
«I non cattolici hanno il diritto di professare la loro religione, e io ho il dovere di rispettare il loro diritto: io privato, io prete, io vescovo, io stato […]. Qualcuno si ribellava a questi enunciati in concilio. E i diritti della verità? I diritti della verità non esistono, non c’è un diritto della verità. La verità non è una persona che cammina per la strada; vi sono solo i diritti della persona. Ci sono persone fisiche e morali che hanno il diritto di cercare la verità. […] La verità non è un soggetto di diritto: solo le persone umane sono soggetto di diritto»
(Card. Albino Luciani, 1965 – Papa Giovanni Paolo I, nel 1978)

2-
«Il culto pubblico delle false religioni può eventualmente essere tollerato dai poteri civili in vista di un bene più grande da ottenersi o di un male maggiore da evitarsi, però per se stesso può essere represso anche con la forza se necessario. Ma il diritto alla tolleranza è una contraddizione perché, come è evidente anche dal termine, ciò che si tollera non è mai il bene, è sempre e soltanto il male. Nella vita sociale delle nazioni l’errore può essere tollerato come un fatto, mai ammesso come un diritto. L’errore non ha oggettivamente alcun diritto né all’esistenza, né alla propaganda, né all’azione»
(Papa Pio XII, Discorso “Ci Riesce”, 1953)
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Immagine di Simone P. B. I. G.

a cura di Alessandro Luciani [fonte] - http://radiospada.org/

L’Anticristo. Esegesi e storia di una tremenda verità di fede (parte 2)

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Nella prima parte dello studio (pubblicato la scorsa settimana) è stato introdotto il discorso sull’Anticristo secondo le esegesi dei Padri della Chiesa, correttamente usate e commentate dal Dottore Zelantissimo, sant’Alfonso Maria de’ Liguori. È, solo adesso, possibile procedere illustrando parte delle false dottrine che saranno divulgate dall’Anticristo e dai suoi precursori, con altri dettagli utili al nostro fine di erudizione sull’argomento.
 
[…] In quanto all’insegnamento della religione, al principio si dimostrerà amante della legge, specialmente della legge e delle cerimonie giudaiche, per accattivarsi l’ossequio dei Giudei; ma innalzato che sarà alla monarchia, disprezzerà ogni legge ed ogni atto religioso (probabilmente insegnerà dottrine agnostiche), e si porrà a sedere nel tempio come Dio, secondo quanto scrive san Paolo: Qui adversatur et extollitur supra omne quod dicitur Deus, aut quod colitur; ita ut in templo Dei sedeat, ostendens se tamquam sit Deus[1]. Onde seguono a dire i Padri, sant’Ireneo: Et latro quasi Deus vult adorari[2]. Lattanzio: Se ipsum constituet, ac vocabit Deum; et se coli iubebit ut Dei filium[3]. San Giovanni Crisostomo: Se omnium Deum profitebitur[4]. Sant’Ippolito martire scrive che l’Anticristo aggregherà (probabilmente Governo Globale o N.W.O.) i popoli, e loro dirà: Quis Deus magnus præter me? potentiæ meæ quis resistet[5]? Aggiunge sant’Efrem il Siro[6], col medesimo sant’Ippolito, che i demoni in sembianza di angeli gli faranno corona […].
Essendo poi l’Anticristo un insigne mago (incantatore, illusionista, imbroglione), egli, con suoi incantesimi e con l’aiuto del demonio, ingannerà la gente con molti miracoli falsi, secondo scrive l’Apostolo: Cuius est adventus secundum operationem Satanæ, in omni virtute, et signis, et prodigiis mendacibus, et in omni seductione iniquitatis, iis qui pereunt[7]. Il suo principale miracolo sarà di farsi vedere fintamente morto e poi risorto, come l’addita san Giovanni: Et plaga mortis eius curata est. Et admirata est universa terra post bestiam[8]. E con tale inganno il compagno (ispirato da Satana) sedurrà i popoli ad adorarlo per Dio: Et fecit terram, et habitantes in ea adorare bestiam primam, cuius curata est plaga mortis[9]. Per quelle parole bestiam primam s’intende l’Anticristo, poiché vi sarà un’altra bestia seconda, così nominata da san Giovanni, che sarà un cattivo suo compagno e falso profeta, che si adoprerà a far riconoscere l’Anticristo per Dio. Uno degli altri falsi miracoli sarà di far discendere fuoco dal cielo: Et fecit signa magna, ut etiam ignem faceret de coelo descendere in terram in conspectu hominum[10]. Un altro miracolo falso sarà di far parlare per opera del demonio la statua del suo armigero: Et datum est illi, ut daret spiritum imagini bestiæ, et ut loquatur imago bestiæ[11]. Dice san Matteo che questi falsi miracoli, uniti ad altri inganni, violenze e tormenti, coi quali procurerà di costringere i fedeli a prevaricare, saranno tali e tanti, che se Dio non desse con la sua grazia fortezza ai suoi eletti, anche gli eletti sarebbero sedotti: Ita ut in errorem inducantur (si fieri potest) etiam electi[12].
La sua maggiore applicazione poi sarà di far disprezzare Gesù Cristo, insegnando (dapprima con ambigue e perniciose dottrine, poi apertamente) ch’egli non è stato il vero messia, né il figlio di Dio, né il redentore degli uomini (probabilmente insegnando che anche i Giudei del Talmud credono nel vero Dio, per esempio, oppure negando la storicità della Risurrezione, ecc…); onde spargerà ovunque che la religione, i precetti e tutti i sacramenti insegnati da Gesù Cristo sono stati una mera impostura (si potrebbe pensare che insegnerà a superarli con artifizi e sofismi, pertanto implicitamente farà capire che, se i Sacramenti si possono eludere in qualche modo, essi non esistono); tutto l’accennò san Giovanni in poche parole: Qui negant, quoniam Iesus est Christus; hic est Antichristus, qui negat Patrem et Filium[13].
Di più imporrà ad ognuno di portare in mano o nella fronte il carattere da lui insegnato, sicché nessuno possa comprare o vendere se non ha questo carattere, oppure il suo nome o il numero del suo nome, secondo quel che scrisse san Giovanni: Et faciet omnes […] habere characterem in dextera manu sua aut in frontibus suis. Et ne quis possit emere aut vendere, nisi qui habet characterem, aut nomen bestiæ, aut numerum hominis[14]. E nel verso seguente si dice: Numerus enim hominis est, et numerus eius sexcenti sexaginta sex[15]. Spiega sant’Efrem, che l’empio vorrà che tutti si segnino la fronte col suo infame carattere, acciocché smettano di segnarsi con la Santa Croce, sapendo che il demonio, col segno della Croce, perde tutto il suo potere. Quale sarà poi questo carattere? Altri vogliono che sia il suo stesso nome di Anticristo: altri che sia la figura del dragone, in cui comanderà di essere egli stesso adorato. Altri dicono altre cose, ma tutte incerte.
            Dicono gli eruditi che l’Anticristo (inviato di Satana per permissione di Dio) dopo che avrà sottoposto con la guerra al suo dominio i regni dell’Egitto, della Libia e dell’Etiopia il che si ricava da Daniele[16], sottometterà al suo impero sette altri re (o governi) della terra, che saranno poi suoi confederati, e così diventerà «monarca del mondo»; e ciò lo ricavano da quel che dice san Giovanni: Et decem cornua quæ vidisti, decem reges sunt… Hi unum consilium habent; et virtutem, et potestatem suam bestiæ tradent[17]. Parlando poi della sede del regno dell’Anticristo, alcuni dicono che sarà la città di Roma, per quello che dice san Giovanni: Septem montes sunt, super quos mulier sedet[18]. (Secondo recenti studi, che qui cito solo a titolo di conoscenza, i sette Re potrebbero essere sette sedenti sul Trono di san Pietro che, in successione, tradiranno il mandato, non essendo affatto papi ma mantenendone solo le sembianze per necessità[19]). Ma questo testo è molto oscuro. Altri dicono, appunto, che sederà nel tempio di Dio, da quel che dice san Paolo nel luogo di sopra citato, ovvero in II Tessalonicesi 2,4: Extollitur… ita ut in templo Dei sedeat[20]. Per questo tempio di Dio dovrebbe intendersi il tempio di Gerusalemme, ma questo tempio dei Giudei già da molto è distrutto; il cardinal Gotti pensa che l’Anticristo prima collocherà la sua sede in Babilonia e poi la trasporterà in Gerusalemme; questa sembra la sentenza comune dei Padri e dei teologi, di sant’Ireneo, di sant’Ippolito, di san Cirillo gerosolimitano e di sant’Andrea cesariense. San Girolamo dice che la sua sede fissa sarà sopra il monte Oliveto: Verticem montis Oliveti, qui inclytus vocatur, quia ex eo Dominus atque Salvator ascendit ad Patrem[21]; e lo ricava da Daniele[22] dove si dice: Et figet tabernaculum suum super montem inclytum et sanctum. Questo monte inclito[23] e santo, dicono san Girolamo e Teodoreto e tutti gli altri, che s’intende il monte Oliveto.
 
