Da: Saggio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto, 2a Ed. livornese, Livorno 1851. pag. 494-503.
R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.
Articolo II. — Della società conjugale.
§ 1. Sua natura e necessità.
(1514 Questa società è voluta dal Creatore) Ed ecco ove tenderebbe la natural socievolezza, se l'uomo, dotato di natura immortale, fosse destinato a compiere da sè solo, e tutto su questa terra ove nasce, il grande intento per cui lo creò l'Eterno. Amor domestico, società d'interesse, amicizia intima, sarebbero tre forme di particolar società elementare, che tutti potrebbero soddisfarne i bisogni. Ma poichè il disegno del Creatore dovea svilupparsi lentamente, sulle vie del tempo, e di questo picciolissima parte era accordata a ciascun dei mortali; però stabilì il Creator medesimo e nella ragione e nelle affezioni e nel senso e nell'organismo tali impulsi per cui Egli con certezza infallibile ottenne dalla umana libertà, senza punto offenderla, che propagasse perpetuamente in nuovi individui quella vita, che nel proprio individuo va perpetuamente mancando. La ragione, mostrando all'uomo la sua grandezza rimpetto al rimanente del creato, gli fece comprendere, secondo il pensamento di Seneca, aver Dio voluto l'uomo contemplatore perpetuo dei portenti di natura, giacchè solo egli in terra è capace di ammirarli; epperò averne voluto la propagazione, giacchè gli è dalla natura negata la immortalità. Questo divino intento gli vien confermato dall'organismo colla differenza dei sensi, dalla passione colla lor simpatia, dal senso colla tendenza dell'appetito al piacere. L'uom ragionevole comprende dunque essere la propagazione, anch'essa, inclusa nei disegni del divino Architetto, epperò fra i tanti mezzi con cui può il mortale concorrere ad eseguirli, uno essere ancora la propagazione [1]. E siccome questa è essenzialmente legata ad una particolar società, egli inferirà essere questa società anche essa dal Creatore stesso pei suoi disegni voluta.
Eccovi dunque un nuovo scopo, a cui cospirando due creature umane formeranno una particolar società, ristretta nei limiti e nel conviver continua; della quale dovremo con maggiore accuratezza studiare il fine, la natura, le leggi, la autorità, gli effetti; giacchè poche vi ha materie ove tanto importi accertar le idee, niuna essendone quasi che più continuamente determini l'umano operare, e induca a risoluzioni di conseguenza più rilevante e durevole.
(1515 Non è dovere naturale per tutti 1. perchè impedisce altri beni) Prendiamo dunque a seguire le tracce di natura ragionevole nell'accoppiamento di due sposi. E in primo luogo io domando: sono eglino obbligatia volere la associazione medesima? il matrimonio è uno dei mezzi (1514), con cui può un uomo concorrere agli intenti del Creatore; ma è tal mezzo che a molti altri fa ostacolo: giacchè lo sposo legato almeno, se non
«............ avvilito// Fra gli affetti di padre e di marito» (Tasso),
«............ avvilito// Fra gli affetti di padre e di marito» (Tasso),
d'ordinario non avrà tempo e libertà d'animo a contemplazioni sublimi; non quella totale indipendenza che rende in guerra sì animoso ad affrontare per la patria i cimenti; non quel disinteresse pienissimo che in lui sarebbe delitto, perchè diserterebbe la famiglia; non quel disprezzo della vita che conduce il celibato cattolico ai lazzaretti degli appestati. Inoltre, e questo più evidentemente dimostra il matrimonio non esser di tutti, se a taluno mancasse il vitto sufficiente a campar la vita propria, non gli sarebbe certamente ordinato dal Creatore che egli chiamasse dal nulla creature innocenti a parteciparne e ad aumentarne lo stento. L'associarsi dei conjugi non è dunque doveroso per dettato universal di natura, e del suo autore.
(2. Perchè stato men perfetto) Diciamo ancor più. Lo stato conjugale è accompagnato da gran veemenza e di passioni e di appetiti e di doveri materiali che legano per lor natura la volontà umana al bene sensibile (182). È dunque stato men perfetto per sua natura, almeno nella presente condizione dell'uomo. Un tale stato, quando non è necessità, non può esser dovere: or non è certamente necessità, nè per l'individuo che può viver senza esso, nè per la società cui può anzi talvolta riuscir pernicioso (1118 segg.). Dunque non è dovere; anzi, nell'andamento consueto delle cose umane, un onesto celibato è più perfetto del matrimonio. Il matrimonio non è dunque dovere di verun particolare individuo.
(1516 Non nasce da dritto altrui) Ma può egli divenir doveroso per altro dritto prevalente? questo dritto, se si desse, o dovrebbe essere individuale o sociale: gli individui nell'ordine comune di natura sono per sèuguali (354 segg.); or il matrimonio è istituzione che appartiene all'ordine comune di natura; dunque, se qualche fatto volontario non alterò l'uguaglianza (nel qual caso la volontà consentendo al fatto si impose da sè il dovere) non si dà negli individui dritto prevalente. La società poi, come altrove è detto (1114), dee guidare al ben sociale gli individui esistenti, ma non ha dritto di forzare i socj a produrre esistenze novelle. L'associarsi dei conjugi è dunque libero da ogni dovere antecedente; epperò appartiene nel formarsi alla classe delle società volontarie.
(1517 È società volontaria nel nascere, naturale nel fine) — Ma se è volontaria nel formarsi, sarà dunque libero ai socj l'apporvi qualsivoglia condizione —. No: la società maritale è ordinata ad un fine speciale voluto dalla natura; dunque dovranno i socj voler questo fine, e adoperarne i mezzi; e qualsivoglia condizione a ciò contraria sarà violazione dell'ordine. Ben furon liberi di volere o non volere la società maritale; ma volerla senza le naturali sue condizioni e conseguenze, egli è un voler il disordine, un tradire gli intenti del Creatore (112); come disordine sarebbe volere una creatura senza dipendenza dal Creatore, volere un contratto senza equità di condizioni ec.
