venerdì 28 agosto 2015

LO SFORZO, LEGGE DELL’UMANITÀ (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)


La questione sociale non può essere risolta dalla sola carità. La carità è la legge soprannaturale. Al disotto di essa, in atto di sorreggerla, come la ragione sorregge la fede, si trova la legge della natura umana, senza l'osservanza della quale la carità stessa sarebbe impotente di sovvenire alle miserie, tanto esse sarebbero profonde e molteplici.
Questa legge è quella dello sforzo pel progresso, poiché la umanità è chiamata a progredire, e questa parola progresso, di cui tanto si è abusato in questo secolo, esprime propriamente la legge della natura umana. L'angelo, essere semplice, è uscito dalle mani del Creatore nella sua naturale perfezione; l'uomo nasce bambino, cresce, si sviluppa, e per crescere e svilupparsi, deve fare uno sforzo.
Era così nel paradiso terrestre; a più forte ragione, così dovette essere dopo la caduta.
Adamo nell'Eden aveva dei bisogni, e doveva lavorare per soddisfarli. Dio mise l'uomo nel giardino delle delizie affinché lo coltivasse e si nutrisse dei frutti della sua coltivazione.
L'uomo, per sua natura, è costituito nell'indigenza. Egli ha dei bisogni; e non può trovare che fuori di lui i mezzi per soddisfarli; e questi mezzi non li acquista se non mediante il lavoro. In origine egli dovea lavorare come oggigiorno. Tutta la differenza consiste in ciò che dopo la caduta il lavoro è divenuto faticoso, mentre prima era dilettevole (1).
L'uomo sembrerebbe essere, sotto questo rapporto, in una posizione inferiore a quella dell'animale; in realtà egli è in una condizione migliore. L'agnello trova subito l'erba che esige la sua fame, e la tigre trova tutto preparato nelle interiora d'una bestia più debole l'alimento necessario per sostenere la sua vita. Prendete l'ultimo degli insetti, il più invisibile dei microbi, il suo nutrimento è là disposto vicino a lui e non ha a far altro che prenderlo. L'uomo è il solo essere, a cui la natura, dopo la maledizione, si sottrae, ed alla quale egli deve far violenza. Dio, avrebbe potuto far crescere spontaneamente una pianta, quale il frumento, in modo che ognuno avesse potuto trovare, senza maggior fatica del bue che pascola, ciò che richiede la sua fame. Egli però nol fece. Su tutta la superficie del globo, gli uomini sono curvati sulla terra, l'inaffiano coi loro sudori, e solo a prezzo dei più faticosi lavori ne strappano i frutti di cui si nutrono ed il carbone che li riscalda. Non sono riparati dalle ingiurie dell'aria se non dopo aver costruito delle case e tessuto dei vestiti, mentre la lana cresce sul dorso dei montoni.
La massa del genere umano è sempre stata, è attualmente, e sarà sempre nell'indigenza; non ha mai avuto, non ha, né mai avrà ciò che le abbisogna se non a grande fatica. E ciò nonostante noi diciamo che questa condizione è migliore di quella che è stata fatta alle bestie. Come questo? La ragione si è che noi non siamo stati stabiliti nell'indigenza se non perché lottassimo contro di essa; e questa lotta è la condizione del progresso. L'animale non progredisce; esso è il medesimo in tutto il corso delle sue generazioni; l’umanità progredisce: vi ha progresso nell'individuo, progresso nelle nazioni, progresso nell'intera umanità.
Osserviamo i fatti.
Quando Dio scacciò l'uomo dal paradiso terrestre gli disse: "La terra è maledetta per tua cagione. Gli è mercé un lavoro penoso che trarrai da essa il tuo nutrimento per tutti i giorni della tua vita. Essa ti produrrà spine e triboli e tu non mangerai il tuo pane che col sudore della tua fronte".