Tratto da Il Diavolo e l’Anticristo, C. Di Pietro, Edizioni Radio Spada, Milano/Potenza, 2014, cap. XXII, p. 117 ss
 
Prossima puntata sabato 06.12.2014
 
 

Note:
[1] II Ts. 2,4: «[…] colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio».
[2] L. 5. c. 25. Vuol essere adorato come un Dio.
[3] L. 7. c. 17.
[4] Hom. 4. in Io.
[5] Orat. de consum. M.
[6] De Antichr.
[7] II Ts. 2,9-10: «[…] la cui venuta avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi».
[8] Apoc. 13: «[…] la sua piaga mortale fu guarita. Allora la terra intera presa d’ammirazione, andò dietro alla bestia».
[9] Ivi.: «Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita».
[10] Ivi.: «Operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini».
[11] Ivi.: «Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia».
[12] Mt. 24,24: «Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti».
[13] I Gv. 2,22: «Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L’anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio».
[14] Apoc. 13,16-17: «Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome».
[15] «Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei».
[16] C. 11. vers. 44.
[17] Apoc. 17,13: «Questi hanno un unico intento: consegnare la loro forza e il loro potere alla bestia».
[18] Apoc. 17,9: «Le sette teste sono i sette colli sui quali è seduta la donna; e sono anche sette re».
[19] «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc. 16,15-16); «Andate dunque e ammæstrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt. 28,19-20); «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati […]» (At. 2,38); ecc…
[20] «[…] colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio».
[21] In c. 11. Daniel.
[22] C. 11. 41. 45. «Pianterà le tende del suo palazzo fra il mare e il bel monte santo».
[23] Dal lat. inclĭtus, variante di inclŭtus, comp. di in- e tema di cluēre o cluĕre «avere fama, esser celebre».

venerdì 28 novembre 2014

VIDEO: Alfonso di Borbone, "Il Re delle Due Sicilie" 1894-1934


Il Conte François-Louis-Antoine di Borbone-Busset



François-Louis-Antoine di Borbone-Busset
François-Louis-Antoine di Borbone-Busset, Conte di Busset , nacque a Saint-Martin-du-Puy (Nièvre), nel Castello di Vésigneux, il 26 agosto 1722, figlio dell'allora Conte di Busset Luigi II (1672-1724). Ricevette fin da subito un educazione impeccabile , come era consuetudine per questo ramo dei Borbone che , pur essendo più antico del ramo che sedeva sul Trono di Francia , rispettava il fatto di essere una ramo "semi-dinastico" , per volere di Luigi XI di Francia, e quindi impossibilitato a prendere possesso del Trono. Non vi furono mai tentativi di usurpazione ai danni della Famiglia Reale da nessun membro dei Borbone-Busset.
 François-Louis-Antoine entrò nel corpo dei moschettieri il 9 Dicembre 1737, ed ottenne una compagnia del reggimento di cavalleria Andlau il 28 agosto 1741. Comandò la sua compagnia all'assedio di Praga nel 1742 e nella battaglia di Dettingen nel 1743. Prestò servizio nell'esercito del Reno nel 1744, fu distaccato presso Weissembourg e messo a capo di due compagnie, che componevano il presidio di quel luogo. Investito dall'esercito asburgico , oppose una strenua resistenza che gli permise di ottenere una capitolazione onorevole. Servì poi nell'Armata del Basso Reno, nella battaglia di Chièvres e nell'asedio di Ath nel 1745.

Promosso Maestro di campo dello stesso reggimento, comandò l'assedio di Bruxelles e la Battaglia di Rocourt nel 1746, la Battaglia di Lauffeldt e l'assedio di Bergen-op-Zoom nel 1747, l' assedio di Maastricht nel 1748, la campagna di Saar-Louis nel 1754,  e la Battaglia di Hastenbeck , dove conseguì il grado di maresciallo d'Estrees , la presa di Minden e Hannover a Camp Clostersevern, e la marcia su Zell nel 1757. Venne ferito nella Battaglia di Rossbach resistendo agli attacchi nemici in attesa della  riserva comandata dal Conte di Saint-Germain .
Promosso generale di brigata nel maggio 1758,  prestò servizio nell'esercito, in Germania, dove combatté nella Battaglia di Krefeld , nella quale venne ucciso il suo cavallo mentre egli lo stava cavalcando in combattimento,  e nella Battaglia Lutzelberg . Servì sulla costa nel 1759 , e venne impiegato nell'esercito della Germania trovandosi a combattere negli scontri di  Corback e di Varbourg .
Nel 1761 servì di nuovo nell'esercito della Germania, comandato dal maresciallo de Broglie , nel quale combatté alla Battaglia di Villinghausen .  Ottenne , il 1 ° agosto 1761, un brevetto che ristabiliva per lui e i suoi discendenti il titolo di cugino del re , del quale avevano goduto i suoi antenati.
Il suo reggimento venne incorporato , per ordinanza del 1° dicembre , a quello de Fumel, per formare il Reggimento Royal-Picardie, e fu allora nominato Maresciallo di Campo. Gli fu data la carica di Primo Gentiluomo della Camera del Conte d'Artois per brevetto del 16 settembre 1770, ed ottenne il grado di Tenente-Generale il 1° marzo  1780.
Allo scoppio della Rivoluzione nel 1789, François-Louis-Antoine  rimase fedele alla Famiglia Reale opponendosi al disordine sovversivo. Morì, pochi giorni prima dell'assassinio del Re Luigi XVI , al Castello di Busset il 16 gennaio 1793.



Fonte:

Jean Baptiste Pierre Jullien de Courcelles, Dictionnaire historique et biographique des généraux français, depuis le onzième siècle jusqu'en 1820, Volume 9, 1823

Scritto da:

Redazione A.L.T.A.

giovedì 27 novembre 2014

Vandea: l'insurrezione cattolica nella Francia giacobina

vandea
 
di Andrea Congestrì - http://radiospada.org/
 
Nel 1793, durante la Rivoluzione francese, si scatenò, nella terra della Vandea, il primo genocidio di Stato della storia occidentale. Il regime rivoluzionario di Parigi venne imposto con la forza nelle province di Francia ed ebbe in Vandea, la più Cattolica di esse, la reazione più coraggiosa e gloriosa. I Blanchs (i vandeani) si contrapposero ai Blues (i giacobini): uniti a Dio e al Re, i contadini della Vandea, con i loro amati sacerdoti e i loro generali, si distinsero per la strenua difesa contro la dea ragione ed il principio deista dell’essere supremo; perciò, a causa del loro fermissimo Credo e della loro fedeltà monarchica, vennero massacrati. Per odio ideologico perirono, in quell’ecatombe, più di 30 mila abitanti. Tuttavia di questo evento storico o si è parlato in termini negativi per esaltare i “benefici” della Rivoluzione e del Terrore sanguinario oppure lo si è del tutto omesso dai libri di storia…Il simbolo della controrivoluzione vandeana era un cuore sormontato da una croce rossa su campo bianco a simboleggiare i Sacri Cuori di Gesù e di Maria, ai quali i vandeani erano particolarmente devoti grazie alla predicazione di San Luigi Maria Grignion de Montfort; inoltre tale simbolo richiamava anche lo stemma della Vandea, anch’esso formato da due cuori rossi (quelli di Gesù e Maria) sormontati da una corona che termina con una croce e che rappresentare la regalità di Cristo. Il motto era «Dieu Le Roi» («Dio [è] il Re»).L’odio per la profonda Fede religiosa dei vandeani fu la ragione principale della spaventosa repressione e delle stragi indiscriminate. Il Terrore si scatenò contro la Fede e contro contadini che volevano continuare a vivere del loro lavoro e dei loro Valori. I primi scontri, iniziati a Cholet, portarono alla sollevazione del 13 Marzo, guidata dai capi popolari Jacques Cathelineau, Gaston Bourdic e Jean-Nicolas Stofflet, a cui si unirono alcuni nobili realisti.In giugno i ribelli, costituitisi in “Armata Cattolica e Reale”, si impossessarono della città di Saumur e di Angers. In pochi giorni 600 paesi della Vandea sono insorti contro le truppe della Repubblica, dando inizio a un tragico periodo di Combattimenti sanguinosi. I contadini devoti al Re combattono una spaventosa guerriglia; si fanno benedire dai Sacerdoti “refrattari” e poi si lanciano con coraggio inaudito contro i soldati della Rivoluzione. Di fronte al dilagare della rivolta nelle regioni circostanti, il governo rivoluzionario rispose con estrema durezza decretando la pena di morte per tutti i vandeani sorpresi con le armi in pugno e adottando la tattica della terra bruciata. La controffensiva repubblicana, che sbaragliò i ribelli a Cholet (17 ottobre),poi a Le Mans e a Savenay (Dicembre), costò ai Vandeani 15.000 Morti e fu seguita nel 1794 da feroci ritorsioni sulla popolazione civile, che fomentarono ulteriori manifestazioni di rivolta. La situazione migliorò gradualmente dopo la rivoluzione termidoriana quando nel dicembre del 1794 quando il governo repubblicano liberale annunciò l’Amnistia per gli insorti concedendo ai Vandeani la libertà di culto e l’esenzione della coscrizione obbligatoria. Un nuovo sussulto fu provocato nel giugno del 1795 in seguito allo sbarco di esuli lealisti capeggiati da Francois-Athanase Charette, uno dei leader storici della rivolta presso Quiberon, in Bretagna. Nel tentativo insurrezionale che seguì persero la vita gli ultimi 2 capi popolari della Vandea, e nel luglio 1796 le ultime sacche di resistenza furono eliminate. Alla fine della breve guerra i tribunali rivoluzionari condannarono a morte 5.000 Ribelli.
 
