giovedì 23 ottobre 2014

R.P. Gaetano Zocchi d.C.d.G. L'IMMORALITA TRIONFANTE

La Civiltà Cattolica anno LIII, serie XVIII, vol. VIII (fasc. 1257, 21 ottobre 1902), Roma 1902 pag. 258-273.


R.P. Gaetano Zocchi d.C.d.G.

L'IMMORALITA TRIONFANTE

I.

Donoso Cortés, fra tante altre magnifiche cose, disse questa, che torna opportunissima oggi. Vi sono due freni dei quali o l'uno o l'altro è necessario a trattenere l'uomo: o il freno religioso o il freno politico.Quando l'uno si rallenta l'altro si rinserra. Quando il freno religioso, cioè la repressione per la coscienza, raggiunge il suo massimo, allora il freno politico, ossia la repressione per la forza, è a zero. Ove, al contrario, il freno religioso si rilasci, cada, s'annulli, il freno politico prende il luogo suo e tocca fatalmente il suo massimo d'intensità, che è il regno della forza pura.
Tale massima è verissima, nè per confermarla il grande oratore spagnuolo aveva bisogno di altro, come d'altro non abbiamo d'uopo noi pure, che di appellare ai fatti quotidiani ed agli eventi della storia. Colle coscienze individuali, che infrangono il freno religioso, le polizie mettono in opera il freno politico; e Dio incarica le rivoluzioni di far lo stesso colle società, che si allontanano da lui.
Posto ciò, crediam noi che nella società moderna il freno religioso sia veramente disceso a zero? Da quel che appare pubblicamente per fatto dei Governi e di coloro i quali si arrogano di rappresentare nella legislazione, nella coltura, nell'educazione e nelle abitudini della vita collettiva la società moderna, sembrerebbe di dover dire di sì: perocchè non solo il freno religioso è universalmente negletto da costoro, ma è altresì disprezzato, calpestato, additato all'odio delle moltitudini siccome irreconciliabile nemico della libertà. Vuolsi però notare, che non sembra essere dall'altra parte giunto al suo massimo il freno politico, come dovrebbe per la legge formulata dal Cortés. Anzi guardandoci intorno in tanta parte di mondo e particolarmente in casa nostra, cioè in Italia, vediamo una rilassatezza generale di sorveglianza delle autorità preposte all'ordine pubblico, il non prevenireapplicato in tutta la sua latitudine ed il reprimere con somma negligenza e quasi svogliatamente, vediamo il lasciar fare ed il lasciar passare, che permette a tutti i peggiori istinti di scatenarsi, a tutti gli scandali di distendersi trionfalmente alla luce del sole.
Si deve dunque nell'analisi del fatto sociale moderno introdurre necessariamente un altro elemento; e questo è, se del tutto non c'inganniamo, il conato delle sètte padrone del mondo per ricostruire gli ordinamenti umani su tutt'altro fondamento da quello lor dato da Dio Creatore e Redentore. È l'orgoglio satanico di rifare il mondo, senza Dio e contro di Lui, meglio che egli non l'abbia fatto. Intanto che questa immane superbia fa, come il Signore pe' suoi fini le permette, l'esperimento del proprio programma, aiutata e sorretta dai mille presidii d'ogni sorte, intellettuali, morali e materiali, che ha sparsi un po' dappertutto nel mondo visibile ed anche nell'invisibile dell'inferno; e mentre in tante anime ancora e in tante famiglie dura potente, benchè oppressa, la salutare reazione cristiana, non è malagevole capire come a sbalzelloni la società possa comechessia andar avanti, pur senza freni o con iscarso rattento così del freno religioso come del politico. Va innanzi, o meglio precipita per poco intiera anche la macchina a cui si sono spezzati i freni; dura per poco a lottare colle onde in tempesta anche la nave che ha perduto alberi e timone; finchè questa va a sfracellarsi contro uno scoglio, e quella a frantumarsi in un burrone.
Di questi tempi di aspettativa e di prova ne ha avuti altri la storia, e quindi nulla a stupire che uno sia il nostro. Sfortunati noi ai quali tocca di viverci, in mezzo alla confusione inestricabile d'idee e di fatti, che di tali tempi è propria, e che, salvo la Chiesa, lascia ferma e dritta a pochi la testa sul busto. Ma questi son sempre per necessità tempi di transizione. Paiono lunghi rispetto alla vita individuale; ma rispetto alla vita sociale, con cui soltanto vogliono commisurarsi, passano in breve, per far luogo alla legge immanchevole etica e storica di Donoso Cortés. E passerà presto anche il nostro. Guai se dovesse risolversi colla repressione violenta della forza bruta, qual che essa sia, od anarchica o dispotica! Eppure a questo siamo fatalmente incamminati, se il freno religioso, ossia la repressione per mezzo della coscienza, continua a scendere verso zero.

