Nell’ottica di sfida alla corruzione della modernità che Radio Spada persegue, è sembrato opportuno, accanto al pensiero e alla battaglia politica, affiancare questo piccolo spazio di riflessione culturale in ambito artistico. Se è vero quello che dice il critico W. Pinder, cioè che «la storia dell’arte serve alla conoscenza dell’uomo», sia questa dunque l’occasione per un viaggio interiore alla scoperta dell’arte moderna, di una realtà decisamente sottosopra, di un mondo che purtroppo abbiamo fatto nostro già da molto tempo. Qui la prima scheda: http://radiospada.org/2014/08/radio-arte-storia-di-due-non-artisti-mark-rothko-e-francis-bacon/
e qui la seconda: http://radiospada.org/2014/08/radio-arte-lanti-arte-in-william-congdon/
Marc Chagall (1887-1985), bielorusso di origini ebraiche (il suo vero nome è infatti Moishe Segal, “assistente levita”), rappresenta, con il suo stile pittorico inconfondibile, uno dei più interessanti esempi di arte contemporanea, impossibile da classificare entro le anguste categorie dell’avanguardia pittorica. Fu un curioso osservatore delle novità e capace di una sintesi originale tra le proposte a lui contemporanee e la propria concezione stilistica. Immerso sin dalla gioventù nel clima hassidico dell’ebraismo orientale - un ebraismo magico ed esoterico che tende ad escludere la Bibbia come testo di riferimento in favore della Cabbala - l’opera dei primi anni si concentra soprattutto nella raffigurazione dello shtetl, il villaggio ebraico con i suoi riti e i suoi simboli come il violinista e l’acquaiolo (Le nozze, 1910).
Trasferitosi a Parigi nel 1910 fa parte di quel gruppo denominato “École de Paris” che, lungi dall’essere una scuola con una poetica ben precisa, rappresenta in realtà la sintesi dell’incontro tra singole personalità come i fauves, Modiglioni, De Chirico, Picasso, Savinio e molti altri. Il sopraggiungere della guerra costringe Chagall a rientrare a Vitebsk (suo paese natale) dove fonda una scuola d’arte che dirigerà fino al 1920 (a lui subentrerà Malevic).
Con il ritorno a Parigi inizia la sua fortuna artistica che lo porterà ad allestire personali e a decorare grandi edifici come il famoso Teatro statale ebraico di Mosca. Allo scoppio della seconda guerra mondiale a Chagall non rimane che rifugiarsi in America. Nel 1947 fa ritorno a Parigi e nel 1949 si stabilisce a Vence. Importanti mostre gli vengono dedicate dappertutto e inizia la lunga serie di decorazioni di grandi strutture pubbliche (a Gerusalemme, Parigi, Zurigo e New York). Fervente sionista - venne eletto nel settembre del 1937 come membro della delegazione francese e commissario dell’arte presso il direttorio del “World Yiddish Cultural Alliance” - si dedicò anche alla scenografia e all’illustrazione libraria.
Lo stile di Chagall, come già ricordato, unico ed inimitabile, si presenta come una sintesi di cubismo e di fauvismo, il tutto miscelato in una figurazione elementare, non lontana da un certo naif francese. Inoltre la sua tavolozza cromatica è ancora una delle più belle ed evocative che sia mai stata utilizzata nell’arte degli ultimi decenni.
La pittura di Chagall dunque, più che presentare ambiguità formali o strutturali - cubismo, fauvismo e naif si bilanciano infatti in una sintesi abbastanza equilibrata - presentano una grossa ambiguità dal punto di vista del contenuto. Si parla, in particolare, dei quadri che Chagall dedica al tema della crocifissione di Cristo, onnipresenti lungo tutto l’arco della sua personale carriera. L’esempio più famoso è sicuramente la Crocifissione bianca del 1938, conservata al The Art Museum di Chicago. Inchiodato ad una croce commissa Gesù è ricoperto da un tallis - un indumento tipico ebraico - che caratterizza l’intera scena come simbolo della sofferenza, non tanto di Gesù Cristo uomo-Dio Redentore, ma di Gesù ebreo. Il Crocifisso è dunque spogliato di qualsiasi valenza teologica per ridursi a simbolo del dolore e della sofferenza del popolo ebraico: coerentemente a questo ideale intorno alla Croce sono rappresentate delle scene di violenza nei confronti degli ebrei russi che, con una certa preveggenza, anticiperanno le future violenze e miserie della seconda guerra mondiale. E’ chiaro come questa figurazione sia assolutamente riduttiva: Chagall usa il pretesto del Cristo per rivestirlo di una simbologia ebraico-sionista assolutamente impropria e scandalosa (analoga sovrapposizione simbolica si verifica anche nell’opera Esodo, 1952-1966).
Così come molti teologi protestanti - e qualche cattolico)- dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, si orientarono verso una rilettura di Cristo sulla croce come simbolo della shoah, Chagall sembra, in realtà, esserne l’antesignano, in un mondo dove sacro e profano convivono e si confondono.
Luca Fumagalli - http://radiospada.org/