ONORE AI VALOROSI CUORI VANDEANI!

mercoledì 26 novembre 2014

Tolkien: il dono della speranza

Listener (1)
 
È un libro piccolo, delicato, quello che Edoardo Rialti, docente di Letteratura comparata e giornalista de “Il Foglio”, dedica a J. R. R. Tolkien, uno dei maestri della letteratura contemporanea. Del romanziere che ha cambiato per sempre i canoni del genere fantasy si è già scritto molto, nel passato così come negli ultimi anni, in particolare dopo l’uscita delle pellicole di Jackson e il rinnovato interesse per le sue opere; e anche in Italia esiste ormai una bibliografia praticamente sterminata sull’argomento. Cosa offre di nuovo il libro di Rialti rispetto a una concorrenza che, come detto, è piuttosto folta?
Con la scrittura piana e lineare che lo contraddistingue, appena mossa da una velata ironia o da una breve citazione che fa vibrare le corde del cuore, l’autore non ha alcuna pretesa di esaustività biografica o critica, ma pone il lettore nell’inedita e scomoda posizione di incontrare semplicemente un uomo, schizzato in un minuto quadro biografico, e quel “gusto” di singolare passione che Tolkien provava per l’esistenza.
La lunga sconfitta, la grande vittoria, pubblicato dalla casa editrice Cantagalli di Siena, è dunque un breve viaggio negli occhi e nel cuore dell’autore de Il Signore degli anelli. Diviso in piccoli capitoli, il testo invita il lettore all’incontro umanissimo con i genitori di Tolkien, la moglie Edith, gli amici e i tanti che, nelle loro esistenze, sono stati toccati dalla parola o dagli scritti dell’introverso filologo inglese. Un signore mite, riservato, ma che non provava remora alcuna nello scagliarsi contro quelli che considerava i mali della modernità: dalle polemiche contro i baroni universitari alla difesa della sua opera, Tolkien, come uno dei cavalieri delle tanto amate saghe epiche, condusse una vita di autentica militanza, sguainando fiero, in ogni occasione, la spada della Chiesa e di Cristo.
È così che nascono capolavori come Lo Hobbit e Il Signore degli anelli, grandi avventure che rendono ragione, su scala universale, della personale battaglia contro l’anello, il simbolo del peccato e dell’orgoglio. Pur considerando l’esistenza terrena una lunga sconfitta – e non potrebbe essere altrimenti per l’inglese, proveniente da un paese in cui i cattolici, eterna minoranza, vennero perseguitati per molti secoli – la sua opera è, in realtà, un grande elogio della speranza, la testimonianza convinta di chi confida nella misericordia divina, nello sguardo pietoso del Cristo, l’unico in grado di sollevare gli uomini oltre le loro miserie per garantire loro una vittoria eterna, l’unica autentica e sincera.
L’invito, dunque, è quello di fare della “follia” il principio esistenziale. Ma non si tratta della follia, vera o presunta, del cosiddetto alternativo o del politicamente scorretto. Si tratta della follia del santo, di colui che, pur accettando le regole d’ingaggio del mondo moderno, ne rifiuta la mentalità, gli schemi, i giudizi, le imposizioni. L’unico modo per cui è possibile sfidare il male, il terribile e logico Saruman, è proprio quello di tradire ogni sua aspettativa, di rinunciare a tutto, alla gloria e al potere, a quell’anello che, appunto, solamente una pazzo distruggerebbe. Eppure Frodo alla fine compie la sua missione.
Nell’hobbit mite e pacato che, all’improvviso, si trova coinvolto nell’impresa della vita, si possono scorgere innumerevoli tracce di J. R. R. Tolkien. E le loro biografie proseguono parallele, le loro e quelle di tutti gli uomini coinvolti, giorno dopo giorno, nelle sfide e negli imprevisti del quotidiano. Siamo come alberi, costantemente sotto il vento freddo della tempesta ma, grazie a Dio – è proprio il caso di dirlo – stabili perché colmi di una segreta speranza: «Le radici profonde non gelano».
 
 Luca Fumagalli - http://radiospada.org/
 
  1. RIALTI, La lunga sconfitta, la grande vittoria. La vita e le opere di J.R.R. Tolkien, Siena, Cantagalli, 2014, pp. 136, 10 Euro.

'Vaticano II, cavallo di Troia del mondialismo' (Radio Spada e LoSai)

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Un trono vuoto? Risposta a LP sul caso Bergoglio

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di Guido Ferro Canale - http://radiospada.org/
 
