mercoledì 5 agosto 2015

Il discorso di Pio XI sulla situazione della Chiesa nel 1924

TiaraPiusIX
 
ALLOCUZIONE DI SUA SANTITÀ PIO XI DURANTE IL CONCISTORO SEGRETO SULLA SITUAZIONE DELLA CHIESA NEL MONDO, «AMPLISSIMUS CONSESSUM» 
 
24 maggio 1924
Venerabili Fratelli.
Ogni volta in cui, nel corso dell’anno, il Nostro ufficio Apostolico Ci offre l’opportunità di riunire il vostro illustrissimo consesso, proviamo una grande soddisfazione. Oggi l’incontro Ci torna più gradito in quanto possiamo assieme a voi rivolgere il pensiero agl’insegnamenti e ai misteri del tempo quadragesimale, e fin d’ora salutare con animo lieto le gioie della Pasqua.
Dopo aver accennato a questo primo santissimo argomento, è doveroso informarvi, Venerabili Fratelli, sul risultato quanto mai lieto raggiunto dalla Nostra Enciclica Maximam gravissimamque che, proprio nel giorno sacro alla Cattedra di Pietro in Roma, abbiamo indirizzato ai Vescovi, al clero e al popolo francese annunciando finalmente conclusa la difficilissima questione delle Associazioni diocesane, nel senso che le autorizzavamo e le consigliavamo a compiere l’esperimento. Abbiamo detto « risultato lieto » in quanto, effettivamente, tutte le decisioni adottate in proposito dopo lunga riflessione hanno ottenuto l’adesione del popolo francese, che Ci ha pubblicamente testimoniato la propria gratitudine.
Ma, in verità, uno spettacolo superiore ad ogni elogio che Ci ha procurato una gioia incredibile e che ha provocato profonda ammirazione in tutto il mondo cattolico fu l’esempio di ossequio e di singolare deferenza verso la Sede Apostolica e il Vicario di Gesù Cristo offerto ancora una volta dalla Chiesa Francese. Di ciò resta duratura testimonianza non solo la lettera Pastorale collettiva che il 6 del mese scorso tutti i Vescovi di Francia, senza eccezione alcuna, hanno indirizzato al clero e ai fedeli, ma anche le lettere piene di ossequio che essi Ci hanno inviato individualmente. Né ciò è accaduto contro la Nostra speranza e la Nostra attesa; era quanto Ci prometteva la condotta della Chiesa Francese, testimoniata in situazioni non dissimili sotto i pontificati di Pio VII e di Pio X. Ma, quantunque prevedessimo questa testimonianza di pietà filiale, tuttavia la Nostra gioia non fu minore e Ci piace manifestare pubblicamente la gratitudine del Nostro animo ai Vescovi, al clero e al popolo di Francia in questa solenne assemblea alla quale — come sappiamo — sono rivolti i volti e gli occhi di tutto il mondo. Nel frattempo Ci è stato chiesto in quale modo le Associazioni Diocesane avrebbero dovuto comportarsi per conseguire più facilmente e più convenientemente l’obiettivo, e Noi l’abbiamo indicato assicurando che eravamo disponibili a far intervenire la Nostra autorità ogni volta in cui fosse necessario; ma Noi lasciamo all’iniziativa dei Vescovi — come è giusto — le principali questioni relative a questa materia, secondo le diverse circostanze ed esigenze locali.
Un altro spettacolo, che ha avuto per teatro non solo la Francia ma tutto il mondo, è venuto a testimoniare la fede di tutti i cattolici ed ha riempito di molta dolcezza il Nostro cuore. Intendiamo parlare del secondo anniversario della Nostra ascesa al Pontificato, che tutti i popoli hanno ricordato con singolare devozione, e la festa celebrata nelle diverse parti del mondo e che si è soliti chiamare amabilmente «il giorno del Papa»: a tali solennità hanno partecipato non solo le masse popolari ma anche le più notabili personalità cittadine ed anche le supreme autorità pubbliche, che hanno testimoniato in diverse maniere il loro attaccamento verso di Noi. Di tutto questo e di così numerosi omaggi ringraziamo la bontà di Dio e l’affetto degli uomini, ben sapendo che questi onori e queste lodi non sono tanto indirizzate alla Nostra pochezza quanto al Principe dei Pastori del quale Iddio, nonostante i Nostri scarsi meriti, Ci ha nominato vicario con il compito di esercitare sulla terra i suoi poteri.
