mercoledì 6 agosto 2014

R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G.: Della libertà di religione e di culto.

 
 
 
La Civiltà Cattolica anno XXVIII, serie X, vol. III (fasc. 653, 20 agosto 1877), Firenze 1877 pag. 527-538.

R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G.

DELLA LIBERTÀ DI RELIGIONE E DI CULTO

I.

Un piccolo errore nei principii, diventa massimo nelle illazioni. Parvus error in principiis, fit maximus in illationibus.
Questa sentenza di san Tommaso quadra benissimo al Cassani per rispetto alla libertà di religione e di culto, che egli propugna nella sua opera [1]. L'errore, in cui quivi incorre procede da un piccolo sbaglio commesso (avvertitamente o inavvertitamente non monta) nel concetto che ci dà della libertà del pensiero, da cui comincia la sua trattazione. Egli dice che essa consiste nel diritto ad adoperar tutti i mezzi per conoscere la verità, la cui ricerca è sommo dovere dell'uomo. «Quando si afferma che l'uomo ha per suo primo e fondamentale diritto la libertà del pensiero... si vuol dire che l'uomo avendo il sommo dovere di ricercare la verità, deve per conseguenza esser libero ad usare di ogni mezzo atto a condurre alla cognizione della medesima [2].» Come si vede, il principio, da cui egli muove, si è: essere sommo dovere dell'uomo di ricercare la verità. Quindi egli applica un tal dovere alla verità religiosa, e per calmare gli scrupoli dei credenti soggiunge che una tale ricerca è conforme al Vangelo. «E per verità (qui ci rivolgiamo a coloro che temono danno all'avita religione) non è principio indiscutibile del Vangelo che la ricerca e confessione della verità sia poi imputata a merito o demerito di ciascheduno, allorquando Iddio giustissimo retribuirà premio o pena alle nostre azioni? Ma in nome del cielo, che merito ne avrebbe l'uomo nella discoperta e professione del vero (religioso per noi) se non dovesse porvi nulla, proprio nulla affatto del proprio? [3]» Qui pone innanzi un altro principio, cioè che l'accettazione della verità religiosa per esser meritoria, secondo che vuole il Vangelo, convien che sia preceduta da studiosa inquisizione.
Di qui a stabilire la libertà di religione e di culto il passo è brevissimo. Imperocchè se ogni uomo ha il dovere di cercare la verità religiosa, antecedentemente a tale ricerca e al suo risultato, egli è nel dubbio, almen negativo, rispetto a qualsivoglia verità religiosa determinata. Egli si trova, in quest'ordine di cose, nella stessa condizione, in che Cartesio poneva il filosofante al cominciamento della sua investigazione, rispetto alle verità naturali, cioè nel dubbio universale. Tale è la condizione di ciascun cittadino. Or la condizione dello Stato è come un riflesso della condizione de' cittadini. Lo Stato adunque, rispetto alla verità religiosa, non può deferire ad una parte piuttosto che all'altra, ma deve tenersi in perfetto equilibrio, salvo la esclusione di alcuni errori perniciosi alla pubblica onestà naturale.
Più: se ciascun uomo ha diritto ad adoperare i mezzi, per compiere quel dovere della ricerca della verità, non può lo Stato impedire nè la parola, grande aiuto dell'idea, nè la pubblica discussione, mezzo efficacissimo per conoscere la verità, in fatto di religione.
Più: se la scoperta della verità religiosa è frutto della ricerca individuale, essa di natura sua è abbandonata alla coscienza di ciascuno. «Eccoci dunque difilatamente alla conseguenza che l'uomo ha sacro ed inviolabile diritto di porgere un culto alla divinità come la sua coscienza gli detta e comanda. Una legge umana, una potestà qualunque, la quale pretendesse d'interdire e togliere all'uomo questa libera facoltà di adorare Dio secondo coscienza e tributargli omaggio propiziatore, sarebbero la più ributtante delle tirannidi [4].» Basti per ora aver mostrato la derivazione interna dell'errore del Cassani: in processo riporteremo i sofismi diversi, coi quali lo conforta.

