La Civiltà Cattolica anno II serie I vol. V, Roma 1851 pag. 289-302.
R.P. G. Battista Pianciani d.C.d.G.
DEGLI ERETICI MATERIALI
Non si rifina mai di ripetere contra la Chiesa Cattolica le accuse cento volte intentate ed altrettante sventate. Perciò a disinganno de' semplici siamo costretti, con noia de' leggitori intelligenti e con noia forse maggiore degli scrittori, a ripetere le spiegazioni medesime e le medesime apologie. Le accuse di esclusività ed intolleranza fatte ad essa Chiesa per quel suo principio: Fuori della vera Chiesa non v'ha salute, le sentiamo ora ripetute e per avventura da quelli che considerano la religione come uno strumento di civiltà e poco si brigano dell'altra vita e dell'eterna salute: le leggiamo non già nelle carte vergate da' luterani o da' calvinisti, ma negli scritti di uomini italiani, che mossi dalla carità del natìo loco e bramosi dell'unificazione dell'Italia, si studiano di toglierle quella unità che quasi solo le resta. A fare argine a questi cotali fu inserita in questo periodico la Conversazione tra l'Abate X e lo Avvocato Y, verso il fine dell'anno scorso (T. III, pag. 465), nella quale fu chiaramente ed accuratamente spiegato quel principio e mostrato come non ripugni alla sana ragione (pag. 473). Poteva per altro qualcuno non versato nelle cose teologiche dubitare, non forse la mite opinione dall'Abate esposta fosse una sua singolare opinione, e non fosse esattamente vero ciò ch'egli aggiunge, cioè che quella non è scoperta del nostro secolo umano e conciliativo; è anzi vecchia quanto la Chiesa, e fu solenne eziandio ne' secoli passati. Dall'altro lato in questo secolo di proselitismo politico e rivoluzionario, nel quale è soltanto osteggiato il proselitismo religioso della Chiesa Romana, già sentivamo sussurrarci all'orecchio, che s'è vero che l'eretico, benchè materialmente fuori della Chiesa, ove ci sia per ignoranza non colpevole e con piena buona fede, può partecipare al frutto del divino riscatto, in tal caso è inutile e però doppiamente condannabile il nostro proselitismo. Ci è pertanto paruto conveniente chiarire questi due punti, ed a ciò senza più è ordinato il presente scritto.E tanto più volentieri abbiamo presa questa piccola fatica, che sappiamo di certo, simili difficoltà proporsi non di rado dagli eterodossi ed essere per alquanti di loro le maggiori che sanno opporre alla dottrina cattolica, e che i cattolici laici trovansi imbarazzati nel rispondere, e talvolta essi medesimi si turbano e vacillano qualora o quelle vengano loro proposte o germoglino da per se nelle loro menti.
Se scrivessi per i teologi non mi prenderei l'inutil fatica di raccogliere luoghi di scrittori ecclesiastici antichi e moderni a fine di confermare la distinzione tra eretici soltanto materiali e scusabili ed eretici formali e colpevoli. Tanto è nota ad essi tal distinzione, la quale da niuno tra loro credo esser negata. Ma non per essi scrivendo, ne allego alquanti, ma senza studio di riunirne il maggior numero, anzi tacendone in vero studio parecchi, che pure ho sott'occhio.
Cominciamo da S. Agostino. Questo santo Dottore ne dice apertamente [1] che non sono propriamente eretici, nè debbono numerarsi fra gli eretici coloro, i quali difendono, ma senza pertinacia, qualche falsa o perversa dottrina, peraltro disposti a correggersi, ove trovino il vero, che amano, e ricercano studiosamente, in particolare se l'errore abbiano succhiato col latte, sedotti essi da sedotti ed erranti genitori. Il medesimo Santo altrove [2] definisce l'eretico (colpevole o formale), quello che partorisce o segue false e nuove opinioni, per qualche temporale vantaggio e massimamente per avidità di gloria e di primato.
S. Pier Damiano c'insegna, che quelli meritamente s'appellano eretici, i quali presumono eleggere le dottrine che più loro attalentano, e sdegnano restarsi nelle vie battute da' santi Dottori [3]. La presunzione e la pertinacia sono elementi necessarii della formale eresia.
