Fedeltà dei vassalli al proprio Re |
*Composta da 40 pagine, La fedeltà dei vassalli vide la luce nel 1777. Dodici anni prima della Rivoluzione francese, Alfonso, quasi cieco, sentiva tremare i troni e gli altari, vedendo i Monarchi scuotere la Chiesa e la fede e così segare il ramo su cui erano seduti: chi non temeva Dio, non temeva lo Stato. Lanciò un grido di allarme ai Prìncipi, dando loro come esempio Costantino, San Luigi, Santo Stefano, Sant'Etelberto, Luigi XIV e Carlo Emanuele di Savoia nell'opera di "conversione" dello Chablais [Chiablese, antica provincia settentrionale del Ducato di Savoia, infestata dai calvinisti] […] Restava da far arrivare l'opuscolo ai destinatari, che non erano lettori abituali di questo "istitutore dei poveri", per cui occorrevano due cose: tradurlo in francese, a quel tempo lingua delle Corti europee, e portarlo alle teste coronate. L'anno seguente fu tradotto e pubblicato in francese, probabilmente a spese del canonico Henri Hennequin di Liège, un ammiratore di Alfonso, incontrato forse a Roma, che si incaricò anche di inviarlo a tutte le Corti di Europa; d'altra parte a Roma il Cardinale Castelli lo diede a tutti gli Ambasciatori e Ministri delle Potenze straniere per i loro Signori. Non abbiamo alcuna risposta delle Loro Maestà all'autore, perché, come dice Tannoia, Alfonso aveva l'abitudine per umiltà di distruggere questo genere di corrispondenza. […] Cf. Theodule Rey-Mermet, Il Santo del secolo dei lumi, Città Nuova 1982, pp. 781-782. Cfr.
http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_PP1.HTM [I testi di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori sono tratti dai seguenti links: http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_IDX072.HTM http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_PP0.HTM http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_PP2.HTM e pagine successive]. Le annotazioni in neretto sono redazionali.
Edizioni contemporanee a Sant’Alfonso 1777, Napoli, Paci, in 8°, pp. 40.
Introduzione
Introduzione
In questo opuscolo Sant’Alfonso dimostra che i Sovrani debbono difendere i diritti della religione e reprimere gli eretici e la stampa empia, se vogliono salvaguardare i diritti della loro Corona. Si appella all'esempio di Costantino il Grande, di San Luigi, di Santo Stefano e di altri Re cristiani. L'imprimatur fu accordato il 5 agosto 1777; l'anno seguente l'opuscolo fu tradotto e pubblicato in francese, probabilmente per l'interessamento del canonico Hennequin di Liegi. Questo ecclesiastico, che altre volte aveva conosciuto Sant’Alfonso a Roma e aveva propagato le sue Visite in Belgio, s'incaricò di far pervenire questa dissertazione ai Re di Spagna, di Portogallo e di Sardegna, all'Imperatrice Maria Teresa, al Principe Carlo di Lorena, ai Duchi di Parma e di Toscana, ai Prìncipi-elettori di Colonia e di Treviri. Il Cardinale Castelli la distribuì a tutti i Ministri delle potenze rappresentate a Roma. Il Tannoja assicura che quest'opuscolo fu pubblicato a Liegi: la traduzione francese tuttavia porta come editore il nome di Paci, di Napoli, ma con questa menzione "si trova a Roma, a Parigi, a Bruxelles, a Vienna in Austria".
P. Maurice De Meulemeester Bibliographie générale des écrivains rédemptoristes, Louvain 1933, p. 170
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori |
La fedeltà de' Vassalli verso Dio li rende anche fedeli al loro Principe
Cap. I - I Re, se vogliono che i sudditi sieno loro ubbidienti, devono procurare di renderli ubbidienti a Dio; e si prova.
1. Col promuoversi i buoni costumi si promuove anche la pace comune de' cittadini e per conseguenza il bene di tutto lo Stato. Questa è una verità così evidente che si prova da per tutto colla sperienza: quei sudditi che sono ubbidienti a' precetti di Dio sono necessariamente ancora ubbidienti alle leggi de' Prìncipi. La stessa fedeltà che conservano i vassalli verso Dio li rende fedeli ai loro Sovrani. La ragione è chiara: quando i sudditi sono ubbidienti ai divini comandamenti, cessano le insolenze, i furti, le frodi, gli adulterj, gli omicidj; e così fiorisce lo Stato, si conserva la sommessione al Sovrano e la pace tra le famiglie. In somma quei che si stabiliscono in menare una vita morigerata, si stabiliscono insieme in osservare i loro doveri; poiché allora attendono a reprimer le loro passioni e così vivono in pace con se stessi e cogli altri.
2. Ma a ciò bastano le leggi de' Prìncipi ed i supplicj destinati a' delinquenti. No (si risponde) non bastano; né le leggi né i supplicj umani bastano a frenar l'audacia e le passioni disordinate de' malvagi che ad altro non attendono che a migliorare i loro interessi ed a soddisfare i loro appetiti: e perciò quando lor si presenta l'occasione disprezzando le leggi ed i gastighi divini, facilmente disprezzano ancora le leggi ed i gastighi minacciati da' Sovrani.
3. Giovano bensì le leggi umane a conservare i buoni costumi ne' sudditi morigerati, ma non già ad ingerirli [introdurli] ne' sudditi cattivi; la sola Religione ingerisce [introduce] e forma i santi costumi nelle anime, e così ella opera che le leggi sieno osservate. Se non vi fosse la Religione, la quale insegna esservi un Giudice supremo che tutto vede e ben sa vendicare le malvagità degli empj, rare volte gli uomini si farebbero forza a soddisfare i loro doveri; e senza questo timore de' divini flagelli che tiene gli uomini a freno, gli empj da per tutto crescerebbero in eccesso.