II.

Ben poca considerazione ci vuole per conoscere la falsità dei principii, da cui il Cassani prende le mosse.
Il dovere di ricercare la verità ha solamente luogo, quando la verità non si è ancor conseguita. Ma quando essa è conseguita, ha luogo il dovere, non di cercarla (il che sarebbe stranezza), bensì di abbracciarla e custodirla. La ricerca dice moto, e suppone disgiunto lo scopo a cui si tende. Il possesso è il termine di questo moto; e però dice quiete; la quale rispetto al vero costituisce la certezza. Onde, a parlar giustamente, la proposizione del Cassani deve convertirsi in quest'altra. L'uomo ha sommo dovere di aderire alla verità; e però ha il diritto di cercarla con ogni studio quando non la possieda o per disgrazia l'ha perduta; ma quando l'ha conseguita, ha il diritto d'adoperare tutti i mezzi per conservarla e tutelarne il possesso.
Nè meno falso è l'altro suo principio, cioè che si richieda previa ricerca, acciò l'adesione alla verità religiosa sia meritoria. Il merito presso Dio non nasce propriamente da una fatica sostenuta, ma dalla libera obbedienza prestata alla sua legge. Erit illi gloria aeterna; qui potuit transgredi et non est transgressus, facere mala et non fecit [5]. [«Egli poteva peccare, e non peccò, far del male, e non lo fece; e ne avrà gloria eterna.» N.d.R.] La fatica sostenuta, quando è richiesta, accrescerà il merito; ma non ne costituisce la radice. La radice è la libertà dell'atto, fatto in benefizio od ossequio altrui. Ora l'adesione alla verità religiosa, ossia l'atto di fede in sè è libero. «La fede in sè stessa, anche quando non opera per la carità è dono di Dio, e l'atto suo è appartenente alla salute; giacchè con esso l'uomo presta a Dio libera obbedienza, consentendo e cooperando alla grazia di lui, alla quale potrebbe resistere. Fides ipsa in se, etiamsi per charitatem non operetur, donum Dei est, et actus eius opus est ad salutem pertinens, quo homo liberam praestat ipsi Deo obedientiam, gratiae eius, cui resistere potest, consentiendo et cooperando.» Così il sacrosanto Concilio Vaticano [6].
L'uomo può credere alla rivelazione divina, e può discredervi, sia che abbia avuto bisogno di precedente ricerca, sia che no. Ond'egli nell'adesione alla verità rivelata, pone sempre qualche cosa del suo, cioè l'atto libero, col quale in captivitatem redigit intellectum in obsequium Fidei. [«... soggioga l'intelletto all'ubbidienza della Fede», cfr. II Cor. X, 5. N.d.R.]
San Tommaso nella Somma teologica muove la quistione: se l'atto di fede sia meritorio: Utrum credere sit meritorium; e risponde che sì, ragionando la sua risposta a questo modo: Gli atti nostri son meritorii presso Dio in quanto procedono dalla libera volontà, mossa dalla grazia divina. Ora l'atto di fede è atto dell'intelletto assenziente alla verità divina per impero della volontà, mossa da Dio mediante la grazia; e però soggiace al libero arbitrio dell'uomo in ordine a Dio. Actus nostri sunt meritorii, in quantum procedunt ex libero arbitrio moto a Deo per gratiam... Ipsum autem credere est actus intellectus assentientis veritati divinae ex imperio voluntatis, a Deo motae per gratiam et sic subiacet libero arbitrio in ordine ad Deum [7].

III.