Il Suarez ha scritto [4]: Fra gli eretici possono esserne alcuni nati tra essi, e poscia non assai istruiti, i quali per un certo tempo invincibilmente ignorino la vera Chiesa, come abbastanza consta dal fatto e dall'esperienza. Egli è manifesto che, se duri la cagione dell'ignoranza, potrà questa rimanere incolpevole e perciò non degna di pena, come per un certo tempo, così eziandio per tutta una non breve vita. Lo stesso teologo insegna [5], che gl'infedeli, i quali qualche cosa hanno udito della nostra fede, ma però senza bastante dichiarazione, e si restano nell'infedeltà, possono talora essere scusati da colpa; e cita l'autorità di altri teologi celebri. «E invero, aggiunge, coloro non peccano, non credendo con quella insufficiente proposizione: perocchè i precetti divini sono ragionevoli e non obbligano se non ad operare con prudenza: ora credere senza sufficienti prove non è atto di prudenza. Questi cotali peraltro, non obbligati a subito credere, possono esser tenuti a cercare con diligenza.....» Ma per esser tenuti a ciò, è duopo [= è d'uopo, è necessario. N.d.R.] aver qualche cognizione di tale obbligazione. Difatto il Suarez poco innanzi al luogo citato aveva detto degl'infedeli, che nulla hanno udito delle cose della fede [6]. «Essi niun pensiero ebbero mai dell'obbligo di credere i misteri della nostra fede, onde molto meno poterono pensare all'obbligo di porre i mezzi per conseguire essa fede; dunque non poterono peccare non cercando:» ed afferma esser principio comune [7], non potersi dare colpevole ignoranza ove non preceda qualche pensiero o dubitazione dell'obbligo di sapere; perocchè il precetto non lega l'uomo se non mediante la cognizione, la quale è nulla, finchè il pensiero dell'obbligazione non entra nella mente dell'uomo. Sarebbe tanto agevole quanto poco necessario fare udire la stessa dottrina dalla bocca di altri teologi.
Il P. Claudio La-Croix parla degli eretici di buona fede ed aggiunge molti di costoro trovarsi, come nella Germania attestano moltissimi confessori e scrittori di molta esperienza [8]. Lo stesso attesta il P. Leopoldo Mauschberger [9]. Il celebre canonista e teologo P. Vito Pichler scrive pure [10] che, a suo giudizio, di questi eretici non più che materiali ve ne ha in Germania moltissimi, i quali sol che credano in generale tuttociò che da Dio è rivelato, di fatto sono ortodossi, ed appartengono alla Chiesa cattolica non meno di que' semplici o male istrutti Cattolici, i quali talvolta male apprendono, o non rettamente intendono alcuni misterii della fede, o per ignoranza tengono qualche errore. Il Feller nel suo Catechismo filosofico (n. 414) così scrive. «Nei paesi eretici tutti i fanciulli battezzati, il cui spirito non è ancora abbastanza sviluppato per giudicare della setta nella quale sono nati, tutt'i cristiani invincibilmente ingannati da falsi dottori, che credono di buona fede professare la verità, sono effettivamente, a motivo della disposizione del loro cuore, figiuoli della vera Chiesa.» L'Abb. Bergier nel Dizionario di Teologia stampato in Roma in lingua italiana l'anno 1794. così parla all'art. Eresia. «Non pretendiamo, che non vi siano molti nati nella eresia, i quali per la poca loro cognizione sono in una ignoranza invincibile, e perciò scusabile innanzi a Dio; ma, per confessione di tutti i teologi sensati, questi ignoranti non devono essere messi nel numero degli eretici. Questa è la precisa dottrina di S. Agostino.... Così i teologi distinguono tra eresia materiale, e formale.... la seconda è sempre un delitto, che basta per escludere dalla salute. Questo è il senso della massima: fuori della Chiesa non vi è salute». E all'art. Chiesa § V. «Gli eretici e gli increduli, per rendere odiosa la nostra dottrina, dicono che noi escludiamo dalla salute tutti quelli i quali sono nell'eresia e nello scisma senza loro colpa, senza loro mala fede. S. Agostino (de Unit. Ecclesiae c. 25 num. 73 l. I de bapt. ad Donat. c. 4), Salviano (de gubern. Dei 15) e tutti i teologi di sana mente