L'unione maritale è dunque società volontaria nella origine, ma naturale (600 610) pel suo fine. Ond'è, che questo fine dee determinare ineluttabilmente certe leggi a cui andrà essenzialmente soggetta codesta società; leggi a cui gli associati non potranno apporre veruna eccezione. Per conoscere queste leggi è dunque mestieri conoscere il fine di essa società.
§ 2. Fine del matrimonio e leggi che ne risultano.
(1518 Fine naturale del matrimonio) Or questo fine qual'è? Perpetuar sulla terra l'abitatore intelligente, perpetuar l'uomo: il fatto parla qui sì altamente che, a dispetto delle passioni, è impossibile non ravvisare il fine di natura. Fermiamci qui un momento a contemplare la nobiltà, la impotenza [= potenza grande, cfr. lat. impotentia nel suo significato secondario, ora in disuso; si veda in Vocabolario universale italiano, vol. III., Napoli 1834 pag. 663 N.d.R.] la estensione di questo fine di perpetuar l'uomo. L'uomo non può essere senza la sua natura, e senza le essenziali proprietà che da essa derivano: non può essere se non ragionevole, e come ragionevole è una nuova immagine in terra della Intelligenza infinita; è oggetto agli altri uomini di sacra venerazione; è stromento in mano del Creatore di future imprese, alle quali dee correre volonteroso (112 273); è un essere insomma, che vive propriamente nell'ordine morale, benchè dal materiale debba ricevere gli organi e la materia in cui esercitare sue forze (45 segg.).
(1519 È fine sacro di ordine spirituale) Lo scopo ultimo della società coniugale secondo natura è dunque sacro e di ordine spirituale, benchè lo scopo immediato di procreazione sia nell'ordine materiale (ed ecco perchè tutti i popoli non traviati dai sofismi della empietà posero il matrimonio sotto la tutela di qualche o vera o supposta Divinità [CXXXIV]): sacro perchè dee riprodurre l'uomo, perchè quest'uomo è destinato a vita ragionevole e sociale, perchè questa vita forma parte e stromento dei disegni eterni, e là mira essenzialmente ove in seno all'eterno Amore durerà immortalmente beata (36 309). Or se il fine della naturale unione maritale è di ordine spirituale e sacro, e se dal fine vien determinato il carattere e la natura di ogni società (442) e dalla natura le leggi: ognun vede che le prime leggi con cui determinarne i doveri e dritti debbono ripetersi dagli elementi morali, debbono mirare ad assicurare questo precipuo intento di natura.
(1520 Il matrimonio è società domestica) Prima però che prendiamo a svilupparle dai loro elementi, aggiugnamo altre osservazioni che rendano meno incompleta l'idea della unione maritale. Abbiam veduto che essa è convenzione originariamente libera, ma per un fine determinato dalla natura. Or a questo fine ricercasi una qualche durevole convivenza; imperocchè quanti anni dovrà il fanciullo pargoleggiare negli scherzi infantili, e poi delirare in quel suo primo giovanile errore (329 segg.), prima che giunga stabilmente ad operar con ragione, e per ragione! La convenzione di coloro che vogliono perpetuar sulla terra la umana esistenza, includendo per sua natura non il fine soltanto di propagarvi l'organismo di un bipede, ma quello principalmente di produrvi un essere morale, includerà dunque anche la obbligazione di propagare nell'animo del fanciullo i germi del vero e dell'onesto, e di stabilirveli per forma che debbano poscia servir di norma al suo morale operare. Abbiamo dunque unfatto associante durevole, epperò una durata anche nella società che ne risulta (612). Questo fattoapplicherà ai conjugi in maniera costante i doveri di società universale: il matrimonio sarà dunque naturalmente società domestica, retta dalle universali leggi di giustizia e benevolenza, applicate qui in modo speciale. Beni materiali, beni morali, sicurezza d'entrambi (447 460), formeranno dunque uno scopo naturale, benchè secondario e men proprio, della unione maritale: esso (447) è scopo propriamentedella natura sociale; ma siccome il matrimonio è in modo specialissimo società naturale (464), così a lui in modo specialissimo si conviene il tendere anche a queste tre specie di beni.
(1521 È società amichevole) Inoltre il fine proprio della unione conjugale è secondo natura remotissimo dell'interesse proprio, giacchè è un cospirare di individui fra loro indipendenti (1516) a dare altrui l'esistenza, a perfezionargliela, a mantenergliela: e tutto a proprio costo e fatica. Tende dunque naturalmente a produrre fra i conjugi, anzi in gran parte presuppone una intimità di uguaglianza e diamicizia. L'unione coniugale dee dunque essere per sua natura anche unione amichevole; nasce ciò come conseguenza della unione maritale.
(1522 Leggi naturali: 1. libertà nell'associarsi) Società volontaria, propagatrice, completa, amichevole, sacra:ecco dunque gli elementi che essa finor ci presenta. Deduciamone alcune leggi: 1. ma se è volontaria, è dunque libero a ciascuno l'entrarvi, e lo scegliere il consorte: ma questa scelta debbe essere diretta dalla ragione, epperò a ragione inferma dee somministrar conforto e direzione una ragione più illuminata (573 segg.). E dunque dritto del conjuge la libera scelta, ma è suo dovere la maturità di consiglio, e la deferenza ai più saggi: dal che si derivano le obbligazioni reciproche tra figli e parenti in tal materia; e la nullità di un maritaggio contratto per violenza o per abbaglio essenziale.
(1523 2. Tendenza efficace al fine) 2.da La società conjugale dee sfuggire tutto ciò che potrebbe rendere incerto ai socj od impossibile il conseguimento del fine, e per conseguenza illanguidirne la cooperazioneo anche del tutto dissolverla: or ella ha per fine di essere propagatrice dell'uomo, epperò tende a formar l'animo non meno che il corpo. Dunque 1. onninamente anti-naturale è la poliandria; 2. naturalmente impediti i maritaggi per materiale incapacità delle parti, servitù ec.