Il Cassani colla sua ricerca della verità religiosa, stabilita come dovere d'ogni uomo, acciocchè l'atto suo sia meritorio, induce il cattolico a peccato d'infedeltà: in quanto lo induce a far gettito, almeno a tempo, della vera fede, per riacquistarla poi se piace a Dio, mediante il discorso della ragione. Non si cerca, se non quello che si sente di non possedere o almen se ne dubita. Il cattolico adunque per mettersi alla ricerca della verità religiosa, dovrebbe almen dubitare di quella che ha, vale a dire dovrebbe costituirsi in istato di temporanea apostasia. La qual cosa è sì turpe, che lo stesso Cartesio la escluse dal suo dubbio metodico, benchè proposto da lui come universale. E però dopo aver detto che in virtù di quel dubbio egli non intendeva sciogliersi dalle regole della morale, soggiunge: Postquam vero me his regulis instruxissem, illasque simul cum rebus Fidei, quae semper apud me potissimae fuerunt, reservassem; quantum ad reliqua, quibus olim fueram imbutus, non dubitavi quia mihi liceret omnia ex animo meo delere [8]. [«Dopo essermi formate tali regole (morali), le ho mantenute, insieme con le cose che riguardano la Fede, che per me sono sempre state le principali; quanto al rimanente (della mia istruzione) di cui un tempo ero imbevuto, non ho dubitato che mi fosse lecito rimuoverlo dalla mia mente per intero.» N.d.R.]
Il cattolico, come insegna il Concilio Vaticano, a differenza di quelli che aderirono a una falsa religione, non può aver mai giusta ragione di dubitare della sua fede. Minime par est conditio eorum, qui per caeleste Fidei donum catholicae veritati adhaeserunt, atque eorum, qui ducti opinionibus humanis falsam religionem sectantur; illi enim, qui fidem sub Ecclesiae magisterio susceperunt, nullam unquam habere possunt iustam causam mutandi aut in dubium fidem eandem revocandi [9]. [«Ondechè non è pari la condizione di coloro, i quali pel celeste dono della fede aderirono alla verità cattolica, e di coloro i quali, condotti da opinioni umane, seguono una falsa religione: attesochè quelli, i quali sotto il magistero della Chiesa ricevettero la fede, non possono avere nessuna giusta cagione di mutare o di revocare in dubbio essa fede.» Concilio Vaticano, Costit. dogm. Dei Filius, capo III. N.d.R.] E la ragione si è, perchè il benignissimo Iddio come eccita gli erranti e gli aiuta colla sua grazia, affinchè possano venire alla conoscenza della verità; così coloro, che già trasferì dalle tenebre nella sua mirabile luce, conferma colla grazia medesima, acciocchè in essa luce perseverino, non abbandonando egli nessuno se non è abbandonato. Benignissimus Dominus et errantes gratia sua excitat atque adiuvat, ut ad agnitionem veritatis venire possint; et eos, quos de tenebris transtulit in admirabile lumen suum, in hoc eodem lumine ut perseverent gratia sua confirmat; non deserens nisi deseratur. Così il sacrosanto Concilio Vaticano [10]. Ed oltre a ciò, come lo stesso Concilio c'insegna, il cattolico oltre gli interni aiuti dello Spirito Santo è confortato nella sua fede dagli esterni argomenti, che comprovano la rivelazione, quali sono i fatti divini e precipuamente i miracoli e le profezie, e che sono accomodati all'intelligenza di tutti; acciocchè l'ossequio della nostra fede sia consentaneo alla ragione. Ut nihilominus fidei nostrae obsequium sit rationi consentaneum, voluit Deus cum internis Spiritus Sancti auxiliis externa iungi revelationis suae argumenta, facta scilicet divina, atque imprimis miracula et prophetias, quae cum Dei omnipotentiam et infinitam scientiam luculenter commonstrant, divinae revelationis signa sunt certissima et omnium intelligentiae accommodata [11]. Onde il cattolico non può neppure per un istante dubitar della verità della sua fede, senza ribellarsi alla ragione insieme ed a Dio; benchè possa lodevolmente, restando fermo nella credenza, cercare per via di riflessione una conoscenza scientifica della medesima, come appunto fanno i teologi: Fides quaerens intellectum, secondo la bellissima frase di sant'Anselmo.

IV.