non condannano se non chi pecca, e niuno pecca se non colla propria volontà; questa suppone la cognizione; senza di questa presa nel senso più ampio non vi ha volontà nell'oggetto peccaminoso: dunque, parlando di battezzati, la buona teologia non condanna costoro: se v'ha qualche ignorante rigorista, costui condanna se stesso». Il celebre Papin, già protestante e poi zelante Cattolico, dice, che i Cattolici con quel detto: fuori della Chiesa non v'ha salute, intendono di escludere dalla salute gli scismatici, che si partono volontariamente dall'unità cristiana, e rompono di proposito deliberato i legami di carità, e di pace, coi quali debbono essere uniti tutti i membri di G. C. È da osservare che il principio: fuori della Chiesa non v'ha salute, non era rigettato dai vecchi protestanti; benchè non s'intenda facilmente come non inorridissero della conseguenza. Nel catechismo antico di Ginevra già divenuta eterodossa si leggeva. «Niuno ottiene la remissione dei peccati, se prima non sia incorporato al popolo di Dio, e perseveri nella unità e comunione del corpo di Cristo, per modo che sia membro della Chiesa. Non vi è dunque fuori della Chiesa se non dannazione e morte. Ella è cosa certa: dacchè quanti si separano dalla comunione de' fedeli per fare setta separata non debbono sperare salute, finchè persistono nella divisione». «Del resto, aggiunge Papin, essi non accusano di delitto tutti quelli, i quali hanno la disgrazia di essere esteriormente nella separazione, ma soltanto coloro che ne sono autori, o l'approvano, o vi prendono parte: non l'imputano a quelli, che non ne sono rei. Li collocano anzi nel numero dei figliuoli della Chiesa, allorchè, non ostante questa separazione, di cui non sono colpevoli.... conservano il principio della fede e della carità, che hanno ricevuto nel battesimo. In questo senso essi dicono con S. Agostino, che la Chiesa genera nelle società separate de' figliuoli a G. C. come Giacobbe dava de' figliuoli a Lia, ed a Rachele per mezzo delle loro ancelle. Non si fa dunque ad essi giustizia, accusandoli, come si ode assai spesso, di condannare indistintamente tutti quelli che hanno la disgrazie di essere esteriormente fuori della loro Comunione» [11]. Il Cardinale de la Luzerne, già Vescovo di Langres, nella sua eccellente spiegazione de' Vangeli delle Domeniche, così parla [12]. «Fra quei che appartengono all'anima della Chiesa senza essere del suo corpo noi comprendiamo ancora con S. Agostino (Ep. 23. al 162) quelli che involti nell'errore per disgrazia di nascita e per pregiudizio di educazione, essendo riguardo alle verità Cattoliche in una ignoranza, dalla quale non sono al caso di uscire, desiderano sinceramente conoscere la verità, sono disposti a rendervisi, e la loro vita conformano alle leggi di una santa morale». Pretermettiamo altri simili luoghi, che potremmo allegare, della Facoltà teologica di Parigi nella censura dell'Emilio del Rousseau e del Viva, del Seedorf, del Blasco, del Parà, del La-Forest ecc. dacchè sembrano bastare all'uopo quelli che abbiamo recato. Egli è vero, che quegli eretici, i quali negano la Trinità, o la Incarnazione del Verbo, sono affatto esclusi dalla salute, per sentenza di quei teologi, che vogliono la credenza di questi due dogmi essere necessaria di quella necessità, che chiamano di mezzo, vale a dire, niuno potere esser salvo senza tale esplicita fede; ma questi stessi teologi non credono che saranno tali eretici condannati senza lor colpa, ma che anzi, quando il loro errore sia incolpabile, e non si rendano con altre colpe indegni dei celesti favori, ma sieno solleciti alle buone operazioni, non mancherà il Signore d'illuminarli per qualche mezzo prima della loro morte, essendo fra noi assioma non contrastato che Iddio non niega grazia a chi fa quanto può. Per altro l'opinione di questi teologi non è già opinione o dottrina di tutta la Chiesa cattolica: anzi molti altri teologi sostengono l'opinione contraria negando essere la fede di quei due articoli di necessità