sabato 22 agosto 2015

SAPIENZA DI QUESTA DISPOSIZIONE (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)


San Luigi IX di Francia distribuisce l'elemosina
ai poveri.
Dire che i ricchi devono assistere i poveri, ogni cristiano ne conviene, e ch'essi debbano dar loro assistenza con rispetto, egualmente tutti ne convengono, purché si sciolgano un poco dai pregiudizi di questo mondo. Ma non è poi cosa esorbitante l'asserire che solo a questa condizione i ricchi sono stati ammessi nella Chiesa della terra, e che soltanto a questa condizione essi possono entrare nella Chiesa del cielo?
Bossuet ci dà parecchie ragioni di questa divina disposizione. Anzitutto, in un discorso sulla carità pronunciato un venerdì di Passione, all'Ospedale generale, e del quale abbiamo soltanto gli appunti, egli dimostra che questa disposizione dovea essere presa pel bene spirituale dei ricchi e dei poveri.
"Due condizioni opposte hanno per impedimento della loro salute gli stessi estremi: le grandi ricchezze e la grande miseria. Gli uni, i ricchi, per presunzione, gli altri, i poveri, per disperazione giungono al medesimo fine, quello d'abbandonarsi intieramente al vizio ... Nell'uno e nell'altro stato, si trascura la propria anima, si dimentica Dio. Gli uni per troppa agiatezza, gli altri per troppa miseria credono che non vi sia Dio per loro. Il primo (dice fra sé) che non vi è giustizia, il secondo che non vi è punto di bontà; per conseguenza non vi è Dio per essi. Per togliere gli estremi egualmente pericolosi di queste due condizioni (vi è questa) legge di giustizia divina, che cioè i ricchi sollevino i poveri del peso della loro disperazione, e che i poveri alleggeriscano i ricchi d'una parte del loro superfluo: Alter alterius onera portate. Mostrate ai poveri che Dio è il loro Padre, mostrate loro le cure della sua Provvidenza. (Dite loro ch’) Egli è buono, (che aprano gli occhi sui) tanti beni da lui ricevuti; tutto ciò non li commuove; (poiché non vi è) niente per loro. Egli ha comandato di esser con loro generosi; niente (ancora) per essi; (poiché) non si obbedisce. Mostrate dunque sensibilmente la sua bontà col venire in loro sollievo" (Sermoni, V, 381).
Vi ha un secondo motivo per giustificare la sua Provvidenza. La troviamo così esposta nel discorso sull'eminente dignità dei poveri:
"Quale ingiustizia che i poveri portino tutto il carico, e che tutto il peso delle miserie abbia a piombare sulle loro spalle! Se essi si lamentano e mormorano contro la Provvidenza divina, Signore, permettetemi il dirlo, ciò ha qualche colore di giustizia; poiché essendo tutti plasmati d'una stessa massa, e non potendo esservi grande differenza tra creta e creta, perché vedremo noi da un lato il giubilo, il favore, l'affluenza, e dall'altro la tristezza, la disperazione, l'estrema indigenza, ed eziandio, il disprezzo e la servitù? Perché quell’uomo sì fortunato vivrà in una tale abbondanza, e potrà contentare perfino i desideri più inutili d'una studiata curiosità, mentre quel misero, uomo al
pari di lui, non potrà sostenere la sua povera famiglia, né saziare la fame che l'opprime? In una sì strana ineguaglianza, come si potrebbe giustificare la Provvidenza di malamente distribuire i tesori che Dio dispensa tra eguali, se con un altro mezzo non avesse provveduto ai bisogni dei poveri e non avesse posta qualche eguaglianza fra gli uomini? Questa, o cristiani, è la ragione per cui ha stabilita la sua Chiesa, ove riceve i ricchi, ma con la condizione di servire ai poveri; ove comanda che l’abbondanza supplisca alla deficienza, dà degli assegni ai bisognosi sopra il superfluo dei doviziosi".
Nel suo panegirico su san Francesco d'Assisi, Bossuet spiega in qual senso bisogna intendere questi "assegnamenti ai bisognosi sopra il superfluo dei doviziosi".
"Dio quaggiù non dà ai poveri - dice egli - alcun diritto da poter esigere per rigorosa giustizia; ma permette loro di prelevare su tutti quelli ch'egli ha arricchito, una imposta volontaria, non per forza, ma per carità. Se sono respinti, se sono maltrattati, egli non vuole che portino le loro querele davanti ai giudici mortali. Egli stesso ascolterà le loro grida dal più alto de' cieli; siccome tutto quello che è dovuto ai poveri appartiene a lui, egli ne ha riservato la ragione al suo stesso tribunale. Io li vendicherò, dic'egli, io farò misericordia a chi loro farà misericordia; io sarò senza pietà con quelli che saranno stati senza pietà verso di loro".
Ciò ben inteso, chi non si arrenderà alla saggezza delle seguenti osservazioni?