Di che segue che lo Stato, in un popolo cattolico, per questo appunto che dev'essere il riverbero della condizione de' cittadini, è tenuto a professare e tutelare l'unica religione cattolica ed impedire che essa venga impugnata o messa in dubbio. Altrimenti esso non esprimerebbe socialmente il sommo dovere, da cui sono astretti i cittadini, di aderire alla verità; da cui, come dicemmo, sorge il diritto, in chi di essa verità è in possesso, di conservarla e tutelarla e preservarsi dal pericolo di perderla.
L'errore dei liberali in questa materia viene da ciò, che essi non suppongono la nazione già cattolica, con gli obblighi che induce il possesso della vera fede; ma suppongono la nazione in una specie d'infedeltà negativa, almeno in ragione di metodo, come sembra inculcare il Cassani; in quanto sia obbligo di ciascun cittadino cercarsi da sè medesimo la verità religiosa, quasi non ancora la possedesse. Certamente, fatta una sì strana ipotesi, la quale al trar de' conti è fondata nell'incredulità, onde i liberali hanno offesa la mente, lo Stato non può far altro che non professare alcuna religione nè alcun culto, ma lasciare in ciò piena libertà ai soggetti.
Ma la bisogna corre tutto altramente per una nazione, in cui la totalità o almeno la gran maggioranza è cattolica. Una nazione siffatta (come appunto è l'italiana e la spagnuola, ed eziandio la francese) è una nazione che è già in possesso della vera religione; ed ha diritto di difenderlo da qualsivoglia assalto e trasmetterlo intatto alla susseguente generazione. Lo Stato adunque non solamente può ma deve conformarsi colle sue leggi e coi suoi atti governativi a questo diritto della nazione, se è vero che suo compito principale è la tutela dei diritti de' sudditi.
Ciò è sì vero, che potrebbe confermarsi con quello stesso, che il Cassani sostiene. Egli fa una restrizione alla libertà di religione e di culto. «Non siamo abbastanza saggi, egli dice, allorchè poniamo il principio, senza condizione veruna. Quando a nome di una corrottissima religione e di un culto ributtante si volesse divinizzare l'immoralità, il male, il delitto, lo Stato non può permetterlo, deve anzi assolutamente impedirlo... Un culto pubblico, che fosse immorale e delittuoso può dunque, anzi deve colpirsi dalla legge dello Stato [12].» Ora perchè questa eccezione in danno del culto, a cagion d'esempio di Venere e di Priapo, a cui alcuni nella corrotta società moderna volentieri tornerebbero? Uno de' più forti motivi è certamente il ripugnare siffatte turpitudini al dettame della coscienza se non in tutti (giacchè in nessun popolo mancano uomini imbestiati), almeno quasi in tutti i cittadini. Or ciò che dicesi dei culti osceni per rispetto al lume della ragione in una società di umani; dicasi dei culti eterodossi, per rispetto al lume della fede in una società di cattolici. O pensate che sia men forte il secondo, in paragone del primo? Anzi, come il semplice buon senso insegna a ciascuno, la certezza prodotta dalla fede supera ogni certezza prodotta dalla pura ragione, essendo la grazia più forte della natura, e infinitamente più lontana da inganno l'autorità divina, che qualsiasi evidenza umana.
Nè vale il ricorrere agli effetti pestiferi e oltraggiosi al diritto, che provengono dai culti osceni, a differenza dei puramente eterodossi; perocchè anche da questa parte ha luogo il ragguaglio. Nell'idea cattolica i culti eterodossi se non inducono la fornicazione de' corpi, inducono la fornicazione delle anime; e l'offesa recata al diritto di Dio colla falsa credenza, prepondera nella malizia all'offesa recata al diritto dell'uomo. Come dunque il riconoscimento sociale dei principii dell'onestà importa nel Governo l'obbligo di negar libertà ai culti osceni; così il riconoscimento sociale della vera fede, in un popolo generalmente cattolico, importa nel Governo l'obbligo di negar libertà ai culti eterodossi.

V.