Su Unavox è apparso l’articolo “Sedevacantismo ovvero l’inconsistenza ideologica”, a sigla L.P., che esprime il proprio disaccordo rispetto al mio “Il Vescovo di Roma: lo scisma latente e la sede vacante”, pur apprezzandolo – del che ringrazio l’Autore – per “ottima fattura, stile e qualità discorsiva”. Ad avviso di L.P., avendo io espresso “la convinzione che papa Bergoglio stia attuando e conducendo un magistero teso allo scisma”, era opportuno contestare e “smentire la teoria sedevacantista” avvalendosi “non di brocardi e di canoni ma di sei episodî tratti dai Vangeli”. Egli afferma, dunque, “che l’attuale pontificato, come altri precedenti […] è legittimo ancorché in puzzo di scisma o di eresìa appaia il pastore”; più oltre specifica che “un magistero erroneo qualifica un papa come erroneo ma non ne abolisce la dignità e non ne interrompe la successione apostolica”; e conclude domandosi “Ed allora, a che tutto questo fermento che, in certe frange di cattolicesimo così detto ‘tradizionalista‘, caldeggia la teoria del ‘trono vuoto’?. Contendere col vuoto ci sembra, sotto l’aspetto dialettico, non solo azione donchisciottesca ma magra raccolta di frutti. Se un’entità non esiste a che vale darle di scherma rimproverandole proprio il fatto di essere inesistente e vuota? […] combattere ed opporsi al secolarismo sempre più marcato del magistero ecclesiale ha senso solo se si considera come legittimo successore di Pietro l’attuale occupante il suo trono. Diversamente, diretta contro un inesistente bersaglio, la correzione fraterna si perde nel vuoto.”.
Se ho compreso correttamente il ragionamento, L.P. sostiene che quand’anche il Papa commettesse il delitto di eresia o di scisma, comunque non perderebbe l’ufficio (suppongo che per “successione apostolica” egli intenda “successione petrina”). Egli vorrebbe provare quest’asserto tramite episodi storici, peraltro appena accennati tranne gli esempi di Bonifacio VIII e Niccolò III, in realtà non pertinenti perché relativi a delitti di simonia; ma soprattutto sui passi delle Scritture intorno al conferimento del Primato, al Vade retro Satana e al rinnegamento di Pietro, al contrasto con S. Paolo ad Antiochia, etc., nell’intento di dimostrare che né Cristo revocò a Pietro quanto gli aveva conferito, né gli Apostoli – nel tempo tra il rinnegamento e il Pasce oves meas – lo considerarono decaduto, né mai in seguito S. Paolo o altri fecero legittimamente valere una decadenza dalla carica. Sicché, egli può concludere che la promessa di Cristo (“Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”) si intende mantenuta anche tramite l’ininterrotto presidio della Sede Apostolica, pur quando il Pontefice versi in colpe gravi o in errori dottrinali.
Sarebbe fin troppo facile replicare che quel “tutti i giorni” non va preso troppo alla lettera, dati i trentatré mesi di vacanza dal 1268 in poi; e non cito il Grande Scisma d’Occidente, dato che, dopotutto, un Papa legittimo c’era. Né mi pare necessario osservare che le mie critiche, come pure quelle dei sedevacantisti in genere, non si appuntano certo sul trono vuoto, ma semmai sulle persone fisiche che lo occupano, la cui esistenza non mi sembra contestabile! Peraltro, al trono in quanto trono non si potrebbe comunque rivolgere una correzione fraterna.
Invece, desidero precisare, in primo luogo, che le mie considerazioni non muovevano e non muovono dal magistero di Bergoglio – come sembra aver inteso L.P. – ma dalla sua condotta complessiva, e per questo ho ipotizzato lo scisma, anziché l’eresia. Peraltro, delitto di scisma commesso per concorso, non in proprio. Sempre per tale ragione ho potuto affermare che questa mia ipotesi prescinde da  qualunque giudizio sul Concilio e il post-Concilio e che potrebbe risultare accetta anche ai più accesi “continuisti” (mi scuso per il refuso “continuasti”). Aggiungo, per quanto possa occorrere, che la mia posizione su questi temi non è quella che forse si aspetterebbe L.P., o che normalmente professano i sedevacantisti: ritengo, infatti, che i documenti del Concilio Vaticano II meritino svariate censure teologiche, sia rispetto alla forma espressiva, sia anche riguardo alla sostanza, ma che esse, per quanto gravi, non raggiungano l’eresia vera e propria; i Papi del post-Concilio, poi, hanno senz’altro alimentato una gran confusione spirituale, prima ancora che dottrinale, e nel corpus sterminato del loro insegnamento si trovano (anche) asserti che vanno dall’infelicissimo all’indifendibile… però, almeno a mio avviso, non possono essere definiti “eretici notori e pertinaci”. Di conseguenza, io riconosco come legittimi i Pontefici fino a Benedetto XVI incluso; ma ai miei occhi il “caso Bergoglio” è diverso, perché può essere affrontato sub specie schismatis, e offre a tutto il variegato arcipelago “tradizionalista”, o perfino “conservatore”, la possibilità di convergere nel giudizio sulla vacanza della Sede. (Ho dimenticato, semmai, e me ne scuso, di citare un altro autore che ha avanzato un’ipotesi simile, l’abbé de Nantes nel suo Libellus accusationis).
Tanto premesso, veniamo al punto: L.P. non afferma affatto una continuità a prescindere e, se ho capito bene, neppure l’impossibilità che il Papa cada in eresia o commetta il delitto di scisma; ma è sostenibile la tesi secondo cui, perfino in tali disgraziatissime ipotesi, egli resterebbe Papa?
A parer mio, si tratta di una sentenza temeraria, perché senza motivo si discosta da quella comune tra gli autori approvati. Desidero osservare, peraltro, che il diritto canonico forma parte integrante dell’arsenale argomentativo del teologo (i cc.dd. loci theologici) e che l’auctor classicus in materia, Melchior Cano (De locis theologicis I, 3), accomuna in uno stesso locus, il settimo, canonisti e teologi (“auctoritas theologorum scholasticorum, quibus adiungamus etiam juris pontificii peritos”). Nei loci, invece, non rientrano le cc.dd. “rivelazioni private”, mentre gli argomenti di ragione, tra cui quelli desunti dalla Storia, occupano il posto più debole (cfr. ibid., I 2: “Utraque igitur theologo necessaria est, et auctoritas et ratio: sed ita tamen, ut auctoritas primas in theologia partes obtineat, ratio vero habeat postremas. […] Nam traditi sunt quidem, e quibus argumenta ducuntur, duplices loci, uni ex auctoritate, alteri ex ratione: sed omnia ferme argumenta theologica a priore illo fonte derivantur.”; nello stesso senso, Summa Theologiae, I, qu. 1, a. 8). Restano, è vero, gli argomenti scritturistici; ma appunto per questo la sentenza di L.P. deve qualificarsi temeraria, perché non ha tenuto conto del fatto che gli autori approvati, pur conoscendo (ovviamente), la Scrittura, sono concordi nell’ammettere che, ove il Papa cada in eresia o commetta scisma, la Sede divenga vacante. 
A conferma, mi limito, qui, a citare “soltanto” due Dottori della Chiesa, Roberto Bellarmino e Alfonso Maria de’ Liguori. Quest’ultimo, in Verità della Fede…, cap. IX, scrive da difensore del Pontefice e della sua superiorità sul Concilio, ma non mette affatto in dubbio che egli, caduto in scisma o in eresia, dal Concilio possa essere giudicato: “quando in tempo di scisma si dubita chi sia il vero papa, in tal caso il concilio può essere convocato da’ cardinali e da’ vescovi; ed allora ciascuno degli eletti è tenuto di stare alla definizione del concilio, perché allora si tiene come vacante la sede apostolica. E lo stesso sarebbe nel caso che il papa cadesse notoriamente e pertinacemente in qualche eresia. Benché allora, come meglio dicono altri, non sarebbe il papa privato del pontificato dal concilio come suo superiore, ma ne sarebbe spogliato immediatamente da Cristo, divenendo allora soggetto affatto inabile e caduto dal suo officio. […] (fuori del caso di scisma o di eresia, come si è detto di sopra) il concilio non ha alcuna autorità, poiché il concilio non è altro che la congregazione de’ vescovi costituita sotto del capo, qual è il papa […] Rispondiamo non dubitarsi che in qualche caso il concilio può esser giudice del papa, ma quando? In due soli casi: quando il papa è eretico dichiarato o quando è dubbio, siccome abbiamo veduto essersi proceduto nel concilio pisano e costanziese; ma fuori di questi due casi il concilio non ha alcuna autorità sopra de’ pontefici, ma il concilio è tenuto ubbidire al papa, come abbiam provato di sopra con tanti attestati degli stessi concilj.” (ivi, §1 nn. 2-3 e §4, n. 63). Anzi, egli asserisce espressamente: “noi rispondiamo non esser dubbio che il papa possa essere deposto dal concilio, quando fosse stato dichiarato eretico, come quegli che definisse una dottrina opposta alla divina legge” (ivi, §4, n. 65). Mi permetto di aggiungere che la funzione del Concilio in caso di Papa dubbio (per scisma o per eresia) è ammessa addirittura da Joseph de Maistre come possibilità “de certifier la personne du Pape” [J. De Maistre, Du Pape, Lyon 1819, pag. 126].