II.

Che è divenuta ormai la coscienza pei moderni? Nulla. Non già che alla coscienza non si faccia continuo appello. Vi ricorrono massimamente coloro che non ne hanno più, e i sovvertitori dei popoli si vantano di averne fatta la coscienza, quando li hanno indotti a tumultuare; e le plebi, tra i furori della rivolta, gridano anch'esse al trionfo della conquistata coscienza. Ma non è questa che una turpissima storpiatura della coscienza vera; poichè favorisce ed approva quel che la coscienza condanna. Non è la coscienza morale, la coscienza che in nome di Dio intima una legge eterna, infrenatrice delle passioni, punitrice dei delitti.
Di questa va ogni dì più smarrendosi nella società moderna anche la genuina nozione in un generale pervertimento, onde avviene quel che, a detta d'Agostino, verificavasi nei peggiori tempi del paganesimo, cioè che vizio e virtù non si distinguano nemmen più fra loro. Il senso morale si perde; e però, nonchè darsi alla turpitudine con scettica indifferenza e senza rimorsi, i moderni guidatori delle turbe la turpitudine tramutano in virtù, la lodano, la esaltano, ravvisano in essa il vanto e la gloria d'una civiltà progredita. Della turpitudine, insomma, hanno fatto un'idolo, a cui la modernità si prostra adorando: sicchè, se è lecito anche a noi in tanto brulicare di parole nuove, foggiarne una nostra, diremmo che è venuta di moda accanto alla pornografia la pornolatria, un vero culto, cioè, una vera e propria adorazione di tutto ciò che è immondo, turpe, abbominevole, non pur giusta i precetti del decalogo, ma ancor secondo le massime prime ed elementari della naturale decenza, un'idolatria dell'animale che grugnisce nel truogolo e s'affonda nel fango.
Questa pornolatria non poteva certo dare di sè spettacolo più indecente ad un tempo e più sfacciato di quello, onde dovemmo testè essere spettatori raccapricciati alla morte di Emilio Zola. Perocchè non vi è da arzigogolare con perifrasi od eufemismi: a Parigi ed in tutta la Francia fu una apoteosi di cotestui [= costui N.d.R.], che fu scrittore di sporcizie per proposito deliberato e per mestiere, il quale da solo imbrattò di luridume più pagine che non dieci Ovidii o dieci Marini insieme, e in tre soli de' suoi romanzi, TerraNanàAssommoir, condensò tutte le oscenità del paganesimo morto e di quello risorto. E all'apoteosi della Francia si unì l'apoteosi di parecchie altre nazioni, dell'Italia massimamente, rappresentata ufficiosamente dalla sua stampa liberale e ufficialmente dal suo Ministro per la pubblica istruzione.
Dicono alcuni che Emilio Zola scrivesse così turpemente solo per amor di lucro; e infatti morì milionario. Ma questo accresce, anzichè diminuire l'onta del mondo civile che incensò il suo cadavere, perchè gli nega anche l'attenuante d'una qualsivoglia idealità artistica.
Dicono altri che l'apoteosi dello Zola intendesse puramente ad esaltare i suoi meriti di letterato, prescindendo dalle brutture de' suoi romanzi. Ma per noi, uomini d'antico stampo, il fatto stesso di gente cristiana che, nonostante la puzza di Suburra esalante da tutta l'opera zoliana, può starsene come inebbriata e rapita ad incielarne le grazie letterarie, poche o molto che esse sieno, ed a fare, per cagion d'esse, dello Zola addirittura un semidio, è tale dimostrazione di pervertimento morale che ci mette i brividi.
Qual altra impressione però, se non questa di profonda tristezza, per l'abbassamento del senso morale e cristiano, nel nostro paese, avrebbe potuto farci il brano di prosa, inviato, in morte dello Zola, al Giornale d'Italia da quel Antonio Fogazzaro, che persino qualche cattolico vorrebbe gabellare per scrittore pio e moralissimo? Il Fogazzaro, pur dichiarandosi soldato di altre fedi, rende allo Zola onore come a un generoso e ad un forte, come all'uomo che all'ingegno grandissimo congiunse bontà di cuore e onestà di volere, la cui opera rimane e rimarrà «per quella grandezza che le viene dalla unità, dalla vastità e dall'audacia del disegno, dalla franca maestria dell'esecuzione, dalla straordinaria maestosa lucidità delle imagini rispecchiatevi dal vero, dalla virtù di un sentimento morale traviato talvolta per difetto di alte idealità e di poesia, ma forte, volto sempre ad un fine creduto bene.» E benchè riconosca che lo Zola ha maneggiato troppo fango e troppo a lungo, il Fogazzaro trova modo di lodarlo anche per questo, giacchè, dice egli, lo ha maneggiato con disprezzo e ne ha brutalmente foggiato imagini di bruti e di semidei; e quindi ne conchiude che la Francia gli deve innalzare un monumento [1].
Se così intende e così promuove la morale un Fogazzaro, ed è acclamato moralissimo anzi bigotto, che cosa è più, chiediam noi, la morale per una gran parte del pubblico moderno, se non l'immoralità? E se a detta d'un Fogazzaro, è gloria del maggior pornografo dei nostri tempi l'onestà del volere e la virtù di un sentimento morale e la costanza nell'aver mirato ad un fine creduto bene, che resta più al grosso pubblico, il quale non ha i sentimenti elevati del poeta e prosatore vicentino, se non glorificare quel fango che lo Zola ha troppo maneggiato e troppo a lungo? se non menare in trionfo l'emblema tradizionale della sporcizia, ed ove occorra, anche adorarlo ?