Codesti fatti sono consolanti e collegati con la dignità e gl’interessi del cattolicesimo; ma ad essi, Venerabili Fratelli, ne vanno uniti altri che determinano in Noi grande pietà e Ci commuovono.
Per dirla brevemente, Noi non dimentichiamo quei religiosi e quei sacerdoti che, guidati da Giovanni Battista Cieplak, Arcivescovo di Achrida, sono stati privati della libertà e patiscono ancora le sofferenze e le tribolazioni del carcere pubblico. Nell’impossibilità di aiutarli in altro modo, Noi ricordiamo questi figli carissimi davanti al vostro Collegio: essi hanno tanto diritto alla nostra ammirazione e al nostro conforto, anche per il fatto che la loro prigionia si prolunga nel tempo. Desideriamo che tutti i buoni non dimentichino la loro condizione, e non cessiamo di raccomandarli a coloro che li detengono e presso i quali Ci pare di avere qualche particolare possibilità per intervenire.
D’altra parte è rilevante il numero di coloro che, desiderosi di verità e di carità, assetati di unità e di pace, si volgono dallo scisma e dall’eresia verso Noi e questa Sede Apostolica, simili a pecore sbandate e senza pastore che aspirano all’ovile del Signore. È appena il caso di dire quanto caldamente vorremmo abbracciarli, rinnovando l’invito del supremo ed unico Pastore: «Venite a me, voi tutti », e ad essi che rispondono affrettando il passo, Noi rivolgeremo le parole paterne: «Tutto ciò che è mio, è tuo». In proposito, Noi saremo assai riconoscenti a tutti i cattolici che, ispirati dalla grazia divina, si sforzeranno di agevolare ai fratelli separati l’accesso alla vera fede, dissipando i pregiudizi, presentando la dottrina cattolica nella sua integrità, soprattutto dimostrando in se stessi quel segno caratteristico dei seguaci di Cristo che è la carità. Noi vediamo infine ricorrere a Noi, per sollecitare qualche lenimento alle loro angustie, tantissimi orfani e derelitti dell’uno e dell’altro sesso, deboli e ammalati, bambini e vecchi, costretti alla miseria e alla povertà pur provenendo spesso da condizioni di medio benessere od anche di opulenza.
Che tale universale paternità demandata da Dio al suo Vicario in terra sia riconosciuta da quasi tutti istintivamente costituisce certo qualche cosa d’importante, un fatto sommamente magnifico. Ma questo stesso ufficio di paternità sarebbe per il Pontefice Romano una fonte abbondante di afflizione e di angustie se non si trovassero i fedeli che, del tutto consapevoli di questa paternità in quanto appartenenti alla stessa casa del Padre, fornissero le risorse in grado di soccorrere alle miserie degli infelici. Esistono infatti, sparsi per tutta la terra, dei Nostri figli che, favoriti più largamente dalla provvidenza di Dio, amano soccorrere i fratelli più bisognosi per mezzo del Padre comune. Profondamente toccati da tale generosità, esprimiamo a questi collaboratori e consociati della Nostra beneficenza la Nostra gratitudine, e consideriamo la misericordia praticata a quei Nostri figli come fosse diretta a Noi.
In verità queste espressioni di riconoscenza risulterebbero incomplete se non segnalassimo il ruolo che in tale gara di carità hanno avuto i Nostri figli degli Stati Uniti d’America: li onoriamo particolarmente e li poniamo all’attenzione di tutto il mondo. Infatti, non appena abbiamo alzato la voce a favore dei bimbi russi affamati, i Vescovi, il clero e il popolo degli Stati Uniti Ci aiutarono con tale prontezza e tale munificenza che — pur fra le tante elemosine inviate da ogni parte per soccorrere una così imponente miseria — il loro aiuto fu il primo e fu successivamente mantenuto. Codesta fraterna gara di generosità diminuì allorché i bisogni furono meno urgenti, ma bastò, finché nuovi flagelli si abbatterono su diverse regioni presentando una dolorosissima situazione che fece rivivere ovunque l’emulazione, e i soccorsi in danaro e in generi giunsero da ogni parte, secondo le diverse possibilità. Aggiungeremo che questi stessi fedeli degli Stati Uniti d’America, come se avessero dimenticato la loro precedente generosità, inviarono doni ancora maggiori allo scopo di assistere i bisognosi, mantenendo così il primo posto nella beneficenza? Non possiamo esprimere con le parole la Nostra ammirazione per l’eccezionale concorso di carità verificatosi in occasione delle storiche calamità, il cui ricordo rimarrà per sempre. Noi abbiamo deciso di evidenziare questa generosità con un atto che sarà straordinario