Questa necessità in cui l'uomo fu posto di lavorare tutti i giorni della sua vita, con sudore e fatica, una terra ingrata e maledetta, e di non poter che a questo prezzo trarne un pane necessario alla vita, questo fu un castigo senza dubbio. Ma la legge del lavoro esisteva avanti la caduta; e Dio avanti di imporvi la pena e il patimento, avea imposto in questa legge un freno ed un governo: un freno per rattenere l'uomo ed un governo per venirlo formando.
Un freno. Poiché non bisogna credere che se Adamo non avesse peccato, noi fossimo nati impeccabili. La prova sarebbe stata imposta a ciascheduno di noi; ed il cielo in questo caso sarebbe
stato, come lo è adesso, una ricompensa personale accordata al merito di ciascuno. Noi avremmo potuto demeritare, noi avremmo potuto deviare dal retto sentiero come fecero Adamo ed Eva, in un momento d'ozio. Il lavoro ci fu dato ed imposto già prima della caduta per frenarci, per impedirci di deviare e tenerci entro le regole del dovere. Esso ci fu dato anche come mezzo di sviluppo e di progresso. Mediante il lavoro l'uomo rende soggetta la natura, estende il suo dominio, ingrandisce se medesimo. Tutto questo data dal principio. Nel paradiso terrestre Dio disse all'uomo: "Crescete e moltiplicate, riempite la terra ed assoggettatela, ed abbiate dominio sopra i pesci del mare, e i volatili dell'aria e tutti gli animali che si muovono sopra la terra". Con queste parole è stato conferito all'uomo l'impero su tutta la natura, ma a condizione ch'egli se l'assoggettasse.
Il peccato introdusse nel lavoro la fatica, ma il castigo non ritirò né il freno salutare, né il mezzo di sviluppo.
E questo castigo con quale paterna misericordia, con quale pietosa sollecitudine fu inflitto!
Fu sui poggi elevati dell'Asia centrale che l'uomo si trovò, dopo la sua caduta, là dove, in grazia del sole, la natura aveva un precoce sviluppo. I vegetali, spandendo sul suolo la pioggia annuale delle loro foglie, vi avevano sparso una prima concimazione. La coltura della terra poté cominciare. A poco a poco in luogo di rovi e spine, il lavoro dell'uomo la fece produrre frutti e legumi, e sopratutto quella pianta preziosa fra tutte, il principale nutrimento dell'uomo incivilito, il frumento, il quale è talmente il frutto della coltivazione, che non lo si trova in nessun luogo allo stato selvaggio.
Le foreste abbattute, le paludi prosciugate risanarono l'aria, ed il risanamento dell'aria produsse quello del sangue.
Così sorsero la prime civiltà; collo sforzo, colla lotta contro la natura, colla costante energia dell'anima che passa da una all'altra conquista. Imperocchè l'uomo non conquista col suo lavoro soltanto la terra vegetale ed i suoi frutti. L'edificio delle leggi, delle scienze morali, filosofiche e naturali; l'edificio politico, non che religioso, in una parola, tutto ciò che costituisce l'acquisto dell'umanità è il prezzo dei laboriosi e costanti sforzi delle generazioni, ciascuna delle quali aggiunse qualche cosa a quello che le precedenti avevano ammassato.
Ahimè! troppo spesso avvenne il contrario. Quando s'indebolirono gli animi, le nazioni si sfasciarono, il sangue è ridivenuto povero, il clima inabitabile, il suolo sterile, e l'aspra natura occupò di nuovo la terra. Così si estinsero le nazioni dell'antichità propriamente detta: Tebe, Ninive, Babilonia.
Se Dio avesse collocato i nostri progenitori in Europa, il genere umano non avrebbe tardato a sparire, od almeno non sarebbesi sviluppato. La sterilità del suolo lo avrebbe scoraggiato. Egli non poteva trionfarvi che più tardi, forte d'un capitale di già raccolto in Oriente.
Il nord dell'Africa ed il mezzogiorno dell'Europa offrivano una natura già più austera che quella dell'Oriente. Essa richiedeva dall'uomo un maggiore sforzo, e da questo sforzo ebbe origine una più alta civiltà.