III.

No, nessuno dei facili moralisti, encomiatori dell'arte e non del contenuto dell'opera zoliana, s'illuda intorno alla efficacia della loro violenta bissezione; l'apoteosi del Zola, alla quale essi invitarono le plebi, fu dalle plebi diretta anche alla pornografia zoliana; fu un atto pubblico e sociale di pornolatria; e sul capo dei promotori ne ricasca l'onta e il sacrilegio. Le plebi, che Anatolio France invitava, il giorno dei funerali, ad esaltare nello Zola il genio della Francia, ad imitarlo anzichè rimpiangerlo, ad invidiarne il destino ed il cuore che lo fecero gigante, e impersonarono in lui un momento della coscienza umana, in quel deificato videro per certo il descrittore delle orgie infami, le quali avevano tante volte infiammati i loro istinti brutali. Il France veramente aveva voluto immortalare in Zola il difensore di Dreyfus; ma quelle plebi applaudirono anzitutto l'autore di Nanà, di Terre, di Germinal e dell'Assommoir. Nè ad alcuno venne per fermo in mente che quel medesimo France aveva scritto tempo addietro: «L'opera di Zola è cattiva, ed egli è uno di quegli infelici dei quali può dirsi che sarebbe meglio non fossero mai nati. Certo non gli negherò punto la sua detestabile gloria. Non vi fu mai uomo che disconoscesse a tal segno l'ideale degli uomini [2].» No: quelle plebi udirono, dinnanzi al feretro del romanziere dei bordelli, che egli fu un momento della coscienza umana; piegarono il ginocchio e idolatrarono la corruzione.
Pur a Parigi la passione politica potè mescolarsi nell'apoteosi del morto; l'odio dei nazionalisti potè senza dubbio bastare per qualche gruppo di politicanti di mestiere a far levare alle stelle colui che erasi rizzato a gridare j'accuse, e perciò era stato condannato: ma in Italia non vedesi davvero qual parte importante questa considerazione potesse avere nella glorificazione di Emilio Zola. Qui dunque essa ebbe intieramente il carattere di apoteosi dell'immoralità: siccome del resto si diè chiaro a conoscere per le manifestazioni di un considerevole numero di giornali, che non ne fecero punto mistero.
Ed era, a vero dire, non più che l'indice di uno stato di cose, il quale tutti, se abbiam occhi, dobbiamo vedere con ribrezzo. L'immoralità più ributtante e schifosa va tuttodì distendendosi fra noi, tutto corrompendo, inquinando tutto, anime, famiglie, istituzioni, piantando cattedra e trono dappertutto. È una immoralità che non si contenta più di mettersi sotto i piedi il sesto comandamento del decalogo; ma viola a man salva anche il quinto ed il settimo, quei due che finora i galantuomini alla moda si vantavano di rispettare, pretendendo per ciò d'aver titolo ed onore di uomini onesti, benchè fossero nemici dei preti e bestemmiatori di Dio. Sicchè turpiloquio, scurrilità di caricature o di cronache e bozzetti ed aneddoti ne' giornali, che vanno per le mani altresì dei bimbi, procacità scandalose di cartoline che corrono le poste e di stampe e figurine d'ogni specie che stanno pubblicamente esposte nei negozii, o di statue che si rizzano sulle piazze, oscenità di libri, di canzoni e di rappresentazioni nei teatri [3] e nei cafè chantants; anche licenza di tratto nei carrozzoni delle strade ferrate e nei pubblici ritrovi, o libertà impudiche di relazioni e di costumi nella gioventù dell'uno e dell'altro sesso e disordini di mariti e di spose che a vicenda si condonano ogni sorta di tresche, son cose oramai che sembrano entrate nei costumi sociali, e chi ne meraviglia? Ridicolo sarebbe tra gente per bene il farne gran caso. E per verità, mentre ad ogni momento siamo da un capo all'altro del paese messi sossopra da scandali enormi che importano processi rumorosi, i quali si protraggono per mesi intieri e riempiono d'immondezze nefande, ogni dì, le colonne dei giornali, quelle ignominie, pur tanto detestabili e nelle contrade cristiane già tanto detestate, son divenute bazzecole, di cui sembra non metter più conto d'occuparsi.