per le circostanze e il momento cui si riferisce: assegnando cioè il più alto grado della gerarchia ecclesiastica sarà possibile, meglio che con le parole, far conoscere i Nostri sentimenti a tutti, e in particolare ai cittadini di quelle nobilissime regioni. Questa la nostra decisione: elevare all’onore della Porpora Romana due Vescovi degli Stati Uniti che per le loro qualità personali, per l’importanza e la dignità delle rispettive sedi, per lo zelo ed il valore del loro ministero pastorale eccellono fra i Vescovi di quelle Comunità. Tardiamo un poco a svelare i loro nomi, perché non sembri che passano inosservati altri avvenimenti non tutti lieti che meritano la Nostra attenzione. Se Ci guardiamo attorno più da vicino, non possiamo che consolarCi in modo rilevante per il fatto che è stata ricollocata nelle scuole la santissima immagine di Cristo Crocifisso, segno e ricordo della redenzione umana, ed è stato ripristinato l’insegnamento della dottrina cristiana, così che i bambini, assai cari al divino Maestro, possono fin dall’infanzia ricevere la loro prima formazione letteraria e il primo avviamento alla vita. Per la verità, in questa materia Ci è impossibile, quand’anche lo volessimo, liberarCi di ogni preoccupazione. Infatti, pur confidando nella debita preparazione, nella lealtà e nella consapevolezza didattica di quanti hanno il mandato di ordinare e d’impartire l’insegnamento religioso, tuttavia il ministero apostolico che esercitiamo Ci impone di raccomandare, nel nome di Cristo, ai Venerabili Fratelli Vescovi d’Italia, al clero, ai padri e alle madri di famiglia di non impigrirsi nella sicurezza e di non venir meno al loro diritto di vigilare e di protestare in caso di necessità. Si tratta infatti di materia di somma importanza, la cui soluzione e i cui possibili pericoli riguardano in gran parte essi stessi, in quanto è in gioco non tanto la sorte della Chiesa, che ha ricevuto da Dio la promessa dell’immortalità e che è diffusa in tutto il mondo, quanto il destino delle famiglie, della società civile e addirittura dello Stato. Infatti, alla Comunità è possibile raccogliere soltanto ciò che essa stessa ha seminato in precedenza, cioè la verità o l’errore, la fede autentica di Cristo o la perversione pagana, la civiltà umana o l’orribile barbarie, ancorché questa sia dissimulata nello splendore esteriore e nell’eleganza raffinata delle più recenti scoperte del progresso.
Non soltanto ansie e preoccupazioni, come abbiamo detto sopra, ma anche tristezza Ci procurano le rivalità intercorrenti fra i cittadini, e soprattutto le frequenti violenze inflitte a persone, cose e luoghi sacri, ad istituzioni che pur non essendo propriamente religiose e sacre, tuttavia sono in stretti rapporti con la Religione è la gerarchia ecclesiastica, lavorando con essa e sotto la sua guida senza alcun obiettivo di partito o politico, unicamente impegnate a formare gl’individui, la famiglia e la società secondo i princìpi cattolici. Chiaramente e più volte Noi abbiamo infatti proclamato che a nessuno è lecito, in vista di fini politici o per obiettivi di parte, abusare dell’autorità religiosa o dell’attività cattolica — e ciò abbiamo vietato secondo le Nostre possibilità —; Noi siamo particolarmente impegnati, nel nome dell’autentico diritto, a protestare e a condannare le offese inflitte alla Religione nonché le violenze compiute, sotto il pretesto di ragioni politiche, alle persone, alle cose e alle istituzioni collegate con la Religione. Volentieri riconosciamo che Ci hanno consolato i vari provvedimenti che recentemente sono stati adottati o stanno per essere varati quali la sospensione — voglia Iddio che si tratti di un provvedimento definitivo! — del notissimo decreto che minacciava gravi danni alle opere pie e ai legati di culto; la gradevole proroga — sebbene soltanto per un anno — dell’aumento dell’assegno ai sacerdoti; la dispensa dal servizio militare delle persone dedite al culto divino. Ma non vogliamo, con il Nostro silenzio, rafforzare l’opinione secondo la quale la Sede Apostolica abbia rinunciato o intenda rinunciare al proprio diritto di disporre sulle materie di propria esclusiva pertinenza, e che possa accogliere le concessioni — compiute o da compiersi — come parziali restituzioni.
Ma, prima di concludere, Ci piace, per la soddisfazione di tutti, passare ad altre vicende che, già accadute od imminenti, fanno sperare in tempi migliori.