Ma questa civiltà d'Atene e di Roma finì pure con andare in isfacelo; ciò per le identiche cause che avevano fatto sparire la civiltà antica, cioè l'abuso dei beni ottenuti che si sostituì al desiderio costante di ottenerne dei maggiori.
Venne allora la civiltà cristiana. Essa fu portata più vicino al polo, in seno all'Europa moderna, in queste contrade che gli antichi consideravano come riservate agli animali selvaggi. Qui la natura
richiese uno sforzo maggiore di energia; ma non superò la virtù dei Benedettini e dei popoli che essi seppero educare colla loro parola e coi loro esempi.
Nell'ora presente l'Europa, la parte del mondo naturalmente meno fertile, possiede una ricchezza molte volte più grande della ricchezza delle altre. Le nazioni cristiane, ad eccezione delle altre nazioni moderne, hanno un capitale quasi cinque volte maggiore del capitale delle più ricche nazioni dell'antichità e la loro popolazione, sul medesimo spazio, è ben tre volte più numerosa.
Esistono ancora certe contrade dove il suolo non è stato lavorato dalla mano dell'uomo, e non è perciò cosparso dei suoi sudori; là regna ancora lo stato selvaggio.
Questo rapido sguardo gettato sulla storia del mondo ci rivela questa verità, che la grandezza dell'uomo fu sempre in ragione della grandezza dell'ostacolo che la natura oppose al lavoro, e della forza d'animo che l'uomo spiegò per vincerla.
"Il lavoro, anche poco fruttuoso, è più utile della ricchezza disse il sig. le Play. - Il popolo che, per un privilegio funesto, potesse sussistere senza lavoro, sarebbe per ciò stesso, un popolo decaduto. Non si è osservata in ogni tempo l'influenza funesta esercitata sulle nazioni equatoriali da un clima, il quale, moltiplicando le produzioni spontanee, rende il lavoro insieme meno necessario e meno attraente?"(2)
Ecco il fatto più generale e più patente che presenti la storia dell'umanità. L'uomo è stato creato con dei bisogni per crescere mercé l'energia che questi bisogni risvegliano nella sua anima. Dio ha voluto che dal bisogno egli fosse continuamente stimolato a far atto di volontà, atto di rinuncia a' suoi comodi e atti di coraggio. Queste vittorie sopra di se stesso fortificano il cuore dell'uomo, lo innalzano, lo rendono capace di cose sempre maggiori; ed è così che l'incivilimento sale in proporzione degli ostacoli e della forza di carattere che l'ostacolo stimola e produce.
Ciò è talmente vero che, un mezzo secolo fa, B. de Saint-Bonnet non temeva punto di far questa osservazione, che oggi minaccia di essere una profezia:
"Molti popoli del Mezzogiorno sembrano ormai disposti a soccombere pei primi nella loro democrazia. E quelli del Nord, quantunque incatenati in un ostinato errore,(3) sembrano dover loro sopravvivere, tanto l’uomo ha bisogno di essere rianimato dallo sforzo". "Le razze latine stieno molto in guardia! Si affrettino a trarre dal cristianesimo gli elementi fecondi della loro grandezza morale, altrimenti le razze del Nord, le quali nello sforzo che da loro esige la natura, attingono direttamente gli elementi della loro grandezza, perverranno anche con una inferiorità di lumi celesti a soggiogare un'altra volta i popoli del Mezzogiorno!" I progressi compiuti dalla Germania e dalla Russia, dopoché queste parole furono scritte, la decadenza della Spagna, dell'Italia, della Grecia, della Francia non sono punto fatti per contraddire queste previsioni, né sopratutto i principii che hanno permesso di formularle.
Che cosa conchiudere?
La povertà nella quale si trova e si è trovata la più gran parte dell'umanità non è punto un male fortuito che la dottrina democratica farà un giorno sparire, come l'igiene ha fatto sparire la lebbra. Essa costituisce un fatto divino, una istituzione divina voluta dalla Provvidenza perché è necessaria al compimento dei disegni di Dio sull'uomo ed alla vera felicità dell'umano consorzio. Proudhon l'aveva compreso. Egli ha sempre sostenuto contro i socialisti che la salute del popolo era riposta nella temperanza e nella moderazione.