IV.

Era finito appena il poema eroicomico del bandito di Calabria, Giuseppe Musolino, sintesi di aberrazioni morali luttuosissime; avevamo appena cominciato a respirare, dopo mesi ed anzi anni d'una sfilata obbrobriosa d'imbrogli politici, di congiure mafiose, di ruberie e di vendette cruente, nel processo Palizzolo; ed ecco a Napoli si prende a dipanare dalla magistratura, col concorso di un nugolo di avvocati, la causa Casale e compagni, matassa inestricabile di corruttele e peculati infiniti, mentre a Messina il processo della Marchesa Cassibile va ogni dì mettendo in luce nuovi misteri di malizia, ed a Torino s'istruisce quello della Banca Italo-franca, edizione riveduta e forse aumentata del già sì famoso della Banca Romana, ed a Bologna, con scandalo enorme di tutta Italia, scoppia l'immane macchina d'iniquità e sudicerie maggiori d'ogni immaginazione, che è l'assassinio del Conte Bonmartini: e potrebbero aggiungersi ancora altri scandali simili, come a Campobasso e altrove. Dunque dappertutto ladri, dappertutto fraudolenti, dappertutto traditori, dappertutto assassini e corrotti e corruttori; che vuolsi di più a giustificare il titolo: L'immoralità trionfante, da noi posto in capo a queste pagine, e che avrebbe ben potuto essere, a gloria di Giordano Bruno, La bestia trionfante?
Noi siamo fra quelli, che amerebbero, massime in certa specie di processi per loro natura più scandalosi, si chiudesse severamente il tempio di temi [= il tempio della dea della giustizia (Temi), cioè il palazzo di giustizia N.d.R.] alle frotte di monelli che accorrono alle assise, e alle signore e signorine che vengono ad assaporarvi le voluttà più venefiche al pudore, in gran gala invereconda. Noi vorremmo inoltre, almeno di regola generale, molta sobrietà, in siffatti processi, da parte della stampa onesta, la quale, se ha indubitatamente il mandato di far la luce in servigio della giustizia, può nondimeno anche correr pericolo d'intralciarla con incongrue intromissioni; e deve ad ogni modo guardarsi sempre dal diventare maestra di malizia. Non è forse anche la licenza sconfinata del giornalismo, nel farsi propalatore minuzioso di tutti gli scandali e di tutte le turpitudini, manifestazione ad un tempo e causa del trionfo odierno dell'immoralità? — Benchè dunque la tragedia di Bologna ci presti materia acconcissima ad illustrare il nostro tema, noi vi passeremo sopra rapidamente. Ma un istante bisogna pure che vi ci indugiamo di preferenza, vincendo l'orrore profondissimo che ci fa.
Giacchè, se nel processo del Palizzolo si mostrò un abisso di corruttela del mondo borghese e in quello del Musolino un abisso di corruttela del mondo plebeo, e se nei processi di Napoli e di Torino si palesano abissi di corruttela del mondo amministrativo e del mondo bancario, il processo del Bonmartini ci spalanca davanti un abisso di corruttela incomparabilmente più disastroso; della famiglia, cioè, che è l'ultimo e più necessario baluardo della società cristiana e del consorzio umano.

V.