di mezzo. Domenico Soto, celebratissimo teologo Domenicano [13], scrisse: Quamvis praeceptum fidei explicitae (della Trinità, e dell'Incarnazione) absolute obliget universum mundum, nihilominus possunt multi ignorantia invincibili, ab eadem obligatione excusari. [«Sebbene il precetto di credere esplicitamente (nella Trinità e nell'Incarnazione) obblighi assolutamente tutti quanti, nondimeno a motivo di ignoranza invincibile molti possono essere scusati dal non aver ottemperato a questo stesso obbligo.» N.d.R.] Il Gotti, ancor esso Domenicano [14] e poi Cardinale, scrive: «Sententia negans fidem explicitam Christi, et Trinitatis esse ita necessariam, ut sine ea nemo iustificari, aut salvari queat, valde probabilis est.» [«È sentenza estremamente probabile quella la quale nega che la fede esplicita in Cristo e nella Trinità sia talmente necessaria che senza di essa nessuno riesca ad essere giustificato o salvato.» N.d.R.] Il P. Berti Agostiniano [15] dice espressamente, che un battezzato «si decedat ante rationis usum, aut suscipiendae praedicationis sit incapax, salvabitur per sacramentum regenerationis.» [«un battezzato, se muoia prima di aver ottenuto l'uso della ragione ovvero sia incapace di accogliere la predicazione, si salva per mezzo del sacramento della rigenerazione (il Battesimo). N.d.R.»] Ora incapace di ricevere la predicazione, non solo è un mentecatto, un sordo nato non istruito ec., ma ancora chi non ha mai avuto occasione di sentire predicare la verità. Quomodo credent ei quem non audierunt? quomodo autem audient sine praedicante? [Rom. X, 14.: «Come crederanno in uno di cui non hanno sentito parlare? Come poi sentiranno parlare senza chi predichi?»] scriveva S. Paolo ai Romani. Andrea Vega, teologo assai noto del Concilio di Trento [16], era della stessa opinione. Il Giribaldi [17] chiama la sentenza di cui trattiamo non solo probabile, ma forse più probabile della contraria e cita a favore di essa il Card. Delugo il quale pure la chiama più probabile; l'Azzorio, l'Oviedo, il Maderno, il Diama, il Palao, Antonio dello Spirito Santo e i Salmaticensi, sostenitori tutti della stessa sentenza, e ancora il Suarez, e il Leandro, i quali vogliono soltanto la fede de' nominati misteri essere necessaria, allorquando gl'infedeli nell'ordinario e consueto modo si convertono alla fede, perchè allora debbono di tali cose venire istrutti. S. Alfonso de' Liguori [18] quantunque sia fra quelli, cui la sentenza contraria sembra più probabile, concede peraltro eziandio l'altra opinione essere probabile, e cita a favore di essa vari degli autori accennati, e parecchi altri, e fra essi Eusebio Amort. Anche S. Agostino [19] sembra essere stato di questa opinione. «Supponiamo, scrive questo santo Dottore, che un uomo sia dell'opinione di Fotino circa G. Cristo; credendo che questa sia la fede cattolica non lo chiamo ancora eretico, se non se, dopo di essere stato istrutto, abbia voluto resistere alla fede cattolica, piuttosto che rinunziare all'opinione abbracciata.» Comunque siasi, niun teologo di sana mente giudica degno di pena chi non è reo; nè è tale chi vive in buona fede nella sua setta, nè tali sono que' cristiani, che fuori della vera Chiesa vivendo, non hanno certamente prove convincenti della propria credenza, nè cercano d'illuminarsi, e di risolversi nel loro dubbio, ma questo stesso obbligo d'illuminarsi, e risolversi non riconoscono, persuasi falsamente, ma incolpevolmente, o della inutilità de' loro sforzi, a cagione della loro incapacità ed ignoranza in materie teologiche e della necessità di passare la vita in tutt'altre occupazioni, o della inutilità di queste controversie, credendo trovarsi egualmente la salute in ogni comunione cristiana. Tutti per opposito accordano che i cristiani (quelli almeno che la Trinità, e l'Incarnazione riconoscono) benchè errino in qualche dogma, sono capaci di salute, purchè per incolpevole ignoranza sia scusabile il loro errore e credano con buona fede retta la strada per la quale camminano.