(3. Indissolubilità) 3.za Come propagatrice, la socielà maritale è anche (1520) educatrice del corpo e dell'animo. Dunque è contro natura lo scioglierla almeno fino al compimento della educazione. Ma questa legge della indissolubilità è sì contrastata eppur sì importante, che dovrem trattarne separatamente.
(4. Cooperazione anche materiale) 4.ta La società maritale è società completa: epperò dee congiungere l'operar dei socj al conseguimento di beni sì spirituali, sì temporali (460). Dee dunque esservi una comunicazione in queste due specie di beni. Questa comunicazione, poichè nacque dall'intento di propagare in nuovi individui la propria esistenza (1518 segg.), mira naturalmente a propagare in essi anche i mezzi di sussistenza. La società conjugale produce dunque naturalmente una specie di dominiosociale, che potrebbe dirsi alto dominio domestico (781 segg.): per cui il governo domestico è obbligato edha il dritto di ordinare secondo giustizia al ben comune i beni e personali e reali posseduti dagli individui; dal che abbiam dedotta altrove la legge successoria (781).
(1524 Aggiunta intorno alla natural successione ereditaria) Restò peraltro un punto, da noi non potuto esaminare senza le preventive idee di dritto domestico, ed è il dritto dei primogeniti (1151). La natura accorda ella al primogenito un qualche dritto superiore a quello degli altri fratelli? Benchè vi abbiano autori che niegano derivarsi dalla natura il dritto dei figli alla paterna eredità, confesso che non saprei indurmi ad abbracciar una tal sentenza, contro la quale e la voce universal delle genti, e il comune affetto paterno altamente protesta. Ma tacciano per un istante queste voci di cui tanta è la autorità; la ragione parla altissimo in lor favore; è dover del padre il trasfondere nei figli l'essere suo proprio, e lasciarli suoi successori nel compiere in terra i divini intenti (1519): dunque egli dee dar loro, e serbare questo essere fornito di quelle condizioni medesime in cui lo possedea. È dover del padre voler loro specialissimamente quel bene che vuole a sè; e questo amore è non solo simile (314 segg.) nella direzione, ma poco inferiore nella intensità all'amor di se stesso, giacchè i figli formano col padre una naturale unità (492); dunque egli dee procacciar per essi quei beni che procacciava per sè. Il dritto dei figli alla eredità paterna è dunque dalla natura, la quale così dà al padre, colla sua superiorità naturale, un mezzo efficace per sanzionare le leggi domestiche, ed ottenere da figli ancor restii rispetto ed obbedienza (CXXXV).
(1525 Del diritto di primogenitura) Ma queste leggi, come ognun vede, riguardano i figli tutti; nè io saprei concedere che i cadetti sieno di condizione inferiore perché il primogenito già si trova in possessoquando essi nascono. Il possesso è tuttavia in mano al padre; e questi, nell'atto che abbracciò lo stato conjugale, abbracciò riguardo a tutti i figli il dovere di provvederli; questo dovere poi, nascendo essenzialmente dalle relazioni paterne, lo lega ugualmente, in quanto egli è padre, verso chiunque gli è figlio.
Se non che divenendo sposo e padre, egli divenne fondatore e capo di una domestica società (1113), destinata per natura a propagarsi in molti rami ed a formar nazioni (510 segg.). Or ogni società tende, come ogni altro essere, naturalmente a conservare la sua esistenza ed unità. Se dunque una preferenza ai primogeniti fosse naturalmente mezzo necessario a continuare e perfezionare la esistenza ed unità domestica, questa preferenza dovria dirsi dettato di natura. Questa sembra a me la base legittima del dritto di primogenito; maturando prima degli altri, egli potrà prima degli altri prestar al padre ajuto, difendere ai fratelli i loro dritti, e così continuare la esistenza domestica. Una qualche preferenza accordata a lui è dunque un vantaggio di tutta la società, è dunque convenevole e giusta. Confesso però che io veggo qui piuttosto la base di un giusto ordinamento positivo, anzi che un ordinamento immediato di natura.
E tanto basti aver accennato in materia dì non molto rilievo pel dritto naturale, ma talor gravissima nel dritto politico (784 segg.).
(1526 5. Monogamia) Il matrimonio è società amichevole (1509); include dunque la legge di perpetuità, di cui direm fra poco; e la legge di sacrifizio reciproco, da cui risulta naturalmente la monogamia. Perocchè non sarebbe veramente e pienamente reciproco il donarsi, se non fosse di tutto a tutto; nè sarebbe perfetta la intimità reciproca, se non forse incomunicabile da ambe le parti. La poligamia o poliginiasimultanea è dunque contraria, non precisamente al fine della società conjugale, ma alla proprietà che ne risulta di essere insieme società amichevole [2].
§ 3. Del divorzio.
Dissi poco fa naturale la indissolubilità, con cui la società conjugale stringe le parti associate: la importanza della materia merita qualche dichiarazione.
(1527 Il matrimonio è fra ragionevoli) La congiunzione conjugale può considerarsi e coll'occhio dell'uomo e con quello del bruto [3]: il bruto, trascinato dall'istinto dell'appetito, opera per un fine che ei non conosce (18 20), condottovi per via di senso dalla Provvidenza conservatrice: l'uomo illuminato dalla ragione può conoscere il fine della unione maritale, e regolare col libero arbitrio gli istinti e le operazioni che vi concorrono. Quale di questi due modi di operare dovrà determinare le leggi della società coniugale? Niuno, spero, vorrà negare alla Ragione i suoi dritti in tal materia (147): niuno ridurre il maritaggio a dipendere sol dall'istinto, mentre ogni atto umano dipende da ragione (80).