Ignominie innominabili di lussuria trascinano alla ferocia inaudita di un assassinio domestico in cui, per quel che è dato finora ragionevolmente arguire, entrano, a comune giudizio di popolo, tutte le aggravanti, la premeditazione lunga e diabolicamente sottile, l'odio coniugale e dei più stretti congiunti, la diffamazione, la cupidigia dell'oro, la vendetta, la complicità dei più sordidi e sudici elementi sociali, il tradimento vigliacco. E per tutto questo cumulo di misfatti, è in un giorno annientata una famiglia, che per la rinomanza scientifica del suo capo si assideva in posto eminente di onore: i due figli Murri, la contessa cioè moglie dell'assassinato Bonmartini e l'avvocato Tullio, in carcere sotto l'imputazione d'assassinio; il padre, l'illustre clinico universalmente ammirato, ed il fratello suo schiacciati sotto l'onta e il non punto dissimulato aborrimento della dotta città, la quale vergognasi che tanta abbominazione sia avvenuta tra le proprie mura; e sperduti, senza genitori, in tutela della magistratura, due bambini innocenti, i quali appena giunti a conoscenza della vita dovranno vergognarsi di chi loro la diede.
Parecchi giornali, fermandosi alla tetraggine degli aggiunti, parvero soddisfatti di ravvisare in questa truce storia il tema di una tragedia di Eschilo o di un dramma shakespeariano; altri non vi vollero vedere, conforme alla loro filosofia materialistica, che un seguito necessario di crudeli fatalità. Noi, come ogni uomo, il quale sappia riflettere seriamente, vi noteremo tre cose ugualmente terribili: la logica feroce della libidine, le conseguenze funeste della laica educazione moderna e, qual riepilogo di tutto, l'immoralità trionfante.
Invano uomini e donne dai facili costumi s'imbellettano di tutte le grazie per apparire più gentili delle persone di vita austera; in realtà s'è visto sempre e si vede anche in questo fattaccio di Bologna, che dalla sensualità rampolla la efferatezza, onde, smarrito ogni lume d'intelletto e perduto ogni governo della ragione, gente che per coltura e per grado sociale si dovrebbe credere incapace dei selvaggi eccessi della plebaglia, non pur li emula ma li sorpassa altresì. E però molto bene il Cittadinodi Genova da questo dramma di Bologna prendeva occasione di scrivere, che «la massima parte dei delitti di sangue proviene dal pervertimento generato dalla lussuria nei cuori e nei cervelli»; soggiungendo anche più generalmente, che i pervertimenti sociali «derivano dalla libidine non frenata da una volontà, che attinge grazia ed energia nella Religione e sussidio dalla severità dei costumi pubblici, dalla buona educazione domestica [4]
Oggidì la severità dei pubblici costumi manca: nessuno cel vorrà negare, il quale non voglia mentire all'evidenza. E l'educazione domestica? Anche nelle classi inferiori e molto più nelle superiori, questa si viene scostando dal programma antico, che aveva per base la Religione, e adattandosi al moderno, ispirato dalle sètte nemiche d'ogni fede soprannaturale, il quale è più o meno integralmente attuato nelle scuole governative, dall'asilo all'università. Quale questo programma sia non occorre indicarlo; poichè esso porta l'impronta di fabbrica. Ma se ciò vuolsi udire direttamente da qualche bocca autorevole in materia, ecco lo Zola autorevolissimo, che nell'ultimo suo romanzo: Vérité, fa esporre il programma stesso, tal quale è, da uno de' suoi eroi, Salvano, il direttore della Scuola normale di Beaumont. Salvano diceva, la questione di vita o di morte consistere tutta nel preparare i maestri al loro apostolato, che è di rigettare i dommi rivelati, le leggende menzognere, tutto l'enorme ammasso di errori, i quali da secoli mantengono gli umili nella miseria e nel servaggio. Quel sacro battaglione di maestri elementari deve, alla luce delle sole verità scientifiche, dissipar le tenebre secolari, per rendere il popolo capace di verità, di libertà, di giustizia [5]. Questo è proprio il programma d'educazione moderna, laico ed ateo, fondato unicamente sul metodo esperimentale, che si contrappone dappertutto al programma cristiano. E quanto buono esso sia si dimostra dal trionfo d'immoralità che dappertutto lo segue. Il dramma di Bologna (chiamiamolo così per eufemismo) venne a porre con fracasso il suggello alla dimostrazione; perchè sull'educazione moderna non poteva cadere anatema più solenne della dissoluzione verminosa di tutta una famiglia, illustrata da un luminare della scienza moderna, educata tutta alla moderna, ove dei due figli il maschio era riuscito socialista e la femmina, allieva dei ginnasii e licei governativi, iconoclasta furibonda di ogni simbolo di fede nella cattolica famiglia, dove entrò giovane sposa. Forse per ciò i settarii s'arrabbattarono subito a far correre la voce, che i clericali, che volevano giustizia piena del misfatto, combattevano la scienza; e a ciò forse si devono ascrivere anche gli sforzi che tuttora si fanno per impedire la luce e fuorviare le investigazioni dei magistrati.
Povera rivincita della morale laica, che ci farebbe sorridere, ove al di sopra di tutto non vedessimo levarsi pauroso lo spettro dell'immoralità che, a suon di trombe vittoriose, distende il suo regno!