Veniamo, invece, al Bellarmino, che affronta ex professo la questione del Papa eretico, ma svolge un ragionamento perfettamente applicabile anche allo scisma. Giova osservare, in primo luogo, che per il Santo Cardinale non si tratta affatto di questioni meramente ipotetiche (come invece per il Billot), giacché egli, pur reputando probabilis che, per una speciale assistenza di Dio, il Papa non possa mai cadere in eresia, riconosce che la sentenza contraria è altrettanto probabilis e, anzi, communis. Soprattutto, egli discute le conseguenze e respinge, inter cetera, proprio la tesi che mi sembra di dover ascrivere a L.P.:  “Tertia opinio est […] papam neque per haeresim occultam, neque per manifestam, esse depositum aut deponi posse. Haec refert et refellit Turrecremata loc. not. et sane est opinio valde improbabilis. Primo, quoniam haereticum papam posse judicari, expresse habetur can. “Si papa” dist. 40, et apud Innocentium serm. 2 de consecr. pontif. Et quod majus est in VIII synodo act. 7 recitantur acta concilii romani sub Hadriano, et in his continebatur, Honorium papam jure videri anathematizatum, quia de haeresi fuerat convictus, ob quam solam caussam licet minoribus judicare majores. Ubi notandum est, quod etsi probabile sit, Honorium non fuisse haereticum, et Hadrianum II papam deceptum ex corruptis exemplaribus VI synodi, falso putasse Honorium fuisse haereticum; tamen non possumus negare, quin Hadrianus cum romano concilio, immo et tota synodus VIII generalis senserit, in caussa haeresis posse romanum pontificem judicari. Adde, quod esset miserrima conditio Ecclesiae, si lupum manifeste grassantem, pro pastore agnoscere cogeretur.” (Controversiae, Lib. II De Romano Pontifice, cap. XXX). Si noti che egli fa ricorso sia al diritto canonico – Decretum Gratiani, dist. XL can. 6, Si Papa – sia al Magistero di Innocenzo III e dei Concili sotto Adriano II, ma aggiunge che sarebbe infelicissima la condizione della Chiesa costretta a riconoscere come Pastore un lupo, pur avendo poc’anzi riconosciuto, con il Gaetano e con Torquemada senior, il diritto di resistenza attiva e passiva contro il Pontefice che abusa della propria Autorità (cfr. ibid., cap. XXIX, arg. septimum).
Fatto anche più importante ai nostri fini, il Bellarmino accomuna, di fatto, l’ipotesi del Papa eretico a quella del Papa scismatico, come si ricava dall’esposizione e dalle autorità addotte, ad es. Cipriano, che si occupava appunto di uno scisma di Papi (Novaziano/Cornelio) e affermava che il primo, se anche fosse stato vero e legittimo Pontefice, sarebbe comunque decaduto se si fosse separato dall’unità della Chiesa: “Est ergo quinta opino vera, papam haereticum manifestum per se desinere esse papam, et caput; sicut per se desinit esse christianus et membrum corporis Ecclesiae: quare ab Ecclesia posse judicari et puniri. Haec est sententia omnium veterum Patrum, qui docent, haereticos manifestos mox amittere omnem jurisdictionem, et nominatim Cypriani lib. 4 epist. 2, ubi sic loquitur de Novatiano, qui fuit papa in schismate cum Cornelio: Episcopatum, inquit, tenere non posset, et si episcopus primus factus, a coepiscoporum suorum corpore et ab Ecclesiae unitate discederet. Ubi dicit Novatianum, etsi verus ac legitimus papa fuisset, tamen eo ipso casurum fuisse a pontificatu si se ab Ecclesia separaret.Eadem est sententia doctissimorum recentiorum ut Jo. Driedonis, qui lib. 4 de Script. et dogmat. Eccles. cap. 2 par. 2 sent. 2 docet, eos tantum ab Ecclesia separari, qui vel ejiciuntur, ut excommunicati, vel per se discedunt et oppugnant Ecclesiam, ut haeretici et schismatici. Et sententia septima dicit, in iis, qui ab Ecclesia discesserunt, nullam prorsus remanere spiritualem potestatem super eos, qui sunt de Ecclesia. Idem Melchior Canus, qui lib. 4 de loc. cap 2 docet, haeretics non esse partes Ecclesiae, nec membra, et cap. ult. ad argument. 12 dicit, non posse vel cogitatione informari, ut aliquis sit caput et papa, qui non est membrum neque pars. Et ibidem disertis verbis docet, haereticos occultos adhuc esse de Ecclesia, et partes, ac membra, atque adeo papam haereticum occultum adhuc esse papam. Eadem est aliorum etiam, quos citavimus in lib. 1 de Eccles.” (Ibid., cap. XXX). Supra nel testo, egli non manca di richiamarsi, quanto all’immediata perdita di giurisdizione da parte degli scismatici, anche all’Aquinate (Summa Theologiae, II-II qu. 39 art. 3); e afferma, almeno riguardo all’eresia (ma riferendosi anche a Cipriano), che si tratta di un principio desunto ex natura haeresis, non dal diritto umano. Come potrebbe essere Capo colui che – per volere proprio – neppure è membro?
Si potrebbe obiettare che la contrapposizione tra due (o più) pretendenti alla Sede Apostolica sia un caso radicalmente diverso dal concorso nello scisma altrui; questo sarebbe vero se si pensasse al caso di Costanza, alla Cristianità divisa su un caso eclatante di Papa dubbio; ma S. Cipriano, se non erro, scrive per ben altra ipotesi, in cui l’Episcopato si è schierato compatto per Cornelio, e per questo scrive che Novaziano avrebbe perso comunque la carica, perché si sarebbe trovato nella condizione “classica” del Papa scismatico – la menziona ancora il Billot – che vellet totam Ecclesiam excommunicare. Questo a prescindere dal fatto che, a prescindere dai torti e dalle ragioni iniziali, i diversi pretendenti al Soglio avrebbero l’obbligo di adoperarsi per comporre la frattura… pena, in difetto, il concorso nello scisma, ancorché da loro non iniziato.
Inoltre – e qui torna utile il locus theologicus del diritto canonico vigente – il CIC 1983 segue lo stesso ragionamento del Bellarmino, nella disciplina generale degli uffici ecclesiastici, e lo applica espressamente anche allo scismatico, che, come l’apostata e l’eretico, è automaticamente rimosso (cann. 1364 e 194 §1 n. 2), se sia pubblico il suo abbandono della Fede o della comunione (qui… publice defecerit). Rimosso e non privato: non si tratta di una sanzione penale aggiuntiva, ma della perdita di una qualità necessaria al possesso dell’ufficio (essere in comunione con la Chiesa è il primo dei requisiti enunciati al can. 149). Come si vede, non è necessario rifarsi né al CIC 1917 né alla Bolla di Paolo IV.
Invero, la condotta di Bergoglio è sotto gli occhi di tutti; la sua contrarietà ai doveri propri del Papa è percepita, almeno a livello intuitivo, da tutti i fedeli non inebriati dal modernismo (e ne fa fede il loro disagio); tanto basta perché la Sede sia vacante, non richiedendosi certo la notorietà della qualificazione giuridica della condotta (inoltre, a mio avviso, publice, nel can. 194, è meno di notorie). E’ vero che lo stesso can. 194 prevede che la rimozione possa essere fatta valere solo previa dichiarazione scritta dell’autorità competente e che, a norma del can. 1332 §2 n. 2, gli atti compiuti dall’usurpatore dell’ufficio siano nulli solo se la scomunica è stata irrogata o dichiarata; ma si tratta di considerazioni che attengono agli effetti della rimozione, non alla sua esistenza.