(1528 Dunque non ha sue leggi da passioni ed appetiti) Questa prima considerazione farà comprendere la vera origine, e insieme la debolezza degli argomenti con cui certuni mostrar vorrebbero la legittimità del divorzio, appoggiandosi a quelle passioni ed appetiti sui quali l'uom ragionevole può, volendo, esercitar l'impero della umana libertà; essi partono tacitamente dal principio brutale, che l'uomo debba guidarsi per via di senso. Or l'amor del piacere, la incompatibilità dei caratteri, e simili ostacoli morali, o diciam meglio, sensibili, vanno soggetti al ragionevol dominio di chiunque voglia valersi delle forze morali. Dunque le difficoltà prodotte da varietà di passioni e di temperamenti ben potranno esigere qualche riguardo, ma non muteranno giammai quelle leggi che la ragione deduce dalle relazioni naturali e dai fatti di ordine e teoretico e pratico (100 103). Il legislatore esterno della società dovrà talvolta tener conto di quelle difficoltà, ed usar tolleranza (1096): ma la coscienza individualeessenzialmente ragionevole (99 121) alzerà inesorabilmente la voce, e vieterà ogni transazione. Non avrem dunque a sciogliere codeste obbiezioni, se ci riesca una volta di chiarire i dettati di ragione in contrario.
(1529 La indissolubilità è legge di natura: 1. per inclinazione de conjugi) Or la ragione che ci detta intorno a questo problema? Io non ricordo autore, che prenda nome di filosofo (lascio i poeti osceni, i romanzieri lascivi, chè i costoro sensi vengono in tal caso guidati dal principio brutale), non ricordo filosofo, dissi, benchè miscredente, che non riconosca nel maritaggio certi elementi di indissolubilità [4]. La passione che spesse volte ne tesse i primi lacci, li promette eterni (368 segg.); la prole che se ne spera, e che costerà alla donna nove mesi di infermità terminati a pericolar di morte, la costringe ad assicurare a sè un sostegno in questo stato, che tornerà più volte; e ad assicurare alla prole, che formerà l'obbietto di sua tenerezza anche istintiva, un sicuro provvedimento; e se il padre non vuol la morte dei figli neonati, dovrà pur esigere anch'esso che la madre non li abbandoni di quel latte, che per loro le somministra natura. L'organismo e la passione cospirano dunque a crear il bisogno di perpetuità; questo bisogno tende a formare perpetuo per volontà il vincolo volontario in origine (632 623 segg.): la ragione vede in queste proporzioni una legge di natura (114), e ne inferisce che la natura vuole il maritaggio indissolubile.
(2. per la continuità dei bisogni) Allevati ed educati i figli, è egli di legge naturale che essi rendano ai parenti il contraccambio di quelle cure per cui sorsero a vita fisica e morale? Se non si nega un tal debito, si comprenderà insieme che la unità domestica dalla natura è ordinata a perpetuità. E i parenti col proceder degli anni, a quante vanno soggetti infermità di corpo e di mente, che rendono, ora all'un dei due or anche ad entrambi, necessario un tal sussidio per parte sì dei figli sì del consorte!
Si pretenderebbe forse rispondere che essi rinunziano col volontario divorzio a codesti lor dritti? sarebbe questo un trasformare la quistione, un violare i principj di ogni dimostrazione della scienza morale. Noi non cerchiamo adesso di persuadere ai coniugi la indissolubilità del matrimonio perchè torna a conto (che è filosofia da utilitarj); ma intendiamo provare che l'ordine di natura indica a noi la indissolubilità come generalmente utile, epperò voluta dal Creatore (112). Or può egli negarsi che la indissolubilità è, secondo l'andamento naturale delle cose, necessaria a dare ai figli esistenza morale, a conservarne la fisica, a perpetuarne le affezioni? che i parenti, senza tal legge, spezzerebbero i più sacri legami, e rimarrebbero abbandonati di ogni ajuto allora appunto quando è per essi, secondo l'andamento consueto di natura, maggiore il bisogno?
(3. per bene della pubblica società) Ma queste proporzioni passano fra individui contraenti: il matrimonio per altro non ristringe la sua influenza ai contraenti; anche le famiglie intrecciano per lui le relazioni di affetto e di interesse. Or quali sarebbono in tal proposito gli effetti del divorzio? Se stimasi affronto anche ad un ospite il cacciarlo di casa [5]; quanto maggiore affronto cacciarne chi fu scelto per consorte di sì grande opera, qual è il dar vita ad intelligenze novelle, nuovi cooperatori ai divini intenti, nuovi padroni al mondo materiale! cacciarne chi comunicò nei segreti più intimi, negli interessi più cari, nella famigliarità più continua (1519 segg.)! cacciarne chi perde con tal bando riputazione, pregi ed altri beni irrecuperabili! Un simile affronto non tende egli naturalmente ad inimicar le due famiglie? Il divorzio è dunque un ostacolo ai legami fra le diverse famiglie, un germe di dissoluzione nella pubblica società in cui il matrimonio forma naturalmente unità di affetti per vario intreccio di sangue. La pubblica onestà poi a che si ridurrà qualor si ammetta codesto incentivo insieme e palliativo di ogni infedeltà fra conjugi? Dunque se l'uomo è chiamato per natura a società pubblica, e se la società pubblica fiorisce per la unione dei cuori (943 1031) fra cittadini, e per la loro onestà; il divorzio come è anti-sociale, è parimente anti-naturale.