"O ricchi del secolo, non è per voi soli che Dio fa levare il suo sole, inaffia la terra, fa germogliare nel suo seno una sì grande quantità di sementi; i poveri al pari di voi han diritto alla loro porzione. Lo concedo che Dio non ha loro regalato nessun fondo in proprietà; ma il loro nutrimento lo ha assegnato sui beni che voi possedete, in proporzione della vostra ricchezza. Ciò non vuol dire ch'egli non avesse altro mezzo per mantenerli. Egli che mantiene e nutrisce gli animali anche i più infimi, non lascia mancare di quanto è conveniente alla loro sussistenza. Né si è accorciata la sua mano, né si sono esauriti i suoi tesori. Ma egli ha voluto che voi abbiate l'onore di far vivere i vostri simili. Qual gloria in verità, o cristiani, se sapessimo ben comprenderla".(1)
A queste due prime ragioni per conservare nella fede i ricchi ed i poveri, e per giustificare la Provvidenza, il grande oratore ne aggiunge una terza che i ricchi non mediterebbero mai abbastanza, poiché essa è tutta nel loro proprio interesse. Aiutando i poveri a portare il loro fardello, i ricchi rendono servigio a se medesimi perché hanno anch’essi il loro fardello. E qual'è questo fardello dei ricchi? Sono le loro proprie ricchezze. "Quando compariranno dinanzi a quel tribunale ove bisognerà render conto non solamente dei talenti trafficati, ma ancora dei talenti sotterrati, e rispondere a quel giudice inesorabile non solo del consumo, ma eziandio del risparmio e del governo di casa, allora riconosceranno che le loro ricchezze sono un gran peso, ed invano si pentiranno di non essersi sgravati di esse.
"Non aspettiamo quell'ora fatale, e finché il tempo lo permette, pratichiamo il consiglio di san Paolo "Aiutatevi gli uni e gli altri a portare i vostri pesi". Ricchi portate il peso del povero, soccorrete la sua miseria, aiutatelo a sostenere le afflizioni sotto il cui peso egli geme. Ma sappiate che sollevandolo, voi lavorate pel vostro proprio sollievo; quando donate al povero, diminuite il suo peso, ed egli diminuisce il vostro. Ma se voi non portate il carico del povero, il vostro vi opprimerà; il peso delle vostre ricchezze male usate vi farà cadere nell'abisso".(2)
Quanto son sagge, quanto sono ammirabili queste disposizioni divine!
Bossuet termina con questa esortazione.
"O poveri! - esclama egli, dopo di aver enumerato i vantaggi che Gesù Cristo fa loro nel suo regno della terra, e che loro riserva nel suo regno del cielo, - o poveri! quanto ricchi voi siete!" Ma, aggiunge egli, "o ricchi! quanto voi siete poveri! Se ritenete per voi i vostri propri beni, voi sarete privi per sempre dei beni del Nuovo Testamento, e non vi resterà per vostra porzione se non il terribile vae del Vangelo. Ah! per evitare questo fulmine e porvi felicemente al coperto di questa inevitabile maledizione, ponetevi sotto le ali della povertà, entrate in commercio coi poveri; date e riceverete; date i beni temporali, e riceverete le benedizioni spirituali; prendete parte alle afflizioni dei miseri e Dio vi farà partecipi dei loro privilegi".
Sta in questo l'ordine che Dio ha stabilito ne' suoi eterni decreti, per far regnare la pace nel mondo; e non solo la pace, ma anche la divina carità; decreti che dapprima si compirono in nostro Signore Gesù Cristo e da lui, e che devono compiersi in noi e da noi, se vogliamo partecipare con lui alla celeste eredità.
"Era volontà del celeste Padre - dice Bossuet - che le leggi dei cristiani fossero scritte primieramente in Gesù Cristo. Noi dobbiamo essere formati secondo il Vangelo; ma il Vangelo è stato formato sopra di lui stesso. "Egli ha insegnato colle opere, dice la Scrittura, prima d'insegnar colle parole". Egli prima praticò quello che prescrisse, e così la sua parola è divenuta nostra legge; ma la legge primitiva è la sua santa vita. Egli è nostro maestro e nostro dottore, ma innanzi tutto è nostro modello.
"Per ben intendere questa verità fondamentale - aggiunge il grande oratore - bisogna osservare, prima di ogni altra cosa che il grande mistero del cristianesimo, si è che un Dio abbia voluto rassomigliarsi agli uomini, per imporre agli uomini la legge di rendersi simili a lui. Egli ha voluto imitarci nella verità della nostra natura affinché noi l’imitassimo nella santità della sua vita. Egli ha preso la nostra carne, perché noi prendessimo il suo spirito".(3)
Tutti i santi, tutti i buoni cristiani hanno ciò ben compreso. Queste tre parole "Imitazione di Gesù Cristo" riassumono ogni cosa. La vita di un cristiano deve essere un riflesso il più esatto della vita terrena del Figlio di Dio. Ora questo Verbo incarnato fu povero, la sua vita fu la stessa povertà. Ecco quello che bisogna imitare, almeno pel distacco spirituale dalle ricchezze. Ma, a vero dire, questo non è imitare Gesù Cristo che da un lato solo. Il Salvatore non fu solamente povero; egli consolò tutte le afflizioni, egli trascorse la sua vita tergendo le nostre lacrime; egli ha nutrito i poveri, sollevato i piccoli, consigliato i grandi; egli amò e soccorse tutti gli uomini. Così noi dobbiamo fare dietro il suo esempio.
 
Note:

(1) Panegirico su san Francesco d'Assisi.
(2) Discorso sull'eminente dignità dei poveri.
(3) Discorso sulle sofferenze, III, p. 691.