Ma se è così, si ripiglia, gli Stati, dove la religione eterodossa è professata dalla nazione, faranno altrettanto a riguardo del culto cattolico. Ecco l'Achille degli avversarii, e non neghiamo che ha molta speciosità per illudere a primo aspetto. Ma a ribatterlo, dimandiamo: Che direste ad uno che argomentasse così, in ordine ai briganti, che infestano la Sicilia: — Guardatevi dal punirli, allorchè giungete ad arrestarli; altrimenti essi faranno il medesimo coi gendarmi che capitassero nelle lor mani. — Certamente voi risponderete che se i briganti oltraggeranno i gendarmi, commetteranno un nuovo delitto, di cui dovranno rispondere al magistrato; ma non per questo dovete voi mancare alle leggi della giustizia e lasciare impunita l'iniquità. Applicate una tale risposta al caso nostro. Se gli Stati e le nazioni eterodosse negheranno libertà al Cattolicismo, commetteranno un nuovo misfatto, di cui dovranno rispondere a Dio; ma non per questo possiamo noi disformarci dall'ordine divino e lasciar tra noi la porta libera all'errore con danno gravissimo, e bene spesso irreparabile de' popoli alla nostra cura affidati.
Il Cassani dice: «Il Cattolicismo è verità, le altre confessioni sono errore. Per noi cattolici la proposizione è certa; ma che dicono gli avversarii nostri? Fanno lo stesso ragionamento a proprio favore e ci oppongono essere noi nell'errore ed essi nella verità.» Di qui inferisce che se si desse ai cattolici il diritto di proibire le altre confessioni, queste avrebbero il diritto di proibire il cattolicismo.
Lo stesso discorso si può fare dei briganti ricordati di sopra. La società punendo i briganti esercita un atto di giustizia; i briganti punendo i gendarmi commettono un delitto. Per gli onesti cittadini la proposizione è vera; ma che dicono i briganti? Fanno lo stesso ragionamento a proprio favore, ed oppongono che la società commette un'ingiustizia nel punir loro, ed essi esercitano un diritto nel vendicarsi sopra i gendarmi. Da ciò vorreste voi inferire che dunque è ragionevole lasciar libertà ai briganti ed astenersi dal perseguitarli e punirli?
Se ben si mira qui la difficoltà degli avversarii procede dall'agguagliare che essi fanno giuridicamente la religione cattolica ai falsi culti. Essi dicono in sostanza: se il Cattolicismo ha diritto di escludere i falsi culti, i falsi culti avranno diritto di escludere il Cattolicismo. Essi danno lo stesso diritto alla verità e all'errore. Ma la faccenda non va così. L'errore non ha diritto veruno; perchè il diritto è facoltà che nasce dalla ragione, e la ragione, essendo fatta pel vero, non può concedere facoltà che contraddica alla propria natura.
Nè si dica avvenir ciò per accidente; giacchè per accidente potrebbe ciò avvenire, quando la ragione si trovasse nell'errore invincibilmente. Ora l'errore invincibile rispetto ai falsi culti non può aver luogo. I culti pagani e il maomettismo son condannati dall'evidenza della stessa ragione. Il giudaismo è condannato dall'evidenza delle profezie. Il protestantesimo e lo scisma son condannati dall'evidenza delle divine Scritture e della tradizione cristiana. Il solo Cattolicismo si trova in armonia con questa triplice testimonianza. Esso solo apparisce conforme alla ragione, da cui eziandio pe' suoi misteri più alti trae almeno analogie, che ne dimostrano la congruenza. Esso solo si trova rispondere adeguatamente ai vaticinii di tutti i profeti. Esso solo trova appoggio pieno nell'Evangelio e ci presenta in tutte le sue parti la Chiesa fondata da Cristo e la dottrina tramandata dagli Apostoli. Esso solo apparisce come confermato da miracoli, in lui non cessati giammai, come ornato dei divini carismi nella santità de' suoi precetti, nella professione dei consigli evangelici, nella fecondità per l'aumento sempre crescente di fedeli, nella carità per tante opere di misericordia spirituale e temporale, di zelo apostolico ne' suoi missionarii sparsi per tutto il mondo, di fortezza in sopportare le più furiose persecuzioni, d'irremovibilità nel durare incrollabile incontro ad assalti d'ogni maniera. Il solo Cattolicismo si manifesta, con luce accessibile ad ognuno, come la vera religione, il vero culto dovuto a Dio. Solamente esso adunque ha diritto ad essere accolto ed escludere ogni altro culto. Se gli altri culti si arrogano egual diritto, lo fanno contro ragione, e contro il dettame che nasce dall'evidenza sociale. È il caso dei briganti che si arrogano lo stesso diritto dell'autorità civile. Il loro operare sarà giudicato da Dio, supremo giudice degli uomini e degli Stati; ma non può somministrar motivo ragionevole a una nazione cattolica di recedere da ciò, che le impone il dovere di conservare intatto per sè e per la sua posterità il possesso della vera fede, che è il massimo de' suoi beni.