L’etica democristiana e anticristiana del male minore

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Di Isacco Tacconi - http://radiospada.org/
 
Il 20 novembre scorso sul blog “Libertà e Persona” è apparso un intervento di Fabrizio Cannone, buon amico che stimo con affetto sincero, ma che mi ha lasciato piuttosto scosso per le conclusioni etico-pratiche che ne scaturiscono. Il tema è quello della moralità della scelta del male minore, la quale, secondo il Nostro, in certi casi diverrebbe ben più di un’opzione possibile bensì un dovere. Ebbene, vediamone i presupposti e i risvolti.
Cannone si scaglia contro “i puristi, o teorici del non-male minore”, che si oppongono ostinatamente ad ogni tipo di legge iniqua, per esempio, dice lui, anche ad una ipotetica legge compromesso che chiama “195”, che limiterebbe l’aborto entro il primo mese di gravidanza. Costoro, secondo Cannone, sarebbero addirittura colpevoli e responsabili dei bambini che continuano ad essere abortiti fino al terzo mese a causa della legge 194. La loro colpa risiederebbe nel non opporsi positivamente votando il governo “meno peggio” o la legge, appunto, del “male minore”. Ossia, Cannone fa un’affermazione, a mio avviso, gravissima, secondo cui coloro che votassero una legge che “limitasse” il numero degli aborti (per esempio la 195), senza eliminarli, e ne consentisse, però, un numero limitato, non sarebbero responsabili di quei “pochi” aborti, anzi prenderebbero il merito di aver fatto uccidere, per esempio, soltanto 5 bambini su 10. Mentre chi si astenesse dal votare una tale legge “compromesso” lasciando che i “cattivi” approvino una legge che consente un numero maggiore di aborti, sarebbe responsabile di tutti gli aborti commessi in seguito a tale legge, per esempio, 8 bambini su 10.
L’assurdità di questa congettura è talmente smisurata che mi sconcerta il solo riflettervi per confutarla. Ma confutarla bisogna, per onore della Verità.
La radice di questa etica del “male minore” nasce da un rassegnato giudizio di realtà secondo cui: “le cose ormai stanno così, ed è inutile pensare di vivere in una società ideale altra da quella presente, perciò sfruttiamo tutto ciò che possiamo per il bene anche se ciò comporta dei sacrifici in termini di verità e di bene assoluti”.
Questa è, a mio avviso, una tentazione umana priva di fede e di speranza soprannaturale. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la vita di ogni uomo, come quella della società, non può e non deve essere schiava di un determinismo storicista che ne detti le regole del gioco. I cattolici non potranno e non dovranno mai acconsentire ad un sistema radicalmente corrotto e anticristiano come quello democratico di stampo rousseauiano. Il cedere sulla verità tutta intera per una disillusa accettazione degli eventi ormai ineluttabili, ha portato ai mostri delle leggi 194 e 40 con i loro milioni di aborti “umanitari”.
Ma perché mai parte del mondo cattolico, diciamo, “conservatore” rifiuta ogni strenua opposizione alla dittatura liberal-democratica? Io credo perché essa ci dà l’illusione di avere un potere decisionale, di poter noi popolo in quanto popolo determinare il nostro regime di governo, di essere noi i veri “governanti” che decidono a chi affidare lo scettro del comando, se a questo o a quel candidato politico.
Tuttavia il potere decisionale, ossia l’autorità, non spetta al “popolo”, l’autorità è dispensata dall’alto e non dal basso, per questo la democrazia è contro natura. Il Diritto, sia naturale che positivo, è radicato in Dio fonte di ogni norma, e Iddio non ha dato all’uomo il permesso di mettersi al di sopra del diritto naturale divino, bensì di osservare ed applicare le leggi che Egli ha stabilito ab aeterno et in aeternum. Non sono i figli che scelgono il padre, né un padre potrebbe mai gettare la responsabilità dei propri errori sui figli, allo stesso modo non si può pretendere che la responsabilità delle colpe dei politici siano da riferire agli “elettori” giacché non spetta a loro tale onere. Tanto più sapendo, se non viviamo in un mondo ideale, che le decisioni importanti per i popoli vengono prese in luoghi e sedi che non sono le aule parlamentari. L’illusione della democrazia, ossia che il popolo sia depositario di un reale potere decisionale è il più grande inganno della Storia. E’ la vecchia menzogna satanica del “sarete come dèi”, che illude i popoli di essere loro stessi ad autodeterminarsi e a mettere a proprio capo il re, il politico, il presidente o il vitello d’oro da loro scelto o fabbricato. Se cadiamo nella trappola democratista, ovviamente dobbiamo sottostare anche alle regole del suo gioco, che non abbiamo fatto noi, né tantomeno Dio, ed accettare di conseguenza la logica del male minore.
Tale logica ci porta a pensare di dover cedere qualcosa al nemico pensando così di guadagnare poco a poco del terreno. Una sorta di partita a scacchi o meglio ancora a Risiko. Tutto questo, però, è umano, troppo umano, ossia politico e non ha niente di soprannaturale né dello sguardo di fede che un cattolico dovrebbe avere sulla Storia e gli eventi.
Consideriamo, poi, che Cannone introduce il suo articolo con una citazione di San Tommaso d’Aquino che recita: “Un artefice sapiente produce un male minore per evitarne uno maggiore: come il medico taglia un membro perché l’intero corpo non perisca”. Tale citazione, estrapolata e decontestualizzata, viene utilizzata per giustificare la tesi secondo cui una legge abortista, diciamo, di “ripiego” sia un effettivo male minore da preferire rispetto ad una legge abortista tout court. Ma proviamo ad applicarla così com’è al caso dell’aborto: il membro tagliato dal “medico sapiente” non sarebbero altro che i sei milioni di bambini abortiti dal 78 ad oggi: una tesi più machiavellica che tomista.
Non dimentichiamoci, inoltre, che fu proprio in virtù di un falso “male minore” che venne approvata l’iniqua legge 194 secondo il principio perverso: piuttosto che gli aborti clandestini meglio regolamentare l’aborto, almeno tuteliamo la salute della donna.
Inoltre, bisogna tenere presente che il male minore, sia in san Tommaso che in tutta l’etica filosofica nonché nella teologia morale, è un’eccezione non la regola dell’agire universale. Perciò è profondamente fuorviante applicare ad una legislazione l’eccezione alla norma morale.
Aggiungiamo che gli esempi addotti da Cannone nel suo articolo sono del tutto fuori luogo. La dispensa particolare tratta da un pronunciamento della penitenzieria del 1800 su un caso più unico che raro, può mai giustificare il male morale, minore o maggiore non fa differenza, al livello di una intera nazione? La sentenza richiamata nell’articolo, era rivolta al singolo, e tali casi sono riservati, non a caso, al discernimento del padre spirituale o dell’ordinario. Costui, nel caso specifico hic et nunc, saprà giudicare secondo l’epicheia o aequitas dispensando, ben attenti, in via del tutto eccezionale, da alcuni doveri per salvaguardare un bene maggiore. Ma da qui ad applicare una tale eccezione particolare alla norma universale ce ne passa.
Tanto più se comprendiamo lo scopo pedagogico-educativo che hanno le leggi. La legge non risolve soltanto i problemi immediati ma crea un precedente e stabilisce un principio morale secondo cui, in alcuni casi l’aborto è permesso. Non ci basta il triste esempio della legge 40 sulla fivet? L’hanno voluta, l’hanno celebrata come un “primo passo”, come una regolamentazione del far west della produzione embrionale, ed ora è stata logicamente superata dagli eventi, giacché gli argini etici erano già stati rimossi. Ossia, se si avalla il principio secondo cui in alcuni casi, seppur limitatissimi e ristretti, l’aborto è lecito gli argini sono stati già rotti e il vaso di Pandora scoperchiato. L’uccisione dell’innocente non sarà mai lecita neppure se fosse uno contro dieci: nessuno ci autorizza a decidere chi e in che misura sia sacrificabile per la “causa”.
D’altra parte questa è l’etica di Caifa che misura il bene in numeri, e non secondo giustizia: “Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera” (Gv 11,49-50). Fu in base a questo stesso principio che Nostro Signore fu ignominiosamente condannato a morte: la morte di Cristo era il “male minore”.
Gli altri esempi che Cannone pone a sostegno della sua tesi conducono inesorabilmente fuori strada. Infatti, il porre in opposizione la preghiera quotidiana di 5 ore a quella di 3 ore, o una Santa Messa quotidiana invece che tre Messe quotidiane non ha nulla a che vedere con il male minore giacché non sono l’una un bene e l’altra un male, ma sono due beni oggettivi, e non è assolutamente vero che sono migliori, in assoluto, 5 ore di preghiera rispetto a 3. San Francesco di Sales ne dà la prova: “Ti sembrerebbe giusto che un vescovo pretendesse di vivere come un certosino? E che dire di gente sposata che non volesse mettere da parte qualche soldo più dei cappuccini? Di un artigiano che passasse le sue giornate in chiesa come un religioso? E di un religioso sempre alla ricerca di servizi da rendere al prossimo come il vescovo? Non ti pare che una tal sorta di devozione sarebbe ridicola, squilibrata e insopportabile? […]. L’esercizio della devozione deve essere proporzionato alle forze, alle occupazioni e ai doveri dei singoli”[1]. Il confronto e la scelta, quindi, deve essere tra un bene e un male, non tra due beni.
Il nostro Cannone, poi, fa confusione tra male morale e male metafisico. Il primo è un male assoluto, mai lecito, come una bugia pietosa, mentre il secondo è un male relativo, come la morte o una malattia. Nella tesi di Cannone, dunque, il male minore, che è sempre e comunque un male morale, diviene quasi un bene oggettivo e anzi doveroso, con il risultato che si cade nel primato della prassi sulla dottrina, che è lo stesso identico principio che ha mosso le tesi del card. Kasper & co. nell’ultimo sinodo sulla famiglia: adattare la verità alla necessità contingenti.
In questa sede, infine, vorrei additare il lavoro e l’esempio di Mario Palmaro, un uomo tutto cattolico, pieno di carità e di chiarezza intellettuale, il quale forse meglio di chiunque altro ha messo in luce la giusta prospettiva che il cattolico deve adottare di fronte all’abominio della desolazione presente. Tutto il suo operato e la sua eredità di bioeticista e di filosofo del diritto può essere riassunta in queste luminose parole del Nostro Salvatore: “Chiunque, dunque, violerà uno di questi minimi comandamenti e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà ritenuto minimo nel regno dei Cieli: chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei Cieli” (Mt 5,19).
 
[1] SAN FRANCESCO DI SALES, Filotea. Introduzione alla vita devota, cap. III.

martedì 25 novembre 2014

“Massoni ambivalenti su Renzi. Il vero potere? Napolitano-Draghi”





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ANTEPRIMA/ MERKEL, PUTIN, OBAMA,XI JIMPING, LAGARDE, PADOAN, GANDHI, REAGAN, MANDELA, JFK, PAPA GIOVANNI, AGNELLI, CLINTON E BLAIR. GIOELE MAGALDI, GRAN MAESTRO DEL GRANDE ORIENTE DEMOCRATICO RIVELA LE LISTE DELLE SEGRETISSIME UR-LODGES MASSONICHE. SCONVOLGENTE LA TEORIA SULL’ISIS: “IL LEADER AL-BAGHDADI LIBERATO DAGLI USA DOPO ESSERE DIVENTATO MASSONE. LA JIHAD È ETERODIRETTA PER PORTARE UN NUOVO BUSH ALLA CASA BIANCAE A INFINITE GUERRE. E SULL’11/9…”