Egli scrisse: "Il cristianesimo fu il primo a porre formalmente la legge della povertà, e questa povertà, esaltata dal Vangelo, è la più grande verità che il Cristo abbia predicato agli uomini. Non è bene che l'uomo abbia i suoi comodi, invece necessita che senta sempre il pungolo del bisogno. A questa povertà, legge della natura e della società, è evidente che non si deve pur pensare a sottrarci. La povertà è buona e noi dobbiamo considerarla come il principio della nostra allegrezza. La ragione ci comanda di conformarvi la nostra vita colla frugalità dei costumi, colla moderazione nei godimenti, coll'assiduità al lavoro e colla subordinazione assoluta dei nostri appetiti alla giustizia". Quel che precede è detto della povertà e non della miseria.
La miseria è di creazione umana; essa è frutto del vizio, sebbene non sempre del vizio di chi la subisce. La povertà è una delle più grandi misericordie che Dio ci abbia accordato. Se con essa non avesse stimolato l'uomo, si sarebbe marcito nell'accidia. Dio ha creato questa terra quale è, affinché l'uomo, supplendo col suo lavoro alla natura, si procurasse ciò che gli manca, e affinché l'energia d'animo che è obbligato a sviluppare in questo lavoro lo nobilitasse quaggiù e lo preparasse per i suoi eterni destini.
Bisogna porsi sotto questo punto di vista, non meno sublime che vero per vedere quanto sono vane, e quanto sarebbero distruttive dell'umanità le utopie democratiche.
Alcuni anni fa, verso il 1895, i democratici dichiararono che uno dei fini principali che doveva proporsi la democrazia, era di poter organizzare la distribuzione gratuita di pane a tutti i cittadini nella misura necessaria al sostentamento d'ognuno.(4)
Un abate approvò calorosamente il progetto. Al Consiglio generale dei Nord, sessione di agosto 1900, la questione fu messa sul tappeto.
Il signor Selle la denominò "Dotazione del pane nazionale". Delory espresse la persuasione che questa dotazione non tardasse molto ad essere costituita. "Chi vent'anni fa - diss'egli - avrebbe creduto che si arrivasse ad un tempo in cui l'istruzione sarebbe distribuita a tutti gratuitamente? Tuttavia lo è. Fra breve il nutrimento corporale verrà distribuito a tutti dallo Stato del pari che il nutrimento intellettuale".
Innanzi tutto dove lo Stato prenderà il frumento, quando tutti saranno in diritto di esigerlo da lui stando colle mani in sacoccia ?
Ma, supposto che ciò fosse possibile, e che l'uomo potesse giungere a ottenere quello che Dio non ha voluto fare, che il frumento gli venga nelle mani tutto formato, macinato, cotto senza lavoro, che diventerebbe il genere umano? Prima di dieci anni esso sarebbe completamente sparito dalla terra, consumato dalla crapula.
Quasi tutte le opere democratiche sono segnate con questo sigillo dell'ignoranza della legge fondamentale dell'umanità. Ora tutto ciò che sarà tentato contro di essa, finirà necessariamente, non a fare la felicità del popolo, ma a sostituire la miseria alla povertà.
 

Note:

(1) Come pena della prima colpa.
(2) Riforma sociale, to. II, p. 6. 
 288
(3) Protestantismo.
(4) Noi non confondiamo questa utopia colla importantissima esperienza fatta a Roubaix. La panetteria operaia l'Union ha fondato un'associazione di mutuo soccorso fra tutti i clienti della panetteria che vogliono farne parte. Essa ha per fine di loro assicurare, mediante la mutualità appoggiata sul risparmio, il pane che li fa vivere nelle circostanze difficili della vita, e di dar loro la soddisfazione d'aver allora un pane che loro appartiene, che non devono implorare dalla beneficenza ufficiale o privata.