4. La sola Religione poi rende i vassalli veri ubbidienti a' lor Prìncipi, facendo ad essi intendere che son tenuti ad ubbidire a' Sovrani, non solo per evitar le pene imposte a' trasgressori, ma anche per ubbidire a Dio e tenere in pace le loro coscienze; secondo che scrive l'Apostolo, dicendo che i Sovrani sono ministri di Dio Ministri enim Dei sunt, in hoc ipsum servientes(1). E quindi soggiunge San Paolo che le leggi de' Prìncipi obbligano anche la coscienza de' sudditi: Ideo necessitate subditi estote, non solum propter iram, sed etiam propter conscientiam(2).
5. Non bastano dunque le leggi, né bastano i supplicj minacciati dalle leggi a reprimere le insolenze de' malvagi che poi disturbano la pubblica pace: poiché spesso i delitti restano impuniti, o perché restano occulti i delinquenti, o perché mancano le pruove [prove] bastanti a poterli castigare; e non di rado, quantunque sien provati i delitti, i rei colla fuga si sottraggono alla pena. Scrive il Clerc, ancorché eretico: La massima parte degli uomini non è capace di operar bene per la sola mira del pubblico bene; l'interesse particolare si trova quasi sempre opposto all'interesse comune; il solo timore de' gastighi divini mette freno ai disordini.
6. Essendo poi vero che i Re sono ministri di Dio e suoi luogotenenti, siccome i vassalli son tenuti anche per obbligo di coscienza di ubbidire a' loro Monarchi; così i Monarchi son tenuti d'invigilare sovra i loro vassalli acciocch'essi ubbidiscano a Dio. Ad un uomo privato basta che osservi la Divina Legge per salvarsi; ma ad un Re non basta: gli bisogna inoltre che si adoperi quanto può, affinché i suoi sudditi osservino la Divina Legge, procurando di riformare i mali costumi e di estirpare gli scandali.
7. E quando si tratta dell'onore di Dio, devono i Prìncipi aver coraggio e non tralasciare il loro dovere per timore di qualche avversità o contraddizione che possa esser loro fatta; mentre ogni Re, che adempisce il suo obbligo, ha Dio che l'assiste con modo speciale; come Dio stesso disse a Giosuè allorché gli commise il governo del popolo: Confortare et esto robustus et noli metuere, quoniam tecum est Dominus Deus tuus(3).
8. Pertanto il fine principale de' Prìncipi nel loro governo non dev'essere la gloria propria, ma la gloria di Dio. I Prìncipi che per la gloria propria trascurano quella di Dio vedranno perduta l'una e l'altra. Dee persuadersi ogni regnante, non esser possibile in questo mondo, pieno di uomini malvagi ed ignoranti, acquistarsi co' suoi portamenti [condotte] (per giusti e santi che sieno) le lodi e l'applauso di tutti i suoi vassalli: s'egli esercita la liberalità co' buoni e co' poveri lo chiamano prodigo: se poi fa eseguir la giustizia co' malvagi lo chiamano tiranno. Devono pertanto i Re principalmente attendere a piacere a Dio più che agli uomini; poiché allora, se non saranno lodati da' cattivi, ben saranno lodati da' buoni, e soprattutto da Dio, che saprà rimunerarli in questa e nell'altra vita.
9. Con [in] modo speciale devono attendere i Prìncipi a tener purgati i Regni da gente di mala dottrina. Pertanto parecchi cattolici Sovrani non ammettono al loro servizio né eretici, né scismatici.
Perciò anche proibiscono con sommo rigore che nel Regno entrino libri infetti di dottrina avvelenata; la poca cautela di alcuni Prìncipi in estirpar questa sorta di libri è stata la causa della ruina [rovina] di più Regni.
10. Quanto poi abbiano accresciuto la gloria di Dio e la pietà ne' sudditi molte buone Regine colla loro divozione e buon esempio dato, ben si legge nelle vite di San Lisabetta [Sant’Elisabetta(4)] Regina di Portogallo, di Sant’Edwige [Sant’Edvige(5)] Regina di Polonia, di Santa Brigida(6) Regina di Svezia e di Santa Caterina(7) sua figlia.
Sant’Elisabetta, Regina del Portogallo, in un dipinto conservato nell’antica Cattedrale di Coimbra, che rappresenta il famoso miracolo dei pani da lei portati ai bisognosi, trasformatisi in rose per non contrariare la volontà del marito.
Note:
1 Romani 13, 6. [Quelli che sono dediti a questo compito sono ministri di Dio].
2 Ibidem. [Perciò è necessario che stiate sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche in ragione della coscienza].
3 Giosuè 1, 9. [Sii forte e coraggioso e non temere, perché il Signore tuo Dio è con te].
4 Sant’Elisabetta, Regina del Portogallo (Saragozza, Spagna, 1271 - Estremoz, Portogallo, 4 luglio 1336).
5 Sant’Edvige d’Angiò, regina di Polonia, in polacco Jadwiga (Buda, 18 febbraio 1374 – Cracovia, 17 luglio 1399).
6 Santa Brigida, Regina di Svezia (Finsta, nell’Uppland svedese, 3 giugno 1303 - Roma, 23 luglio 1373).
7 Santa Caterina di Svezia (1331 circa – Vadstena, nell’Östergötland svedese, 24 marzo 1381).
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