VI.

Or perchè dunque non si è voluto mai capire, che moralità senza Religione è impossibile? che, come diceva persino il Machiavelli, dove non è il timore di Dio, è mestieri che quel regno vada in rovina? — La moralità è necessaria assolutamente alla vita d'un popolo, che altrimenti è condannato a dissolversi e sparire; ma alla moralità di un popolo è necessaria assolutamente la fede ferma nella realtà del soprannaturale, dell'ultramondano, di quell'al di là, invisibile ed incomprensibile, ma immutabile ed eterno, che solo può alla morale dare principio, fine, sanzione. Colle dottrine materialistiche per ogni dove diffuse e penetrate nelle ossa delle generazioni moderne, la moralità non ha dunque più nè un fondamento solido sul quale rizzar l'edifizio delle sue leggi, nè uno scopo corrispondente ai sacrifizii che esige, nè l'aspettazione d'un premio e d'un castigo abbastanza salda per invigorirla contro gli allettamenti e le paure congiuranti senza posa ad abbatterla. Della moralità che resta, quando le abbiate tolto, diciam così, la sua ossatura, ossia il volere del Legislatore Supremo, alla cui inflessibile giustizia niuno, per grande che sia, potrà sottrarsi? — Nulla più che un fantasma dell'imaginazione, un sentimentalismo subbiettivo, ovvero l'estimazione di convenienze dipendenti da condizioni mutevoli di tempi e di società. È questa infatti la morale indipendente, voluta dai moderni surrogare al divino decalogo del Sinai, e che faceva al Brunetière proclamare impavidamente, tra le urla di tutto l'Areopago positivista, il fallimento della morale insieme col fallimento della scienza e della sociologia senza Dio.
Le urla però non valgono a distruggere il cumulo di fatti, che stanno pel Brunetière e per tutti i sostenitori convinti della dipendenza intima, essenziale della moralità dalla fede religiosa. Tanto vale la nostra morale, diceva in una Conferenza rimasta celebre il Brunetière medesimo, quanto valgono le nostre credenze [6]. E infatti si vede e si tocca con mano che la morale di quelli i quali credono poco vale anche poco, e la morale di quelli i quali non credono nulla vale anche nulla. Quindi ridono scetticamente ogniqualvolta, per occasione di fatti pubblici, che involgono talvolta interessi vitali delle nazioni, si metta innanzi la questione morale; come se il parlare di moralità fosse cosa di altri tempi, priva oramai d'importanza e di senso. E con questo pregiudizio fatalissimo nelle vene crescono le nuove generazioni, alle quali, per conseguenza, torna troppo spesso impossibile far sentire altra voce fuor quella del tornaconto e della minaccia. Quindi, per infiltrazione venefica dell'ambiente, pur in giovani cristianamente educati prende piede un lassismo deplorevole se non di costumi almen di giudizii morali, e credono sinceramente d'aver le vedute larghe, ove invece le hanno sbagliate e travolte. Quindi, a dir tutto in breve, nella dottrina e nella vita la moralità si perde, e rimane sola a regnare la immoralità. Quanto sapientemente, in quella Conferenza ora citata, segnalava il Brunetière il funestissimo inganno di coloro, «che noi vediamo tuttodì assalire le credenze, protestando molto sinceramente di voler però salva la morale!» E conchiudeva: «Non bisogna mettersi ad abbattere l'albero, dal quale si vuol continuare ad avere dei frutti.»

VII.