(1530 4. Il divorzio è voluto dal disordine) Dritto individuale, dritto domestico, dritto pubblico sono dunque unanimi a contrastare ai conjugi la dissoluzione di loro unità. Apriamo or la storia, e ci mostrerà un fatto, di cui se la filosofia voglia cercar le cause, vi troverà la confermazione del dogma finora stabilito. In ogni nazione che abbia progredito nelle vie della corruzione, proporzionale al corrompersi è stata la smania del divorzio: incominciando dalla antica Roma e venendo sino alla rivoluzione di Francia la osservazione è costante. Qual è la cagione di tal fatto? non è difficile il ravvisarla: quanto è più corrotto un popolo, tanto è più incapace di dominar colla ragione (147 732) le passioni e gli appetiti perpetuamente mutabili: dunque tanto è più incapace sì di formare con saviezza i vincoli maritali, sì di portarne con costanza il peso, sì di scemarne con ragionevole amorevolezza gli incomodi. Dunque quanto più cresce la corruzione tanto dee crescere più ardita la smania del divorzio. Or la corruzione è contraria alla ragione ed alla natura: dunque è contro ragione, e contro natura per seil divorzio. E dico per sè, perchè non intendo qui parlare dei dritti che può avere una sociale autorità atollerarlo, di che altrove si disse 1096): può il ben pubblico esigere tolleranza di mali particolari, ma non può render bene codesto male; nè l'individuo dee guardar codesta tolleranza come concessione di dritto, ma come condonazione di pena.ttb
(1531 Doppio errore del Bentham) Che se ragione e natura condannano codesta dissoluzione, il maritaggio perpetuo è dunque legge di natura, non elezione di volontà private, nè istituzione di pubblici magistrati. Quando dunque il Bentham [6] in favor del divorzio dice che sarebbe assurdo il supporre nel contratto conjugale la clausola — vogliam perpetuo il nostro vincolo, pur se dovessimo arrivare ad odiarci un giorno quanto oggi ci amiamo —; quando inveisce contro il magistrato, che rende indissolubile un nodo, solito a formarsi con poca riflessione e maturità: egli parte da un falso principio, e discorre sopra un falso supposto. Falso principio è che la natura non imponga dovere [7] e che questo dovere di perpetuità tutto nasca dal piacere o dall'interesse o dalla legge. Falso supposto è che l'amarsi o l'odiarsi sieno per l'uomo atti non liberi, epperò di irresistibile necessità. Ma le leggi positive, quando colla indissolubilità assicurarono alla natura i suoi dritti, alle famiglie la lor quiete, allo stato il suo gran mezzo di onestà e di unità di affetti, le leggi, dico, riguardarono il matrimonio come una società i cui doveri debbono fissarsi dalla natura del suo fine, e i contraenti come uomini cui la ragione somministra le forze per conformarsi al dovere a malgrado di passioni talor ricalcitranti: e fece a questi un gran beneficio quando, colla prospettiva della indissolubilità, volle farli accorti a non secondare ciecamente i primi impeti della passione.
Che se il raziocinio del Bentham valesse, non potrìa più ammettersi dovere, e contratto ovunque le passioni potessero un giorno ricalcitrare; nè saria lecito arruolar nell'esercito un giovane ardimentoso, se non a condizione che passato l'ardimento gli sarà lecito fuggir da codardo; nè alzare ai tribunali un giudice, se non gli si permette di violare talor la giustizia. Chi non vede che ogni professione ha per natura i suoi cimenti inevitabili ai quali va necessariamente soggetto chi pretende tal professione? E se in certe professioni, benchè abbracciate contro voglia, pure è dovere (come nella milizia) sopportare lenaturali calamità; per qual ragione verrà da codesta legge universale eccettualo il conjugio, ove la società formasi da volontaria elezione?
Non si stipula dunque da' conjugi il patto di perpetua unione colla assurda condizione supposta dal Bentham; ma considerando con quella forza di animo, che ragione si dice, le relazioni morali sotto forme universali, e comprendendo benissimo esser doveri perpetui quelli che in oggi si abbracciano, giacchè la ragione dirà domani quel che dice quest'oggi; si promette di adoprare a compierli le forze della umana libertà; sicuri che mai non diverrà oggetto di odio necessario un uom vivente, mentre anzi è dovere sociale verso tutti universale benevolenza.
(1532 Relazione logica del divorzio col protestantismo, colla rivoluzione, col suicidio) Nel che osservate essere codesta obbiezione quella medesima con cui pretendesi dimostrare insussistente il vincolo di una perpetua religione sociale; non potendosi sapere, dicono gli avversarii, se domani sarò persuaso come oggi(1311) [8].
Ed ecco perchè il divorzio, libertà di famiglia, colà ripullulò e dovette ripullulare, ove si bandì la riforma luterana libertà di religione. E per ragioni analoghe toccherà al vincolo maritate la stessa sorte che al vincolo politico; essendo quasi ugualmente assurdo il dire vivrò perpetuamente con tal persona in società domestica o in società politica. La revocabilità del mandato per cui secondo le dottrine del patto sociale (422 525 622) si dipende da un sovrano e la revocabilità del consenso per cui si è legato ad un conjuge, sono fondale sul principio medesimo; niuno può essere obbligato a vivere infelice. Col qual principio si giunge perfino a sciogliere la unità individuale, giacché sul medesimo è appoggiato dagli epicurei l'orribil dritto del suicidio (276).
(1533 Tutti codesti errori nascono dal principio utilitario) Togliete a tutte codeste dottrine la base comune; ricordate all'uomo che il suo bene, la sua felicità è viver nell'ordine; che sempre egli può conformarsi a questo ordine, poichè ha nel suo operare natural libertà; sempre può conoscerlo, poichè ha la ragione; e la ragione gli imporrà con evidente comando di custodir l'unità individuale, la domestica, la sociale-politica, la universale-religiosa, giacchè natura formò il corpo per l'anima, gli sposi per la famiglia, la società per l'ordine, la intelligenza pel vero.
(1534 Obbiezioni e risposte 1. La infedeltà) Dal fin qui detto si sciolgono agevolmente le difficoltà che sogliono opporsi. — La infedeltà ai patti, dicono, è causa che scioglie ogni contratto; dunque sciorrà anche questo —. Adagio: la infedeltà scioglie quei contratti, ove non è compromesso l'interesse d'un terzo; ma ove questo è compromesso, qual giustizia permette di rovinarlo? Due negozianti si associano per fornire i viveri ad un esercito: la infedeltà di uno di loro renderà lecita all'altro con danno dell'esercito una simile infedeltà? Or nel matrimonio i conjugi si associano per educar figli, crescerli alla società cittadini, a Dio adoratori: figli, società, religione, sono dunque compromessi nella infedeltà ai patti conjugali.
