sabato 16 agosto 2014

LA RIVOLUZIONE, EPOCA DEL GENERE UMANO (Estratto dell'opera di mons. Delasuss "Il Probblema dell'ora presente", Tomo II°) .



Il primo disegno di Dio nelle rivoluzioni è dunque quello di reprimere il disordine e di castigare per mezzo di esse quelli che le hanno introdotte nella società. La rivoluzione del '93 ebbe questo carattere di castigo, lo avrà non meno giustamente quella che ci minaccia.
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François XII de La Rochefoucauld (1747-1827).

Ma Dio ha avuto pur altri disegni, lasciando prodursi quello che avviene nel mondo già da un secolo. Allorché il duca di Rochefoucault-Liancourt risvegliò Luigi XVI, annunciandogli la presa della Bastiglia, il re dimandò: "È dunque una ribellione?" Il duca rispose: "No, Sire, è una rivoluzione". Egli non disse abbastanza: non era una rivoluzione, ma "la Rivoluzione" che si sollevava.
Nessuno ha visto meglio, né meglio spiegato che G. de Maistre ciò che è la Rivoluzione. Nel 1807 egli scriveva al signor D'Avaray: "Sono quindici giorni che io studio la Rivoluzione francese. Non
m'inganno guari sulle sue grandi conseguenze". Egli continuò a farne, sino alla fine della sua vita, il principale, si potrebbe dire l'unico oggetto de' suoi studi; e tutto ciò che avvenne dappoi, tutto che vediamo oggigiorno, e che un prossimo avvenire ci lascia travedere, giustifica le sue vedute, conferma le sue previsioni. Nessuno ha considerato la Rivoluzione da un punto più alto, da un orizzonte più vasto, né l'ha penetrata con uno sguardo più acuto.
Tuttavia egli presentava le sue vedute con l'umiltà che è propria nel vero genio.
Nel 1794, a quelli che lo interrogavano su questo argomento, rispondeva: "Che siamo noi deboli e ciechi mortali! e cosa è questa luce incerta che appelliamo Ragione? Quando abbiamo raccolte tutte le probabilità, interrogata la storia, discussi tutti i dubbi e tutti gl'interessi, noi possiamo abbracciare ancora una nube ingannatrice anziché la verità. Qual decreto ha egli pronunciato, questo grand'Essere dinanzi al quale nulla è grande? Quali decreti ha pronunciati ... sulla Francia e sull'Europa? Dove e quando finirà lo sconvolgimento, e a prezzo di quante disgrazie potremo noi acquistare la tranquillità? Ha egli distrutto per ricostruire, ovvero non avranno più scampo i suoi rigori? Ahimè! una nube oscura copre l'avvenire e nessun occhio può penetrare queste tenebre".(1)
Nel 1805, egli scriveva a Mons. de la Fare, uno di quelli a cui avea confidato le sue speranze per un felice scioglimento: "Talvolta, ve lo confesso, pene moti sunt pedes mei. Non provate mai, Monsignore, di queste inquietanti alternative?"
Dieci anni dopo scriveva al de Vallaise: "Nello stato in cui trovasi la Francia, l’uomo più sagace non potrebbe immaginarsi di far delle profezie".(2)
Noi vediamo dalle sue lettere che, fino alla fine, egli ebbe di questi momenti di esitazione, particolarmente riguardo alla Francia. Tuttavia, sempre, come vedremo, non solo il cuore, ma la mente spingevalo a sperare che, dopo il castigo, si aprirebbe un'êra di rinnovazione.
Quelli che videro gli esordi della Rivoluzione la presero per una procella di qualche mese, tutt’al più di qualche anno. Gius. de Maistre, forse il solo fra i suoi contemporanei, annunziò ch'essa durerebbe non solo degli anni, ma per lo meno un secolo. Il secolo è trascorso e noi siamo ancora in mezzo alla bufera che, nel 1789, incominciò a trasportare il mondo verso spiagge sconosciute.
Nel 1796, due anni dopo la caduta di Robespierre, egli scriveva: "La Rivoluzione non è terminata, nulla ne fa presagire la fine. Essa ha già prodotto grandi sventure, e ne annunzia di più grandi ancora".(3)
Napoleone "I"