Innanzi tutto, quantunque in Europa perduri tra incertezze e difficoltà una non piccola quantità di miserie e di sofferenze, tuttavia si può constatare un certo miglioramento sia all’interno dei singoli Stati, sia nei rapporti internazionali. Noi confidiamo che un certo vantaggio derivi agli interessi religiosi, ovunque compromessi dal malessere spirituale ed economico.
Per la verità, un’ottima speranza per il cattolicesimo comincia a brillare nelle immense regioni e fra gl’innumerevoli popoli della Cina in occasione del primo Concilio Plenario che si è venuto preparando negli scorsi mesi e che si svolgerà tra poco sotto la presidenza del Nostro Delegato. Se questo Concilio è stato felicemente motivato dallo stesso progresso delle Missioni e dalla necessità di una migliore organizzazione, si può prevedere con fiducia che da tale memorabile Congresso, come dimostrano altri Concìli svoltisi altrove, deriveranno grandi vantaggi alla Chiesa Cinese.
Né mancano, nel corso di quest’anno, alcuni consolanti motivi di pietà e di gioia derivanti da certe sacre solennità che riguardano Noi e gli abitanti di questa Alma Roma. Infatti Ci accingiamo a celebrare il quattordicesimo centenario da quando il popolo Romano cominciò a venerare la dolcissima Effigie della beata Maria in Portico, e parimenti il sedicesimo centenario della prima dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano. Si propone pertanto alla devozione l’Immagine della Madre di Dio e degli uomini, «Porto della sicurezza Romana», nonché la Nostra Cattedrale, «madre e capo delle chiese di Roma e del mondo», la stessa chiesa nella quale ricevemmo l’ordinazione sacerdotale: dall’una e dall’altra realtà derivano la maestà e il fascino di una gloriosa antichità. Certamente, quand’anche non lo volesse il Nostro compito di Vescovo di Roma, la stessa fede e la stessa devozione dalle quali siamo animati Ci imporrebbero di promuovere queste feste e di parteciparvi; infatti, Noi abbiamo cominciato a celebrarle e continueremo a parteciparvi, in quanto nulla Ci sta tanto a cuore come il vedere ogni giorno fiorire e fortificarsi sempre più nei Nostri diletti figli di Roma e anche in tutti i fedeli cristiani la devozione alla Vergine e l’amore nei confronti della Cattedra Romana. Senza dubbio è motivo di amarezza il fatto che, a causa delle condizioni imposte a questa Sede Apostolica, non possiamo — come fecero i Nostri Predecessori — procedere con larghezza e partecipare di persona alle cerimonie sacre: munificenze ed interventi scritti a caratteri d’oro nei fasti della Basilica Lateranense e del tempio di Santa Maria in Portico.
Ma fra poco, Venerabili Fratelli, come sapete, avremo la gioia di celebrare due altre solennità che trasformeranno questa Alma Città, sede della fede e della devozione, come in un teatro della pace universale e dell’unione fraterna dei popoli: intendiamo parlare dell’Anno Santo e della cosiddetta Esposizione Missionaria che si allestirà nei Palazzi Vaticani. Già da ora, con grande gioia, Ci pare di veder giungere qui a migliaia e migliaia i pellegrini provenienti da ogni dove, desiderosi di espiare i loro peccati e di riconciliarsi con Dio, pronti a condurre per il futuro una vita più regolata e più santa, varcare in massa la Porta Santa che Noi, secondo un’antica consuetudine, apriremo allo scopo di diffondere su di essi abbondanti frutti di redenzione e di grazia. Né si deve minimamente dubitare che gli stessi pellegrini e fedeli, dopo aver apprezzato la multiforme ed eroica opera dei missionari cattolici che verrà loro presentata — parliamo di quei missionari che sacrificano la propria patria, la propria famiglia e la stessa vita per distribuire ai loro infelici fratelli dimoranti nell’ombra della morte i tesori celesti della luce e della grazia — si sentiranno presi da infinita ammirazione per un così meraviglioso apostolato e si impegneranno per promuovere le sacre Missioni. Pertanto, Venerabili Fratelli, Noi abbiamo motivo di sperare con voi che il futuro Anno Santo ed espiatorio contribuirà a diffondere il regno di Dio e a procurare la pace agli uomini, in modo che «la pace di Cristo per il regno di Cristo» oggetto dei Nostri ardenti desideri, delle Nostre preghiere e delle Nostre invocazioni, risplenda al più presto per tutti.