(1535 2. Impossibilità di conseguir il fine) — La indissolubilità, soggiungono, in molti casi impedisce il fine stesso della società maritale: dunque è contro natura. — La costanza della società maritale nasce dal bisogno universale della specie umana, che senza tal costanza non potrebbe prosperare. Non confondiamo questo fine universale della natura col fine particolare de' due contraenti. Questi vogliono il bene loro particolare: la natura vuole assicurare a tutti i maritaggi onestà illibata e risultamenti felici: ad ottenere questo intento è necessario cessare ogni speranza che mai se ne sciolgano i vincoli: il divorzio, sciogliendoli, sarìa un gagliardo impulso a violarli frequentemente. Il divorzio è dunque costantemente contrario al fine universale di natura; mentre la indissolubilità lo impedisce solo in certi casi accidentalmente.
(1536 3. Pericolo di parricidio) — Gran tentazione, soggiungono, ad uccidere un conjuge è codesta assoluta inseparabilità! — Quante altre tentazioni consimili ci presenta natura: gran tentazione è una eredità agli eredi, gran tentazione un impiego agli emuli candidati, gran tentazione la gloria a due rivali, l'impero a due pretendenti... La ragione, l'educazione, le leggi e mille altri argomenti di sociale e naturale efficacia sono antidoti opposti a codeste tentazioni: questi medesimi tolgono i pericoli del vincolo maritale. E in verità non basta a tal uopo in gran parte la separazione di casa, la quale per gravi cagioni in ogni società suol permettersi? [CXXXVI].
(1537 Epilogo della legge di perpetuità) Riepiloghiamo questa materia importantissima. Le leggi di natura hanno la forza di obbligarci dalla Volontà creatrice; ma razionalmente non possono da noi conoscersi se non pel bene che recano nelle relazioni naturali (107). Or anche i favoreggiatori del divorzio accordano che la perpetuità, almen nello stato normale, è richiesta a prosperare i maritaggi: richiesta perchè si assicuri ai figli educazione e sussistenza, perchè ai conjugi si tolga la speranza di compagnia più gradita, perchè agli interessi domestici si destino solleciti e concordi amministratori, perchè tra le varie famiglie non si spargano inimicizie con danno pubblico... ............... Dunque voto di natura è la perpetuità del matrimonio.
Questa legge ha dei pericoli e dei contrasti. Ma qual è quella che non ne incontri? Se la legge develegare, è chiaro che dee sentir qualche reazione. Ma la reazione medesima, siccome nasce principalmente dalla corruzione del disordine, così dimostra vieppiù evidente che la perpetuità è voluta dalla ragione e dall'ordine.
L'osservanza di tal legge esige gran valore di virtù. Sì; ma l'inosservanza porta gran danno ed universale: l'imporre per fine sì importante atti difficili, è giusta legge; e tanto più giusta, quando la stessa natura che forma la legge, somministra nella ragione e nella libertà le forze proporzionate.
(1538 Il matrimonio abbisogna della religione) Che se a taluno sembrassero queste forze inferiori al peso, avremmo quindi un titolo per concludere esser vero anche nella domestica, ciò che notammo altrove della società pubblica (1036): creata dal suo Fattore perchè prosperasse sotto gli auspicii della religione, la società maritale dovette esser legata a tali leggi di naturale tendenza, che mai non giugnesse a riposo perfetto se non col giugnere a conoscere le verità ed a praticare, i precetti della religione, di che Egli volle, sua mercè, confortarla. Ed ecco perchè nello stato di società divinizzata, a cui fu assunto l'individuo cristiano (1434), il marital legame acquistò nuova forza, a fronte di cui la indissolubilità puramente naturale potrà parer debole, ed imperfetta [CXXXVII].
NOTE:
[1] Avvertasi a quell'uno. Gli anti-celibatarj, sì numerosi fra i Protestanti e i Miscredenti del secolo scorso, eredi anche qui degli eretici antichi, non cessarono di argomentare dalla facoltà propagatrice al dovere di propagarsi. Il sig. Damiron, con vedute meno anguste, dando all'argomento tutta la sua estensione, gli diede insieme tutta la sua ridicolezza; giacchè l'argomento degli anti-celibatarj in favor del dovere universale di matrimonio è precisamente lo stesso con cui il Damiron dimostrò il dovere universale di essere minatori,fonditori, magnani, ec. (VIII) Se non che egli ebbe almeno un pò di condiscendenza contentandosi elce un tal dovere si adempisse per via di rappresentanti; ma gli anti-celibatarj abbracciarono il rigorismo e vietarono ogni sostituzione.
[CXXXIV] Era riserbato al secolo XVIII. il sottrarnelo onninamente, e ridurre codesto sacro legame a livello con un contratto di affitto o di vendita: ridurlo ad una donazione scambievole di poca carne nata o da nascere. Gran Dio! come l'uomo e vile agli occhi suoi proprj, quando vi si cancella il raggio di vostre sembianze immortali (222)! E chi può comprendere fin dove possa giugnere codesto avvilimento? chi crederebbe che in una delle più colle nazioni d'Europa i mariti vendano le mogli sul mercato? Eppure leggete sotto la data del 28 dicembre 1842 il giornale delle due Sicilie: «La polizia ha impedito a Stramford che un marito vendesse la moglie (come a rigore di legge è permesso), sul pubblico mercato sebbene amendue fossero d'accordo. L'autorità si è opposta a questo atto ben ancor consumato; qualificandolo qual fonte d'immoralità e di disordine domestico, ed ha condannato i due conjugi a dar ciascuno una cauzione di 5 L. sterline.» Se tale non è la legge inglese, pare che dovrebbe alzare i suoi richiami: se non protesta, se non si difende, che cosa è colà il matrimonio? (Esempj consimili non sono nuovi, giacchè nel 1837 il Perrone (De matrimonio c. 2 , n. 133 nota a) cita altro fatto allor recente di tal marito, che traeva sul mercato a vendersi la moglie legata con una fune al collo. Ed il Cantù parla della legge medesima nella St. univ. T. 3. pag. 551, nota.