Tutto il nostro ragionamento a questo appunto finalmente mirava: a persuadere gli uomini sinceramente desiderosi di mettere un riparo all'immoralità invadente e trionfante, che ogni altro ingegno è inutile, se non si dà opera coraggiosa e perseverante a risuscitare e ringagliardire nelle anime il sentimento religioso.
A Torino, dal 9 all'11 settembre, si tenne un Congresso, promosso dalla Lega per la moralità pubblica. Quel Congresso, e per la sua intrinseca importanza e per l'autorità di parecchi, i quali vi presero parte o vi aderirono, meritava certamente, nel paese, una più larga ed efficace collaborazione, che non ebbe. Pure è a sperarsi che le cose ivi dette e le deliberazioni prese non rimarranno lettera morta. È impossibile infatti che molti in tutta Italia non sentano la necessità, da labbra eloquenti colà proclamata, di prendere virilmente in mano, per amor della famiglia, per amor della patria, la causa della moralità pubblica e domestica in tante guise manomessa. Fu deliberato di costituire la Lega in Ente, per dare efficacia alle denuncie di fatti immorali ed accertarne le circostanze innanzi alle guardie, fornendo altresì i membri della Lega stessa di una tessera di riconoscimento, la quale li renda più autorevoli all'uopo: e fu certo deliberazione savissima. Quanto a noi, facciamo voti che così opportuna istituzione si distenda e raccolga aderenti in tutto il paese, e non trovi la polizia renitente a reprimere gli scandali o incapace di farsi ubbidire. — Fu deliberato altresì di fondare una Rivista della moralità pubblica; e anche questo potrà tornar utile che si faccia. Vantaggioso sarà sopratutto l'aderire al disegno di una Federazione di tutte le società italiane, che tra i loro intenti abbiano quello di tutelare la pubblica moralità; ed all'altro d'istituire nelle varie città Comitati di studii e d'informazioni per meglio conoscere i disordini prevalenti e le loro cause ed applicarvi i rimedii meglio acconci. Anzi particolar lode merita la signora Buchner di Venezia, che in una Memoria molto elaborata, letta al Congresso dalla professoressa signora Bobba, riassunse parecchie di quelle cause e di quei rimedii, come può vedersi qui sotto in nota [7].
Pur tuttavia insistiamo nel nostro concetto, che rimedio dei rimedii sarà soltanto la restaurazione nel popolo della coscienza religiosa, per troppe cause offuscata ed indebolita. Forse motivo principale della scarsa eco avuta in Italia dal Congresso, pur così rilevante, di Torino, fu l'aver soverchiamente insistito nel proposito di chiamare, come disse l'egregio Presidente prof. Bettazzi, tutte le convinzioni cooperatrici nell'impresa comune.

VIII.

La moralità, per mancanza appunto di convinzioni religiose ferme, che è quanto a dire cristiane e cattoliche, è intesa in troppe guise diverse e contraddittorie anche da coloro che sinceramente la vogliono e la proclamano, siccome abbiamo più sopra udito dal Brunetière. Che sarà pertanto di quelli che se ne valgono per passaporto d'idee settarie? — Quindi in Francia, ad esempio, l'Aurore, che pur essendo giornale di scarsa tiratura è l'organo filosofico di quelli che stanno ora al Governo o vi aspirano, poteva non ha guari sfacciatamente predicare qual precetto di prosperità, per nulla opposto alla morale, il turpe malthusianismo, in un articolo intitolato: L'Imprudence procréatrice, dove il provvido genio conservator della specie era, collo Schopenhauer, chiamato industriale malefico che vuol solo produrre [8][Il malthusianismodal nome dell'economista inglese Thomas Robert Malthus (1766 – 1834) che l'ispirò, è una dottrina economica che, individuando nell'incremento demografico la causa della povertà e della fame nel mondo, auspica la diffusione di mezzi anticoncezionali e dell'aborto. N.d.R.] E in un Congresso di trecento igienisti, tenuto da poco a Bruxelles, dove pure venne dichiarato che la scienza riconosce giovevole alla salute la castità, potevasi brindare in nome di Parigi qual città del piacere, quasi augurando che, mercè l'igiene, il piacere venga affrancato dai vergognosi morbi che lo rattristano.
Siano dunque i benvenuti i nuovi provvedimenti legali contro l'immoralità e si spronino le autorità a fare il loro dovere, applicando quelli che già esistono e non sfruttando, come pare che ora il Governo faccia, anche gli scandali a fini politici e di partito. Siano le benvenute tutte le leghe contro il vizio, benvenuti libri, riviste, conferenze che predichino il buon costume, benvenute le consultazioni d'igienisti, di fisiologi, di pedagogisti, massime quando approdino a qualcosa di pratico e di veramente salutare, per prevenire le stragi del libertinaggio e diminuirne le conseguenze funeste. Ma non siamo presi in mala parte noi, se affermiamo, che tutto questo sarà poco meno di nulla contro l'immane cancrena, onde l'organismo sociale moderno imputridisce, senza la terapeutica divina e sola veramente ed universalmente efficace, contenuta nel Catechismo, che intima a tutti, grandi e piccoli, ogni libertinaggio essere peccato, proibito da Dio, il quale lo punisce con un supplizio eterno.
Un inglese, citato nelle scuole quale oracolo, Herbert Spencer, ora che è vecchio ha scritto un libro,Facts and Comments, in cui con universale stupefazione ha dichiarato esser suo convincimento, che il mondo volge a male perchè fa una parte eccessiva alla coltura intellettuale e troppo scarsa alla morale. Egli riconosce, col Genesi, i pericoli dell'albero della scienza, e ammette che la scienza superba tolse alla morale sociale la base larga e solida che ebbe in tempi meno istruiti, ma più educati al credere. Il medesimo aveva detto prima di lui e meglio di lui un altro dotto inglese, uomo di Stato per giunta, il Balfour, nell'opera: le basi della credenza.
Sarebbe vergogna che noi italiani, nati e cresciuti alla scuola del vero cristianesimo, che è il cattolicismo, ci facessimo additare da stranieri protestanti la strada del risorgimento morale. Siam discesi nel fango perchè abbiam disprezzato il Catechismo co' suoi precetti morali cosi semplici e così fulgenti di luce: torniamo al Catechismo e risaliremo alla purezza dei costumi cristiani e contro l'immoralità trionfante rizzeremo il trono della trionfante onestà.