VI.

Il Cassani, per sostenere la sua opinione, è costretto a porre opposizione tra il diritto divino e l'umano. Egli dice: «Il diritto umano forma qui un contrapposto al diritto divino. Per diritto umano l'uomo professa quella religione, di cui sia persuaso nel suo interno; per diritto divino poi deve professare la sola religione che sia vera [13].» Ma chi può ascoltare tali cose? Un diritto nell'uomo, che sia in contrasto col diritto divino! Un diritto nell'uomo, che contraddica ad un dovere! Non è il diritto divino fonte di tutti i doveri nell'uomo, e quindi dei diritti che ne rampollano? L'uomo, nella presente quistione non ha altro diritto, se non quello di non essere impedito dall'aderire alla sola vera religione. L'unica cosa, che si può aggiungere, si è di aver diritto a non essere forzato a tale adesione dall'altrui violenza, ma sì indottovi da persuasione.
E qui debbon distinguersi gl'infedeli e i nati nell'eresia (i quali per la loro condizion subbiettiva possono agguagliarsi agli infedeli) da coloro che hanno riconosciuta ed abbracciata la vera religione. Quanto alla prima di queste due classi, è indubitato che la sola persuasione deve adoperarsi con loro, per menarli alla vera fede. E così vediamo che Cristo nello spedire gli Apostoli non disse: Costringete colla forza; ma bensì: Praedicate Evangelium. La sola predicazione e manifestazione della verità deve attirare un'anima intelligente e libera. Ma quanto ai secondi, quelli cioè che hanno già riconosciuta ed abbracciata la vera religione, ben possono essi costringersi eziandio corporalmente a mantenere la data fede. Ciò è confessato, senza volerlo, dalla stesso Cassani; il quale parlando dei doveri e dei diritti delle società religiose, dice tra le altre cose: «Appresso l'atto di aggregazione l'individuo è tenuto a serbare intatta la sua credenza e vivere ubbidiente alle leggi ed alle autorità legittimamente costituite [14].» Chiunque è tenuto ad una data cosa, può colla forza costringersi a mantenerla. Vero è che l'Autore poscia soggiunge dover il cittadino goder facoltà piena di entrare od uscire da una società religiosa, senza che per questo sia passibile di pena civile [15]. Ma questa non è che una delle sue solite incoerenze. Se è tenuto a serbar intatta la sua credenza e vivere obbediente alle leggi della società religiosa, come può esser libero ad uscire dalla medesima? L'atto stesso dell'uscita non è un discredere e un ribellare? Non vediamo che cosa possa il Cassani rispondere in sua difesa. Dirà forse che quella parola tenuto è intesa finchè alla persona piacerà di rimanere nell'associazion religiosa. Ma ciò può dirsi delle associazioni libere e di lor natura temporanee, non già di un'associazione obbligatoria e di sua natura perpetua, qual è certamente l'associazione nella religion vera. Ripiglierà che quel tenuto l'intendeva di obbligazione morale, e il libero dì libertà giuridica. Ma primieramente ciò sarebbe un separare il diritto dalla morale, il che è assurdo; in secondo luogo un'obbligazione in faccia a una società non può essere puramente morale, ma di sua natura è giuridica. Dirà infine che quel tenuto s'intende in faccia alla Chiesa, e quel libero in faccia alla società civile. Ma così già si suppone la separazione dello Stato dalla Chiesa; il che noi impugnamo come contrario all'ordinamento divino. Fatta la supposizione contraria che lo Stato non dee separarsi dalla Chiesa, ma cooperare con lei, come ministro, benchè subordinato, del regno di Dio; una nazione generalmente cattolica, non può non considerare come misfatto eziandio civile l'apostasia religiosa, e però punirla con pene civili.