[CXXXIV] Fra i tanti assurdi che brulicarono dalla corruzione della Riforma oggimai incadaverita, poichè la sua ragione indipendente si separò dalla Autorità conservatrice, udimmo la Ragion Sansimoniana asserire che la trasmissione delle ricchezze paterne ai figli, senza altra ragione che la figliazione del sangue, è il più immorale di tutti i privilegi, il privilegio di vivere nella società senza lavorare, ossia di esser ricompensato oltre il merito del proprio lavoro» (Exposition de la doctr. de s. Simon Première Année, introduction, Huit séance pag. 40.). E nella 8a seduta (pag. 246.) vien citato il Tracy in quelle parole: «ereditare diviene (nella società) un mezzo di acquistare; e quel che è più (o piuttosto, quel che è peggio) un mezzo di acquistare senza faticare».
I Sansimonisti, i quali si vantano sì spesso della ampiezza delle loro vedute sull'orizzonte morale, avrebbero dovuto stabilire in tutta la sua estensione la lor bella teoria; dicendoci francamente che non sarà permesso nella nuova loro Gerusalemme di fare il menomo regalo; giacchè ogni regalo essendogratuito, è un dono fatto all'ozio dal lavoro. Or se codesta legge sapesse un po' troppo di tirannìa ed ancor d'egoismo (di quel brutto egoismo critico che s. Simon venne a sterminare); almeno doveano stabilire che sarà permesso far regali a chicchessia, fuorchè alle persone a noi più care, a moglie, a figli, a parenti ec. Finchè essi non istabiliranno codesta legge, ogni lavoratore che senta che vuol dire amare, tanto studierà, malgrado ogni legge contraria, che regalerà ai suoi figli i suoi averi, e li lascerà oziosi a godersi le fatiche del padre loro.
La legge dunque dei Sansimonisti in favor dei lavoratori, se debbe riuscire pienamente efficace, dee compirsi così: — Ad ognuno secondo sua capacità, ad ogni capacità secondo il suo lavoro; e ad ogni lavoratore divieto di regalare il suo nè in vita nè in morte. — I Sansimonisti abbisogneranno di una Poliziamolto energica per ottenerne l'esecuzione.
A torto poi essi confondono la quistione della eredità con quella della primogenitura: condotti a ciò dal loro falso principio che i beni debbono ereditarsi da chi sa farli fruttare: dunque, dicono, nè dal primogenito nè dai cadetti, ma dagli industriosi. Che il padre alimenti i figli è dover di natura: che preferisca il primogenito può essere dettato di prudenza pel bene della famiglia. Ma appunto per esser questo il fine della primogenitura non sarebbe conveniente che questo privilegio ridondasse a spogliare totalmente i cadetti. E questo fu forse talvolta il torto e l'eccesso della legislazione feudale: essa commettea rispetto alla famiglia, quello stesso che ai pubblicisti del secolo scorso vien rinfacciato in ordine allo stato da Haller, Bentham ec; sacrificava cioè il bene degli individui, fine della società (726 732), al preteso bene della società medesima.
[2] «Patria e famiglia sono idee associate in Europa... non così ove è stabilita la poligamia ... l'amore non vi fu mai morale..... ogni casolare è una dispotica monarchia ec. ec.» Veggasi in fonte questa energica descrizione della poligamia orientale presso Cantù (St. univ. T. 2, pag. 5l seg.).
[4] Valga per tutti lo sfrontato Cinico inglese il quale, dopo aver esposte molte ragioni, conclude «il matrimonio perpetuo è dunque il più naturale, il più assortito ai bisogni e circostanze delle famiglie, il più favorevole agli individui, per la generalità della specie» (Bentham, Oeuvres T. 1, p. 116).
[5] Turpius ejicitur quam non admittitur hospes.
[7] Nel che per altro egli è in qualche modo coerente a sè stesso, avendo negato in molti luoghi ogni legge naturale.
[8] Tanto è vero che lo scetticismo è dottrina, non di pura speculazione, ma di pratica, e nella pratica applicazione apportatrice di calamità senza termine ad ogni ordine di società, giacchè ammesso una volta il principio, ad ogni ordine corre naturalmente ad applicarsi.
[CXXXVI] In un trattato di natural dritto non ha luogo per sè la obbiezione dedotta dalle parole del Vangelo. Pure perchè è notissima, a loro eziandio che non credono nè leggono il Vangelo, accenneremo la risposta quale ce la presenta un Autore, il cui testo potrà, da chi volesse conoscere più addentro, consultarsi, e che pel nome di che meritamente si gode contribuirà ad accertare la solidità delle ragioni che qui accenniamo (V. Perrone, De Matrimonio c. 2, n. 36.).
Osservisi dunque il contesto. I Farisei domandano: — È egli lecito per qualsivoglia cagione lasciar la moglie? Non sapete, risponde il Redentore, che per divina istituzione essi già sono, non più due, ma uno? Ciò che Dio congiunse uom non separi. — Or perchè Mosè ordinò che si desse il libello di ripudio e si lasciasse? — Per la durezza del vostro cuore: ma da principio non fu così. Or io vi dico che chiunque lascierà la moglie (se non per adulterio) e torrà altra donna è adultero: adultero pure chi si torrà la donna lasciata — (Matth. Cap. 19, v. 9.).