Alla vigilia del giorno in cui gli spiriti superficiali si lusingavano che la consacrazione di Napoleone rendesse stabile il nuovo ordine di cose, egli scriveva al De Rossi: (3 novembre 1804) "Si sarebbe tentati a credere che tutto è perduto (per la restaurazione che si sperava), ma avverranno cose che nessuno si aspetta ... Tutto annunzia una convulsione generale del mondo politico".(4)
All'apogeo dell'epopea napoleonica: "L'universo non ha visto mai nulla di eguale! E che dobbiamo noi vedere ancora? Ah! noi siamo ben lungi dall'ultimo atto o dall'ultima scena di questa spaventevole tragedia! Niente annunzia la fine delle catastrofi e tutto al contrario dice che devono continuare".(5) Questo pronostico lo formulava nel 1806. L'anno appresso, invitava il De Rossi a fare con lui questa osservazione: "Quante volte, dall'origine di questa terribile rivoluzione, noi abbiamo avuto tutte le ragioni del mondo per dire: Acta est fabula? E tuttavia la scena continua sempre ... Tanto è vero che la saggezza consiste nel saper guardare con occhio fermo quest'epoca per quello che è, cioè una delle più grandi epoche dell’universo; dopo l'invasione dei barbari e il rinnovamento della società in Europa, nulla di eguale è accaduto nel mondo; ci vuole del tempo per simili operazioni, ed io ripugno del pari a credere che il male possa non finire, o che possa finir domani ... Essendo il mondo assolutamente sconvolto fino nelle sue fondamenta, né la generazione presente, né probabilmente la successiva, potrà vedere il fine di tutto quello che si prepara ... Ne avremo forse per due secoli ... Quando penso a tutto ciò che deve ancora avvenire in Europa e nel mondo, mi sembra che la rivoluzione incominci adesso".(6)
Viene la Restaurazione dei Borboni. Egli non aveva mai cessato di annunziare, con una imperturbabile sicurezza, non ostante l'avvenimento dell'Impero, la consacrazione del Bonaparte e la marcia sempre trionfante di Napoleone attraverso l'Europa, che il re ritornerebbe. La sua profezia si avvera; egli rivede i Borboni sul trono dei loro padri e dice: "Un certo non so che, annuncia che niente è finito. Il colmo della sventura pei Francesi sarebbe il credere che la rivoluzione sia terminata e che la colonna sia ricollocata perché è rialzata. Al contrario, fa mestieri credere che lo spirito rivoluzionario è senza confronto più forte e più pericoloso che non era qualche anno fa. Che può il re quando i lumi del suo popolo sono spenti? (7) Niente ancora è stabile e si scorgono da ogni lato i semi di nuove sventure.(8) Lo stato presente dell'Europa (1819) fa orrore, quello della Francia, in particolare, è inconcepibile. La Rivoluzione è in piedi, senza dubbio, e non solo è in piedi, ma cammina, corre, precipita. La sola differenza che io scorgo fra quest'epoca e quella del grande Robespierre, si è che allora cadevano le teste, ed ora hanno le vertigini. È probabilissimo che i Francesi ci daranno ancora una tragedia".(9)
Ahimè! queste previsioni si sono anche troppo avverate. Dacché sono state annunziate, noi vedemmo le tragedie del 1830, del 1848 e del 1870, e siamo nell'aspettazione di quella che ci annunziano d'accordo e le Loggie e i nostri governanti, in cui la Rivoluzione abbatterà la Chiesa, a meno che la Chiesa non abbatta la Rivoluzione.
Quelli che non si accorgono che lo stato attuale delle cose forma un sol tutto con quello creato nell'89, non comprendono per nulla la situazione e si lascieranno sempre sorprendere dagli avvenimenti. Bisogna credere alla Lanterne, la quale, partendo dall'estremo opposto, s'incontra con Gius. de Maistre per dirci: "Non parlate delle rivoluzioni di questo secolo, non havvene che una sola, la Rivoluzione, ed essa si prepara a dire la sua ultima parola".
Non basta considerare che lo stato attuale delle cose non fa che una cosa sola con quello dell'89, ma è più alto ancora che bisogna cercarne il principio. Gius. de Maistre ne fa risalire le origini al secolo XVI. "Dopo l'epoca della Riforma", egli dice, "e anche dopo quella di Wicleffo, visse in Europa un certo spirito terribile ed invariabile che lavorò senza tregua a rovesciare le monarchie europee e il cristianesimo ... Di questo spirito distruttore sono impregnati tutti i sistemi antisociali e anticristiani che comparvero ai nostri giorni: calvinismo, giansenismo, filosofismo, illuminismo, ecc.; tutto questo non fa che una sol cosa e non deve considerarsi che come una sola sètta che ha giurato la distruzione del cristianesimo e di tutti i troni cristiani, ma sopratutto e innanzi tutto quello della Casa dei Borboni e della Sede di Roma.(10)
Federico II di Prussia.

Voltaire e Rousseau ebbero lo spaventevole onore di precipitare il movimento. A Federico che aveagli scritto: "L'edificio della superstizione (leggi cattolicismo) scalzato dalle fondamenta, va disgregandosi", Voltaire rispondeva: "I preti ne sono disperati; ecco il principio d'una grande rivoluzione; si mina in secreto il palazzo dell'impostura fondato già da 1755 anni".
Rousseau fece nell'ordine civile ciò che Voltaire faceva nell'ordine religioso. "Rousseau", disse de Maistre, "ha soffiato dovunque il disprezzo dell'autorità e lo spirito d'insurrezione. Egli ha tracciato il codice dell'anarchia e ne ha posti i principi disastrosi, e gli orrori che vedemmo non ne sono che le immediate conseguenze".(11)