LE TEORIE SU RENZI/ Magaldi: “Il premier vuole entrare nella superloggia conservatrice Three Eyes, la stessa dei veri potenti Napolitano e Draghi. Ma i massoni verso di lui sono ambivalenti e non si fidano della sua ambizione.L’editoriale di De Bortoli? Scritto su richiesta di Draghi…”
Esce con Chiarelettere il libro “Massoni” di Gioele Magaldi (Grande Oriente Democratico). Un libro che sicuramente farà discutere. Sedetevi e fate un bel respiro: nel libro trovate storia, nomi e obiettivi dei massoni al potere in Italia e nel mondo, raccontati da autorevolissimi insider del network massonico internazionale, che per la prima volta aprono gli archivi riservati delle proprie superlogge (Ur-Lodges).
Le liste che leggerete sono sconvolgenti. Una battaglia per la democrazia. Tra le Ur-Lodges neoaristocratiche, che vogliono restaurare il potere degli oligarchi, e quelle progressiste, fedeli al motto “Liberté Égalité Fraternité”, è in corso una guerra feroce.
L’ultimo atto è già iniziato, come rivela Magaldi con la rottura della pax massonica stilata nel 1981: il patto “United freemasons for globalization”. Una rilettura esplosiva del Novecento nei suoi momenti più drammatici – la guerra fredda, gli omicidi dei fratelli Kennedy e di M. L. King, gli attentati a Reagan e a Wojtyla – arrivando fino al massacro dell’11 settembre 2001 e all’avanzata dell’Isis. “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges” è il primo volume di una trilogia che offre un’inedita radiografia del potere.
LE LISTE - Le liste di presunti massoni fatte da Magaldi nel libro è assolutamente sconvolgente. Si parte dal massone ante litteram Giordano Bruno per arrivare a Napolitano, Draghi, Berlusconi, Hollande, Merkel, Putin, Gandhi, Papa Giovanni XXIII, Mozart, Mazzini, Garibaldi, Obama, Chaplin, Lagarde, Blair, Padoan, Roosevelt e tantissimi altri. Già, perché, afferma Magaldi, “se non sei massone non hai alcuna chance di arrivare al vero potere”.
BERLUSCONI – Tra i nomi fatti da Magaldi c’è anche Silvio Berlusconi, descritto come “un attento cultore di astrologia, uno studioso di esoterismo egizio,  un frequentatore del milieu massonico internazionale con strette relazioni negli ambienti latomistici angloamericani più conservatori”.
RENZI-NAPOLITANO-DRAGHI E L’EDITORIALE DI DE BORTOLI – Secondo Magaldi il pallino in mano, per quanto riguarda l’Italia, ce l’hanno in mano Napolitano e Draghi, che per Magaldi sarebbero massoni, apprezzati e influenti anche a livello internazionale. Discorso diverso per Renzi. Magaldi descrive Renzi come “un aspirante massone elitario” al quale “ancor non è stato accordato l’accesso a una almeno delle superlogge sovranazionali”. L’obiettivo di Renzi, secondo Magaldi, sarebbe quello di entrare “non presso il Grande Oriente d’Italia o presso qualche altra comunione massonica ordinaria, su base nazionale italiana o estera. No, il premier italiano punta molto più in alto. Egli vorrebbe essere iniziato presso la Ur-Lodge Three Eyes, la medesima superloggia cui sin dal 1978 fu affiliato Giorgio Napolitano. La stessa superloggia cui è affiliato Mario Draghi”. (—) “Il problema è che la sua domanda di affiliazione non è stata ancora accolta perché i vari Dragji, Napolitano, Merkel, Weidmann, Schauble, Trichet, Rutte, Sutherland, ecctera non si fidano di Renzi waanabe massone. Considerano Renzi un narcisista, uno spregiudicato e indisciplinato arrivista. Figuriamoci quanto poco venga apprezzato da questi ambienti l’asse Berlusconi-Renzi, sigalto dal Patto del Nazareno. Perciò l’atteggiamento dell’establishment massonico neoaristocratico verso l’attuale premier e segretario Pd è ambivalente. Da un lato ne apprezzano le politiche sostanzialmente prone al paradigma dell’austerità, dall’altro ne temono l’indisciplina e i potenziali voltafaccia”, considerandolo smodatamente ambiziono e capace di, persino, se gli convenisse, di passare un giorno armi e bagagli con il network massonico progressista”. In quest’ottica, secondo Magaldi, va letto il celebre editoriale del direttore del Corriere della Sera De Bortoli su Renzi e i poteri massonici, scritto proprio in concomitanza della visita newyorkese di Renzi.  Secondo Magaldi l’editoriale aveva il significato di dire al premier: “Caro Renzi, riallineati ai desiderata del Venerabilissimo Maestro Mario Draghi, altrimenti comincio a sputtanarti sul versante massoneria, sia con riferimento ai tuoi inciuci con Berlusconi, sia, se servirà sparando più in alto”.
LE UR-LODGES – Magaldi dedica il suo libro alle cosiddette superlogge, definite “i cenacoli massonici protagonisti della storia contemporanea, gruppi e soggetti a orientamento e vocazione strutturalmente sovranazionale e cosmopolita che hanno abbondantemente surclassato l’influenza ormai modesta della massoneria ordinaria”. Insomma, coloro che avrebbero in mano il potere vero e il destino del mondo. Magaldi elenca le diverse superlogge, dalla Edmond Burke alla Joseph de Maistre alla White Eagle alla Thomas Paine. E Magaldi sostiene che presso queste Ur-Lodges siano in atto “progetti di involuzione oligarchica, tecnocratica e antidemocratica”, progetti che riguarderebbero “l’Italia, l’Europa e l’Occidente intero”.
MASSONI SOVIETICI – Nessun paletto nella massoneria, né geografico né ideologico. Solo potere. Così Magaldi spiega come “l’ascesa di Mussolini o Hitler è avvenuta anche grazie allo spregiudicato sostegno e finanziamento del milieu massonico conservatore angloamericano”. Allo stesso modo i conservatori facevano tranquillamente affari con i fratelli massoni sovietici. “Pezzi grossi come il segretario generale del Pcus Leonid Breznev e i suoi successori Andropov e Gorbacev, così come Eltsin, hanno chiesto e tranquillamente ottenuto l’affiliazione presso alcune Ur-Lodges”.
LA STAGIONE DEMOCRATICA E LA REAZIONE DELLA THREE EYES - Secondo Magaldi c’è anche un’ala più democratica e progressista all’interno della massoneria. E il grande esperimento democratico, persino rivoluzionario, fu fatto all’inizio degli anni ’60, con l’elezione del primo Papa, secondo Magaldi, massone e di Kennedy. Un progetto finito troppo presto. Un altro massone rivoluzionario sarebbe stato Luther King, anche lui ucciso pochi anni dopo. Da qui inizia quella che Magaldi definisce una “restaurazione neoaristocratica”. Una restaurazione guidata dalla superloggia Three Eyes, “una creatura del ricchissimo industriale David Rockefeller, del futuro segretario di Stato Henry Kissinger e del futuro consigliere per la Sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski che nel 1978 sarà il principale artefice dell’elezione a pontefice del polacco Wojtyla”. Molti anche gli affiliati italiani, secondo Magaldi, su tutti Gianni Agnelli ma anche Enrico Cuccia e il principe Borghese. E, secondo Magaldi, persino Napolitano… Eventi come l’attentato a Reagan e a Wojtyla rientrano, secondo Magaldi, in lotte di potere tra diverse superlogge.
IL PROGETTO UNITED FREEMASONS - Secondo Magaldi sono sempre le superlogge, nel 1981 a dare il via alla globalizzazione con un progetto segretissimo e sovranazionale. Che conterrebbe questi punti salienti: “Sostegno al fratello Deng Xiaoping e alla sua politica di apertura della Cina al libero mercato, destrutturazione e liquidazione dell’Urss e del Patto di Varsavia grazie all’ascesa del fratello Gorbacev e alla rottamazikone dei vecchi titani del Pcus come il segretario generale Breznev e i suoi più stretti seguaci e successori. Accelerazione del progresso di integrazione economica e politica dell’Europa. Riunificazione tedesca, riconferma della sorella Margaret Thatcher e sabotaggio del Labour Party del Regno Unito, ritorno dell’Argentina alla democrazia, smantellamento progressivo dell’apartheid ein Sudafrica e scarcerazione del fratello Nelson Mandela. Alternanza ovunque, a cominciare dagli Usa, di governi conservatori e progressisti secondo una tabelle di marcia ben precisa. Ovviamente a un patto: che tutti abbiano il rigoroso gradimenti dei grembiulini che contano.
LA SUPERLOGGIA IMPAZZITA – Secondo Magaldi c’è una ulteriore superloggia, quella creata da Bush Sr. e altri compagni delle altre superlogge che si sono sentiti esclusi dal progetto United Freemasons e dalla rielezione di Clinton. “La chiamano Hathor Pentalpha”, sostiene Magaldi, che la definisce una “loggia della vendetta e della sete di sangue”, della quale avrebbe fatto parte persino Osama Bin Laden. Una superloggia che estenderebbe la sua inquietante ombra sugli eventi degli ultimi anni, a partire dall’11 settembre 2001. La risposta progressista è la nuova superloggia “Maat”, della quale secondo Magaldi farebbe parte Obama.