Chiunque vorrà accertare il vero senso di queste parole dovrà intenderlo dalla Chiesa: ma limitandoci anche solo ad osservazioni ermeneutiche, è facile il vedere che quella parentesi è una risposta ad quacumque ex causa, e vale come se dicesse — (il che non è lecito se non per lo adulterio) — nè codesto modo ellittico di ragionare è nuovo nella scrittura; la cui oscurità è appunto gran prova della necessità di un giudice infallibile, che ne sia l'interprete.
Che se da tal risposta qualcuno non si sentisse pago, al più potrebbe concludere che Cristo S. N. spiegasse in quelle parole il vero senso della legge mosaica sul ripudio (giacchè la legge cristiana fu da lui costituita in altra occasione (Marc. Cap. 10, v. 11.) mentre parlava non con Farisei tentatori, ma coi Discepoli suoi, futuri maestri della Chiesa: ed allora chiaramente e senza veruna restrizione vietò il divorzio totale. E ben conveniva che a quei capi del Sinedrio egli spiegasse il vero senso del ripudio mosaico, quando a tale eccesso era giunta la licenza espressa nel quacumque ex causa, che ogni picciolo disgusto, anzi che solo il trovarne altra più avvenente, stimavasi da certuni causa legittima a lasciare la prima moglie.
Bastino questi cenni, non già per togliere ogni materia a contrasto teologico, ma solo per indicare ai lettori i fonti d'onde possono attingere la vera dottrina la quale è all'operetta nostra sì straniera che non possiamo più oltre andarne in traccia.
[CXXXVII] Questa osservazione può renderci naturalmente ragione della dissolubilità del vincolo maritale accordata al neofito, cui la moglie ostinata voglia abbandonare; mentre al matrimonio cristiano, quando è compiutamente ultimato, non si ammette altro termine fuorchè il sepolcro. Senza entrare nelle ragioni misteriose che eccedono i limiti del dritto naturale ipotetico in cui siam racchiusi, apparisce agevolmente la ragione del divario indicato, anche per ragioni di ordine puramente sociale.
Il legame di matrimonio nasce dall'ordine di natura, alla cui perfezione è diretto sì l'ordine domestico, sì il politico (726 1115), e l'inter-nazionale (1358). Se dunque la natura tende alla indissolubilità di tal vincolo, lo scopo della domestica e della politica legislazione in tal materia debbe essere di mantenere alla natural legge inviolabile rispetto. Ma la stessa natural perfezione è ordinata (abbiam detto nel testo) a base dell'ordine soprannaturale, dal quale ella ottiene forze più proporzionate al peso della legge anche sol naturale (880 1036). Dunque se la naturale indissolubilità fosse ostacolo talora all'ingresso nelle vie di questo ordine supremo, essa si troverebbe in collisione col dritto supremo, e in contraddizione ancor seco stessa; e per ambi i titoli dovrebbe cedere a quello. Dico che dovrebbe cedere al dritto supremo, perchè la perfezione suprema è qui in terra l'ultimo fine a cui debba l'uomo aspirare; or nella serie dei fini l'ultimo è sempre regolatore degli intermedi (21 41). Dunque il dritto che da esso necessariamente deriva (giacchè ogni dritto nasce da un ordine (347) è più gagliardo dei dritti intermedi a lui subordinati (363). Dico inoltre che la indissolubilità naturale, se qui non cedesse, contraddirebbe se stessa, giacchè per ottenere la indissolubilità, se ne torrebbero i mezzimoralmente necessarj: nel che è apertissima contraddizione.
— Ma dunque la legge naturale sarà variabile. — Adagio. Che cosa è legge naturale? Ella è quella obbligazione che noi deduciamo dal costante andamento di natura, in cui ravvisiamo il volere del suo Autore e Ordinator supremo. Or da questo andamento costante noi deriviamo che lo uomo avrà dalla natura stessa deboli forze a paragone del peso, e che sommo beneficio sarebbe del Creatore se, con ajuto a lei non naturalmente dovuto, le recasse conforto. Se dunque per fatto positivo ne venga aperta la via a trovar nuovi mezzi
di perfezione in tutto l'ordine morale, sarà in tale ipotesi dritto e dover naturale abbracciar questi mezzi. Ma ad abbracciarli sarebbe gravissimo ostacolo il legame indissolubile con un infedele protervo, che non solo li ricusi per sè, ma voglia torli al conjuge. In tal caso la stessa natural legge prescrive che l'ordine inferiore ceda al superiore, il dritto più debole al più gagliardo.
di perfezione in tutto l'ordine morale, sarà in tale ipotesi dritto e dover naturale abbracciar questi mezzi. Ma ad abbracciarli sarebbe gravissimo ostacolo il legame indissolubile con un infedele protervo, che non solo li ricusi per sè, ma voglia torli al conjuge. In tal caso la stessa natural legge prescrive che l'ordine inferiore ceda al superiore, il dritto più debole al più gagliardo.
Non è dunque in tal caso una dispensazione della legge naturale, ma una natural collisione di due leggi, di due dritti: appunto come non è un dispensar dalla legge di non uccidere, il permettere la guerra o la difesa; non è un dispensar dalla obbedienza di suddito, il permettere a suddito di non eseguire un comando ingiusto; non è un dispensare dal debito di usar ragione, l'obbligarla ad umiliarsi alla fede ec.
Un'altra conseguenza possiam quindi dedurre, conciliando due leggi che sembrano contrarie: si scioglie il vincolo dell'infedele convertito col coniuge ostinato che bestemmia, non si scioglie fra coniugi cristiani se l'uno di essi cada nell'eresia e bestemmi come il primo: eppure il pericolo del coniuge fedele è in ambi i casi lo stesso. Ma ognun vede che nel primo caso la dissolubilità appiana le vie alla fede, nel secondo all'apostasia: il dritto dell'individuo sarebbe lo stesso, ma il dritto derivato dall'ordine generale è contrario: or la legge nasce dall'ordine generale: dunque debb'essere contraria.