Nel 1789, la mina, per usare il paragone di Voltaire, parve scavata abbastanza profondamente e abbastanza caricata per accostarvi la miccia. Si conosce il terribile sconvolgimento che ne seguì.
Tuttavia la Francia avea ricevuto da Dio per mezzo de' suoi sacerdoti e de' suoi re tal potenza di vita che si rialzò di mezzo a queste rovine. Ma ella portava sempre nel cuore la piaga che le avea aperta il principio funesto inoculato alla società cristiana dagli umanisti. Noi vedremo che, nel corso del secolo XIX la sètta non avea perduto un solo istante per tener aperta questa piaga ed anche per allargarla tutte le volte che le circostanze vi si prestarono. Oggidì essa giudica esser giunto il momento di affrettare l'ultima crisi.
Non solo la Rivoluzione ha, rispetto al tempo, una base che abbraccia quattro secoli, ma rispetto allo spazio, si estende a tutti i popoli.
Vittorio Emanuele I di Sardegna

Gius. de Maistre, in principio d’una Memoria indirizzata nel 1809 al suo sovrano Vittorio Emmanuele I, diceva: "Se v'ha qualche cosa d'evidente, è l'immensa base della Rivoluzione attuale, la quale non ha altri confini che quelli del mondo".(12)
Quello che avvenne da poi rende rigorosamente esatto il pensiero che fa entrare il mondo intero nel dominio della Rivoluzione. Quanti popoli ci sono oggidì che non siano stati tocchi dai principii dell'89? Quanti che non ne abbiano sofferto? La stessa immobile Cina, dopo il Giappone, ne è agitata.
Testimonio di ciò che avvenne nel corso del secolo trascorso dacché Gius. de Maistre così parlava, io posso dire dopo di lui, non con l'identica certezza, perché la sua era quella d'un genio, ma colla convinzione che infonde l'avveramento degli avvenimenti preveduti: "Le cose si dispongono per un cataclisma generale del globo", che segnerà una delle più grandi epoche dell'umanità. Sono parecchi anni che ho incominciato a studiare questo grande movimento che oggi si opera nel mondo e qualche volta l'ammirazione mi signoreggia a tal segno che io cesso di badare a ciò che mi costa.(13) La Francia s'impadronisce per un tempo dell'Europa, e l'Europa s'impadronisce per sempre del mondo".(14) La conquista napoleonica, infatti, non ebbe che un tempo, ma essa servì a rovesciare fino nelle sue fondamenta il sistema politico europeo ed a renderlo atto a fare questa conquista del mondo a cui assistiamo, checché possano dar a pensare in quest'ora le vittorie del Giappone sopra la Russia.
Osservando sì grandi preliminari nel tempo, una sì grande estensione nello spazio, de Maistre diceva della Rivoluzione: "È un'epoca, una delle più grandi epoche dell'universo". Fin dal 1794 ne avea parlato così: egli avea detto alla marchesa Di Costa, in un discorso sulla vita e morte del suo figlio Eugenio: "È mestieri avere il coraggio di confessarlo, Madama, da molto tempo non abbiamo compreso la Rivoluzione di cui siamo testimoni; per lungo tempo l'abbiamo presa per un avvenimento. Eravamo nell'errore: essa è un'epoca". Ed aggiungeva: "Guai alle generazioni che assistono alle epoche del mondo!".(15)
E nelle sue Considérations sur la France che sono del medesimo anno: "La Rivoluzione francese è una grand'epoca, e le sue conseguenze di ogni genere, si faranno sentire molto tempo dopo la sua esplosione ed oltre i confini del suo focolare".(16) Gli avvenimenti, man mano che si svolsero, non fecero che confermarlo in questo giudizio. Egli diceva nel 1805: "Più considero ciò che avviene, e più mi rendo persuaso che noi assistiamo ad una delle più grandi epoche del genere umano".(17) E nel 1816: "Il mondo è nell'ora del parto".

L'ora del parto, ecco ciò che fa del tempo un'epoca. Vi fu l'epoca del diluvio, che ha partorito la nuova generazione degli uomini, l'epoca di Mosè che ha partorito il popolo precursore, l'epoca del Cristo che ha partorito il popolo cristiano. Che porta ne' suoi fianchi la nostra Rivoluzione-Epoca?
È ciò che dobbiamo esaminare.
 
 
Note:

(1) Œuvres complètes de J. de Maistre, t. I, p. 112. 
(2) Ibid., t. XIII, p. 133.
(3) Ibid., t. I, p. 406.
(4) Ibid., t. IX, p. 250-252.
(5) Œuvres complètes de J. de Maistre, t. X, p. 107-150.
(6) Ibid., t. XI, p. 284. 
(7) Ibid., t. II, Du Pape, Introd.
(8) Œuvres complètes de J. de Maistre, t. XIII, p. 133-188.
(9) Ibid., t. XIV, p. 156.
(10) Ibid., t. VIII, p. 312.
(11) Œuvres complètes de J. de Maistre, t. VIII, p. 312.
(12) Ibid., t. XI, p. 232.
(13) La corrispondenza di G. de Maistre ci dice ciò che la Rivoluzione gli ha costato e ciò che egli ne ha sofferto.
(14) Œuvres complètes de J. de Maistre, t. X, pp. 248-337.
(15) Ibid., t. VIII, p. 273.
(16) Œuvres complètes de J. de Maistre, t. I, p. 26.
(17) Ibid., t. IX, p. 358.