NOTE:

[1] La pia e dotta Rassegna Nazionale di Firenze riporta questo giudizio del Fogazzaro, certa di far cosa grata ai suoi lettori. Non è forse il caso di esclamare con Cicerone: O tempora! O mores?
[2] Queste parole furono riferite dal Journal des Debats. La Tribuna, che per la penna del suoRastignac invitò a fare a Zola i funerali di Sofocle, riportava un giudizio del Brunetière molto severo, ma anche molto giusto, sul valore artistico dello Zola. «Nessuna coscienza (scrive egli) e nessuna osservazione, nessuna verità e nessuna esattezza; tutti effetti facili e violenti, che altro non sono se non quelli da vaudeville e da melodramma; inaudite scene di brutalità, imagini di dissolutezza, odori di sangue e di muschio mescolati alle esalazioni del vino e dello strame; ed ecco, come si va dicendo, la vetta suprema del naturalismo.»
Nella Nazione, finalmente, leggevamo un brano di protesta che noti discepoli dello Zola pubblicavano contro di lui, quando venne in luce il romanzo oscenissimo: La Terra. Essi dicevano presso a poco quel che abbiamo udito dal Brunetière, conchiudendo: «Il maestro è disceso all'estremo termine dell'immondezza.»
[3] Qui in Roma all'Adriano si è ora data la sporca Mandragola del Machiavelli, avvertendo che erasolo per gli adulti; ma quante altre immondezze peggiori vengono imbandite, senza quell'avvertimento!
[4] Il Cittadino, N. 257, pel 17 Sett. 1902.
[5] Vérité par Emile Zola, Lib. I, cap. 4.
[6] Il bisogno di credere. Conferenza tenuta da F. Brunetière a Besanzone, il 19 nov. 1898, nell'8° Congresso della Gioventù Cattolica. Fu tradotta dal Sac. Badini e pubblicata nel periodico ilConferenziere (Milano, Anno I, n. 1, 3 marzo 1889).
[7] 1. L'ignoranza dei danni individuali e sociali del mal costume, a diminuire la quale invocansi le conferenze tra insegnanti, e di essi alle masse, l'opera degli studiosi d'igiene popolare e il consiglio prezioso quanto autorevole degli ecclesiastici e delle persone pie.
2. L'ignoranza dei principii elementari della pedagogia, contro cui, oltre ai precedenti rimedii, gioveranno le Conferenze tra genitori.
3. L'errore che il dogma contrasti alle grandi leggi naturali, che informa e integra.
4. L'abbandono dei minorenni nelle officine, e la troppa libertà loro di disporre dei salarii, contro cui valgono le Associazioni e i Patronati.
5. L'alloggio dei lavoratori poveri ordinariamente malsano, contro cui si leva ora la civile crociata per le case popolari.
6. L'inettezza di molte donne a governare la casa, contro cui può valere l'istituzione di Scuole casalinghe, insegnanti anche la cura del pollame, delle latterie.
7. Il salario minimo delle donne nelle officine.
8. L'imperdonabile leggerezza delle ragazze d'ogni ceto, che sprecano il più dei denari in adornamenti.
9. L'emigrazione temporanea, contro cui il Rev.do Bonsignore consiglia la colonizzazione interna, di cui diede così splendido esempio a Remedello.
10. Il pericolo dei ragazzi delinquenti nelle sale di Questura e nelle carceri, contro cui in Inghilterra si istituirono le ispettrici.
11. L'alcoolismo, piaga grave e crescente.
12. La stampa oscena per ogni dove dilagante.
[8] L'Aurore, N. 1772, pel 26 agosto 1902.