Se così è, ci si dice, almeno inutilmente vi affaticate per ridurre al grembo della Chiesa Cattolica quelli i quali comechè sembrino fuori dall'arca, possono non perire nel diluvio, quelli i quali, essendo materialmente fuori del corpo della Chiesa, possono peraltro appartenere all'anima di essa, ed andar salvi: inutilmente, a dir poco, gli disturbate nella loro pace, e mettete a rischio la loro tranquillità, e per avventura la loro coscienza; essendo da temere, non forse dopo il lume che loro procurate perseverino colpevolmente nella lor divisione e ne' loro errori, mentre prima in essi senza colpa vivevano. Prima di rispondere, preghiamo chi legge a riflettere, che quando anche convincenti non sembrassero le nostre risposte, non potrebbesi dalla insufficienza di chi risponde nulla dedurre contro la verità del fatto troppo bene stabilito, nè dall'altra banda condannare lo spirito di proselitismo, senza condannare la Chiesa di tutti i tempi, in un con tutti i più rispettabili, i più santi e i più antichi dottori cristiani, anzi Gesù Cristo medesimo. Gli stessi protestanti non mancavano di questo spirito: si sa quanto essi, e in particolare Bucero uno dei più celebri fra loro, si adoperassero per ridurre gli anabattisti. Nè mancò fra essi chi si portasse fino a Roma per propagare la sua setta, e taluno per meglio riuscirci si fè lecito simular divozione a quelle cose, cui meno credeva e vestire abito religioso. E al presente non si è destato ne' metodisti ed in altre sette lo zelo del proselitismo, e non mandano da per tutto i loro missionarii? È poi da por mente, che le accuse di perturbatore della pace delle anime, e della tranquillità delle famiglie, o anche di cagionatore del danno di qualche anima si potrebbero rivolgere contro gli Apostoli, e lo stesso loro Divino Maestro, di cui fu protestato, che posto era in ruina ed in resurrezione di molti, e il quale protestò che era venuto non a mandare la pace ma la spada di separazione ed a separare il figliuolo dal padre e dalla figliuola la madre. E non può egli essere, che per alcuni fra Giudei, i quali avrebbero conseguito la eterna salute, anche senza la predicazione dell'Evangelio, tal predicazione sia stata un'occasione o un pericolo almeno della ruina dell'anima?
Ma veniamo a risposte dirette. Se si parlasse degli infedeli, or ancora di quelli, i quali benchè si dicano Cristiani, negano i misteri fondamentali del Cristianesimo, la Trinità e l'Incarnazione del Verbo; o non rinascono nelle acque del battesimo, potremmo osservare, come la gratitudine e l'amore verso l'umanato Figliuol di Dio, ci obblighino a manifestare que' misteri, e l'amore de' prossimi a procurar loro il lavacro rigeneratore, senza cui non s'entra nel regno de' cieli, e rammentare quanto anche alla Religion naturale si opponga una parte grandissima de' non Cristiani. Del resto noi non possiamo troppo scrutare i giudizii di Dio, nè pretendiamo alzare quel velo, che asconde tante sorti e porta scritto in fronte: adora e taci. Il mezzo ordinario della salute è la predicazione ed è assai comune sentenza, che se coloro senza lor colpa sieno nell'errore, e nel rimanente del viver loro alla retta ragione si conformino, quel Signore, che tutti vuoi salvi, non lascerà di chiamarli alla salute, come ci chiamò il centurione Cornelio. Nicola Spedalieri [20] pensò che agli infedeli materiali morti senza grave colpa attuale possa applicarsi ciò che S. Tommaso e assai comunemente i teologi dicono de' bambini morti senza battesimo, cioè che saranno come in uno stato medio, privi soltanto della visione beatifica di Dio, dono al tutto gratuito e non affatto dovuto alla nostra natura. Così aveva pure pensato il poeta teologo [21].
Se poi parliamo di quelli eretici che ammettono i misteri della Trinità, e della Incarnazione, ad occasione de' quali abbiamo intrapresa questa discussione, ed in ispecie de' protestanti (benchè tra questi appunto temo che non sia tanto scarso il numero a' giorni nostri di quelli che della verità di tai misteri almeno dubitano), diremo che sempre riman vero che costoro sono in errore e fuori della retta via: ora sempre è lodevole il zelo di chi si affatica per ricondurre i fratelli traviati sulla retta strada, di ritrarre altri da errori religiosi. Ma questi errori si credono verità, questa via, benchè storta, sembra pur retta. Sia così: ma non sempre basta, che l'errore sia creduto verità; ma non sempre tal errore è innocente; ma v'ha una via, che retta sembra all'uomo e mette poi capo nel precipizio e nella morte. Vi sono senza dubbio degli errori innocenti, ínvolontarii, non procedenti da colpa alcuna, nè da alcuna disordinata passione, ma non tutti gli errori sono in questo numero. Come v'è una nescienza senza vizio, così v'è una ignoranza che importa vizio. Noi non vogliamo certamente diminuire il numero degli eretici puramente materiali, come hanno fatto alcuni, per es. l'autore inglese dell'opera intitolata: il protestante citato al Tribunale della parola di Dio [22]: ma chi potrà penetrare nel cuor dell'uomo? chi vorrà assicurare che tutti gli eretici sono innocenti ne' loro errori, o che tali almeno sono tutti quelli, alla riduzione de' quali noi potremo occuparci? Sarà forse malignità il temere, che non pochi tra essi sieno colpevoli nel loro errore? Noi troviamo che l'Ap. Paolo mette le divisioni, e le sette fra le opere della carne in un fascio colla fornicazione, l'impudicizia, l'idolatria, l'ubbriachezza e l'omicidio, e dichiara che i rei di questi delitti non saranno eredi del Regno di Dio [23], che dice anatema a chi insegnerà un Vangelo diverso da quello per lui predicato, che attribuisce gli errori de' novatori alle insidie del demonio, alla cui volontà ubbidiscono, alla prevenzione per certi maestri ed all'interesse, che decide esser l'eretico condannato per suo proprio giudizio.