L’ISIS E LE NUOVE GUERRE – Ma ora il disegno delle superlogge è quello di far tornare al potere l’ala più conservatrice e guerrafondaia, secondo Magaldi. E per farlo si starebbe servendo della guerra santa dell’Isis. Magaldi sostiene che colui che proclamato il Califfato islamico farebbe parte della Hathor Pentalpha, vale a dire Al-Baghdadi, “imprigionato in Iraq nel 2004 come terrorista pericoloso e che subito dopo l’affiliazione a fil di spada viene liberato”. Il tutto mentre viene “ufficiosamente lanciata la candidatura del fratello Jeb Bush alla Casa Bianca”. “Da qui al 2016″, sostiene Magaldi, grazie all’avanzata dell’Isis, prenderà il via una formidabile campagna planetaria per portare un un nuovo Buish a Washington. L’ennesimo Bush guerrafondaio. Avremo così nuove guerre infinite in Medio Oriente”. E ora, scrive Magaldi, resta da capire come pensano di controbattere a questa minaccia i fratelli massoni progressisti…
Gioele Magaldi (14 luglio 1971), storico, politologo e filosofo, ex Maestro Venerabile della loggia “Monte Sion di Roma” (Goi), già membro della Ur-Lodge “Thomas Paine”, è Gran Maestro del movimento massonico “Grande Oriente Democratico” (God). Fautore di un impegno solare e progressista della massoneria, ha dato vita anche a”Democrazia Radical Popolare” (Drp) e al Movimento Roosevelt (Mr). Tra le sue pubblicazioni: UT PHILOSOPHIA POESIS (Pericle Tangerine) e ALCHIMIA. UN PROBLEMA STORIOGRAFICO ED ERMENEUTICO (Mimesis). Laura Maragnani, giornalista (“Europeo”,”Panorama”), ha scritto LE RAGAllE DI BENIN CITY (Melampo), ECCE OMO (Rizzoli), I RAGAZZI DEL ’76 (Utet).
LEGGI IN ANTEPRIMA LE DEDICHE DI GIOELE MAGALDI CON LE LISTE DEI NOMI (per gentile concessione di Chiarelettere)
A Olympe de Gouges ed Eleanor Roosevelt, donne libere e di buoni costumi
L’intera trilogia di Massoni. Società a responsabilità illimitata, di cui questo testo rappresenta il primo volume, è dedicata principalmente a Olympe de Gouges (1748-1793) ed Eleanor Roosevelt (1884-1962), le più grandi e coraggiose fra le sorelle muratrici che abbiano mai cinto il grembiuli no lato-mistico e operato con efficacia imperitura al bene e al progresso dell’umanità.
Ma come non menzionare, fra le tantissime altre donne «libere e di buoni costumi»’ che ispirarono le loro vite ai più nobili e alti principi massonici (pur nell’inevitabile presenza di alcune ombre, frammiste a maggioritarie luci), anche libere muratrici dello spessore di: Mary Wollstonecraft (1759-1797), Sophie de Condorcet (1764-1822), Harriet Taylor Mill (1807-1858), Cristina Trivulzio di Belgiojoso (1808-1871), Marie Adélalde Deraismes (1828-1894), Jesse White Mario (1832-1906), Lucretia Coffin Mott (1793-1880), Mathilde Franziska Anneke (1817-1884), Malwida von Meysenbug (1816-1903), Susan Brownell Anthony (1820-1906), Julia Ward Howe (1819-1910), Elizabeth Cady Stanton (1815-1902), Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891), Annie Besant (1847-1933), Emmeline Pankhurst (1858-1928), Marie Curie (1867-1934), Martha Beatrice Webb (1858-1943), Virginia Woolf (1882-1941), Maria Montessori (1870-1952), Golda Meir (1898-1978), Alva Myrdal (1902-1986), Indira Gandhi (1917- 1984) .
Una peculiare intestazione dedicatoria va rivolta al massone ante litteram e protomartire della moderna libera muratoria, Giordano Bruno (1548-1600). Peraltro, una dedica sentita deve per forza di cose andare ai seguenti fratelli liberi muratori (anch’essi latori di moltissime luci, in mezzo ad assai più trascurabili opacità): John Locke (1632-1704), Isaac Newton (1642-1727), Jean «John» Theo¬philus Desaguliers (1683-1744), Montesquieu (1689-1755), Voltaire (1694-1778), Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), Giacomo Casa¬nova (1725-1798), Cagliostro (1743-1795), Cesare Beccaria (1738-1794), Benjamin Franklin (1706-1790), George Washington (1732-1799), Thomas Jefferson (1743-1826), Thomas Paine (1737-1809), Nicolas de Condorcet (1743-1794), Honoré Gabriel Riqueti de Mirabeau (1749-1791), Philippe Egalité (1747-1793), Jacques Brissot (1754-1793), Camille Desmoulins (1760-1794), Jean-Baptiste de Lamarck (1744-1829), Gilbert du Motier de La Fayette (1757-1834), Jacques Laffitte (1767-1844), Francisco de Miranda (1750-1816), Napoleone Bonaparte (1769-1821), nella sua fase filorepubblicana, Rafael del Riego (1784-1823), George Gordon Byron (1788-1824), Alessandro Ypsilanti (1792-1828), José de San Martin (1778-1850), Simón Bolívar (1783-1830), Aleksandr Sergeevic Puskin (1799-1837), Samuel Gridley Howe (1801-1876), William Lloyd Garrison (1805-1879), Ralph Waldo Emerson (1803-1882), Thaddeus Stevens (1792-1868), Charles Sumner (1811-1874), Benjamin Wade (1800-1878), William Cullen Bryant (1794-1878), Carl Schurz (1829-1906), Aleksandr Ivanovic Herzen (1812-1870), Giuseppe Mazzini (1805-1872), John Stuart Mill (1806-1873), Giuseppe Garibaldi (1807-1882), Jules Michelet (1798¬1874), il Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) della maturità, che, pur non abdicando alle migliori istanze del socialismo, comprese l’importanza del libero mercato, della proprietà privata e della società civile come altrettanti freni libertari e pluralisti alla potenziale invadenza autoritaria del potere statuale, Louis Blanc (1811-1882), Victor Hugo (1802-1885), Lajos Kossuth (1802-1894), Charles Darwin (1809-1882), José Martí (1853-1895), Lev Nicolàevic Tolstòj (1828-1910), Giosuè Carducci (1835-1907), Max Weber (1864-1920), John Dewey (1859-1952), Leonard Hobhouse (1864-1929), Sigmund Freud (1856-1939), Theodore Roosevelt (1858-1919), Thomas Woodrow Wilson (1856-1924), Eduard Bernstein (1850-1932), George Bernard Shaw (1856-1950), Mustafa Kemal Ataturk (1881-1938), Gerard Swope (1872-1957), John Maynard Keynes (1883-1946), Franklin Delano Roosevelt (1882-1945), Mohandas Karamchand Gandhi detto «il Mahatma» (1869-1948), Aleksandr Fédorovic Kerenskij (1881-1970), George Orwell (1903-1950), Carl Gustav Jung (1875-1961), Albert Einstein (1879-1955), George Marshall (1880-1959), Clement Attlee (1883-1967), Harry Truman (1884-1972), William Beveridge (1879-1963), Charlie Chaplin (1889-1977),
Angelo Giuseppe Roncalli divenuto Giovanni XXIII (1881-1963), Antonio de Curtis detto Totò (1898-1967), Martin Luther King (1929-1968), Meuccio Ruini (1877-1970), Federico Caffé (1914-1987), Karl Popper (1902-1994), Altiero Spinelli (1907-1986), Gunnar Myrdal (1898-1987), Paul Feyerabend (1924-1994), Harold Wilson (1916-1995), Thomas Kuhn (1922-1996), Robert William Komer (1922-2000), John Rawls (1921-2002), John Kenneth Galbraith (1908-2006), James Hillman (1926-2011), Arthur Schlesinger Jr. (1917-2007), senza dimenticare molti altri, di analoga sensibilità progressista — contestualmente al tempo in cui vissero —, che pure saranno menzionati nel corso della trilogia di Massoni.
Una dedica speciale e a parte, al di là di tutte le incomprensioni, le delusioni e i litigi, al di là del tempo e dello spazio, va a Giuseppe «Pino» Abramo (1933-2014).
Inoltre, una dedica importante va anche a Ivan Mosca (1915-2005), Franco Cuomo (1938-2007), Ted Kennedy (1932-2009), Antonio Giolitti (1915- 2010), Michele Raffi (1968-2013), Rosario «Rino» Morbegno (1930-2013), Carlo Maria Martini (1927-2012), Ernest Borgnine (1917-2012), Rita Levi Montalcini (1909-2012), Hugo Chavez (1954-2013), Nelson Mandela (1918-2013), Arnoldo Foà (1916-2014), Gabriel Garda Marquez (192-¬2014), Italo Libri, Enrico Simoni e a tutti quei massoni di ogni latitudine geografica passati di recente all’Oriente Eterno, i quali, con il loro pensiero e le loro azioni, hanno incarnato pregi e difetti, grandezze e miserie, fragilità e punti di forza della via iniziatica libero-muratoria.
affaritaliani.it
Fonte: informarexresistere.fr - http://www.losai.eu/