Il Cassani obbietta: Ma la forza non fa dei credenti, fa degli ipocriti.
Noi abbiam già detto che secondo la dottrina della Chiesa a fare i credenti, cioè a convertir gl'infedeli, non si adopera la forza, bensì la predicazione. Ma altro è fare i credenti; altro è punire l'apostasia, la quale in chi prima avea abbracciata la vera fede è vero delitto di fellonia, nè può scusarsi d'ignoranza, attesa l'evidenza dei motivi di credibilità e i conforti della divina grazia: Fidelis Deus, qui non sinit vos tentari supra id quod potestis; sed facit etiam cum tentatione proventum, ut possitis sustinere [16]. [«Fedele è Dio, il quale non permetterà, che voi siate tentati oltre il vostro potere, ma darà con la tentazione il profitto, affinchè possiate sostenere». Mons. A. Martini spiega: «Dio è fedele, ed egli l'ajuto suo ha promesso a coloro, che sono tentati, e gli eletti suoi custodisce, ed alle loro forze proporziona le tentazione: colui (dice s. Agostino in Ps. LXI.), che dà al demonio la licenza o la podestà di tentare, egli stesso dà la misericordia ai tentati. - Darà con la tentazione il profitto, affinchè ec. Darà con la tentazione accrescimento di grazia per uscire dalla tentazione vittoriosi; vi darà la grazia della perseveranza, affinchè non restiate soccombenti.» N.d.R.] Che se qualche protervo, il quale per sua colpa abbia perduta la fede, continui a mostrarsi esternamente fedele per timor della pena; l'infingimento di costui è certamente un male, ma un male immensamente minore del pubblico scandalo prodotto dalla libertà di coscienza. Nostro Signore non disse: Vae mundo ab hypocrisi; [Guai al mondo per causa dell'ipocrisia. N.d.R.] ma: Vae mundo a scandalis [17]. [Guai al mondo per causa degli scandali. N.d.R.] Degl'ipocriti disse soltanto: Vae vobis, hypocritae. [Guai a voi ipocriti. N.d.R.] E la ragione si è perchè l'ipocrita fa danno a sè stesso; lo scandaloso fa danno al pubblico. Or quale è più, il male privato, o il male pubblico? Il Cassani ripete cento volte che di due mali inevitabili bisogna scegliere il minore. Ora se è incontrastabile che lo scandalo, come male pubblico, prepondera immensamente all'ipocrisia, che è male privato; ognun vede la conseguenza che ne viene per rispetto al modo come debba comportarsi l'autorità sociale; massimamente che questa direttamente provvede al pubblico bene, non al privato. Di ciò, che è puramente privato, il giudizio appartiene al fôro divino. L'ipocrita se la vedrà con Dio; ma lo scandaloso deve render conto eziandio alla società umana.

NOTE:

[1] Delle principali quistioni politiche religiose. Volume I.
[2] Opera citata, vol. I, p. 10.
[3] Ivi.
[4] Pag. 20.
[5] Ecclesiastico, XXXI, 10.
[6] Constitutio dogmatica De Fide catholica, Caput III.
[7] Summa th. 2a 2ae, q. II, a. 9.
[8] Dissert. de Methodo, n. 3.
[9] Constitutio dogmatica De Fide catholica, III.
[10] Ivi.
[11] Ivi.
[12] Op. cit. Pag. 27.
[13] Pag. 23.
[14] Pag. 32.
[15] Pag. 36.
[16] Corinth. X, 13.
[17] Matthaei, XVIII, 7.