Egli è vero che allorquando ciò scriveva l'Apostolo delle genti, non v'erano se non gli autori dell'eresie e i primi loro discepoli, e che fra questi l'ignoranza invincibile o innocente non è facile a trovarsi, come in chi è nato ed allevato nell'errore. Ma non per questo è men vero che lo scisma, e l'eresia di lor natura impediscono il possesso del Regno di Dio; che la via ordinaria della salute non è la nescienza innocente, ma bensì la vera fede, e la comunione colla Chiesa Cattolica, che (come lo confessa anche Leibniz) è cosa pericolosa esser fuori delle vie ordinarie della salute, che se il piano della Provvidenza fosse stato di salvare gli uomini per mezzo dell'ignoranza, nè l'Eterno Padre avrebbe mandato il suo Figliuolo nel mondo per esser luce illuminatrice d'ogni uomo, che viene nel mondo, nè questo Divino Maestro avrebbe comandato a' suoi Apostoli che dovessero ammaestrare tutte le nazioni. Non è men vero che gli eretici sono privi della vera fede cristiana, non credendone tutti gli articoli, e quelli stessi, che credono, credendoli in ultima analisi per motivi fallibili, dacchè non riconoscono un tribunale infallibile, il quale determini i libri Canonici e ne interpetri il senso, assai spesso oscuro e controverso.
E poi fra que' medesimi i quali, succhiato l'errore col latte, debbono il principio de' loro errori alla nascita e all'educazione, chi sa dirne quanti o quali perseverino nell'errore innocentemente, e quanti o quali colpevolmente? quanti errino per ignoranza incolpevole, e quanti per colpevole negligenza, per trascuratezza dell'affare sopra ogni altro importante, o forse ancora perchè temono esaminando di trovar vero quello, che incomodo riuscirebbe alla loro tranquillità, a' loro temporali vantaggi, alla loro vanità, o ad altri affetti meno ordinati? Chi sa dirne quanti sieno in tenebre, perchè la luce demeritano coi loro peccati, coi loro perversi costumi e sono perciò, almeno in causa ed in radice, rei della loro infedeltà? E chi sa se questi non aprirebbono gli occhi alla verità quando altri alla loro riduzione si occupasse, e per mezzo poi della vera fede e degli aiuti che essa offre non riformerebbono la loro condotta? Chi sa se alcuni ancora non conoscano la verità, benchè si sforzino di non vederla, credendola poco giovevole ai loro temporali interessi? se alcuni non la conoscano, e per umano rispetto simulino vilmente l'errore, finchè altri non gl'illumini sul pericolo del loro stato, non li faccia vergognare del vergognarsi che fanno della dottrina di G. Cristo, non li faccia temere che non sia Esso per vergognarsi di loro innanzi al celeste suo Padre? Chi sa se di molti l'ignoranza, finora innocente, non cesserà un giorno di esser tale a loro gran rischio? se molti, i quali innocentemente vivono nell'errore, non sieno (se a tempo non ne vengan ritratti) per istillarlo a' figliuoli o ad altri, la cui ignoranza sarà forse un giorno colpevole e funesta? Fra tanti dubbii, fra tante tenebre, fra tanti timori, non dobbiamo noi (senza decidere arditamente dell'interno o del futuro stato di alcuno) affaticarci per ridurre quanti possiamo all'unità Cattolica? Saremo biasimevoli se ad imitazione dei nostri padri, in questa impresa impieghiamo le nostre fatiche? Dovranno queste fatiche tacciarsi di inutili, di fanatiche, di dannose?
Aggiungete che uno de' principali vantaggi dei Cristianesimo è l'autorità di rimettere i peccati da Gesù a' suoi Apostoli lasciata. Ora a chi è passata dagli Apostoli tal facoltà? Claves datae sunt unitati: ci dicono i Padri ad una voce. Nella sola Chiesa Cattolica sussiste tal facoltà, di cui sono prive le sette da lei separate, nè a concederla a' membri di esse basta la buona fede. Non diremo che a chi vive in buona fede nella sua setta sia impossibile, anche per mezzo di un perfetto amore di Dio, d'una perfetta contrizione, il ritornare in grazia di Dio, dopo che una volta ne è decaduto per lo peccato; diremo bensì che ad essi è un tal ritorno assai più che a noi difficile, e che privi sono d'un vantaggio grandissimo. Cotale autorità di rimettere i peccati manca certamente dove l'autorità episcopale non si riconosce, dove non sono veri Preti, dove non sono veri Vescovi ed è rotta la successione de' veri e legittimi Pastori.
Aggiungete ancora che, mancando tutte le sette divise dalla Comunione Cattolica di un punto fisso di appoggio, è troppo facile, che l'uomo in esse allacciato manchi ancora negli articoli, che formano l'essenza del Cristianesimo, e precipiti nel deismo e forse ancora nell'ateismo.
Queste ragioni sono generali, ed adattabili a tutte le sette da noi divise: ma quante non se ne potrebbero aggiungere particolari ai seguaci di questo, o di quell'errore? Chi non vede esempigrazia quanti aiuti al Cristiano sottragga, quanto raffreddi l'amor di Dio il non riconoscere alcuni sacramenti, e in ispecie il Battesimo, la Penitenza o l'Eucaristia? quanto sia pernicioso a' costumi il negare le pene eterne dell'altra vita, la libertà dell'arbitrio, o l'utilità delle buone opere per la salute? quanto queste massime riescano dannose alla società, quanto queste dottrine, e quella specialmente che fa Iddio autor del peccato, offendano l'idea, che aver dobbiamo del supremo aggregato di tutte le perfezioni? quanto in conseguenza sia ragionevole, che un amante della gloria del Creatore, della salute dei prossimi e del ben essere della società si affatichi per illuminare i suoi simili e ritrarli da errori sì perniciosi?
Finalmente egli è certo che l'intenzione di G. C. (la quale dobbiamo cercare con tutti i nostri sforzi di ridurre ad effetto) è stata di stabilire una sola fede, di formare solo un ovile e solo un Pastore, di unire tutti i fedeli come in una famiglia sotto un solo Padre e Capo Simon Pietro (sopra cui edificò la sua Chiesa, e cui commise a pascere le sue pecore ed i suoi agnelli) e dopo la morte di Pietro sotto la direzione de' suoi successori, come ne insegna tutta la Tradizione.
NOTE:
[1] Qui sententiam suam, quamvis falsam atque perversam, nulla pertinaci animositate defendunt, praesertim quam non audacia praesumptionis suae pepererunt, sed a seductis atque in errorem lapsis parentibus acceperunt, quaerunt autem cauta sollicitudine veritatem, corrigi parati cum invenerint, nequaquam sunt inter haereticos deputandi. Tales ergo vos nisi esse crederem, nullas fortasse vobis litteras mitterem. Quamquam et ipsum haereticum, quamlibet odiosa superbia tumidum et pervicacia malae contentionis insanum, sicut vitandum monemus, ne infirmos et parvulos fallat, ita non abnuimus, quibuscumque modis possumus, corrigendum. Aug. Ep. XLIII. (Ed. Maur.) Dominis dilectissimis et merito praedicandis fratribus Glorio, Eleusio, Felicibus et ceteris omnibus quibus hoc gratum est.[2] Qui alicuius temporalis commodi et maxime gloriae, principatusque sui gratia, falsas ac novas opiniones vel gignit vel sequitur. Aug. De util. credendi C. I.
[3] Haeresis enim electio dicitur. Et illi merito vocantur haeretici, qui praesumunt quod sibi melius videtur eligere; dedignantur autem in his, quae a sanctis sunt instituta doctoribus, permanere. Pet. Dam. Ep. XVIII ad Ubertum Presbyt.
[4] Inter haereticos possunt esse aliqui nati inter illos et postea non satis instructi, qui pro aliquo tempore invincibiliter veram Ecclesiam ignorent, ut usu ipso et experientia satis constat. Suar. I. De Fide, disp. 17. sect. I.
[5] Infideles qui aliquid de fide nostra audierunt sine sufficienti tamen propositione et in sua infidelitate permanent, interdum excusari poterunt a culpa... Hanc assertionem latius et per plures conclusiones tradit Victoria in dicta relectione de India breviter tamen sic explico et confirmo. Nam in primis illi non peccant non credendo cum sola illa insufficienti propositione, ut recte docuit Caietanus (2. 2 qu.1., art.4), et in superioribus saepe dictum est, quia praecepta divina sunt rationabilia et obligant prudenti modo: credere autem sine sufficienti propositione non est opus prudentia, nam qui cito credit, levis est corde et facile decipi potest. Qui sic audit, licet non teneatur statim credere, potest nihilominus obligari ad diligentiam adhibendam.
[6] Nullam cogitationem habuerunt unquam de obligatione credendi mysteria nostrae fidei, unde multo minus cogitare potuerunt de obligatione adhibendi media ad consequendam illam fidem; ergo non potuerunt peccare non quaerendo.
[7] Non posse esse ignorantiam culpabilem, nisi praecedat aliqua cogitatio vel dubitatio obligationis sciendi, quia praeceptum non ligat hominem, nisi mediante cognitione, quae nulla est, qnamdiu cogitatio obligationis in mentem hominis non ascendit.
[8] «Et tales esse multos testantur confessarii plurimi in Germania, auctoresque experientissimi. Tan. T. 3 d. c. q. 8. Teril. in reg. q. 64 a n.° 51, GoA. tr.7, n° 621. Reinfest. T. 4. d. 4. Sporer in Mor. T. 2. c. 3. V. Vind. Gob. p. 2. prop. 3.»
La-Croix. L. 2, tr. 1, dub. 3. n° 94.
[9] Credendum expertis, dicendumque cum La-Croix ac aliis ab eo laudatis, probabilius videri etiam in Germania esse haereticos mere materiales: quia experientia constat reperiri aliquot ita simplices aut doctrina suorum ministellorum praeventos, ut firmiter existiment de sua se fide ne dubitationem quidem admittere debere, qui tamen ea mentis sinceritate cum Deo agunt, ut si nossent fidem suam esse falsam atque erroneam, continuo nostram amplecterentur. Tales non sunt haeretici formales, quia pertinaces non sunt: sunt igitur solummodo materiales. De virt. Theol. p. 1.
[10] Formalis haereticus est qui scienter, voluntarie et pertinaciter adhaeret errori contra fidem catholicam. Est autem pertinacia ad haeresim requisita, efficax et deliberata facultas dissentiendi alicui veritati catholicae seu a Deo revelatae et ut tali sufficienter propositae per S. Scripturam vel Ecclesiam vel aliam generalem fidei regulam satis probatam ut infallibilem. Desumitur ex Aug. l. 4. de Bapt. c. 16. Istum nondum haereticum dico, nisi manifestata sibi doctrina catholicae fidei, resistere maluerit, et illud quod tenebat elegerit. Haereticus materialis dicitur qui ex ignorantia vel sinistra instructione seductus vel falsa apprehensione deceptus adhaeret quidem errori contra fidem catholicam, paratus tamen est eum deponere, veritate sufficienter cognita. Et huiusmodi haeretici materiales (meo quidem iudicio) in Germania sunt plurimi, non obstante quod saepe Catholicis immixti vivant. Qui si interim actu universali credant in genere omnia a Deo revelata, reipsa orthodoxi sunt et ad Ecclesiam Catholicam pertinent, non minus ac illi simplices ex Catholicis aut male instructi, qui subinde aliqua mysteria fidei nostrae perperam apprehendunt, non rite intelligunt, vel errorem aliquem ignoranter tenent.... Theol. Pol. P. I. p. 9.
[11] Recueil des Ouvrages composées par feu M. Papin en faveur de la Religion. Nouvelle édition donné pour sa veuve, T. II. 1. 115.
[12] Evang. du 19 dim. apres la Pentecôte.
[13] In 4 sent. T. 1. Diss. 5, qu, un. a. 2.
[14] Theol. T. 2, tr. 9. 9. 2.
[15] De Theol. disc. L. 23, c. 7. prop. 3.
[16] Veggasi P. 6. in Conc. Trid.
[17] Opera Moralia T. 4. col. 187.
[18] Theol. Mor. l. II. Tr. 1.
[19] De Bapt. contra Donat. l. 21. c. 16.
[20] Spedalieri, Analisi dell'Esame critico, C. XII. art. 9, 10.
[21] Dante Inf. IV. Purgat. VII.
[22] Le Protestant cité au Tribunal de la Parole de Dieu dans les S. Ecritures, traduct. de l'Anglois. Paris 1765 p. 368.
[23] Ga. V. v. 19.